La riflessione umanistica deve spezzare la dipendenza dal formato breve, dal sommario, dalla citazione fuori dal contesto e cercare di introdurre invece un processo di riflessione, ricerca, discussione informata che sia in grado di vagliare a fondo l'argomento in oggetto.
(E. Said, Umanesimo e critica democratica, p. 99)
Nelle sue opere Said sostiene la necessità di considerare i valori dell'umanesimo, rivalutando tale concetto sia come pratica negli studi letterari sia più in generale nel pensiero politico. Secondo il suo parere può contribuire a rafforzare le riflessioni critiche e a rigenerare la democrazia; ne esalta il valore mettendo in evidenza la sua natura di potenziale antidoto contro le semplificazioni dell'informazione giornalistica e per arginare i pericoli del nazionalismo.
Nel 2004 fu pubblicato il primo libro postumo, Humanism and Democratic Criticism1, in cui sono raccolte le osservazioni di Said in merito agli studi letterari. Il testo comprende una raccolta di tre conferenze tenute alla Columbia University nel gennaio 2000, un saggio dedicato all'opera di Erich Auerbach Mimesis e l'articolo The Public Role of Writers and Intellectuals, scritto per un intervento alla Oxford University svoltosi nel settembre 2000.
La convinzione di Said è chiara: l'umanesimo non è composto da concetti impersonali, da ideali astratti, al di fuori della realtà sociale, al contrario è un processo da coltivare di continuo, un'attitudine che si persegue osservando le azioni umane con spirito critico. Ricorda l'origine di questo pensiero e i valori a esso connessi quando scrive che
nel cuore dell'umanesimo si trova la convinzione, laica, che il mondo storico è fatto dagli uomini e dalle donne, e non da Dio, e che può essere compreso razionalmente secondo i principi formulati da Vico nella Scienza nuova2. Secondo questi principi, possiamo realmente conoscere solo ciò che facciamo, o, per dirlo in altri termini, possiamo conoscere le cose in base al modo in cui sono fatte3.
Said considera Giambattista Vico importante poiché sostenne che tutte le idee sono incarnate negli individui umani e, di conseguenza, sono strettamente legate alla storia reale, e mutano con il tempo. Egli contestò così il pensiero di Cartesio, che riteneva possibile l'esistenza di idee chiare e distinte, svincolate sia dalla mente che le pensa sia dal contesto storico. L'apporto di Vico è quindi rilevante poiché induce a considerare la realtà dal punto di vista dell'artefice umano. Said, traendo insegnamenti dal suo pensiero, afferma che bisogna sempre sforzarsi di ripercorre le origini umane e storiche degli avvenimenti, senza alcuna necessità di cercare spiegazioni in concetti astratti. Poiché il mondo contemporaneo è estremamente mutevole e non può essere incasellato in categorie rigide e ideologiche, l'umanesimo, grazie alla sua predisposizione nei confronti del cambiamento, secondo il parere di Said è attualmente il miglior modo per valutare la realtà.
Notando che le materie letterarie attualmente tendono a essere marginalizzate, essendo sempre di più richiesti saperi tecnocratici ed efficientisti, Said riflette su come l'umanesimo possa essere rivalutato. Sostiene che non bisogna considerare tale studio un sapere nozionistico, pertanto invita a
intendere la pratica umanistica come parte integrante e funzionale di questo mondo e non come un abbellimento e un esercizio di nostalgica rievocazione del passato4.
L'umanesimo per Said trae vitalità dal linguaggio, dall'uso appropriato e dall'analisi dei contenuti dei testi, cosicché analizzare la comunicazione dei media, ad esempio, può divenire un compito degli studi letterari. Dal momento che televisioni e giornali riportano le informazioni mostrandole come fossero certezze, sotto forma di uno spettacolo da consumare immediatamente, l'umanesimo ha il merito di stimolare il sorgere delle domande, del dubbio. Grazie al lavoro letterario si possono indagare i contenuti dei discorsi, riportando in luce tutto ciò che viene tralasciato, contestando così tutte quelle sintesi eccessive e fuorvianti che, nonostante siano inadeguate, purtroppo sono adoperate comunemente. Una riflessione consapevole esercitata sul significato dei testi costituisce quindi l'opposto della ricezione passiva e, come afferma Said:
in questo, appunto, consiste l'atto di resistenza: nella capacità di distinguere tra quello che può essere colto direttamente e quello che risulta essere nascosto5.
L'umanesimo può così controbattere l'informazione giornalistica, agendo come una tecnica di disturbo; è in effetti una pratica di resistenza poiché si oppone alle strategie esercitate da coloro che intendono fornire immagini rapide e preconfezionate. Permette di interrogare quel che viene raccontato, in modo tale da mettere in discussione
ciò che ci viene presentato sotto forma di certezze già mercificate, impacchettate, epurate da ogni elemento controverso e acriticamente codificante6.
Durante le conferenze sopra citate Said ricordò alcune espressioni molto diffuse nelle televisioni e nella stampa. I media spesso ripetevano la definizione di "intervento umanitario", cioè la motivazione con cui la Nato giustificò le azioni militari nei Balcani nel 1999, il termine "asse del male", cioè l'insieme dei paesi non sottomessi agli Stati Uniti, o frasi del tipo "l'Iraq possiede armi di distruzione di massa e rappresenta una minaccia", asserzione riportata acriticamente7. Anche le semplici parole "guerra" o "pace" meriterebbero di essere spiegate ogni volta, elencando gli elementi che le caratterizzano e i significati sottostanti, altrimenti risultano essere termini vuoti. Tutte queste espressioni, così rapide da sembrare spettacolari, secondo Said dovrebbero essere ogni volta discusse, convalidate o contestate, secondo modalità critiche che traggono beneficio dall'analisi letteraria, poiché "la resistenza umanistica, al contrario, ha bisogno di forme più distese, di saggi e di lunghi periodi di riflessione"8. Posto di fronte a un linguaggio che si mostra compatto e coerente, l'umanista può attuare pratiche di resistenza grazie alla sua capacità di inquadrare i testi nel contesto entro il quale sono prodotti.
Said si serve dell'umanesimo, della sua visione laica che considera le società in perenne movimento, per criticare alcune opinioni diffuse nelle università statunitensi nei riguardi delle discipline letterarie. Contesta i sostenitori del conservatorismo culturale, coloro che intendono difendere le radici della cultura occidentale arroccando le discipline entro confini ben delimitati.
In Humanism and Democratic Criticism Said ricorda che nel 1937 alla Columbia University fu fondato il corso "The Humanities", nel quale venivano insegnati i classici della cultura occidentale come Omero, Erodoto, Eschilo, Euripide, Platone, Aristotele, Virgilio, Dante, Agostino, Shakespeare, Cervantes e Dostoevskij. Said sostiene l'importanza dello studio di questi autori affinché gli studenti acquisiscano una completa conoscenza di base. Non condivide invece le celebrazioni eccessive dei testi e degli autori, quando vengono considerati "sacri", poiché la troppa riverenza è utilizzata per esaltare la “cultura occidentale”, entità presupposta omogenea e coerente dalle radici fino alla contemporaneità.
Said critica le opinioni di Allan Bloom, autore dell'opera Closing of the American Mind9, il quale critica l'introduzione nelle scuole di insegnamenti eccessivamente relativisti, da lui ritenuti banali prodotti della cultura popolare. Quel che comunemente è considerata un'apertura, cioè l'accettazione di nuove teorie nei programmi scolastici, nel saggio di Bloom, al contrario, viene giudicata una chiusura mentale. Said è fortemente critico verso tali considerazioni perché le ritiene pervase da un moralismo riduttivo che induce ad arroccarsi entro confini impermeabili.
Considera Allan Bloom, e gli altri sostenitori del conservatorismo culturale come William Bennett10 e Samuel Huntington11, il sintomo evidente del fatto che stanno riemergendo idee reazionarie e retrive che già furono diffuse dai New Humanists durante gli anni trenta negli Stati Uniti. Tali autori, consacrando lo studio della letteratura all'insegnamento di determinate opere, intendono difendere la cultura occidentale; vogliono tramandare i valori a questa connessa, virtù da loro ritenute sempre valide e immutabili. Difendono un cosiddetto "canone ufficiale" e giudicano nefasto l'emergere di una serie di materie, ad esempio i nuovi corsi sugli studi di genere, etnici, gay, culturali e postcoloniali. Considerano questi campi una degenerazione delle discipline umanistiche e, di conseguenza, hanno elaborato teorie autodifensive. L'avanzare della cultura popolare è ritenuta una minaccia nei confronti della centralità dei grandi testi letterari, così come l'eterogeneità di nuove e ribelli teorie in filosofia, linguistica, politica, psicanalisi, antropologia. Questo atteggiamento, chiuso verso le contaminazioni, secondo Said considera la cultura in termini aristocratici, come patrimonio di una ristretta élite di autori. Il respingimento di nuovi studi sembra voler dire che troppe categorie scomode di persone sono comparse nella società, e pretendono perfino di parlare.
Per contrastare il conservatorismo che tende a diffondersi nel mondo della cultura è necessario l'umanesimo che, essendo fondamentalmente democratico, si dirige in senso opposto. L'umanesimo è contrario alla supremazia di un minuscolo gruppo di autori e lettori selezionati e approvati, non considera l'istruzione un modo per far emergere un'élite di persone alla quale affidare la conservazione del sapere. Del resto, è assurdo credere che gli studi letterari siano una pratica disciplinare esclusivamente occidentale, tant’è che l'umanesimo è un movimento inclusivo, poiché secondo Said induce a considerare la “storia umana come un processo continuo di autocomprensione e autorealizzazione, non solo per noi, maschi, europei e americani”12.
I conservatori nel campo della cultura come Bloom, definito da Said “il culmine dell'anti-intellettualismo americano”13, invece difendono la cultura elencando proibizioni: gli studi umanistici però non dovrebbero implicare nessuna barriera. L'umanesimo si alimenta grazie all'inclusione, e pertanto deve essere inteso come
democratico, aperto a tutte le classi e a tutte le provenienze e come un processo di rivelazione e scoperta senza fine, un processo di autocritica e di liberazione14.
L'umanesimo, poiché si mostra aperto sia nei confronti dei mutamenti storici sia nei rapporti con l'alterità, può aiutare a contrastare la collocazione della letteratura entro confini nazionali. I conservatori nel campo della cultura, vale a dire coloro che considerano il patrimonio culturale situato nella mente di pochi autori selezionati con cura, tendono ad associare ogni opera letteraria direttamente con l'autore, e a legare quest'ultimo in maniera quasi naturale al luogo di provenienza. Per loro ogni scrittore è collocabile su un suolo, e perciò ammettono l'esistenza di una letteratura nazionale ben definibile. Al contrario, secondo Said bisogna rivedere il concetto secondo cui si associa in maniera semplicistica la letteratura a un determinato contesto nazionale. Gli oggetti letterari, le critiche, i romanzi non hanno un'esistenza stabile e bene identificabile perché "le nozioni di opera, autore e nazione non sono più le affidabili categorie di un tempo"15. Coloro che difendono le culture nazionali, o esaltano la letteratura di un popolo, hanno certamente interessi politici, e a riguardo di questi usi bisogna essere sempre cauti.
A volte però anche l'umanesimo rischia di porsi al servizio del nazionalismo, ad esempio nei contesti coloniali. In questi casi la rinascita delle lingue e delle culture, che prima erano oppresse, secondo Said può essere spiegata entro le logiche della liberazione. Non dimentica però di osservare che bisognare stare in guardia quando quel nazionalismo, che prima ha portato all'indipendenza di un paese, tende in un secondo momento a prevalere, poiché sfocia facilmente nella xenofobia e nell'intolleranza. Per questa ragione, Said avverte dunque che è sempre pericoloso formulare teorie sull'identità, dato che ciò "ha provocato più problemi e sofferenze che vantaggi, soprattutto quando associata alla cultura umanistica, alle tradizioni, all'arte"16. Pertanto, uno dei compiti dell'umanista è saper utilizzare il piano estetico per mettere in discussione, riesaminare e resistere al nazionalismo.
Said inoltre spiega che l'umanesimo dovrebbe essere valorizzato perché aiuta a comprendere le società contemporanee. Tutte le nazioni sono demograficamente e culturalmente eterogenee; i flussi migratori, le comunicazioni telematiche e intercontinentali, la globalizzazione economica hanno riempito i territori con un'enorme varietà di elementi, provenienti da molti paesi. Il mondo è sempre più integrato, cosicché anche nel campo delle opere culturali, sia la produzione sia il consumo interessano un pubblico nuovo e variegato. Dunque, dal momento che l'approccio dell'umanesimo insegna che le idee non possono essere mai separate dal mondo della storia e del lavoro umano, non è possibile considerare una cultura legata interamente a un territorio nazionale, perché essa è sempre in viaggio.
1Edward Said, Umanesimo e critica democratica, cit..
2Giambattista Vico, 1977 [1725], La scienza nuova, Milano, Rizzoli.
3Edward Said, Umanesimo e critica democratica, cit., p. 40.
4Ivi, p. 80.
5Ivi, p. 101.
6Ivi, p. 57.
7Ivi, p. 36-37.
8Ivi, p. 99.
9Allan Bloom, 1988, Closing of the American Mind, New York, Simon & Schuster; trad. it. 2009, La chiusura della mente americana, Torino, Lindau.
10William Bennett, 1993, The Book of Virtues: A Treasury of Great Moral Stories, New York, Simon & Schuster; trad. it. 1996, Il libro delle virtù. Il tesoro morale dell'umanità, Milano, Neri Pozza.
11Samuel Huntington, 1996, The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order, Simon & Schuster; trad. it 2000, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti Libri.
12Edward Said, Umanesimo e critica democratica, cit., p. 56.
13Ivi, p. 48.
14Ivi, p. 51.
15Ivi, p. 68.
16Ivi, p. 103.