Monte Tifata 25-4-10
Il monte Tifata, almeno per me, ha sempre rappresentato qualcosa di magico, di quasi irraggiungibile; per anni lo guardavo dal parco dove abito e mi chiedevo se un giorno mai avrei raggiunto la sua impervia cima e toccato la sua aguzza croce e mi chiedevo chissà che larga visuale si aveva da lassù. Di anni da allora sono passati, di monti ne ho scalati a dozzine e tra questi anche l’austera montagna di casa e più di una volta; austera poiché la vedi lì al limite della pianura della ex Campania Felix, per intenderci tra gli abitati di Capua, San Prisco e San Leucio, stagliarsi con aspetto duro, imponente, forzuto e ben accomodato, i sui soli 603 mt di altezza non devono ingannare, è una montagna vera.
Tutte le persone che abitano alle sue falde a volte sembrano ignorarla, più per la loro fretta che per vera indifferenza, ma in fondo tutti le portano rispetto, forse per quell’area divina che l’ha sempre riguardata nel corso della nostra storia, molti infatti sono i luoghi di culto più o meno conosciuti che si ritrovano sulle sue pendici (qui sia la basilica Benedettina sorta sui ruderi si un antico tempio romano, sia la piccola chiesetta di San Nicola, sia i resti del tempio di Giove), quasi fosse la casa degli Dei qui a Caserta.
Per questo, ritenendolo una specie di pellegrinaggio, il 25 Aprile 2010 decido di organizzare un’escursione verso la sua cima condividendo la mia volontà con chiunque la pensasse allo stesso modo, con me i miei prodighi accompagnatori Rocco e Gaetano. Partiamo dalla basilica Benedettina di Sant’Angelo in Formis verso le 11 e 30, un po’ tardi visto il caldo già rilevante ed il sole dritto sopra la nostra testa, con ben 25 temerari escursionisti; noto subito che le donne sembrano superarci in numero ma me ne sbalordisco, troppo fiacchi e fraccomodi i ragazzi di oggi e con la testa a ben altro.
Il primo tratto è il più facile, saliamo prima lungo una strada bianca aggirando a sinistra l’orribile cava, poi lungo una mulattiera ripida e mal ridotta costeggiando un ruscelletto quasi asciutto quindi su un comodo sentiero attraversando dei bei prati puntellati da qualche quercia; qui inizia la cosiddetta battaglia dell’asparago, infatti dopo una breve introduzione e lezione su come riuscirlo a trovarlo, tutti sembrano totalmente presi dal riuscire prima a vederlo e poi a rubarlo dalle mani di qualcun altro, i più interessati sono Chiara, Maria Antonietta e Nico; la sfida poi si prodigherà lungo tutto il percorso. Di notevole interesse sono anche le variopinte orchidee che affollano le radure ed i pendii, tra tutte la sempre presente orchidea Italica, che affascina tutti i presenti.
Raggiungiamo la base più alta prima del ripido costone, qui incontriamo dei rumorosi ragazzi in gita di piacere mentre un falco sorvola sopra le nostre teste; io rimango per un po’ ad ammirarlo, intanto con Gaetano in testa gli altri affrontano le prime rampe. Il gruppo si inizia a sfaldare, come sempre i camminatori allungano il passo e staccano chi ha un po’ più di difficoltà, niente paura poiché superato il primo costone una breve pausa riunisce tutti. Attraversato un piccolo caratteristico, verdeggiante ed isolato boschetto di roverelle guadagniamo velocemente la sella che stacca la cime dei Lupi dal Tifata lungo i pendii rivestiti di bassa macchia, qui ovviamente altra sosta prima dell’ultima terribile salita, da ora tutta lungo la brulla e spoglia cresta nordoccidentale.
Sulla cresta la fatica inizia a farsi sentire, prima Rosaria e poi Rita sembrano risentirne parecchio, ma con passo lento ma costante tutto si può fare; sempre qui Raffaele ha un piacevole incontro con dei cani da caccia spersi nel sottostante bosco mentre io ora sono a caccia di orchidee da catalogare.
Con non poca fatica, aggirato qualche sperone roccioso ormai vediamo proprio sopra di noi le spalle del rudere di San Nicola, la cosa ci conforta e ci fa salire con animo più sereno ed intraprendente; alla chiesetta, ormai in totale abbandono, di interesse anche per le sue cisterne. Facciamo un ultima sosta prima di affrontare gli ultimi pochi metri di salita anche se molti non sembrano dello stesso avviso, rimangono infatti qui attardati Raffaele, Vincenzo e le sue amiche che ci raggiungeranno più tardi in cima; noi altri in circa 5 minuti siamo sotto la famigerata e visibilissima croce posta proprio in cima al monte Tifata, 603 metri sopra il livello del mare, con spaziosissima visuale a perdita d’occhio, dal mar Tirreno ai monti del Matese, da Roccamonfina ai monti del Taburno-Partenio; qui possiamo finalmente trovare meritato riposo e metidare nella patria degli Dei.
Poco al di sotto del gigantesco tabellone ci fermiamo per la consueta e meritata colazione a sacco, rituale impedibile per il saggio Gaetano, tutti qui possono finalmente riposarsi e dar spazio ad un po’ di piacevole allegria. La discesa invece la svolgiamo sull’altro versante con meta la Vaccheria di San Leucio, questo lato si presenta molto più facile e meno ripido, tutto su cresta con bel panorama sulla reggia di Caserta, un po’ più verdeggiante e soprattutto interessante per la visita ai ruderi, secondo esperti, del tempio di Giove, posto su un’anticima. Senza problemi e con entusiasmo, nonostante la stanchezza, per aver toccato con mano la montagna divina per eccellenza qui a Caserta perveniamo prima giù al borgo della Vaccheria quindi tramite un veloce ponte auto alle nostre auto a Sant’Angelo.
Alessandro Santulli