San Pietro Infine, piccola comunità di un migliaio di abitanti, ultimo comune più a nord della provincia di Caserta, è oggi soprattutto un luogo interamente dedicato alla memoria.
Di una memoria che in verità l’uomo non dovrebbe mai ricordare, di un qualcosa che andrebbe forse cancellata da ogni libro con la speranza che certi avvenimenti non accadino mai più, ma così facendo non si renderebbe un sacrosanto onore a chi ha subito gli enormi spasmi di eventi brutali piombati di colpo in una Terra che non meritava tutto ciò ed inoltre perché la migliore prevenzione si ha proprio mostrando e rimembrando gli effetti catastrofici subiti da luoghi, persone, natura.
Ripercorriamo quindi le fasi della storia così come ci invita a fare il magico e ben strutturato percorso del museo della memoria allestito dallo scenografo Rambaldi, posto all’inizio del paesino vecchio di San Pietro Infine.
Una data su tutte, 1943: una data spartiacque, una data che ha segnato per sempre le sorti di questo piccolo borgo e delle sue genti, una data che per certi aspetti ha come cristallizzato il tempo in questa amena vallata, una data ahimè capolinea per la vita tanto incoraggiata dalla fecondità del paesaggio e paradossalmente distrutta dallo stesso paesaggio.
Infatti proprio per la sua conformazione molto frastagliata fatta di tante alture e vallate fu il luogo ideale per il posizionamento della linea di difesa Gustav del fronte Tedesco contro l’avanzata degli alleati lungo la penisola Italiana durante la seconda guerra mondiale, linea che proprio nel Dicembre 1943 fu duramente attaccata.
E’ proprio la visita al museo che ci focalizza l’attenzione su ciò che poi si rivive attraverso le viuzze del paesino sovrastante o di ciò che ne rimane; l’immaginare ciò che fu prima e durante il 43 ascoltando l’attuale stato di quiete ora calata su questo ameno luogo osservando i graffianti segni rimasti sul campo ed immedesimandosi nell’animo delle persone colpite fin nelle proprie case, nella propria Terra, è per ciò che girare lo sguardo da un’altra parte non si può, non ci si riesce.
La visita alle grotte, poco distanti dall’antico borgo, dove gli sfollati del paese di rifuggiarono durante i veementi bombardamenti, pongono tutta l’attenzione sull’enorme peso di sofferenze, di patimenti ed anche purtroppo di morte; l’attraversare gli stretti cunicoli, il toccare le fredde pareti di pietra e l’osservare i tanti segni dei colpi di piccone ancora visibilissimi amplifica tutto ciò.
Vagando poi tra le rovine dell’ex insediamento abitativo non possiamo che soffermarci sull’enorme grado distruttivo; poche case vediamo ancora in piedi, quasi tutte comunque con tetti sfondati, mucchi di pietre sono dovunque, così come travi in legno, gli interni appaiono ora spogli e funesti, dove la vita proliferava ora lascia spazio alla desertificazione ed all’incuria.
Stranamente l’unica delle grosse costruzioni rimasta in piedi è la chiesetta principale, quasi come se fosse stata protetta da un ombrello divino contro la parabola delle maligne bombe.
Altra particolarità che colpisce sono i tanti forni che si notano in ogni casa ancora integri, testimonianze della natura lavorativa.
San Pietro Infine oggi è qualcosa di concreto, di visibile, di tutto ciò che di solito solo lontanamente riusciamo a comprendere leggendo qualche sporadico libro di storia o antico documentario televisivo.
Alessandro Santulli