Mons. Luigi Saretta

Sulla figura di Saretta numerose sono le pagine che raccontano azioni, impegno, prediche. Il suo nome a San Donà è legato tra le altre cose all’inaugurazione di un orfanotrofio, all’edificazione di un oratorio e della casa che ancora oggi porta il suo nome. In relazione a ciò possono sembrare insignificanti i suoi interventi e contributi alla Resistenza partigiana sandonatese. In realtà Saretta fu per molti una guida e un sostegno durante il primo dopoguerra, il Ventennio fascista e la Seconda guerra mondiale. Fu un punto di riferimento per tutti quei cittadini che non abbandonarono la città di San Donà durante la Grande Guerra e per molti di quelli che non aderirono al fascismo. Spesso contribuì segretamente alla Resistenza, non agendo in prima persona, ma favorendo le azioni dei gruppi partigiani o collaborando con figure di spicco come Attilio Rizzo.

Il 14 agosto del 1885, a Montebelluna, nacque Luigi Saretta. A 19 anni intraprese gli studi teologici nel seminario diocesano di Treviso e venne ordinato sacerdote il 26 luglio 1908. Un anno dopo gli fu affidato dal vescovo l’incarico di assistente ecclesiastico dell’Azione Cattolica a Treviso.

Nel 1911 ottenne la laurea in Scienze Sociali e divenne vicario della chiesa di San Nicolò, sempre a Treviso.

La svolta nella vita di Saretta arrivò l’11 gennaio 1915, quando venne nominato parroco di San Donà di Piave. Giunto nella cittadina il 26 giugno, dovette passare la notte su una branda nella canonica, allora occupata da un comando dell’esercito italiano. All’epoca il fronte italiano si era assestato sul fiume Isonzo, a circa 80 km da San Donà di Piave; i soldati dell’esercito controllavano l’entroterra e si stavano preparando per contrastare un’eventuale avanzata austro-ungarica. A partire da quella nottata la sua vita si legherà indissolubilmente alla storia della cittadina per i 46 anni successivi.

Infatti durante la Prima guerra mondiale rimase a San Donà e assunse un ruolo di guida: attorno a lui si radunarono tutti quei cittadini che non potevano o non volevano fuggire, anche quando, dopo la disfatta di Caporetto (ottobre 1917) e l’arretramento dell’esercito italiano, la città era diventata teatro degli scontri combattuti sulle sponde del fiume Piave.

Dopo aver peregrinato nei comuni limitrofi a San Donà di Piave negli ultimi mesi del 1917 e nel 1918, il 5 novembre rientrò con un folto gruppo di sfollati a San Donà, in gran parte distrutta, e ne organizzò in prima persona la rinascita materiale; nel 1920 Luigi Saretta iniziò la ricostruzione del Duomo completamente distrutto dai bombardamenti austriaci.

Quando il 10 aprile 1921 venne fondato il Fascio a San Donà, il rapporto tra questo e la parrocchia si rivelò delicato e contrastante, tanto che Monsignor Saretta ricevette in diverse occasioni pesanti minacce. In particolare, nel 1924, si scontrò con il tenente Domenico Donadelli, responsabile della segreteria del partito fascista a San Donà, in merito alla distribuzione, di fronte al Duomo, del giornale “Il Popolo Veneto”, inviso al fascismo. Gli anni difficili per l’organizzazione della parrocchia iniziarono, però, nel ‘26, quando l’aumento dei consensi del partito fascista e l’avvento della cosiddetta “dittatura a viso aperto”, portarono, in particolare dopo l’istituzione dell’Opera Nazionale Balilla, alla sistematica persecuzione delle iniziative dell’Azione Cattolica, accusata di svolgere attività in concorrenza con quelle del partito.

In quel periodo Donadelli venne allontanato dal comune in seguito ad un attentato, per fortuna sventato, alla vita di Monsignor Saretta, probabilmente architettato dal segretario stesso, e programmato per lunedì 12 luglio 1926. Nello stesso periodo il sindaco di San Donà, Costante Bortolotto, rassegnò le proprie dimissioni, salvo poi ritornare nel ‘27 come podestà; il suo sostituto divenne il comm. Giuseppe De Faveri.

In alcuni momenti Saretta fu anche costretto a mostrare una disposizione collaborazionista verso il regime, in funzione della preservazione delle istituzioni cattoliche parrocchiali, ad esempio in occasione del quarto anniversario della marcia su Roma: era stata proclamata festa nazionale generale per celebrare il regime, e Monsignor Saretta tentò di trovare accordi con gli organi fascisti locali, pronunciando anche un elogio a Mussolini durante la celebrazione in ricordo dell’attentato sventato a Bologna ai danni del duce, definendo quest’ultimo “meraviglioso e potente Duce” .

Nel 1940, Saretta venne segnalato alla prefettura di Venezia come sospetto antifascista; nella lettera del Prefetto di Venezia al vescovo di Treviso mons. Mantiero del 5 gennaio si legge: “Mi viene riferito che il parroco di S. Donà da qualche tempo avrebbe ripreso a fare ai fedeli prediche inopportune su questioni sociali, politiche e amministrative”.

Intanto a San Donà Saretta era impegnato nella fondazione e inaugurazione dell’oratorio Don Bosco e dell’asilo San Luigi.

Seguì uno degli ultimi scontri con il regime fascista per l’organizzazione del “doposcuola” dei giovani del territorio: nell’aprile 1931 vennero sciolte tutte le organizzazioni laiche e cattoliche giovanili, che non rientravano nell’Opera Nazionale Balilla e non dipendevano direttamente dalle direttive del partito fascista. A San Donà smise di funzionare anche il nuovo oratorio.

In risposta, papa Pio XI condannò severamente i provvedimenti fascisti e sottolineò la scorrettezza insita nella soppressione dell’Azione Cattolica, trattata alla stregua di un’associazione sovversiva pericolosa.

Nel 1934 con la direzione di don Giuseppe Del Favero e il sostegno di Mons. Saretta, a San Donà venne promossa e inaugurata l’opera del cinema Don Bosco, dotato di una macchina cinematografica che consentiva la proiezione di film sonori.

A causa dello sforzo bellico richiesto dal regime in seguito all’invasione dell’Etiopia, le difficoltà materiali e anche spirituali per i cittadini si intensificarono già nel ‘36, e crebbe anche il bisogno di una guida spirituale forte: sarà ancora Saretta a consolare gli spiriti e a provare ad arginare le tensioni sociali.

Quando nel ‘37 fu promulgata l’enciclica papale, che bandiva dal mondo cristiano il nazismo, il razzismo e il mito del sangue e della terra, sarà Saretta a spiegarla nella chiesa di San Donà e a diffonderla nella comunità.

Quando, due anni dopo, iniziarono i richiami militari, furono almeno in mille a essere costretti a partire da San Donà; durante la messa del 10 ottobre, Saretta dedicò agli uomini partiti per il fronte queste parole: “Sono orgoglioso dei miei soldati - scrisse Mons. Saretta nel Foglietto Parrocchiale del 21 luglio dichiarandosi vicino - ai miei figli che prestano servizio militare”.

E fino al 1941, quando ancora i più giovani venivano richiamati alle armi e spediti in URSS, Monsignor Saretta supporterà la lotta contro il bolscevismo.

Con la caduta del regime, a partire dal 25 luglio del 1943, in Italia si diffusero grandi aspettative per la formazione di un nuovo governo democratico, che potesse risollevare il paese dalle perdite subite nel periodo dello scontro bellico. Purtroppo le speranze svanirono velocemente quando, dopo l’8 settembre 1943, il Nord del Paese cadde sotto il controllo dell’invasione nazista e della Repubblica Sociale Italiana, guidata da Mussolini. Ma già nell’agosto Don Saretta, in chiesa, invitava i cittadini cristiani costantemente alla preghiera e alla deposizione delle armi: “niente vendette, niente rappresaglie. La situazione gravissima causata dalla guerra richiede da tutti pazienza, fortezza d’animo, generosità di sacrificio, obbedienza e unione con il governo nazionale” (foglietto parrocchiale 1 agosto 1943). Come uomo, però, in privato, appoggiava pienamente il Comitato di Liberazione Nazionale e il Maggiore Attilio Rizzo, a cui era anche legato da un profondo rapporto di amicizia e fiducia. Il Comitato prese il comando dell’amministrazione sandonatese tre giorni dopo l’annuncio dell’armistizio, l’11 settembre, e, per quel che riguarda il mondo cattolico, vennero ripristinate l’Azione Cattolica e ripresi in mano i diversi progetti della diocesi.

Sempre in seguito all’8 settembre 1943 si creò una spaccatura netta nella penisola italiana: l’esercito allo sbando si divise in coloro che, fedeli a Mussolini, aderirono alla Repubblica Sociale di Salò per combattere a fianco dei nazisti contro l’avanzata alleata, e i restanti che si diedero alla “macchia” o entrarono a far parte della Resistenza. Da quel momento in poi la situazione fu particolarmente convulsa; il conflitto, sotto certi aspetti, assunse i tratti di una guerra civile; la Resistenza, composta principalmente dai filoni “rossi” (comunisti e socialisti) e “azzurri” (democristiani) si impegnò in diverse azioni militari. La liberazione dai nazi-fascisti fu il risultato della risalita alleata dalla Sicilia verso il Nord Italia e delle operazioni militari operate dai partigiani.

Il rapporto con Rizzo rimase sempre nascosto, mai esplicito, e anche quando il partigiano venne imprigionato, sarà il Monsignore a trasmettere sotto pseudonimo sue notizie alla cittadinanza proprio tramite i foglietti di messa, consapevole che la prudenza non poteva mai essere abbastanza. Saretta non si limitò a comunicare alla comunità gli esiti della lotta partigiana, ma si impegnò attivamente, affinchè Rizzo venisse liberato, dopo che era stato condotto in carcere a causa del suo ruolo all’interno della Resistenza sandonatese. Rizzo uscì dal penitenziario di Padova grazie alla mediazione presso il comandante tedesco Albert Kaiser di Don Giuseppe Menegon, il quale era stato incaricato di ciò direttamente da Mons. Saretta. Il 14 agosto 1944 Rizzo fu nuovamente arrestato: deportato prima a Bolzano e poi a Mauthausen, morì il 15 gennaio 1945. La notizia della sua morte giunse a San Donà il 6 marzo e Saretta diede con queste parole il triste annuncio: “Primo annunzio ufficiale della morte del mio caro fratello e amico Geom. Attilio Rizzo a Mauthausen, ivi avvenuta il 15 gennaio p.p. alle ore 5:50 antimeridiane per bronco polmonite. Mio Dio! Quanto deve aver sofferto”.

Accanto a Rizzo la Resistenza sandonatese vide in prima fila i Tredici martiri, che vennero giustiziati venerdì 28 luglio 1944 in seguito all’attentato partigiano contro la Guardia nazionale repubblicana di Venezia, a Ca’ Giustinian. I loro corpi vennero portati al cimitero il giorno seguente senza alcuna esequia funebre. Domenica 30 Mons. Saretta durante l’omelia, in maniera velata e toni non troppo accentuati, annunciò: “Quest’oggi vi parlo col cuore trafitto dal più profondo dolore. Mio Dio! Abbi pietà dei tuoi figli. Tu che sei giusto, conforta, solleva le nostre povere anime, che sono affrante sotto il peso della sciagura che ci ha colpito. Preghiamo per i nostri morti, preghiamo per le povere madri, per le spose che sono in lutto. Preghiamo per la nostra Patria così duramente provata. Preghiamo e piangiamo“. Seguirono quattro messe di suffragio tra la fine di luglio e l’inizio di agosto; il 30 agosto 1944 venne celebrata una messa funebre in onore dei XIII Martiri.

Conclusasi la lotta di resistenza e la liberazione dell’Italia dai nazifascisti, Saretta restò un punto di riferimento per la sua comunità anche nel secondo dopoguerra.

Nel settembre del 1958, Angelo Roncalli, allora patriarca di Venezia - diventerà poco dopo papa con il nome di Giovanni XXIII - era in visita a San Donà. Rivolgendosi a Don Bellinaso, braccio destro di Saretta, aveva detto: “Voglia bene, tanto bene a Mons. Saretta. Ha la fortuna di vivere e di lavorare accanto ad un uomo grande che avrebbe meritato molto di più di quello che ha avuto”.

Fonti

  • Monsignor Saretta pastore di San Donà, a cura della Parrocchia del Duomo di San Donà di Piave, San Donà di Piave - Parrocchia di Santa Maria delle Grazie, 2004
  • M. Biason, Un soffio di libertà. La Resistenza nel Basso Piave, Nuova Dimensione -Iveser -Anpi S. Donà, Portogruaro, 2007
  • C. Polita, San Donà di Piave: piccola guida di una città senza storia?, Digipress, San Donà di Piave, 2016
  • S. Teker, Storia cristiana di un popolo, De Bastiani, Vittorio Veneto, 1994
  • Sito web del Duomo di San Donà di Piave (http://duomosandona.netsons.org/)