Gilda Rado

Noi parliamo della Resistenza facendo testimonianza della nostra vita partigiana e parlando dell’ideale di libertà che ci ha portato a combattere per riconquistarla in quei tempi tristissimi della dittatura fascista e della guerra disastrosa. Questo è il sentimento della Patria che ci induce a trasmetterlo alle generazioni nuove.

Così Gilda Rado, nome in codice “Paola”, raccontava l’importanza di trasmettere la storia della Resistenza, di cui lei stessa era stata testimone e protagonista, come momento di difesa della patria dalla barbarie nazifascista.

Nata a Noventa di Piave il 18 maggio 1922, Gilda, all’anagrafe Linda, era terzogenita dei cinque figli di Angela e Angelo Rado. Sin da ragazza aveva sviluppato indipendenza di pensiero, costanza nell’impegno e nell’aiuto dei poveri, un forte senso del dovere civico e di responsabilità. Dopo gli studi venne assunta come impiegata in una tipografia, ma continuò anche ad aiutare il padre, piccolo impresario nell’edilizia. Sarà grazie al lavoro del padre che la giovane Gilda, appena ventunenne, conoscerà Attilio Rizzo, geometra del Comune di San Donà di Piave. Come testimonia la stessa Gilda, lei non sapeva bene cosa fosse una staffetta, anche se ne aveva sentito parlare e sapeva che Rizzo cercava qualcuno a cui affidare quel ruolo. Gilda, determinata a dare il proprio contributo alla Resistenza, si presentò dunque alla porta dello studio di Attilio per comunicargli il suo desiderio di diventare staffetta partigiana, dicendo di essere disposta ad affrontare qualsiasi rischio; la gioia di Attilio fu immensa, tanto che le diede un bacio sulla fronte, commosso. Da quel momento Gilda divenne parte attiva nella Resistenza. Entrò a far parte del battaglione “Eraclea”, guidato proprio da Rizzo, e di quest’ultimo diventò segretaria e “ufficiale di collegamento” con la missione alleata Nelson, sbarcata sul litorale di Eraclea. Uno dei suoi primi incarichi fu quello di aiutare i soldati sbandati sparsi nelle campagne, con l’obiettivo di nasconderli e di fornire loro assistenza. Anche il fratello di Gilda, Baldo Rado, era uno di questi e anche lui dovette nascondersi nei covoni presso la famiglia di un amico, per paura di essere catturato. Molti suoi parenti si erano dati alla macchia e furono proprio queste circostanze, che spinsero la giovane Gilda a presentarsi ad Attilio per assumere il ruolo di staffetta.

Tra i luoghi che Gilda era solita raggiungere con più frequenza figurano l’abitazione di Giovanni Finotto a Passarella, il quale forniva assistenza a sandonatesi, soldati sbandati, renitenti alla leva e prigionieri alleati. Frequentava, inoltre, la casa di Olindo De Pieri, partigiano aggregatosi al movimento di liberazione locale, e numerose canoniche della zona, poiché i parroci potevano indicarle le famiglie disponibili ad accogliere soldati e prigionieri alleati. Tra i vari avvisi che Gilda recapitava vi erano anche importanti messaggi su improvvisi rastrellamenti e sbarchi di forze nemiche. La caratteristica principale che la contraddistingueva era proprio la sua bravura nella raccolta di informazioni.

Gilda aveva un metodo particolare per trasmettere le notizie: memorizzava e ripeteva oralmente i messaggi più corti, mentre scriveva quelli più lunghi su un foglietto di carta che poi arrotolava e inseriva in un nastrino nero tubolare, che usava per legarsi i lunghi capelli, in modo tale da non essere scoperta. Una volta sola, ricorda Gilda, aveva trasportato delle armi nel cestino della sua bicicletta fino a Passarella. Si trattava di rivoltelle e caricatori, nascosti sotto il radicchio, i quali però appesantivano notevolmente la sua bicicletta. Quando si vide costretta a dover caricare la bici sul traghetto, che le avrebbe permesso di attraversare il Piave – non c’erano i ponti – ebbe paura di essere scoperta dai due soldati tedeschi di guardia. I due, però, contrariamente a quanto lei si aspettasse, si dimostrarono molto gentili e la aiutarono a salire e scendere dal mezzo senza realizzare che il peso del cestino era eccessivo; così Gilda poté sfrecciare via sulla sua bicicletta e completare la sua missione. La giovane Gilda percorse moltissimi chilometri, trasmettendo messaggi da un posto all’altro. Lei descriveva così la sua esperienza di staffetta:

E andavo per questi argini, ma c’era una pace, una solitudine, qualcosa di intimo, che mi è servito come formazione spirituale, per studiare me stessa, studiare l’insieme della società, fare delle analisi. Insomma per me è stato un periodo bellissimo, di completamento, di considerazioni, qualcosa che mi ha fatto molto, ma molto bene.

Gilda svolse un ruolo preziosissimo all’interno della lotta di liberazione e al termine della guerra le verrà riconosciuto il grado di capitano. Durante la clandestinità si fidanzò con Arturo Rizzo, figlio primogenito di Attilio Rizzo, anche lui partigiano, con cui si sposò nel 1949 e da cui ebbe tre figli: Attilio, Paolo e Mariangela. L’intensa e generosa vita di Gilda si è conclusa il 27 dicembre del 2005.

Fonti

  • M. Biason, Un soffio di libertà. La Resistenza nel Basso Piave, Nuova Dimensione -Iveser -Anpi S. Donà, Portogruaro, 2007
  • Conversazione con Morena Biason, 14/2/2019
  • I giorni veri. Le ragazze della Resistenza, a cura di L. Bellina e M. T. Sega, regia M. Pellarin, documentario IVESER, 2004