La moda islamica

di Siria Macrì e Ilenia Sestito, 4ALS

Maggio 2022

L’hijab, il fazzoletto indossato dalle donne musulmane 0 meglio conosciuto come velo islamico, rappresenta un veicolo di messaggi e racchiude in sé una pluralità di significati. Agli occhi del mondo occidentale esso è normalmente riconosciuto come un’affermazione del potere patriarcale, ossia la sottomissione della donna e quindi l’inferiorità femminile rispetto al mondo maschile. Al contrario, però, è concepito da molte donne musulmane come capo d’abbigliamento non imposto, bensì indossato sulla base della volontà individuale. Esso, infatti, simboleggia la loro storia e le loro speranze. Tuttavia la visione del hijab nel mondo occidentale si sta modificando, divenendo portatore di una propria sensualità. Non a caso la casa di moda italiana Dolce & Gabbana ha lanciato una propria collezione di hijab e abaya, un lungo camice che copre tutto il corpo, permettendo alle donne musulmane di vestirsi alla moda. Il tutto è partito da una rivoluzione femminile, conosciuta come modest fashion, originata dal Medio Oriente, in particolare da coloro che possedevano il desiderio di diventare fashion designer o fondatrici di un'azienda di moda. Essa è stata ideata per tutte quelle donne che amano vestirsi alla moda, rispettando però le norme fissate dalla religione. Ad oggi grazie alla modest fashion sia l’abaya che l’hijab vengono realizzati con vivaci ed eleganti fantasie, alcune delle quali includono pizzi e ricami. Tra i brand più ricercati dalle donne musulmane ci sono Armani, Chanel e Céline. Non mancano innovazioni anche nel mondo della spiaggia, infatti in Francia ha iniziato a diffondersi un nuovo costume femminile alla moda ma al tempo stesso uniformato ai dogmi religiosi, il cosiddetto burkini, creato dalla stilista Aheda Zanetti. Si tratta di un costume a due pezzi, la cui parte superiore è costituita da una tunica lunga fino al ginocchio e da una cuffia-hijab, mentre quella inferiore da un pantalone che lascia scoperti solo i piedi. Tuttavia anche questo indumento ben presto è diventato oggetto di critiche e polemiche.

La moda indiana

di Siria Macrì e Ilenia Sestito, 4ALS

Aprile 2022

Il continente indiano è famoso per la produzione di tessuti di altissima qualità e ricchi di fascino abbinati ad accessori curati nei minimi dettagli. L’abbigliamento rispecchia pienamente i cambiamenti della società nel corso del tempo ed è molto legato alla tradizione locale, come la tendenza delle donne a non mettere in mostra gambe e décolleté. I capi indossati in India si caratterizzano soprattutto per la diversità delle trame e dei colori, che vengono utilizzati seguendo ciò che afferma la religione, e per l’uso di ricami, stampe e varie decorazioni fatte manualmente. E’ importante ricordare come le donne indiane, oltre ad occuparsi dell’educazione dei figli e del mantenimento della casa, amano curare il proprio aspetto. Gli abiti più diffusi sono: il Kurti cioè una camicia a maniche lunghe che arriva sopra le ginocchia, indossata solitamente con dei pantaloni prendendo il nome di Salwar kameez; il Sari cioè un abito formato da un unico pezzo di stoffa avvoltointorno al corpo in diversi modi che viene indossato sopra ad una sottogonna e una camicetta corta chiamata choli; infine la Dupatta cioè una stola di grandi dimensioni. I principali abiti maschili, invece, sono il Dhoti, cioè una striscia di cotone bianca o colorata indossata con una cintura ricamata o semplice intorno alla vita, e l’Achkan, un cappotto lungo con bottoni a vista per tutta la lunghezza della giacca che arriva fino alle ginocchia e viene indossato solitamente con pantaloni. Molti uomini, inoltre, indossano il Dastar, cioè un turbante che costituisce un simbolo di fede e rappresenta valore, onore e spiritualità. Tipico della tradizione indiana è anche il “pallino rosso” sulla fronte che in passato era legato a pratiche religiose induiste secondo cui al centro della fronte era presente il Tantra, un punto di energia. Oggi esso è definito tilaka o red bindi (goccia rossa) e nel Nord dell’India indica le donne sposate, al Sud dell’India, invece, è presente sulla fronte di tutte le ragazze; all’estero viene utilizzato da molte donne poiché è considerato un segno beneaugurante.


I copricapo Flapper

di Siria Macrì e Ilenia Sestito, 4ALS

Marzo 2022

Novant’anni fa Zelda Fitzgerald, moglie di Francis Scott Fitzgerald, uno dei più grandi scrittori del secolo scorso, in una giornata di primavera a Parigi decise di fondare le flapper, un movimento costituito da donne all'avanguardia per i tempi, femministe e artiste. Il nome flapper deriva dallo slang anglosassone e in particolare dal termine flap che, in inglese, significa sbattere. Esso infatti inizialmente era utilizzato per indicare gli uccellini che imparano a volare e quindi sbattono le ali per darsi lo slancio o per riferirsi ad una giovane ribelle che passa dall’adolescenza all'età adulta e prova disprezzo per la società perbenista e lo stereotipo della brava fanciulla. Le prime flapper nacquero durante il periodo del primo dopoguerra e furono quelle donne, il cui stile era attraente e al tempo stesso “garçonne” ispirato alla giovane stilista del tempo Coco Chanel; così definito perché assumevano comportamenti maschili, indossavano i pantaloni e portavano capelli corti con tagli molto squadrati o alla maschietta. Inoltre esse furono le prime a mostrare le caviglie in pubblico, indossando abiti corti ricchi di perline e/o frange, paillettes, accessori in piume e scarpe con tacco adatte ai balli dell’epoca. Non a caso la flapper era associata alla ballerina di charleston. Oggi, a distanza di cento anni, le Flapper rivivono nell’omonimo brand di sofisticati copricapo, fondato nel 2013 dall’italo-belga designer Genevieve Xhaet, la quale afferma di aver realizzato questo brand perché, nel leggere Francis Scott Fitzgerald, rimase affascinata dalla figura stravagante della moglie Zelda. Fanno parte della sua collezione cappelli, fasce, cerchietti e soprattutto turbanti. Per la realizzazione ricorre a tessuti di lana, raso, seta, cachemire e materiali più inconsueti come piume, specchi, filati in lurex e nylon che danno vita ad accessori per la testa originali ma al tempo stesso comodi e delicati. La scelta del copricapo sta nel fatto che Genevieve, dopo aver disegnato per anni le collezioni per lo storico cappellificio Barbisio, ritenne che esso sia l’accessorio indispensabile per completare il look e per definire la personalità di chi lo indossa.

Sostenibilità

di Siria Macrì e Ilenia Sestito, 4ALS

Febbraio 2022

Il concetto di “sostenibilità” nasce dalla necessità dell’uomo di considerare ogni risorsa offerta dalla natura preziosa e unica. La sostenibilità tiene conto sia dell’aspetto ecologico, sia dell’aspetto economico che del rispetto dei lavoratori e dei consumatori ed assume una notevole importanza nel campo della moda. In questo settore, infatti, si ha un consistente accumulo di rifiuti spesso non biodegradabili poiché, essendo fondato sulle tendenze, i prodotti hanno durata molto breve, per tale motivo le aziende stanno iniziando a proporre capi sia fashion che sostenibili. Per arrivare a questo obiettivo è necessario ricercare materiali innovativi dal punto di vista ecologico e biologico e, per far sì che ciò accada, il materiale deve essere naturale e la sua provenienza e il suo processo produttivo devono avere un basso impatto ambientale. Molte volte la coltivazione delle fibre tessili è fatta tramite sostanze nocive o grande utilizzo di acqua e combustibili fossili; queste, quindi, vengono sostituite con cotone biologico, poliestere e nylon riciclati. Un brand di successo nella moda del riciclo è Freitag, marchio svizzero che realizza borse e zaini utilizzando i teloni multicolor dei camion. Bisogna ricordare, però, che la sostenibilità di un prodotto non dipende solo dalla materia prima e dalla corretta gestione della produzione, ma anche dalla tracciabilità: le etichette permettono al consumatore di conoscere alcune caratteristiche del prodotto e delle rispettive aziende con l’intento di diminuire il rischio di contraffazione. L’associazione “Italian Textile Fashion” propone di risalire alle informazioni, solitamente presenti sulle etichette, tramite un semplice codice, che riportato su un sito, permette al consumatore di verificare l’affidabilità del capo acquistato. La moda sostenibile ha ovviamente un costo più elevato poiché è assicurata una maggiore qualità e durabilità dei capi attraverso la produzione di tessuti alternativi. L’industria della moda, quindi, dovrà ridurre gli sprechi evitando sovrapproduzioni e migliorando le tecniche di riciclo dei materiali.

Streetwear e nuovo lusso

di Siria Macrì e Ilenia Sestito, 4ALS

Gennaio 2022

Sul finire degli anni Settanta e l’arrivo degli anni Ottanta, gli Stati Uniti assistono alla nascita dello streetwear, che tradotto letteralmente significa “modo di vestire nato dalla strada”.

Questo abbigliamento informale, usato da coloro che praticano skateboard, surf e break dance, è stato ideato dai giovani che possiedono un modo di vestire libero dell'haute couture ma ispirato all’ambiente in cui vivono. Esempio emblematico è il Punk che, libero da ogni regola, adotta volutamente abiti strappati e usurati. Tipici dello streetwear sono tute in acetato con strisce laterali, t-shirt a tinta unita, collane d’oro con ciondoli vistosi e sneakers. Uno dei primi brand streetwear fu Stussy, ancora oggi famosissimo, fondato da Shawn Stussy, il quale aprì il primo negozio a New York nel 1984 insieme a James Jebbia. L’idea di rendere commerciale questo stile nato in strada ha influenzato molti brand come Supreme, Wood Wood, Adidas, Puma e Nike, i quali producono abbigliamento ginnico da poter essere indossato quotidianamente e non solo per l’attività sportiva. Ben presto lo streetwear si diffuse in tutto il mondo, perfino in Giappone, dove Hiroshi Fujiwara fondò il marchio Goodenough. Negli ultimi anni i due universi, streetwear e alta moda apparentemente inconciliabili si sono avvicinati, rendendo l’abbigliamento streetwear raffinato; non a caso anche i prezzi sono saliti, raggiungendo le esorbitanti cifre dei capi di lusso. Esempio emblematico è la collaborazione tra Louis Vuitton e Supreme, che vede la realizzazione di bauli, sneakers, bomber con il logo rosso Supreme declinato in monogram LV. L’unione tra streetwear e marchi di alta moda ha attratto fin da subito imprenditori e consumatori che non volendo rinunciare ad un look formale sono propensi all’aggiunta di dettagli giovanili.

Pierre Cardin

di Siria Macrì e Ilenia Sestito, 4ALS

Dicembre 2021

Pietro Costante Cardin nacque il 2 luglio 1922 a Sant’Andrea di Barbarana, in provincia di Treviso. Oggi conosciuto come Pierre Cardin, apparteneva ad una famiglia benestante che ben presto si trasferì a Saint-Etienne, città della Francia centrale. Fin da piccolo mostrò il suo interesse per il mondo della moda, realizzando vestiti per le bambole e divenendo apprendista del miglior sarto della città francese. In seguito collaborò anche con Jeanne Paquin e Elsa Schiaparelli, ma significativo fu l’incontro con Christian Dior, dal quale ottenne l’incarico di tagliatore presso il suo atelier. Allo stesso tempo frequentò la Ville Lumière, dove poté incontrare scenografi e registi famosi, come Jean Cocteau e Christian Bérard, la cui influenza lo portò a nutrire sempre più interesse per il mondo teatrale. Non a caso, qualche anno dopo abbandonò l’incarico preso con Dior per aprire una sartoria teatrale. Il successo di Pierre iniziò nel 1957, quando insieme al suo socio presentò per la prima volta al pubblico i capi realizzati. Colpirono le robe bulles, “a bolle”, modelli futuristici assolutamente controcorrente con lo stile del periodo, le quali presentarono lo stilista come un visionario eclettico, portatore sulla terra di donne provenienti dallo spazio. A lui infatti si devono i pantaloni di pelle attillati, i maglioni con le maniche a pipistrello e la minigonna stretta con spacco che, portata per la prima volta in passerella, suscitò scandalo. Per l’uomo realizzò le giacche da completo senza collo, i pantaloni a sigaretta e l’abito cosiddetto a “cilindro”, che ispirò persino il primo look dei Beatles. Inoltre grazie a Pierre si diffuse la moda dell’unisex. Nonostante le diverse critiche subite per alcuni suoi modelli innovativi, Pierre firmò contratti con i grandi magazzini Printemps e Rinascente che lo portarono ad elevati guadagni. Nello stesso anno ebbe modo di viaggiare in Giappone, dove aprì un negozio di alta moda e divenne professore onorario nella scuola di stilismo di Bunka Fukuso. Nel 1966 disegnò una collezione per bambini e qualche anno più tardi estese la sua arte anche nel mondo dell'arredamento, realizzando servizi di piatti in porcellana. Lo stilista si spense all’età di 98 anni, a Neuilly-sur-Seine il 29 dicembre 2020.

Le top model che scrissero la storia

di Siria Macrì e Ilenia Sestito, 4ALS

Novembre 2021

Rene Russo


Beverly Johnson

Il termine “top model” venne coniato negli anni ottanta e oggi sta ad indicare un modello o un fotomodello di un certo livello che lavora per un’agenzia pubblicitaria o stilisti e che solitamente ottiene compensi molto alti. La prima top model a percorrere una passerella è Rene Russo, top model anni settanta, notata da un agente della Ford Modeling Agency al concerto dei Rolling Stones. L’agenzia fu attratta dai suoi zigomi pronunciati e dalla sua espressività e la definì “una delle creature più belle che abbia mai camminato sulla Terra". Altra top model apparsa su oltre 500 riviste e che ha sfilato per grandi designer come Saint Laurent e Ralph Lauren è Beverly Johnson. E’ la prima top model afroamericana apparsa sulla copertina della rivista Vogue e viene ricordata soprattutto per le sue doti che le hanno permesso di aprire la strada a tante altre modelle afroamericane come Naomi Campbell. Anche Naomi è una modella che non ha mai avuto paura di lottare per qualunque tipo di causa, non a caso ha avuto rapporti con personaggi rinomati tra cui Nelson Mandela e Barack Obama.

Famoso esempio di determinazione è anche quello di Cindy Crawford che cambia la concezione di “top model americana seducente”: dalla classica bionda con gli occhi azzurri a una bruna sensuale ma che si contraddistingue per la sua intelligenza. Dopo aver frequentato la DeKalb High School, si laurea in ingegneria chimica grazie alle borse di studio ottenute. Un’esperienza che la segna è la morte del fratello Jeff, che a soli due anni si ammala di leucemia; proprio questo avvenimento la porta a non dare nulla per scontato e a proporsi obiettivi elevati. I tragici eventi vissuti infondono in lei determinazione e voglia di riuscire da sola, aspetti che contribuiranno a portarla ad avere un grandioso successo come top model.

La prima rivista di moda

di Siria Macrì e Ilenia Sestito, 4ALS

Ottobre 2021

Già dal ‘700 i periodici femminili hanno guidato le donne di qualsiasi epoca ed estrazione sociale attraverso vari periodi storici e cambiamenti culturali. Tutto inizia nel 1786 quando a Milano viene pubblicato il Giornale delle nuove mode di Francia e d’Inghilterra, mentre a Venezia nasce il periodico La donna elegante ed erudita, riviste che prendono ispirazione dai periodici francesi e illustrano bozzetti e articoli sulle mode provenienti da Parigi e Londra. Solo nel 1804, però, nascerà la prima grande rivista della moda, il Corriere delle Dame, fondato a Milano da Carolina Arienti che si ispirò a Les Journal Des Dames e Le Cabinet de la Mode. Nel 1848 la direzione passò ad un uomo, Angiolo Lambertini, e in questo tempo si ebbe la creazione di due testate: Il Corriere delle Mode e La Ricamatrice. La rivista conteneva non solo articoli di moda ma anche articoli riguardanti la letteratura, la programmazione teatrale, lettere romantiche, poesie, arte, dibattiti culturali, giochi enigmistici, aneddoti e informazioni igienico-sanitarie; ben presto iniziò a trattare argomenti di attualità e perfino di politica, infatti partendo da argomenti più comuni come la moda, toccava poi temi di grande spessore - ad esempio dall’uso del corpetto, si arrivava a trattare le problematiche di salute della donna e così anche altri aspetti. Fu uno dei giornali femminili che ebbe maggiore durata, infatti venne pubblicato fino al 1875 poiché attraeva i lettori grazie all’utilizzo di mezzi moderni di stampa e di avanzate tecnologie, come le illustrazioni tramite figurini prodotti con minuziose incisioni in rame. La moda ha quindi un ruolo centrale nel Corriere delle Dame, non a caso viene definita “un grandissimo sussidio all’industria umana e uno strumento che consentiva alle donne di svolgere un ruolo attivo nella società”. Già all’epoca l’emancipazione femminile, l’evoluzione e la crescita erano obiettivi importanti che caratterizzano ancora la nostra cultura contemporanea. Nel 1875, infine, l'editore decise di fondere i suoi giornali con quelli della casa editrice Sonzogno e il Corriere delle Dame pose fine alla sua importante avventura.