Ad maiora semper

Ovidio: quando l'amore si trasforma in un gioco di seduzione

di Sofia Picciolo ed Antonella Trebisacce, 4ALS

Maggio 2023

L'amore: da sempre una delle tematiche maggiormente affrontate dai poeti di tutti i tempi. In letteratura latina un grande contributo in tal senso era stato dato da Catullo, che per primo aveva fatto dell’amore il fulcro della propria poesia, presentandolo come una passione frenetica che porta l’uomo alla follia, facendogli provare sentimenti simultanei di amore e odio (Odi et amo).  L’amore, in epoca più avanzata, era stato trattato dai poeti elegiaci, che ne avevano esasperato l’aspetto passionale. Una visione diversa ci viene invece data da Ovidio, illustre poeta latino, appartenente alla generazione dei poeti augustei. La sua concezione di amore è molto originale: per il poeta, l'amore va concepito come lusus, cioè un gioco di seduzione condotto con maliziosa ironia, un passatempo galante. Tale concezione viene espressa in numerose opere: tra le prime a lui attribuite figurano gli “Amores” e le “Heroides”. La prima narra di una storia d'amore con una donna, Corinna; vengono descritte sofferenze, infedeltà, gelosia, contrapposizione tra amore e ricchezze: l'amore è presentato come un gioco stimolante e divertente, da cui trarre emozioni superficiali. Le “Heroides”, invece, sono lettere di amore scritte da eroine mitiche ai propri amati, in cui compaiono importanti richiami all'epica e alla tragedia. La peculiarità dell’opera si riscontra nel fatto che i personaggi mitici sono reinterpretati e presentati nella loro dimensione quotidiana. Una delle opere più importanti di Ovidio è “L’Ars amatoria” (“L’arte di amare”), in cui Ovidio, presentandosi come praeceptor amoris, si affida il compito di impartire precetti e insegnamenti sull'amore. L'opera è divisa in tre libri, in ognuno dei quali inserisce differenti consigli su come amare. I primi due libri sono dedicati agli uomini: Ovidio insegna loro come conquistare una donna, mettendo in atto un abile corteggiamento, a cui nessuna puella è in grado di resistere. È quindi conveniente, per far innamorare la donna amata, scriverle lettere di amore, seguirla ovunque, frequentare i banchetti a cui ella stessa partecipa. Invece, per far sì che una relazione possa essere duratura, fondamentali sono l’intelligenza e la facondia, mentre inganni e tradimenti devono rimanere nascosti e, di fronte all'infedeltà della donna, l’uomo è meglio che finga di non sapere. Il terzo libro è invece rivolto alle donne, alle quali il poeta propone una sorta di “galateo femminile”: a loro consiglia di saper cantare, danzare, conoscere la poesia, frequentare teatri e conviti e, proprio come aveva già consigliato agli uomini, di tollerare l'infedeltà e non indulgere alla gelosia. Il contenuto di tale opera, quando questa venne pubblicata, venne considerato talmente scandaloso che ciò influì in maniera significativa a determinare l'esilio a cui l’autore fu condannato (tuttavia, sicuramente più decisivo per la condanna all'esilio fu un altro scandalo che vide protagonista, insieme ad Ovidio, la nipote di Ottaviano Augusto). Ovidio non si occupò solamente di poesia di amore; egli diede vita ad un importantissimo poema epico-mitologico, ad oggi considerato uno dei più importanti di tutta la letteratura latina, le “Metamorfosi”. Il racconto ha inizio con la descrizione del Caos originario e della creazione del mondo e dell'uomo; da qui, il succedersi delle età mitiche e delle generazioni eroiche, fino ad arrivare all'età contemporanea. La struttura della narrazione è molto complessa, tanto che l'impostazione cronologica non appare chiaramente, se non nella prima parte e nell'ultima, in cui viene descritta la storia di Roma. Le varie scene e gli episodi sono connessi tra di loro nel modo più vario possibile, al fine di evitare la monotonia. Ciononostante, a conferire coerenza all’opera, in cui apparentemente regna solo il disordine, è il filo conduttore rappresentato dal tema stesso della metamorfosi. Gli episodi narrati si rifanno a diversi racconti mitici: miti cosmogonici, il diluvio universale, il ratto di Proserpina, l'età degli Argonauti, la vicenda di Dedalo e Icaro, Ercole ed Orfeo, la guerra di Troia, il viaggio di Enea. Il poeta si ispira al grande modello epico dell'Eneide, mentre, in quanto al contenuto, riprende un concetto filosofico fondamentale, quello della metempsicosi pitagorica, ovvero della trasmigrazione delle anime. È proprio questo passaggio delle anime a giustificare la continua trasformazione che investe l'universo, un universo in cui “tutto muta, nulla perisce”: l'universo delle metamorfosi.

Orazio e la ricerca del "giusto mezzo"

di Sofia Picciolo ed Antonella Trebisacce, 4ALS

Aprile 2023

Carpe diem”: cogli l’attimo. La frase in assoluto più celebre attribuita ad uno dei più importanti poeti latini di tutti i tempi, Quinto Orazio Flacco. Questo è l’invito che Orazio rivolge ai suoi lettori; non un’istigazione ad abbandonarsi al piacere più sfrenato, lasciandosi andare al più volgare e superficiale edonismo, piuttosto il consiglio di godere di ogni attimo, cercando la felicità nel presente e, in particolare, nelle piccole gioie quotidiane che la vita ci offre, senza proiettare importanti aspettative in un ipotetico futuro. Tale motto, entrato nel linguaggio corrente, esprime al meglio la poetica di Orazio, autore di diversi tipi di componimenti, tra cui satire, epodi, odi ed epistole. Pur presentando diverse impostazioni stilistiche, tutte queste opere sono caratterizzate da simili tematiche, che vanno ad esprimere in maniera efficace il pensiero dell’autore. L’idea centrale nella sua concezione poetica consiste nella ricerca di un giusto mezzo e nella limitazione dei desideri: due concetti che egli esprime con i termini greci di metriótes e autárkeia. In particolare, nelle “Satire”, che si caratterizzano per la presenza di attacchi personali e tono arguto, le tematiche che prevalgono sono proprio l’identificazione della virtù nel giusto mezzo e l’invito all’autosufficienza e ad accontentarsi del proprio stato, cercando di soddisfare nel modo più semplice le proprie esigenze naturali. Qui, Orazio si presenta come un uomo alla ricerca della verità, allo scopo di raggiungere la serenità e l’armonia dell’animo, vera essenza della felicità. Contenuti analoghi sono presenti negli “Epodi”, che si contraddistinguono per l’uso di un particolare metro, il giambo. All’interno di tale raccolta, l’autore si esprime tramite un’imponente varietà tematica, che comprende invettive, magia, poesia civile, amore, motivi simposiaci e gnomici. Al centro delle “Odi” compare, a fianco ai temi già trattati negli Epodi, il motivo del già citato carpe diem. Orazio innalza il tono della sua poesia, al punto da presentarsi come poeta vate, ossia come colui che, dall’alto del proprio prestigio e a seguito di investitura divina, trasmette precetti ai propri lettori. Orazio parte dalla consapevolezza dell’incertezza del futuro e della brevità della vita di fronte all’ineluttabilità della morte; da qui nasce la necessità di usufruire appieno di ogni momento della vita, cogliendo ogni attimo e ricavando da questo gioia, pur mantenendo sempre la moderazione e l’autolimitazione. Inoltre, Orazio prestò sempre una particolare attenzione formale nelle sue opere: quella ricerca del “giusto mezzo”, che caratterizza le sue azioni quotidiane e i contenuti che presenta nelle sue opere, si esprime anche attraverso l’esigenza di grande cura stilistica. Pertanto, egli evitò accuratamente ogni forma di ampollosità nella costruzione dei versi, scegliendo accuratamente i vocaboli da inserire nei testi e la loro esatta collocazione. Questa particolare attenzione rivolta allo stile è espressa in una delle più importanti Epistole attribuite all’autore, quella indirizzata a Calpurnio Pisone: si tratta dell’“Epistula ad Pisones”, meglio nota come “Ars poetica”. Qui, Orazio tratta della poesia, dei suoi contenuti e della sua elaborazione formale, successivamente della figura del perfetto poeta. In particolare, egli teorizza il processo della cosiddetta callida iunctura, che consiste nell’accostamento di termini significativi: il poeta, sfruttando la propria creatività, deve essere in grado di accostare in modo insolito parole di uso comune, così da creare nuovi effetti in grado di catturare l’attenzione del lettore. In tale ottica, la poesia diviene il frutto di due elementi fondamentali, l’ingenium (ingegno) e l’ars (arte), e compito del poeta diviene quello di “miscere utile dulci” (unire l’utile al dolce), in modo da educare e, contemporaneamente, dilettare il lettore.

Virgilio: dalla poesia pastorale all'epica

di Sofia Picciolo ed Antonella Trebisacce, 4ALS

Marzo 2023

Omnia vincit Amor et nos cedamus Amori: una delle massime più belle e note di tutti i tempi, nonché la più conosciuta di uno dei poeti latini più importanti nella storia della letteratura, Publio Virgilio Marone. Un’esistenza tranquilla, pacifica e ritirata, caratterizzata dall’amore per la campagna e la semplicità contadina, dovuta anche al fatto di essere cresciuto nelle campagne della Gallia cisalpina. Fondamentale nella sua formazione fu l’adesione alla dottrina filosofica dell’epicureismo e l’entrata nel circolo di Mecenate, dove ebbe modo di confrontarsi con i più grandi intellettuali dell’epoca. In particolare, Virgilio fu autore di diversi generi di opere, tutte grandiose nella loro vasta diversità. La prima opera a cui si dedicò sono le “Bucoliche”, titolo che letteralmente significa “poesie pastorali”. Si tratta di una raccolta di dieci carmi, ognuno dei quali è ambientato in una sorta di paradiso terrestre, un paesaggio idilliaco, agreste, in cui l’autore stesso proietta i suoi sogni e le aspirazioni di una vita semplice e lieta. Il paesaggio assume le caratteristiche del locus amoenus e viene descritto con i suoi tratti convenzionali: i prati, i boschi, le ombre, l’acqua. Virgilio tratta vicende storiche a lui contemporanee (come la confisca delle terre distribuite ai veterani), descrive gare poetiche tra pastori, affronta anche il tema amoroso. A tal proposito, nell’ecloga X compare la massima Omnia vincit Amor; et nos cedamus Amori (“Tutto vince l’Amore; anche noi cediamo all’Amore”): Cornelio Gallo è in preda alla disperazione per l’infedeltà dell’amante Licoride, che era stata da lui elogiata nelle sue elegie. Il protagonista, identificato con il pastore teocriteo Dafni, esprime l’intenzione di abbandonare il genere della poesia amorosa per dedicarsi a quella pastorale; tuttavia, ciò non gli riesce possibile e alla fine si ritrova a cedere all’invincibile forza dell’amore. Virgilio compone anche un poema epico-didascalico in quattro libri, le “Georgiche”, in cui tratta la coltivazione dei campi e l'allevamento del bestiame. Il poeta manifesta un serio impegno etico ed educativo e, pur partendo da una materia più “umile”, decide di inserire interessanti excursus, in cui sviluppa tematiche più generali. Importante, tra queste, è il concetto di “teodicea del lavoro”, affrontato nel libro I: sono state le divinità a volere che l’umanità si risvegliasse dal torpore in cui viveva quando la terra dava spontaneamente i suoi frutti, pertanto Giove creò ostacoli e difficoltà, affinché gli uomini, affinando il loro ingegno, progredissero nel cammino della civiltà. L’opera indubbiamente più nota di Virgilio è il poema epico de “L’Eneide”. Il poeta si cimenta in un genere letterario completamente diverso rispetto a quello delle produzioni precedenti, confrontandosi con i grandi capolavori omerici de “L’Iliade” e de “L’Odissea”. Il poema è giunto a noi in una redazione considerata dallo stesso autore "non definitiva". Si narra addirittura che Virgilio, in punto di morte, avesse pregato i suoi amici di bruciare il manoscritto, poiché necessitava ancora di un’accurata elaborazione formale; ciononostante, l'Eneide rappresenta oggi uno dei più grandi capolavori della letteratura di tutti i tempi. Il poema narra la storia di Enea, eroe troiano figlio di Venere e Anchise, fuggito da Troia a seguito della sconfitta contro gli Achei. Enea è destinato ad essere il fondatore della civiltà romana, dovrà compiere un lungo viaggio, che da Troia lo farà giungere, dopo numerose peripezie (tempeste, sosta a Cartagine, incontro con Didone, storia d’amore e suicidio della stessa regina, discesa negli Inferi) alle coste laziali. A questo punto scoppierà una feroce guerra tra Latini e Troiani, a seguito della quale Enea, vittorioso, potrà sposare Lavinia, divenendo capostipite della gens Iulia, la sessa gens a cui apparteneva Augusto. Dietro la descrizione delle gesta eroiche si cela il vero intento dell’autore, che è l’esaltazione della grandezza di Roma e del suo principe, con la descrizione delle origini della gens Iulia. Virgilio incarna nel protagonista, Enea, i tratti fondamentali del mos maiorum che Augusto si proponeva di restaurare. Enea diviene così il simbolo della pietas, ossia della devozione e del rispetto verso gli dèi, la famiglia e la patria. Tale virtù si manifesta nella sottomissione alla volontà degli dèi, al punto che Enea accetta la propria missione e sacrifica le proprie esigenze personali per adempiere al compito affidatogli. È proprio in questo che si manifesta il tratto più originale del poema, che in tal modo, pur rifacendosi alle vicende omeriche, acquista una singolarità che conferisce un valore inestimabile all’intera opera. 

L'Età di Augusto: una nuova fioritura per la cultura

di Sofia Picciolo ed Antonella Trebisacce, 4ALS

Febbario 2023 

Nel 31 a.C., a partire dalla fine della battaglia di Azio, entriamo in un nuovo periodo storico: l'età di Augusto. Tale epoca viene caratterizzata da avvenimenti storici rilevanti, il più importante dei quali è l'ascesa al potere di Ottaviano, pronipote di Cesare, che ben presto sarebbe riuscito a determinare la fine della repubblica, dando vita ad una nuova forma di potere, il principato. Durante gli anni del principato, si poté assistere ad una fioritura delle lettere, dovuta soprattutto al forte interesse che il principe stesso coltivava nei confronti della letteratura. Egli si circondò di scrittori di altissimo livello, fino a dare vita ad un vero e proprio circolo letterario, riunitosi intorno alla figura di un valoroso collaboratore di Augusto, Mecenate. Quest’ultimo riuscì in poco tempo a diventare una delle figure essenziali per lo sviluppo della poesia di questi anni, poiché fu in grado di riunire nel suo circolo poeti dal calibro di Virgilio, Orazio e Properzio. Divenne loro protettore, ma anche loro amico (come testimoniano le numerose dediche a Mecenate presenti nelle opere di tali autori), un vero e proprio punto di riferimento: diede maggiore valore alla loro poesia (già stilisticamente molto elevata) e, per quanto riguarda i contenuti, orientò i poeti verso la celebrazione del principato, uno dei temi più ricorrenti nella poesia di questo periodo storico. Infatti, i grandi scrittori dell'età augustea accolsero nelle loro opere i fondamenti della propaganda imperiale: Augusto, nella sua acuta intelligenza politica, non chiese mai agli intellettuali intorno a lui di celebrare la sua persona, bensì di appoggiare i suoi programmi riformatori, di sostenere e diffondere le sue idee. Per questo, le tematiche più diffuse riguardavano i punti cardine del programma di Augusto: il valore della pace (che il principe si proponeva di restaurare dopo decenni di conflitti), la difesa delle tradizioni romane, il culto della patria, degli dèi e della famiglia, la celebrazione di Roma e della sua missione civilizzatrice, la necessità di riportare in vita gli antichi costumi (il mos maiorum). Dal punto di vista dello stile, i poeti augustei si ispirarono al modello dei poetae novi, la cui poesia si caratterizzava per una forma raffinata ed elaborata, nonché per la brevità. Pertanto, essi si identificano come gli eredi diretti del movimento neoterico (che aveva visto tra i suoi maggiori esponenti il poeta Catullo), rimasti sempre fedeli al patrimonio di idee e dottrine dell’estetica alessandrina. 

Cicerone: il padre dell'oratoria latina

di Sofia Picciolo ed Antonella Trebisacce, 4ALS

Gennaio 2023

Cicerone è un uomo che non ha bisogno di presentazioni: un intellettuale a 360 gradi, non solo un oratore, ma anche un filosofo, un politico… uno dei più grandi di tutti i tempi. Spesso Cicerone viene ricordato soltanto per le sue celeberrime orazioni; in realtà, la vastissima produzione letteraria che di lui ci giunge suggerisce una vasta gamma di interessi (dalla filosofia alla religione, dal valore dell’amicizia alla vecchiaia), che approfondisce nelle innumerevoli opere che ci ha tramandato. Tutto il corpus letterario di Cicerone rappresenta un tesoro prezioso per noi oggi, dal momento che dà un contributo fondamentale per comprendere al meglio l’epoca romana in cui l’autore visse: un’epoca di corruzione, di congiure, di perdita degli antichi valori, che Cicerone tentò per tutta la vita di contrastare. Egli rimase sempre un difensore della res publica romana, che vedeva colpita da corruzione e individualismo; pertanto, si batté per far regnare la giustizia e svelare ogni complotto che minacciava di far cadere le istituzioni repubblicane romane. Ciò viene testimoniato dalle varie orazioni a noi giunte, che fanno di Cicerone il vero padre dell’oratoria romana. Ad esse Cicerone attribuì il compito di propaganda politica, difesa del proprio operato di fronte agli attacchi degli avversari, desiderio di ottenere gloria presso i contemporanei e i posteri. Infatti, non si trattava di semplici discorsi, ma di vere e proprie opere letterarie, capolavori intramontabili. Tra le prime orazioni ciceroniane si distinguono le “Verrinae” (“Discorsi contro Verre”), sette orazioni pronunciate contro il governatore della Sicilia Gaio Verre, accusato di malgoverno e concussione. Nella prima parte dell’opera, Cicerone chiede di poter sostenere l'accusa, contrapponendosi ad un altro avvocato, Cecilio, che, secondo l'oratore, aveva intenzione di favorire Verre. Cicerone poté assumere l’accusa e iniziare a fare indagini. In seguito, nella prima fase del dibattito, egli mostra le prove che testimoniano la colpevolezza di Verre: si trattava di prove così schiaccianti che Verre, senza aspettare la seconda fase del dibattito, partì in esilio volontario. Tra le più note orazioni di Cicerone, un ruolo di primo piano è certamente occupato dalle “Catilinariae” (“Discorsi contro Catilina”). Esse sono costituite da quattro orazioni pronunciate in occasione della scoperta e della repressione della congiura di Catilina, uomo politico che aveva organizzato un colpo di stato per impadronirsi del potere con la forza: il piano sarebbe certamente andato in porto, se Cicerone non lo avesse scoperto e pubblicamente denunciato. Nella prima Catilinaria, Cicerone denuncia pubblicamente l’avversario, mostrando come egli abbia tramato una congiura per uccidere Cicerone, creare disordine in città e prendere il potere; invita poi Catilina a lasciare Roma e raggiungere le truppe che egli stesso ha raccolto in Toscana, venendo finalmente allo scoperto. Il giorno successivo venne pronunciata la seconda Catilinaria, nella quale Cicerone, dopo aver annunciato la fuga di Catilina, mette in evidenza tutti i piani del complotto, nonché tutti i congiurati che ne avevano preso parte. Nella terza orazione, Cicerone informa il popolo dell'arresto dei catilinari presenti a Roma, mentre nella quarta manifesta la propria propensione alla pena di morte, per stroncare ogni altro tentativo di rivolta a Roma. Con queste orazioni, la carriera politica di Cicerone raggiunse il massimo prestigio. Altre importanti orazioni sono le “Philippicae”, 14 discorsi pronunciati con l'intento di far dichiarare Antonio nemico pubblico (il titolo deriva dall’accostamento alle celeberrime orazioni che Demostene mosse contro Filippo II di Macedonia).

Sallustio: la storiografia tra pessimismo e moralismo

di Sofia Picciolo ed Antonella Trebisacce, 4ALS

Dicembre 2022

Gaio Sallustio Crispo fu un importante scrittore latino, capace di donare una nuova originalità al genere storiografico, di cui divenne ben presto uno dei maggiori esponenti. Egli, in primo luogo, si interessò sempre alla vita politica di Roma: fu un attivo sostenitore di Cesare, ma, a seguito della sua morte, decise di abbandonare la vita politica, per dedicarsi alla letteratura. Nelle sue opere storiografiche, egli aspira all'imparzialità: il suo scopo è descrivere la storia romana con oggettività, prescindendo dalla fazione politica verso cui egli stesso simpatizzava (la fazione popolare). Tuttavia, Sallustio non si limita a descrivere, semplicemente, la storia di Roma; il suo obiettivo è spogliare gli eventi dalla loro occasionalità, per concentrarsi, piuttosto, su un evento centrale, fulcro della propria riflessione: la crisi morale della res publica. In particolare, egli va alla ricerca delle cause di tali crisi, che individua nella perdita delle antiche virtù. Le opere più significative di Sallustio sono: “De Catilinae coniuratione” e “Bellum Iugurthinum”. Di grande importanza sono i proemi di tali opere, in cui l'autore latino giustifica la sua decisione di dedicarsi esclusivamente alla storiografia. A tale scopo, egli afferma, rifacendosi anche a dottrine platoniche, che, sebbene l’attività politica sia indubbiamente di massimo prestigio, essa non è più praticabile per via della dilagante corruzione nelle istituzioni romane. Allora, in tale contesto, assume maggiore valore la storiografia, che invita i cittadini alle emulazioni delle grandi imprese del passato. Nel De Catilinae coniuratione, l’autore descrive la congiura di Catilina, un episodio che rappresenta in sé la crisi della res publica. Sallustio trascende dal singolo evento per affrontare riflessioni di carattere generale e ciò avviene in particolare negli excursus, in cui viene contrapposto il glorioso passato alla corruzione del presente. L’inizio della decadenza romana viene identificato con la fine della Terza guerra punica, a seguito della quale i romani, sicuri del proprio potere e della propria ricchezza, si sono abbandonati all’avaritia e all’ambitio. Simbolo di tale corruzione è certamente Catilina, che incarna la figura dell’uomo malvagio e sovversivo. Il Bellum Iugurthinum presenta le vicende della guerra contro Giugurta, re della Numidia. In quest’opera, la causa della crisi della res publica viene individuata nella discordia interna a Roma, dovuta alla scomparsa del metus hostilis, cioè della paura di un nemico comune, capace di unire tutti i romani. Giugurta viene presentato come l’emblema della corruzione e della malvagità, anche se, a differenza di Catilina, è un personaggio più dinamico, la cui perfidia si accentua man mano che si prosegue nella descrizione. A legare le due opere, malgrado la diversità di contenuti, è il pessimismo di base che le pervade: Sallustio constata con amarezza la decadenza a cui la propria patria è soggetta, decidendo pertanto di concentrarsi non sul presente, ma su periodi gloriosi del passato, da poter interpretare moralisticamente, come modello per tutti i romani. 

Cesare: tra politica e letteratura

di Sofia Picciolo ed Antonella Trebisacce, 4ALS

Novembre 2022

Gaio Giulio Cesare viene oggi ricordato per essere stato uno dei più importanti uomini della storia di Roma. Difensore dei diritti dei plebei, riformatore dell’esercito, conquistatore della Gallia, membro del primo triumvirato, vincitore della guerra civile contro Pompeo, ma soprattutto iniziatore di quel processo che trasformò la Repubblica romana in un impero (processo che si sarebbe ultimato soltanto con il successore di Cesare, Augusto, fondatore del “principato” che, in breve tempo, sarebbe diventato Impero Romano). Tuttavia, Cesare, oltre a occupare un ruolo di primo piano nella politica romana, si distinse anche in ambito letterario, dando vita ad opere dall’inestimabile valore storico. Egli sosteneva che il perfetto uomo politico dovesse anche dedicarsi agli studi letterari: non doveva esistere un divario tra impegno nella vita pubblica e otium letterario, l’uno non doveva assolutamente escludere l’altro, dal momento che la scrittura doveva essere intesa come il corollario dell’attività politica e militare. Cesare fu un uomo ricco di interessi di vario genere, dalla filosofia alla scienza; tuttavia, le opere che attestano tale pluralità di interessi non sono a noi pervenute, se non in brevi frammenti. Le uniche opere che ci sono giunte sono i “Commentarii”, resoconti delle sue imprese belliche, scritti durante la campagna militare in Gallia (“De bello Gallico”) e durante la guerra civile a Roma (“De bello civili”). Nonostante l'argomento trattato sia prettamente storico, i Commentari non appartengono al genere storiografico (d’altra parte, non era mai stata intenzione di Cesare che fossero considerati tali), ma vanno piuttosto intesi come dei veri e propri “appunti di guerra”. Queste opere potrebbero essere nate come resoconti ufficiali da inviare periodicamente al Senato, ma anche come delle bozze preparatorie, a cui sarebbe dovuta seguire una seconda stesura definitiva. Benché si tratti di semplici appunti di guerra, i Commentari possiedono doti formali importantissime, sintetizzate nell’espressione “pura et inlustris brevitas”, che si riferisce alla capacità di selezionare i fatti più importanti, descriverli con chiarezza e con i termini della pura lingua latina. Obiettivo delle opere di Cesare era esaltare le proprie azioni o, d’altra parte, giustificarle. Per donare maggiore oggettività alle gesta descritte, egli decise di scrivere in terza persona; inoltre, inserì importanti digressioni di carattere etnografico, che presto divennero una delle caratteristiche più originali dei Commentari. Pur mantenendo le medesime caratteristiche stilistiche, il De bello Gallico e il De bello civili si differenziano per contenuti e intenti. Il primo, articolato in sette libri, comprende il resoconto delle azioni militari che portarono alla conquista della Gallia, avvenuta tra il 58 e il 52 a.C, e a ciascun anno è dedicato un libro. Scopo di Cesare tramite il De bello Gallico era l’autoesaltazione: nell’opera, l’autore si descrive come un grande generale, che identifica la propria gloria con quella di Roma, capace di prevenire le mosse del nemico e vincere la guerra. Invece, il De bello civili, diviso in tre libri, narra le imprese della guerra civile contro Pompeo. Si tratta di un’opera rimasta incompiuta, che si differenzia da quella precedente anche per l’atteggiamento di Cesare. Qui, infatti, egli assume un atteggiamento di autodifesa: trattandosi di una guerra civile, mossa da Cesare, romano, contro i suoi stessi cittadini, egli vuole scagionarsi dall’accusa di aver provocato volontariamente tale scontro, dimostrando come la guerra sia stata intrapresa a malincuore, senza mai dimenticarsi che i nemici contro cui combatteva erano i suoi stessi concittadini. Cesare si dimostra clemente nei confronti degli avversari, come sottolineato dai suoi continui desideri di pace. Pur nella loro diversità, tali opere sono collegate dal fatto di ricoprire un inestimabile valore storico e letterario; pertanto, Cesare ha sempre incarnato il modello ideale di cittadino romano che, pur impegnandosi appieno nella politica di Roma, ha sempre portato avanti il suo interesse per la letteratura.  

Una nuova epoca: l'età di Cesare

di Sofia Picciolo ed Antonella Trebisacce, 4ALS

Ottobre 2022

Il periodo che va dalla morte del dittatore Silla, avvenuta nel 78 a. C., fino all’uccisione di Giulio Cesare, alle Idi di marzo del 44 a.C., è nota come “Età di Cesare”. Si tratta di un’epoca storica caratterizzata da profondi cambiamenti, che vanno dagli sconvolgimenti in campo politico alle innovazioni in ambito sociale e culturale. In primis, tale periodo storico vede il tramonto della repubblica romana e l’instaurazione della dittatura cesariana; a questo si accompagna una profonda crisi spirituale e culturale, provocata dallo sfacelo delle istituzioni repubblicane, da cui conseguì una diffusione dell’individualismo: si persero gli ideali di dedizione alla patria, subordinazione del singolo alla collettività, per lasciare spazio all’egoismo e alla ricerca di un proprio tornaconto personale. Allo stesso modo, la religione tradizionale non riuscì ad arginare la crisi dei valori; ciò favorì la diffusione di dottrine filosofiche greche, nelle quali i romani cercavano risposte ai propri dubbi esistenziali. Tra queste, maggiore diffusione ebbero le ideazioni epicuree e stoiche. La prima proponeva una concezione materialistica e razionalistica, che negava qualsiasi intervento divino nelle vicende umane; consigliava l’astensione dalle cariche pubbliche e una vita ritirata, dedita allo studio intellettuale. Tale dottrina venne largamente condivisa da importanti autori latini, quali Virgilio e Orazio; tuttavia, il maggior sostenitore fu certamente Lucrezio, che incentrò il proprio capolavoro “De rerum natura” proprio sulla dottrina epicurea. D’altro canto, lo stoicismo poneva al centro dei propri interessi la ricerca della felicità, coincidente con la virtù; inoltre, esortava ad un grande impegno morale e politico da compiere negli interessi della comunità tutta. Grandi sostenitori dello stoicismo furono Cesare e Catone l’uticense. Naturalmente, la letteratura fu considerevolmente condizionata dalla diffusione dei nuovi principi morali. Innanzitutto, si assiste ad una divulgazione dei due generi in prosa della storiografia e dell’oratoria. Quest’ultima, che vide il suo maggiore esponente in Cicerone, rispecchiava il dibattito delle assemblee deliberative e dei tribunali; le orazioni a noi giunte hanno un enorme valore documentario, dal momento che ci informano sulle intricate vicende di quegli anni tumultuosi. La storiografia, invece, trova tra i suoi più prestigiosi esponenti Giulio Cesare e Sallustio, che riuscirono ad interpretare gli eventi a loro contemporanei. Per quanto riguarda la poesia, anch’essa si distaccò dalla tradizione per divenire uno svago. Si abbandonarono i generi teatrali e si andò perdendo anche il carattere elitario del genere, che si iniziò a rivolgere alla dimensione privata. Allo stesso modo, cambiarono anche i temi trattati; si abbandonò l’epica e ci si rivolse a generi meno impegnati, sempre mantenendo un gusto artistico raffinato. Un ruolo centrale venne assunto dal tema amoroso.