Dalle stalle alle stelle

Junior Walter Messias

di Francesco Parisi e Andrea Rotiroti, 3ALS

Maggio 2022

Il 13 maggio 1991, in una piccola città brasiliana, la famiglia Messias gioisce per la nascita di Walter Junior. Fin da piccolo Junior dimostra di avere nel sangue una passione ardente per il calcio. All’età di 17 anni fa parte della squadra giovanile del Cruzeiro, una squadra blasonata a livello giovanile visti i talenti che ha lanciato nel calcio che conta. Con il passare del tempo non si dimostra un gran giocatore, a causa della sua convinzione del gioco del calcio: non passa la palla, non aiuta i compagni, vuole fare tutto di testa sua. Questo atteggiamento lo porterà, all’età di 20 anni, a ritrovarsi a giocare in una squadra di terza serie brasiliana. Un’altra causa di questa posizione è sicuramente la dipendenza dall’alcool. Giocava a calcio ormai per riempire lo spazio tra una bevuta e un’altra. Pochi anni dopo, al matrimonio del fratello, Junior si troverà davanti ad un episodio che cambierà radicalmente la sua vita. Come spesso accadeva nelle occasioni importanti, il calciatore beveva un po’ troppo. Al rientro, in tarda notte, alla guida della sua auto, a causa di un attimo di sonnolenza Messias si ritrova incosciente travolto dalle lamiere in un burrone. Grazie ai soccorsi, arrivati tempestivamente sul luogo del sinistro, Junior Messias riesce a salvarsi. Dopo quest’episodio mette la testa a posto e diventa un fedele credente. Per lasciarsi tutto alle spalle si trasferisce a Torino dal fratello, senza sapere l’italiano e con pochissimi soldi. Qui mette da parte il calcio e l’alcool e inizia a pulire mattoni, a lavorare nei cantieri distruggendosi fisicamente. Lavora inoltre per una ditta peruviana trasportando a domicilio frigoriferi e mobili per 1.500 euro al mese. Solo quando ha un po’ di tempo libero gioca a calcio nei tornei dedicati agli extra comunitari. Nel 2015, durante una partita contro alcuni rifugiati, un ex calciatore del Torino nota il suo talento e gli propone un contratto di 700 euro al mese per giocare in una squadra di quinta serie italiana. Messias rifiuta, considerato lo stipendio maggiore che si acquisisce trasportando frigoriferi. Qualche anno dopo gli viene proposta un’altra offerta dalla stessa squadra di 1.500 euro al mese e questa volta Junior accetta. Giocherà nei dilettanti per quattro stagioni fornendo prestazioni di alto livello finché il 30 giugno 2019, all’età di 28 anni, entra nei professionisti giocando con il Crotone. Sarà il protagonista della stagione della squadra pitagorica e nello stesso anno riesce ad arrivare in Serie A proprio con la squadra che lo ha lanciato nel calcio. In quest’anno ripete una formidabile stagione, non riuscendo però ad ottenere la salvezza con la squadra calabrese. Nel mercato estivo viene contattato da molte squadre importanti del calcio italiano quali Milan, Napoli, Torino e Atalanta. Il 31 agosto 2021 Junior firma un contratto con il Milan e inizia così, all’età di 30 anni, la sua carriera in Serie A. Con la squadra rossonera debutterà solo il 3 ottobre a causa degli infortuni e delle arretrate condizioni fisiche. Con questa maglia gioca alcune partite importanti dove dimostra sempre un enorme sacrificio e una fantastica passione per il calcio. La sua partita più importante è sicuramente quella in Champions League contro l'Atletico Madrid, dove da subentrato riesce a trovare il gol vittoria e a dare speranze di permanenza nella competizione al Milan. La storia di Junior Messias è sicuramente una delle più affascinanti degli ultimi anni. La sua vita ci insegna che nonostante gli errori commessi si può andare avanti e con il sacrificio e il duro lavoro si può arrivare a raggiungere i più alti obiettivi.

Mohed Altrad

di Agata Corrado e Angela Nisticò, 5ALS

Maggio 2022

Ricevo questo premio con umiltà e orgoglio. Spero di servire da esempio per dimostrare che non c'è ostacolo, per quanto insormontabile possa sembrare, che impedisce a una persona di realizzare i propri sogni se si dedica a lavorare con costanza e onestà per realizzarli”. Sono le parole di Mohed Altrad, nominato imprenditore francese dell'anno nel 2015, pronunciate davanti a migliaia di persone che applaudivano commosse nell’osservare i suoi occhi lucidi. Eppure la sua vita non è stata affatto semplice. Mohed è un beduino siriano, nato tra il 1947 e il 1951, figlio del capo di una tribù nomade che viveva nel deserto della Siria e del Nord Africa, caratterizzata da forza, aggressività e tattiche di guerra. La madre, una ragazzina povera e disprezzata, muore a soli tredici anni, poco tempo dopo la nascita di Mohed, il suo secondo figlio. La brutalità dell’esistenza in quella tribù toglie anche la vita a suo fratello per mano di suo padre. La situazione diviene così insostenibile tanto da portare il ragazzino a trasferirsi a Raqqa, città della Siria, attualmente occupata da una fazione dello Stato Islamico, dove trascorre del tempo con la nonna che lo sostiene come meglio può nonostante la sua povertà. Mohed cresce con la nonna, una donna dalla mentalità chiusa che gli proibisce perfino di andare a scuola poiché vuole fare del bambino un pastore. Nelle interviste Mohed racconta che, quando usciva a fare il pastore, curioso com'era, passava davanti alle scuole e si fermava a guardare attraverso le fessure dei muri per scoprire cosa facessero i bambini della sua età: intravedeva gli scarabocchi sulla lavagna, la calligrafia che non riusciva a capire, ma tutto questo continuava ad affascinarlo. Dal carattere estremamente perseverante, Mohed decide di iniziare a studiare e, come se non bastasse, brilla tra tutti i suoi compagni di classe che per invidia lo maltrattano. Nonostante questi anni bui, per il giovane si intravede un po’ di luce: una coppia senza figli decide di adottare l'adolescente beduino fornendogli istruzione e comodità di base. Prosegue, infatti, gli studi e all'età di diciassette anni ottiene una borsa di studio in Francia, dopo essere riuscito ad entrare all'Università di Kiev, ma non viene accettato per mancanza di posti. Così finisce all'Università di Montpellier, una delle più antiche università d'Europa, nonostante sapesse a malapena parlare francese. Impegnandosi giorno e notte nello studio, Mohed Altrad consegue un dottorato di ricerca in Informatica, aprendosi le porte a lavori aziendali ben retribuiti in Francia e uno stile di vita che gli permetterà di vedere il suo nuovo panorama da una prospettiva diversa. Il lavoro presso l'Abu Dhabi National Oil Company gli consente di mettere da parte dei risparmi. Si accorda con un collega e, nel 1995, acquista una fabbrica di ponteggi quasi in bancarotta, un primo passo per fondare il Gruppo Altrad. Il rispetto dei dipendenti, le buone prestazioni, un atteggiamento espansivo saranno la chiave del suo successo. La piccola azienda crescerà fino a comprendere 170 aziende sotto il nome con cui è conosciuta oggi, "Altrad Group". Mohed ottiene il titolo di Cavaliere della Legion d'Onore francese ed è presidente del Montpellier Hérault Rugby Club. Nel tempo libero si dedica alla scrittura, sia economica che autobiografica. "Beduino" è il titolo del romanzo dove racconta la sua vita, la cui lettura è stata dichiarata educativa e obbligatoria nelle scuole dal governo francese. Nel suo discorso di premiazione come miglior imprenditore francese, Mohed Altrad ha condiviso: “Sono un miliardario, ma non è mai stato il mio obiettivo, il mio obiettivo nella vita era aiutare gli altri e sono un esempio. Non importa quanto in basso inizi, puoi arrivare molto in alto, se ci metti la mente".

Adriano, l'imperatore

di Francesco Parisi e Andrea Rotiroti, 3ALS

Aprile 2022

Questa è la storia di una delle parabole calcistiche più brevi e scintillanti della storia del calcio, un racconto fatto di alti e bassi, di qualche gioia ma di tanti rimpianti affogati nell’alcol. Adriano nasce a Rio de Janeiro il 17 febbraio 1982 e la sua discesa verso il trono di “imperatore” cominciò in una notte d’agosto del 2001, in una partita amichevole tra il Real Madrid e l’Inter. A 10 minuti dalla fine, sul risultato di parità entra un diciannovenne brasiliano arrivato dal Flamengo, Adriano Leite Riberio. Fisico possente, dotato di un ottimo sinistro, gli bastano pochi minuti per lasciare il segno. 91’ minuto, punizione dal limite, il nuovo entrato si incarica di battere e con un siluro di 108 km/h fa vincere l’Inter. È nata una nuova stella e gli interisti sono già pazzi di lui, ma l’Inter lo manda in prestito per farlo crescere. Con il Parma dimostra tutto il suo talento e dall’estate del 2003 la sua carriera prende un’accelerata che sembra decisiva ed a soli ventun anni è praticamente un predestinato. I suoi gol misti fra classe e potenza vengono paragonati ai canestri di un certo Michael Jordan, non uno qualunque. Con dodici reti in diciotto giornate porta l’Inter al terzo posto e diventa definitivamente “L’Imperatore”. Vince praticamente da solo la coppa America in Perù, siglando sette reti, diventando così capocannoniere del torneo. Nel suo miglior momento calcistico, però, il destino nella maniera più cinica possibile, bussa alla sua porta. Il 5 agosto 2004, Almir, papà del ragazzo, muore a soli quarantaquattro anni a causa di un infarto. Adriano disputa una grande stagione, condita da ventotto gol, vincendo anche il primo trofeo da quando ha messo piede nello stivale, il Brasile è una macchina perfetta e il giovane interista è la sua punta di diamante, un centravanti inarrestabile che a ventitré anni può solo migliorare. Invece la magia finisce proprio in quei giorni di giugno, qualcosa nella sua testa si è rotta, il ricordo del padre che non c’è più lo tormenta. A dire il vero, qualche momento buio si era già intravisto, come la rissa contro il Valencia, le voci sulle feste con tanto alcol. Ciò che succede nella carriera di Adriano dall’estate 2006 in poi è racchiusa in una sola triste parola: caduta. La parabola si arresta proprio quando l’Inter inizia a vincere scudetti su scudetti e ad un ciclo che culminerà con lo storico triplete, quasi per ironia della sorte. Nel 2006 vince il bidone d’oro e le liti con Mancini sono all’ordine del giorno. Nel 2008 trascorre una notte in discoteca dopo la partita e ritarda di mezz’ora all’allenamento. Sono cose che con José Mourinho non ti puoi permettere, quindi viene immediatamente messo fuori squadra. Nello stesso anno più di una volta arriva agli allenamenti ubriaco, la sua carriera è praticamente al termine. Per poter giocare a calcio deve tornare a casa, in Brasile, con ritmi più bassi e molta libertà nella vita privata dove l’alcol ha ormai preso il sopravvento. Nel 2010 la Roma lo acquista a parametro 0. La foto con la sciarpa della lupa parla chiaro, sovrappeso, col volto gonfio, non c’è traccia del ragazzino che spaccava a due le difese avversarie rivali. Si sono arresi tutti e all’ex imperatore non resta che tornare a casa, tra la sua gente, tra una foto con un mitra in mano e una in cui festeggia tra tante ragazze.

Adriano, un giocatore, mille rimpianti.

Li Ka-shing

di Agata Corrado e Angela Nisticò, 5ALS

Aprile 2022

Nessuno penserebbe mai che l’uomo più ricco d’Oriente, a soli 12 anni, possa aver vissuto sulla propria pelle l’orrore della fame, della guerra e del lavoro estenuante in fabbrica. Li Ka-shing è oggi il presidente del gruppo CK Hutchinson e vanta 260.000 dipendenti con sedi in 52 paesi. Nel 1940 lasciò la sua città con la famiglia per sfuggire alla guerra. Dopo poco tempo rimase orfano di padre e fu costretto a lasciare la scuola e lavorare in fabbrica per 16 ore al giorno, tutti i giorni. Dopo 10 anni di estenuante lavoro, osservando ogni minimo dettaglio di tutta la produzione, riuscì ad aprire una piccola industria di fiori in plastica: egli teneva molto al fatto che sembrassero più veri possibile, sia nella combinazione dei colori, che nel materiale. Il suo spirito di imprenditorialità emerse anche quando, nel 1960, molti cinesi fuggirono dalla loro terra mettendo in vendita le proprie case: i prezzi di terreni e immobili, quindi, ebbero un calo stupefacente. Mentre tutti vendevano, Li acquistava a prezzi stracciati, investendo tutto il denaro che aveva guadagnato. Dopo qualche anno i prezzi tornarono a salire ed egli, con la vendita di quegli immobili, guadagnò più di dieci volte il denaro investito. Ciò che ha fatto di lui un grande imprenditore è proprio questa sua capacità di occuparsi al momento giusto di una determinata attività e, allo stesso modo, liberarsene quando è più conveniente assicurandosi un maggiore guadagno. Con questo capitale Li Ka-shing acquistò la Hutchinson Whampoa Limited, una multinazionale che controllava il porto di Hong Kong e la cui attività spaziava in vari settori: immobiliare, alberghiero, delle telecomunicazioni e dell’energia. Dalla fusione di quest’ultima con la Cheung Kong Holdings nasce l’odierna Ck Hutchinson, che gestisce più di 300 moli in 30 paesi del mondo e nei quali circola il 20% del totale dei container che arrivano ai porti. Con il boom delle telecomunicazioni, Li riuscì ad entrare anche in questo business: acquistò le licenze 3G in paesi come Germania, Francia, Olanda, Italia e Gran Bretagna. Più recentemente ha investito anche in titoli di Spotify, Siri, Facebook e Skype, in un momento di crisi per queste aziende, così da ottenere il massimo del guadagno quando si saranno riprese. Ciò che fa di Li Ka-shing, oggi ultranovantenne, un grande uomo è il fatto che abbia mantenuto le stesse abitudini di sempre e non si sia mai dato allo sfarzo, inoltre, il suo attaccamento alla patria lo ha portato a dare una parte del suo denaro al fine di migliorare le condizioni dei suoi concittadini. Ricordiamo che ha donato 3 milioni di dollari per aiutare le vittime del maremoto nell’Oceano Indiano ma, in particolar modo, egli si è dimostrato molto sensibile al tema dell’educazione e della scuola ritenendo che più una persona conosce, più è preparata a riconoscere le opportunità della vita. Per questo suo modo di pensare, ha offerto 100 milioni di dollari all’Università di Singapore, 128 all’Università di Hong Kong, oltre al denaro concesso per la creazione di una biblioteca che porta il suo nome. La Regina Elisabetta ha deciso, nel 2012, di onorarlo con un KBE, ovvero il titolo di Knight Commander of the Order of the British Empire, mentre il presidente del suo Paese Xiaoping, nel 1978, ha voluto avere un colloquio privato con il grande imprenditore, per ricevere dei consigli sulla politica economica da intraprendere in quegli anni molto delicati per la nazione.

Jamie Vardy

di Francesco Parisi e Andrea Rotiroti, 3ALS

Marzo 2022

Jamie Richard Vardy nasce l’11 gennaio 1987 a Sheffield, città operaia e simbolo della rivoluzione industriale. Jamie prende il cognome dalla madre perché il padre lo abbandona quando era ancora molto piccolo. Il suo sogno è sempre stato quello di diventare un calciatore. All’età di quindici anni riesce a passare il provino con la sua squadra del cuore, lo Sheffield Wednesday, ma la sua felicità dura poco. Dopo un solo anno, verrà scartato perché il team medico dichiarerà che il giovane possiede un fisico troppo gracile e non adatto a giocare a calcio. Vardy è deluso e amareggiato vedendo la squadra che ha sempre sostenuto e tifato infrangere il suo sogno. Prova così a dedicarsi ad altro. Va a Rotterdam e si mette a studiare scienze dello sport per otto mesi. Torna a casa e ricomincia con il calcio. Capisce che la passione per questo sport è davvero forte e continua ad allenarsi nella squadra del suo quartiere dove finivano tutti i non ammessi allo Sheffield Wednesday. Nel 2003 viene notato per le sue doti tecniche da una squadra militante nella nona serie inglese, lo Stocksbridge Park Steels, che gli offre un contratto da 30 pounds a a settimana. Naturalmente per un ragazzo di vent’anni non è uno stipendio sufficiente per vivere. Pertanto va a lavorare in una fabbrica di protesi di carbonio, 12 ore in fabbrica e poi la sera al campo per gli allenamenti. Un sacrificio enorme che però Jamie è disposto a fare per inseguire il suo sogno. Esordisce in South Conference e diventa fin da subito l’idolo degli operai che, finito in fabbrica, andavano a vedere la squadra. La sua carriera però non procede così facilmente. Una sera, dopo una partita, Vardy si trova in un pub insieme ad un suo amico dove vengono derisi tutti e due. Il calciatore non riesce a trattenersi e inizia una rissa. Viene condannato a sei mesi di coprifuoco notturno dalle 18 alle 6 del mattino e gli viene installata una cavigliera elettronica. Riesce nonostante tutto ad allenarsi e a disputare le partite che però deve concludere in anticipo per ritornare a casa entro l’orario stabilito. Nel 2012 dopo una fantastica stagione con l’ Halifax Town, Vardy viene scelto da un club semiprofessionista, Fleetwood Town con cui vincerà anche il suo primo campionato. Ha ormai 24 anni e se ambisci alla massima serie a quest’età sei un po’ in ritardo, ma Jamie non pensa nemmeno di rinunciarvi. La stagione successiva viene acquistato dal Leicester, ai tempi militante in seconda serie inglese, che gli offre un contratto da un milione di sterline. Il primo anno sarà molto difficile, il salto di categoria si sente e Vardy non riesce fin da subito ad ambientarsi, tant’è che i tifosi a fine stagione lo contestano duramente. Pensa di andarsene, non si sente a suo agio, è disposto a tornare nei campi di provincia pur di non restare in quell’ambiente. Fondamentale per la sua carriera è il presidente Vichai che farà tornare il giocatore delle Foxes sui suoi passi convincendolo a restare. In quello stesso anno il Leicester riesce a vincere il campionato e quindi arrivare nella massima serie, la Premier League. La prima stagione sembrava essere partita bene, ma dopo poche giornate il Leicester si trova in fondo alla classifica e ci rimarrà per ben trentadue giornate consecutive. Grazie alle prestazioni e ai suoi gol, il Leicester riesce a salvarsi. Nella stagione successiva Vardy si consacrerà anche con l’aiuto fondamentale di Claudio Ranieri, il nuovo allenatore delle Foxes. Questo nuovo Leicester fa sognare i tifosi, che alla fine del girone d’andata si trovano in testa alla classifica. Vardy a suon di gol e di ottime prestazioni, insieme ai compagni, vince a Leicester per la prima volta nella storia del club il titolo di vincitore del campionato. Raggiunge anche un record personale, la vittoria come miglior marcatore della lega a 26 anni, il più longevo nella storia della Premier League. Ancora oggi dopo dieci anni e dopo svariate tentazioni da parte dei più grandi club al mondo, Jamie Vardy lotta e gioca con le Foxes. Una storia toccante, che ha molto da insegnare ai giovani calciatori e che vuole trasmettere un messaggio forte: senza sacrifici non si raggiungono gli obiettivi.

Michael Sylvester

di Agata Corrado e Angela Nisticò, 5ALS

Marzo 2022

Michael Sylvester Enzio Stallone nasce il 6 luglio 1946 a New York, USA, in uno dei quartieri più malfamati della città, l'Hell's Kitchen, da una famiglia povera con grandi difficoltà economiche: il padre, figlio di emigranti italiani, era un barbiere; la madre un’astrologa, anch’ella figlia di immigrati. Dopo il divorzio dei genitori, Sylvester va a vivere dal padre, ma le cose non vanno affatto bene. Proprio per questo, all’età di dodici anni si trasferisce a Philadelphia, nel Maryland, dove comincia ad avvicinarsi al mondo dello sport e della ginnastica. La palestra, di proprietà della madre, gli consente di praticare assiduamente ogni tipo di esercizio ginnico, senza condizionamenti o limiti, formando il suo fisico scultoreo per cui è diventato celebre. Per poter proseguire gli studi al liceo, inizia a lavorare part-time, ma la situazione economica familiare entra sempre di più in crisi, tanto da costringere Sylvester a vendere il suo cane Butkus, al quale era molto affezionato, per 25 dollari ad uno sconosciuto, fuori da negozio di liquori. Fu questo, per lui, il momento più basso della sua vita. Dopo il diploma, trascorre due anni all'American College of Switzerland di Ginevra, abbandonato, però, poco prima della laurea. Tornato negli Stati Uniti, si iscrive alla facoltà di drammaturgia all'Università di Miami con l'intento di apprendere l’arte della recitazione. Il suo sogno era da sempre quello di diventare una grande star dei film americani e di certo quel fisico sarebbe stato vantaggioso. Compie numerosi tentativi per ottenere dei ruoli aspirando in alto e, durante il tempo libero, inizia a scrivere sceneggiature e a collaborare alla stesura di testi e dialoghi, con lo scopo di farsi conoscere e di sviluppare rapporti proficui. Tutto questo mentre lavora come pizzaiolo, guardiano dello zoo e usciere al teatro Baronet per guadagnare da vivere. La maggior parte degli agenti e registi che incontra gli consiglia di cambiare “sogno”, di puntare a qualcos’altro, dicendogli che mai avrebbe fatto carriera, ma è proprio grazie alla sua tenacia e alla sua determinazione che riuscirà a realizzarsi. Quando si sposa, lui e sua moglie sono completamente al verde, in una casa gelida e non potendo pagare cibo e riscaldamento Sylvester, determinato a inseguire il suo sogno e a non cercare un vero e proprio lavoro, vende i gioielli di sua moglie causando la fine della loro relazione.

Nel 1970 la sua determinazione viene premiata da una chiamata, da lui tanto attesa: Sylvester ottiene una proposta di recitazione nel film porno-soft "The party at Kitty and Stud's". Quattro anni dopo, nel 1974, recita nel film "The Lords of Flatbush", ma la vera e propria svolta è il match di pugilato, trasmesso in televisione, tra Muhammad Alì e Wepner, un pugile che nonostante incassasse durissimi colpi da Alì rimaneva in piedi e continuava a lottare. Stallone prende ispirazione da questo match e scrive ininterrottamente per tre giorni lo scenario di un film. Inizialmente nessuna agenzia dimostra interesse a comprarlo definendo la trama del film banale e scontata, fino a quando riesce a venderlo ad un gruppo di agenti per 125.000 dollari. Incredulo per la somma proposta, Sylvester desidera avere la parte del protagonista, ma gli agenti rifiutano la proposta ed egli decide di non venderlo. Allora gli offrono una somma di denaro più ricca, alle stesse condizioni, e anche in questo caso Stallone decide di rifiutare. Si arriva finalmente ad un accordo: 35.000 dollari e la parte come protagonista. Interpreta, così, Rocky in “Rambo”, autore e protagonista della stessa sceneggiatura. Con quei soldi, Stallone decide immediatamente di ricomprare il suo cane: attende per tre giorni, davanti al negozio di liquori, lo sconosciuto a cui aveva venduto il cane, offrendogli in cambio 15.000 dollari e la promessa di una parte nel film Rocky. Prodotto a basso costo (1 milione di dollari) il film è un successo inaspettato, incassando 200 milioni di dollari e vincendo l'Oscar per il miglior film e la miglior regia. In quest’occasione, nel suo discorso, Sylvester legge tutti i commenti negativi ricevuti dagli agenti che rifiutarono il suo prodotto, lanciando un messaggio di speranza per cui vale sempre la pena credere e lottare per il proprio sogno. Durante la sua carriera scrive molti altri film, tra cui tre film della saga "Rocky" (II, III e IV), "Paradise Alley" e "Staying Alive". Sylvester è anche un collezionista d’arte: si dedica con un certo successo alla pittura surrealista ed è comproprietario della catena di ristoranti "Planet Hollywood" insieme a Bruce Willis e Arnold Schwarzenegger. Oggi è il protagonista di molti eventi beneficiari. Tra i lavori di questi anni c'è "Rocky Balboa", uscito in Italia all'inizio del 2007, di cui Sylvester cura trama, interpretazione e sceneggiatura. Nel 2012 vive il dramma della perdita del figlio Sage Stallone, morto a 36 anni per overdose, con il quale aveva recitato in "Rocky V" e "Daylight - Trappola nel tunnel". Ancora più recentemente, nel 2019, nonostante tre anni prima avesse dichiarato che non avrebbe più interpretato il personaggio di John Rambo, torna a farlo per l’ultimo capitolo della saga: Rambo Last Blood.

“Una volta nella vita, per un momento mortale, ognuno di noi deve fare un tentativo per afferrare l'immortalità; se non ci provi non hai mai vissuto”. –Sylvester Stallone

Sadio Mané

di Francesco Parisi e Andrea Rotiroti, 3ALS

Febbraio 2022

Attaccante del Liverpool, Sadio Mané è considerato al giorno d'oggi come uno dei migliori calciatori della sua generazione. Mané nasce il 10 aprile 1992 in un piccolo villaggio di Bambali, a sud del Senegal, zona conosciuta per la grande bellezza ma soprattutto per i campi di mine antiuomo disseminati sull’insieme del territorio, come reliquie del conflitto di Casamance. La Casamance, un tempo una delle regioni più ricche di tutto il paese, era rimasta solo una pericolosa zona di guerra i cui abitanti viveno traumatizzati dalla paura e privi di risorse. Per provare a dimenticare questa infelice situazione, Sadio trascorreva tutto il suo tempo a giocare a calcio con i suoi amici e già ai tempi era chiaro che il suo talento fosse straordinario. Il padre di Sadio, ovvero l’Imam del villaggio, non era contento del fatto che il figlio mettesse al primo posto il pallone e non la scuola, ma nonostante le infinite punizioni il giovane farà di testa sua continuando a giocare di nascosto e cercando fortuna nella capitale senegalese, Dakar. A 15 anni si trasferisce a M’bour, la più grande città di calcio del Senegal per realizzare il suo obiettivo. In men che non si dica viene acquistato dalla ‘AS generation foot’, dove farà meraviglie e il suo talento e le sue prestazioni lo porteranno in Europa. Arriva quindi nel Metz, in Francia, ma nonostante il suo esordio molto promettente vola subito in Austria, al Red Bull Salisburgo in cambio di 4 milioni di euro, batte record su record fino a realizzare il suo sogno: giocare in Premier League. Dapprima al Southampton rivela un talento che nessuno aveva visto da molto tempo all’interno del campionato britannico, arrivando così all’apice del calcio inglese: firma per il Liverpool, per una somma che lo farà diventare il secondo giocatore più costoso della storia del club. In pochissimo tempo Mané diventa il beniamino dei tifosi e viene reputato insostituibile all’interno dei Reds. Nel 2019 vince la sua prima Champions League, la più prestigiosa competizione calcistica continentale per squadre di club e nello stesso anno vincerà persino la Supercoppa UEFA, asfaltando il favorito Chelsea, contro il quale segnerà una doppietta che diventerà storica. Molti analisti sportivi lo considerano come il più grande calciatore del continente africano, con il record di velocità stabilito a 34,84 km/h il giovane Senegalese è anche uno dei calciatori più veloci del pianeta. Quasi ironicamente colui che giocava a calcio a piedi nudi per strada in Senegal viene alla fine premiato Scarpa d'oro dal campionato inglese, un riconoscimento apprezzato ancora di più dal giovane nativo di Casamance e superstite di un sanguinoso conflitto il quale ha anche dovuto lottare contro la povertà e i pregiudizi della propria famiglia contro il calcio. Al giorno d'oggi il suo stipendio supera i 9 milioni all’anno, ovvero circa 38.000 euro al giorno. Più che la sua famiglia, a beneficiarne è tutto il suo villaggio, che ha goduto della generosità del fenomeno della Premier League, il quale non bada a spese quando si tratta di dare aiuto ai più bisognosi. Un aiuto davvero autentico visto che viene da qualcuno che ha vissuto la stessa miseria e gli stessi problemi ogni giorno. Di fronte a così tanta umiltà possiamo davvero dire che i milioni che guadagna non gli hanno affatto dato alla testa e lontano dal fare come i ricchi che sperperano in modo esagerato il loro denaro in bolidi e in orologi di lusso mostra piuttosto uno stile di vita modesto; a differenza di giocatori molto più materialisti che si presentano agli allenamenti al volante di una Ferrari o di una Bugatti, Sadio preferisce dare aiuto alle persone che ne hanno davvero bisogno. Sopravvivere alle guerre e alle carestie gli ha insegnato che circolare in un auto da milioni di euro sarebbe una vera offesa per le persone che vivono con meno di un euro al giorno. Inoltre ha contribuito alla costruzione di una scuola nel suo villaggio in Senegal e di un ospedale. Nel tunnel di Anfield, il bellissimo stadio del Liverpool, Mané è stato paparazzato con alle mani un telefono rotto, uno scatto che vale più di 100 parole.

Sara Blakely

di Agata Corrado e Angela Nisticò, 5ALS

Febbraio 2022

Nel 2012, ad appena 41 anni, Sara Blakely è stata eletta da Forbes come la più giovane imprenditrice che ha raggiunto il miliardo “senza l'aiuto di un marito o di un'eredità”. Nasce in Florida nel 1971, la madre era una artista amante della pittura e della creatività e il padre un avvocato civilista. Dopo aver frequentato il liceo, si laurea in comunicazione presso la Florida State University. La sua idea iniziale era quella di seguire la carriera del padre e quindi di studiare legge, ma i voti conseguiti non glielo permisero e iniziò dunque a cercare di mettere da parte qualche soldo. Fece anche un provino per impersonare Pippo a Walt Disney World ad Orlando, ma non la presero perché troppo bassa. Dopo qualche mese trovò un nuovo impiego presso la Danka, una multinazionale che si occupava della vendita di fax e stampanti. Iniziò così a fare la venditrice porta a porta di macchine fax, trovandosi a suo agio nel mondo delle vendite e salendo di posizione nelle gerarchie aziendali. In pochissimo tempo e a soli 25 anni venne promossa alle vendite nazionali e iniziò a girare gli Stati Uniti. Proprio in uno dei suoi numerosi viaggi ebbe un’idea luminosa che diede una svolta alla sua carriera. Durante un tour lavorativo molto caldo in Florida, Sara desiderò banalmente lavorare con dei sandali ai piedi, ma non poté farlo perché sotto la sua divisa portava sempre dei collant per apparire perfetta. Istintivamente pensò, allora, di tagliare il piede al collant. Come succede spesso, le idee più geniali nascono da una necessità e da qui che crea il suo impero, investendo tutti i risparmi accumulati vendendo fax, brevettando la sua idea con 5.000 dollari. In questo modo prende vita lo Spanx, ossia una collezione di biancheria intima comprendente body, collant e costumi da bagno la cui caratteristica principale è quella di “modellare” le forme del corpo, grazie alla particolare guaina di cui i prodotti sono composti, la quale permette di sostenere cosce e glutei. Nel 2000 nasce la Spanx Inc. che Sara tenta di espandere inizialmente negli Stati Uniti, incontrando, dapprima, molte resistenze da parte delle diverse aziende a cui si propone. Pian piano riesce ad ottenere un incontro in Texas con una catena di lusso americana, la quale però non è molto convinta del prodotto, ma con la sua tenacia e sana sfacciataggine porta il referente dell’azienda ad ordinare subito 3000 pezzi. Dopo questa grande conquista, decide di puntare in alto inviando un set dei suoi prodotti ad Oprah Winfrey, la conduttrice più famosa della televisione americana, la quale rimane stupefatta e pubblicizza lo Spanx direttamente nella sua trasmissione. Il forte carattere di Sara la conduce a firmare un contratto con QVC, la piattaforma di vendita televisiva principale negli Stati Uniti, grazie alla quale, già durante la prima trasmissione, riesce a vendere 8000 paia di Spanx in soli sei minuti. Nel 2014 Sara si classifica nella rivista Forbes al 93esimo posto tra le donne più potenti del mondo ed oggi la sua creatività viene celebrata anche tra i volti noti hollywoodiani, in particolar modo da Kim Kardashian.

Carlos Alberto Martìnez Tévez

di Francesco Parisi e Andrea Rotiroti, 3ALS

Gennaio 2022

Carlos Tévez, anche detto Apache, nasce Il 5 febbraio del 1984 a Ciudadela, periferia di Buenos Aires, tra baracche, proiettili e povertà. Quando la madre di Carlos era al settimo mese di gravidanza, il padre biologico Carlos viene ucciso a colpi di arma da fuoco. Il piccolo Tevez in seguito verrà anche abbandonato da chi l’ha messo alla luce a soli tre mesi di vita. La sfortuna sembra non finire, a pochi mesi dal primo compleanno è vittima di un tremendo incidente domestico, accidentalmente gli cade addosso l’acqua bollente di un bollitore e il bimbo viene portato al pronto soccorso, lotta tra la vita e la morte. Dopo circa due mesi di terapia intensiva, Carlos è fuori pericolo, ma dovrà convivere con quelle cicatrici per il resto della sua vita. Si prendono cura di lui gli zii materni Segundo Tévez e Adriana Martinez che cercano di proteggerlo e tenerlo lontano dalla strada e dai pericoli di un quartiere dove vige la legge del più forte. Carlos Tévez è un ragazzo con una smisurata passione per il calcio e un giorno sogna di diventare calciatore. L’alto tasso di criminalità e la vita difficile non aiutano, ma Carlos a differenza dei suoi amici può contare su due “genitori” che si prendono cura di lui. La prima esperienza importante la affronta con la squadra Santa Clara, in cui il suo talento e le sue qualità non passano inosservate. L’Apache, così verrà soprannominato, cresce e all’età di 14 anni inizia ad assaporare una parte di quel sogno. Le giovanili del Boca Juniors sono un passo importante, il 21 ottobre del 2001 arriva l’esordio nello storico stadio “Bombonera”. Il Boca sfida tra le mura amiche il Talleres e il giocatore mette per la prima volta piede su quel prato verde. Quella di Carlos Tévez con la maglia gialloblù non è solo un’apparizione, perché il talentuoso attaccante diventa la stella del club. Nel 2003 arriva la vittoria del campionato argentino e la conquista della Coppa Libertadores, manifestazione più importante della nazione. Dopo quasi 100 presenze con il Boca, Carlos saluta l’Argentina per andare a giocare in Brasile, ma è solo il trampolino di lancio per l’Europa. Il 31 agosto del 2006 Tévez saluta il Sudamerica e sbarca a Londra. Upton Park fu solo il punto di partenza di una carriera magnifica. La stagione non va nel migliore dei modi e le molte incomprensioni con l’allenatore degli Hammers non gli permettono di esprimere al meglio il suo talento. Rimarrà comunque nei cuori dei tifosi londinesi grazie al gol nell'ultima giornata all'Old Trafford che garantisce la salvezza alla squadra. L’estate successiva fu proprio il Manchester United ad acquistare Tevez. Sono due anni spettacolari in cui i Red Devils esprimono un gioco scintillante e vincono tutto ciò che si può vincere: due campionati, due Community Shield, una Champions League e una Coppa del Mondo per Club. Ma anche qui il rapporto non è dei migliori, il carattere molto forte e scontroso del sudamericano è una minaccia per la squadra e per gli avversari. Nell'estate 2009 avviene il "tradimento", il calciatore firma per i cugini del Manchester City; con questa maglia si presenta molto bene, sfornando gol e ottime prestazioni. Nel dicembre 2009 però c'è un cambio sulla panchina con l'arrivo di Roberto Mancini e tra i due c’è da subito intesa, tanto che l'allenatore gli affida la fascia di capitano. Questo rapporto a prima vista sereno non dura a lungo e, dopo alcune frecciatine, il coach decide di lasciarlo fuori squadra e l'argentino se ne torna in patria senza autorizzazione della società che lo multa. A fine stagione è reintegrato in rosa giusto in tempo per vincere il suo terzo campionato inglese. Nell'estate del 2013 infatti approda alla Juventus. Il biennio in maglia bianconera rilancia il talento argentino: riesce a vincere due scudetti, una coppa italia e riesce a raggiungere la finale di Champions League uscendone però sconfitto. Poi arriva il momento tanto atteso, il momento del ritorno. Il giorno della sua presentazione la Bombonera è gremita. Tutti si domandano se Carlitos sia in grado di risollevare il Boca dopo le ultime due annate passate in secondo piano rispetto agli eterni rivali del River Plate che sono riusciti a vincere di tutto. Subito dimostra di essere leader della squadra oltre che il preferito della curva. In questo periodo il Boca è imbattibile, riesce a vincere il campionato e soprattutto la valorosa Copa Libertadores grazie proprio alle prestazioni e al carisma dell’Apache. Viene osannato da tutti, sembra un sogno. Nonostante le difficoltà, Carlos Tévez è sempre riuscito ad andare avanti, non dimenticando mai le sue origini e il legame con la propria terra.

David Murdock

di Agata Corrado e Angela Nisticò, 5ALS

Gennaio 2022

Ad essere definito “il miliardario che sogna l'immortalità” è Davide Howard Murdock, la cui storia oggi ha tanto da raccontare. Secondogenito di tre figli, David Murdock nasce l'11 aprile 1923 a Kansas City, nel Missouri. Suo padre era un commesso viaggiatore, sua madre, alla quale era molto legato, ma che un cancro, a soli 42 anni, gliela porta via, lavorava come lavandaia e governante. Cresciuto a Montgomery Township (Ohio) abbandonò l’high school al 9° grado e non si iscrisse al college. Durante la seconda guerra mondiale nel 1943 venne arruolato dall'esercito degli Stati Uniti. Dopo la guerra si trasferì a Detroit, dove visse per un periodo della sua vita nella miseria: un senzatetto, un nullatenente senza famiglia, amici e lavoro. Il suo punto di svolta fu proprio un incontro totalmente casuale con un buon samaritano che, grazie alla sua bontà, gli fece un prestito di 1.200 dollari per acquistare una piccola tavola calda, chiusa ormai da tempo. Non era un cuoco, ma sapeva bene relazionarsi e fare soprattutto i conti: dieci mesi dopo vendette l’attività ottenendo un buon profitto di 700 dollari. Trasferitosi a Phoenix, in Arizona, iniziò a lavorare prima nel settore immobiliare e poi in quello commerciale. Negli anni ‘60, il crollo del mercato immobiliare lo condusse a Los Angeles dove proseguì la sua attività e acquisì nel 1978 il controllo di International Mining. All'inizio degli anni '80 divenne il principale azionista di Los Angeles Occidental Petroleum. Nel 1982, dopo la morte di Charles Cannon, entrò in possesso della Murdock Cannon Mills nel Kannapolis, Carolina del Nord, cedendo l'azienda a Fieldcrest nel 1985. Nello stesso anno Murdock registrò quasi in bancarotta la società hawaiana Castle & Cooke, che possedeva un produttore di ananas e banane, Dole Food Company, e con lo sviluppo di un portafoglio immobiliare migliore trasformò Dole nel più grande produttore mondiale di frutta e verdura, acquisendola privatamente nel 2003 e negoziando al Borsa Valori di New York sotto il ticker DOLE nel 2009. Contribuí alla riqualificazione di un centro di ricerca sulle biotecnologie, il Campus di ricerca della Carolina del Nord. Con pochi soldi e con tanto lavoro David Howard Murdock ha dato così vita al suo impero, oggi rappresentato principalmente dalla Dole Foods Company, la più grande azienda agricola produttrice di frutta e verdura. Il suo patrimonio vale circa 2,7 miliardi di dollari e “il miliardario che sognava l’immortalità” passa alla storia come un grande uomo d’affari che è stato a capo di sei diverse aziende.

Giannis Antetokounmpo

di Francesco Parisi e Andrea Rotiroti, 3ALS

Dicembre 2021

Giannis Antetokounmpo, figlio di immigrati nigeriani, nasce ad Atene il 6 dicembre 1994. La Nigeria dal 1960 è ormai indipendente, non riesce a trovare un equilibrio dal punto di vista politico ed economico e da 30 anni si susseguono colpi di stato. In seguito ad una situazione interna sempre molto traballante, la famiglia Antetokounmpo decide di lasciare la Nigeria e intraprendere una nuova vita in Europa. Così, nel 1992, Charles e Veronica sbarcano in Grecia anche se la vita non è delle più semplici: provano disperatamente ad ottenere la cittadinanza greca, ma la loro condizione di immigrati clandestini non permette loro di ottenere i documenti voluti. A tutto questo si aggiunge il crescente odio razziale che accompagna i fratelli Antetokounmpo fin da bambini. Nonostante le difficoltà Giannis e il fratello Thanatis riescono a distaccarsi e salvarsi da una vita sfortunata grazie ad una passione comune: il basket. All’inizio non è semplice perché non possono permettersi due paia di scarpe, ma da lì la strada sarà tutta in discesa. A notare prima di tutti Thanatis e Giannis è il coach Spiros Velliniatis. L’allenatore ha una mentalità piuttosto aperta rispetto a molti altri concittadini e vedendo giocare Giannis tra i campetti di periferia si innamora del suo talento, intuendo il potenziale nascosto. Inoltre offre un lavoro ai genitori. Antetokounmpo è un giocatore completo. Appena maggiorenne arriva il salto che conta, in Europa: il Saragozza crede nelle sue capacità e gli fa firmare un quadriennale con cifre che solo qualche mese prima Giannis nemmeno immaginava di poter guadagnare. Ma il suo destino non è in Europa, bensì in NBA. Il 2013 è un anno importante: il talento di Giannis fa il giro del mondo e la Grecia decide di assegnare a lui e alla famiglia la cittadinanza ellenica. In vista degli Europei Under-20, Giannis viene convocato in nazionale. Per Antetokounmpo è l’ultima stagione prima dell’arrivo in NBA, il ragazzo si mette in mostra con la maglia della Nazionale Greca raggiungendo un buon quinto posto. Il 28 aprile 2013 Antetokounmpo annuncia la sua partecipazione al Draft NBA. Giannis viene selezionato dai Milwaukee Bucks. Realizza il suo record di punti nella gara contro i Los Angeles Lakers. Vince il NBA Most Improved Player Award, premio assegnato al giocatore che nel corso della stagione si è distinto per un maggior miglioramento. La stagione 2017-18 inizia al meglio per Antetokounmpo: diventa il giocatore dei Bucks con più punti realizzati nelle prime sei partite, superando leggende del club. Nella stagione NBA 2019-20 viene nominato MVP per la seconda volta e Defensive Player of the Year per la prima volta nella sua carriera. Il 7 marzo 2021 vince per la prima volta in carriera l'MVP dell'All Star Game, diventando il primo giocatore di sempre a concludere una partita delle stelle senza errori dal campo e il primo giocatore europeo a vincere tale premio. Nella stagione 2020-2021 Giannis è protagonista della vittoria nelle Finals. Nonostante il grave infortunio subìto durante i playoff, riesce a trascinare la sua squadra alla vittoria finale. Antetokounmpo ha dimostrato di non subire le disgrazie della vita ma di trovare sempre un modo per sopravvivere, arrivando oggi ad essere uno dei più forti e ricchi giocatori dell’NBA.

Marie Curie

di Agata Corrado e Angela Nisticò, 5ALS

Dicembre 2021








“Mi è stato insegnato che la strada per il progresso non è rapida né facile”


Lo sapeva bene Marie Curie, le cui scoperte hanno di certo aiutato a curare molte persone dai tumori più aggressivi, ma per lei sono state fatali. Il suo corpo è sepolto nel Pantheon di Parigi, insieme a quello del compagno di una vita, Pierre Curie, in speciali scatole piombate perché, a distanza di anni, può ancora emanare radiazioni alle quali Marie è stata per lungo tempo esposta nel suo laboratorio e che le hanno provocato una grave forma di anemia aplastica. Il suo vero nome è Maria Sklodowska, una bambina molto seria e dedita allo studio nella Polonia dominata dai Russi della seconda metà del 1800. Già a quattro anni, Maria non fa alcuna fatica a leggere e la sua memoria, la sua sete di sapere e la sua concentrazione la aiutano moltissimo ad affrontare i primi anni di scuola. La morte della madre e di una delle sorelle a causa del tifo acuisce la sua tendenza alla solitudine e alla tristezza, tanto che non riesce a stringere rapporti di amicizia sincera con nessun altro bambino: l’unica confidente è la sorella Bronislawa. A quindici anni ottiene la medaglia d’oro al ginnasio e aderisce ad un gruppo segreto di giovani che sostengono le idee del Positivismo: l’unica fede che coltiva è quella per la scienza e il progresso. Maria vuole laurearsi e diventare una scienziata per migliorare il mondo grazie alla conoscenza, ma nella Polonia dominata dai Russi questo non è concesso alle donne. L’unica soluzione è andare via dalla Polonia, così come avrebbe voluto fare anche sua sorella Bronislawa, che ha l’ambizione di diventare un medico, ma come fare senza alcuna disponibilità economica? Le due sorelle, che sperano nel meglio ognuna per l’altra, fanno un patto: Maria, la più piccola, avrebbe aspettato per coronare il suo sogno e avrebbe lavorato per pagare gli studi alla sorella e Bronislawa, quando sarebbe diventata medico, avrebbe potuto fare lo stesso con Maria. Così Maria lavora come governante presso diverse famiglie e accetterà un lavoro molto lontano da Varsavia. Si innamora del figlio maggiore della famiglia dei Zorawski, Cosimiro, e vorrebbe sposarlo se non fosse per i genitori del ragazzo che si oppongono a questo matrimonio perché non possono accettare che il loro primogenito sposi una ragazza di così povere origini. Nonostante l’umiliazione subita, Maria deve rimanere per altri tre anni a lavorare presso i Zorawski per mantenere Bronislawa. A ventiquattro anni si può finalmente iscrivere alla Sorbona di Parigi, facendosi chiamare Marie, alla francese, e viene ospitata dalla sorella, diventata medico. Proprio in questa città conosce il fisico Pierre Curie, dieci anni più grande di lei: sarà lui il suo compagno di vita e insieme studieranno la pechblenda, un minerale radioattivo dal quale riusciranno a isolare una minuscola quantità di un nuovo elemento chiamato “Polonio”, in onore del paese di origine di Marie. In seguito, i due coniugi scopriranno anche il radio, che sarà il fulcro della tesi di dottorato della scienziata. A Parigi, Pierre e Marie sono considerati dei modelli in tutti i salotti scientifici, ma lei non aspira alla fama. È la prima volta nella storia che una donna ottiene il Premio Nobel per la fisica, tuttavia le sue scoperte non hanno rivoluzionato solo il campo della fisica: nel 1911 ottiene un secondo Premio Nobel, questa volta per la chimica. Alla morte del marito, le viene offerta la cattedra di fisica alla Sorbona e, ancora una volta, è la prima donna ad ottenerla. Marie decide addirittura di non depositare mai il brevetto del processo di isolamento del radio, per lasciarlo ad altri scienziati che avrebbero potuto portare avanti questi studi, rinunciando, però, a parecchi soldi, che avrebbero ripagato una vita di sacrifici e lavoro. La sua vera soddisfazione è stata quella di aver mantenuto fede agli ideali di quella ragazzina sola e triste che credeva fermamente nel progresso della società.

Manoel Francisco dos Santos, Garrincha.

di Francesco Parisi e Andrea Rotiroti, 3ALS

Novembre 2021


Questa è la storia di Garrincha, un giocatore strabico, gobbo, con una gamba un po’ più lunga dell’altra, che con tutti questi difetti riesce a diventare campione del mondo per ben due volte. Nasce a Magé, nei dintorni di Rio de Janeiro, in Brasile, il 28 ottobre del 1933 e a causa di una poliomielite o a causa della malnutrizione dovuta alla povertà di Rio de Janeiro si ritrova ad avere un fisico molto lontano rispetto ai più importanti calciatori dell’epoca. L’infanzia del giovane non è delle migliori. Vive nel quartiere di Pau Grande, insieme alla madre, che morirà quando Garrincha ha solo 16 anni, al padre alcolizzato e a ben quattro fratelli, in una situazione instabile dal punto di vista economico. Il ragazzo nonostante questo riesce ad avere due passioni: la prima è il calcio, vuole diventare un calciatore professionista, mentre la sua seconda passione è cacciare passeri, che nel nord-est Carioca, sono chiamati appunto “Garrincha”; da qui deriva il suo soprannome. Inizia a giocare nella squadra della sua città, che gli permette di avere un piccolo stipendio con cui poter andare avanti. Il ragazzo comincia a farsi notare e il 13 marzo del 1953 lo portano a Rio per un provino al campo del Botafogo. Garrincha gioca ala destra e si trova di fronte il più grande laterale sinistro di ogni epoca, Nilton Santos, che ha un soprannome che dice tutto: Enciclopedia. Nei primi giorni di giugno del 1953 il Botafogo acquista Garrincha per cinquecento cruzeiros, una cifra che equivale a ventisette dollari, la cifra più bassa che sia mai stata scritta su un contratto professionistico nella storia del calcio brasiliano. Garrincha diventa la stella del Botafogo e poi quella della nazionale brasiliana. Prima della spedizione in Svezia per i campionati mondiali del 1958 tutti i giocatori vengono sottoposti a dei test di intelligenza. In un punteggio da 0 a 123 Garrincha totalizza 38 punti. In quel mondiale salta le prime due partite perché la sera prima viene trovato ubriaco. Nella terza, gli bastano solo tre minuti per distruggere letteralmente l’Unione Sovietica.Tutti osannano Pelè per la coppa del mondo vinta, ma la maggior parte dei meriti vanno attribuiti alle prestazioni eccezionali di quel Garrincha. Nei mondiali in Cile, quattro anni dopo, l’infortunio a Pelè nella prima partita responsabilizza ancor di più Garrincha, che fa di tutto per la propria nazione. Nella semifinale con il Cile viene espulso per aver aggredito il difensore Rojas. Per non fargli saltare la finale interviene persino il primo ministro del Brasile chiedendo in nome del popolo brasiliano, il perdono di Garrincha. Quest’ultimo viene assolto, gioca la finale e risulta decisivo nella vittoria finale. In Cile Garrincha vive il suo miglior momento calcistico, ma ben presto inizia la sua discesa. Come il padre, soffre di alcolismo e i compagni non lo aiutano, è lasciato solo. Torna in Brasile e da ubriaco, guidando senza patente, in un incidente ammazza la suocera. Un altro incidente era accaduto anni prima e aveva investito il padre, scampato alla morte per miracolo. Cade in depressione, tenta il suicidio e continua a bere. La sua vita precipita nella miseria e morirà all’alba del 21 gennaio del 1983 a causa dei suoi problemi d’alcool. Il calcio era stato per lui una rivalsa per le sfortune della vita, ma non è bastato per essere felice.

Do Won Chang

di Agata Corrado e Angela Nisticò, 5ALS

Novembre 2021

L’imprenditore coreano Do Won Chang si trasferisce negli Stati Uniti insieme alla moglie Jin Sook nel 1981, confidando nel cosiddetto “sogno americano”: egli aveva sempre creduto che, raggiungendo gli Stati Uniti, avrebbero potuto vivere una vita dignitosa. In realtà, arrivando in un paese sconosciuto, si trova spaesato e, per riuscire a mantenersi, deve fare ben tre lavori: il lavapiatti in una caffetteria per $3 all’ora, l’addetto alle pulizie per un’impresa e il benzinaio. È proprio grazie a questo lavoro che si accorge del fatto che le macchine più belle e costose sono possedute da coloro i quali lavorano nel mondo della moda. Finalmente trova il lavoro che desidera in un’azienda di abbigliamento e si comporta come se fosse lui stesso il titolare: il suo spirito imprenditoriale non passa inosservato agli occhi del suo capo, il quale apprende molte tecniche da lui. Appassionandosi sempre più a quest’universo, apre insieme alla moglie il suo primo negozio di abbigliamento chiamato “Fashion 21”. Solo nel primo anno ha un incremento delle vendite da $35.000 a $700.000, così da ottenere i mezzi economici adatti per aprire altre sedi in città diverse, non solo negli Stati Uniti, persino nella sua patria, la Corea. Do Won Chang cambia in seguito il nome dell’azienda in “Forever 21”, occupando 43.000 persone in più in 700 negozi di 48 paesi diversi e dichiara a Forbes: “Sono venuto qui con quasi niente e avrò sempre gratitudine verso l’America e le sue opportunità”.

Durante la crisi del 2008 riesce ad incrementare il numero di occupati nella sua azienda, dando vita a 7000 nuovi posti di lavoro. Nonostante la grandiosità di Forever 21, sia per le sedi sparse in molteplici paesi, che per le persone impiegate, essa è sempre stata un’azienda a conduzione familiare: Linda ed Esther, figlie di Do Won Chang e Jin Sook, sono rispettivamente la marketing manager e la designer del marchio. Le due sorelle hanno, inoltre, fondato “Riley Rose”, noto marchio di accessori e make up, presentato negli stessi punti vendita di Forever 21. La famiglia Chang, essendo profondamente cristiana, ha anche donato molti dei profitti alla Chiesa e Do Won stesso raggiunge i Paesi del terzo mondo insieme ad altri volontari, per portare avanti missioni di pace. Nel 2010 a Do Won Chang viene assegnato l’Eddy Awards Honoree per essere stato uno degli imprenditori nel mondo della moda ad aver accresciuto più velocemente il suo business. Nel 2017 realizza 4,4 miliardi di vendite, ma negli ultimi anni Do Won Chang è costretto a chiudere alcune sedi e a tagliare le spese a causa della concorrenza, soprattutto online, sempre più spietata. Do Won Chang non si è mai dimostrato preoccupato, anzi ha sempre cercato di superare le difficoltà con ottimismo: “Il traffico nei centri commerciali diminuisce e si incrementano le vendite online, ma siamo pronti ad affrontarlo ormai da parecchio tempo”. Tuttavia non è bastata la speranza e il coraggio di tutta la famiglia Chang ad evitare la crisi che l’azienda ha subito negli ultimi anni. Nonostante la battuta d’arresto, Jin e Do Won, rimangono tra le persone più ricche al mondo con un patrimonio di circa 6 miliardi di dollari e sono l’emblema del fatto che, attraverso la determinazione e il duro lavoro, sia possibile raggiungere risultati impensabili.

Jimmy Butler

di Francesco Parisi e Andrea Rotiroti, 3ALS

Ottobre 2021

La storia di Jimmy Butler è caratterizzata da un’infanzia difficile, un’adolescenza da senzatetto e una forza d’animo incredibile che l’ha spinto ad emergere. Nasce a Houston, nel Texas, e viene abbandonato dal padre prima ancora di nascere. Jimmy vive i suoi primi anni nel sobborgo di Tomball, zona particolarmente malfamata della metropoli texana. Viene buttato fuori di casa dalla madre: “Non mi piace la tua faccia, te ne devi andare”, così gli disse quando ancora era un adolescente. Ma la futura stella della NBA non si è mai data per vinta ed ha evitato le cattive strade per dedicarsi alla sua passione: il basket. A 17 anni frequenta la Tomball High School e fa parte della squadra liceale. Tra i vari compagni conosce un certo Jordan Leslie, che un giorno decide di sfidarlo in una gara da 3 punti e subito si rende conto dell’incredibile talento di Jimmy. Iniziano a frequentarsi, si allenano tutti i giorni insieme, finché un giorno Jordan decide di invitarlo a casa a cena. E’ così che Michelle Lambert, la mamma di Jordan, viene a conoscenza delle difficili condizioni di Jimmy e lo invita a restare a dormire da loro quella notte e anche quelle successive. Jimmy non solo trova una casa in cui vivere, ma anche una vera famiglia. La sua vita cambia radicalmente anche grazie all’amore di Michelle, che considera come la sua vera madre, e Jimmy ripaga tutto il suo affetto dando il massimo in quel che gli riesce meglio: giocare a basket. Ingaggiato dalla prestigiosa Marquette, una delle università più conosciute d’America, alla prima possibilità dimostra il suo incredibile talento. La carriera di Jimmy prosegue per il meglio, si fa apprezzare da tutti i coach per la grinta che mette in campo, per la sua costanza nell'allenamento e soprattutto perché preferisce mettere davanti a tutto la squadra. Nel 2011, a 21 anni, si dichiara eleggibile per il Draft NBA ma, nonostante le ottime prestazioni a Marquette, non è ancora sicuro di essere scelto. Giocando un torneo di giovani promesse, si distingue per le sue prestazioni, risultando il miglior giocatore della manifestazione. Durante il Draft i Chicago Bulls, una delle squadre più titolate di sempre, decidono di selezionarlo. Jimmy Butler è un giocatore NBA. Fino a quel momento aveva nascosto a tutti la sua adolescenza travagliata, né gli allenatori, né gli scout NBA, né i compagni di squadra sapevano dei suoi trascorsi. Ora invece si apre al mondo, parla della sua vita, si racconta. Nel giro di cinque anni Butler è passato dall’essere una riserva dei Chicago al diventare uno dei giocatori più forti e temuti del campionato. Nella stagione 2015-2016 gli viene conferito il premio Most Improved Player, come atleta “più migliorato” dell’intera lega. Dopo esser stato in varie squadre, nel 2019 raggiunge i Miami Heat, sua squadra attuale, sempre giocando delle stagioni da protagonista. Insieme alla sua squadra Butler raggiunge per la prima volta nella sua carriera le “Finals” e, confrontandosi con talenti quali LeBron James e Anthony Davis, dimostra tutto il suo talento, eguagliando e superando diversi record di leggende del basket.

Lerry Ellison

di Agata Corrado e Angela Nisticò, 5ALS

Ottobre 2021

La vita di Larry Ellison è veramente fuori dall’ordinario, quasi da film. Nel 2021, secondo Forbes, è il sesto uomo più ricco al mondo: di certo ha superato gli obiettivi che si era proposto nel 1977 quando, insieme ad altri due soci, investe solamente 2.000$ per fondare l’Oracle Corporation, l’azienda informatica che lo porterà al successo. Ellison fu cresciuto dai due prozii, dai quali prese anche il cognome, dato che i genitori biologici non avevano le possibilità economiche per dargli un’esistenza adeguata: la mamma era una giovane ragazza, poco più che maggiorenne, mentre il padre era un pilota reduce dalla Seconda Guerra Mondiale. A soli nove mesi, il piccolo Larry fu colpito da una polmonite acuta, dalla quale riuscì, per fortuna, a guarire. Il rapporto con il padre adottivo, al contrario di quello con la madre, non fu semplice: a causa anche dei suoi pessimi risultati scolastici, il padre lo screditava e lo denigrava continuamente. La sua carriera universitaria, invece, arrivò al termine al secondo anno, quando venne a sapere della morte improvvisa della madre. Scappò in California, lontano dal padre e da lì dovette provare a volare con le proprie ali. Lui stesso afferma: “Ho avuto tutti gli svantaggi necessari per il successo”, quasi a voler invogliare i suoi “ammiratori” a fare lo stesso, indipendentemente dalla propria condizione sociale o economica. I primi lavori furono precari e, non essendo competente in merito, dovette studiare, da autodidatta, tutto ciò che riguardasse la programmazione informatica. Arrivò, poi, una proposta di lavoro molto più importante, ovvero la creazione di un database richiesto dalla CIA: il nome di questo progetto fu proprio “Oracle”. Deciderà di mettersi in proprio nel 1977, in società con due suoi colleghi, Ed Oates e Bob Miner. Essi, basandosi sull’idea di Edgar Codd, che teorizzava sistemi in grado di archiviare e permettere l’accesso a grandi quantità di dati e informazioni, crearono un database che venne offerto alla CIA. Nonostante questo sistema di archivio dati sia un’idea ormai assodata, a fine anni Settanta era considerata innovativa e contribuì di certo a far compiere un enorme passo avanti al mondo della tecnologia. Fu nel 1983 che l’azienda prese il nome di Oracle Systems Corporation. Da questo momento in poi l’impresa continuò a crescere e ad ottenere sempre più record e successi. Ellison lavorò a stretto contatto con Bill Gates ed entrò a far parte del Cda di Apple e per esercitare una sempre maggiore influenza acquistò anche la Sun Microsystem, nota per aver prodotto il linguaggio di programmazione Java e il MySQL, il database gratuito più utilizzato al mondo. La morale di questa “vita da favola” può essere espressa da una frase dello stesso Larry: “Devi credere in quello che fai per ottenere quello che vuoi”.