Il Convivio è un' enciclopedia incompiuta medievale , rielaborate da Dante in chiave personale. È scritta in volgare e divisa in trattati contenenti temi attinenti, organizzati in forma di commento a canzoni introduttive.
Dante si era dedicato a lungo agli studi filosofici, comprendendo anche la filosofia politica. Uno dei principali maestri in questo campo fu Brunetto Latini, ricordato anche nella Commedia, ma non vanno dimenticati gli studia fiorentini (quello francescano a Santa Croce, quello domenicano a Santa Maria Novella). Decide così di scrivere un’enciclopedia del sapere umano, che si impegni ad acculturare in particolari i signori italiani in modo da combattere la corruzione dilagante.
Il titolo dell'opera è spiegato dall'autore stesso nel primo capitolo del Convivio: Dante intende apparecchiare un banchetto (da qui il titolo dell'opera) metaforico, offrendo agli ospiti gli argomenti del sapere. Intende condividere il sapere con quante più persone possibile, e per questo sceglie di utilizzare il volgare, in modo da comunicarlo anche a chi non ha una solida preparazione culturale. Questa lingua viene ancora dichiarata inferiore al latino, ma dotata di potenzialità capaci di metterla allo stesso livello delle lingue classiche. Dato che le canzoni sono in volgare, fare seguire ad esse un commento in latino sarebbe stato disomogeneo; inoltre permette le lettura anche a coloro che non conoscono il latino e con il volgare vuole mettere in evidenza le capacità di questa lingua.
L’opera è un prosimetro (come la Vita Nova) formato da 15 trattati che commentano delle canzoni di Dante stesso, interpretate o reinterpretate in modo allegorico. Questa struttura formale giustifica la scelta del volgare per la trattazione, poiché non è pensabile che il commento, cioè la parte secondaria rispetto alle canzoni, sia in una lingua più alta (il latino) delle canzoni stesse. I trattati veri e propri avrebbero dovuto essere quattordici, poiché il primo è proemiale; di essi sono compiuti solo i primi quattro.
Grazie ad altri riferimenti, è possibile datare l'inizio della stesura dell'opera nel 1304 circa. Il lavoro è però rimasto incompiuto a causa dell'inizio della composizione della Divina Commedia. Riassunto Dell'opera Nell'opera si trovano digressioni di tipo scientifico, storico, culturale, politico e filosofico su vari argomenti. Il primo trattato funge da introduzione, dove Dante spiega qual è lo scopo dell'opera e ne giustifica il titolo. Evidenzia soprattutto la scelta di un nuovo pubblico per un'opera di carattere dottrinario, per tutte le persone che abbiano sincero desiderio di conoscere. Collegata a questa scelta è l'adozione del volgare, riferibile alle competenze linguistiche del pubblico, che non conosce il latino, riservato agli intellettuali. Nel secondo e terzo trattato, Dante introduce la canzone con la spiegazione del criterio utilizzato nell'interpretare la poesia.
Dante spiega poi che dopo la morte di Beatrice, egli cercò di consolarsi con la filosofia, e decise di fare della “Donna Gentile” la rappresentante della Filosofia. Il quarto trattato abbandona i temi precedenti e pone al centro dell'attenzione pone il significato di nobiltà, escludendo una relazione tra nobiltà e nascita. La vera nobiltà è un dono esclusivamente divino, che l'uomo deve completare esercitando le sue virtù.
Al trattato proemiale, in cui vengono spiegati gli obiettivi dell’opera e la scelta del volgare, segue il trattato II, che commenta la canzone Voi che ‘ntendendo il terzo cielo movete, e tratta un tema astronomico (numero e natura dei cieli) e angelologico.
Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete,
udite il ragionar ch’è nel mio core,
ch’io nol so dire altrui, sì mi par novo.
El ciel che segue lo vostro valore,
5gentili creature che voi sete,
mi tragge ne lo stato ov’io mi trovo.
Onde ’l parlar de la vita ch’io provo,
par che si drizzi degnamente a vui:
però vi priego che lo mi ’ntendiate.
10Io vi dirò del cor la novitate,
come l’anima trista piange in lui,
e come un spirto contra lei favella,
che vien pe’ raggi de la vostra stella.
Suol esser vita de lo cor dolente
15un soave penser, che se ne gia
molte fiate a’ pie’ del nostro Sire,
ove una donna gloriar vedia,
di cui parlava me sì dolcemente
che l’anima dicea: "Io men vo’ gire".
20Or apparisce chi lo fa fuggire
e segnoreggia me di tal virtute,
che ’l cor ne trema che di fuori appare.
Questi mi face una donna guardare,
e dice: "Chi veder vuol la salute,
25faccia che li occhi d’esta donna miri,
sed e’ non teme angoscia di sospiri".
Trova contraro tal che lo distrugge
l’umil pensero, che parlar mi sole
d’un’angela che ’n cielo è coronata.
30L’anima piange, sì ancor len dole,
e dice: "Oh lassa me, come si fugge
questo piatoso che m’ha consolata!"
De li occhi miei dice questa affannata:
"Qual ora fu che tal donna li vide!
35e perché non credeano a me di lei?
Io dicea: ’Ben ne li occhi di costei
de’ star colui che le mie pari ancide!’
E non mi valse ch’io ne fossi accorta
che non mirasser tal, ch’io ne son morta".
40"Tu non se’ morta, ma se’ ismarrita,
Il trattato III commenta Amor che nella mente mi ragiona. Il tema è l’amore per quanto riguarda il commento letterale, mentre nella parte allegorica si tratta dei limiti della conoscenza umana: ciò che non può essere percepito dai sensi (ad esempio Dio) non può essere perfettamente conosciuto in questa vita. L’uomo tuttavia potrebbe avere un desiderio illimitato di conoscenza e quindi essere infelice; ma Dante spiega che tale desiderio è limitato alle cose che si possono effettivamente conoscere.
Amor che ne la mente mi ragiona
de la mia donna disiosamente,
move cose di lei meco sovente,
che lo ’ntelletto sovr’esse disvia.
5Lo suo parlar sì dolcemente sona,
che l’anima ch’ascolta e che lo sente
dice: "Oh me lassa! ch’io non son possente
di dir quel ch’odo de la donna mia!"
E certo e’ mi conven lasciare in pria,
10s’io vo’ trattar di quel ch’odo di lei,
ciò che lo mio intelletto non comprende;
e di quel che s’intende
gran parte, perché dirlo non savrei.
Però, se le mie rime avran difetto
15ch’entreran ne la loda di costei,
di ciò si biasmi il debole intelletto
e ’l parlar nostro, che non ha valore
di ritrar tutto ciò che dice Amore.
Non vede il sol, che tutto ’l mondo gira,
20cosa tanto gentil, quanto in quell’ora
che luce ne la parte ove dimora
la donna di cui dire Amor mi face.
Ogni Intelletto di là su la mira,
e quella gente che qui s’innamora
25ne’ lor pensieri la truovano ancora,
quando Amor fa sentir de la sua pace.
Suo esser tanto a Quei che lel dà piace,
che ’nfonde sempre in lei la sua vertute
oltre ’l dimando di nostra natura.
30La sua anima pura,
che riceve da lui questa salute,
lo manifesta in quel ch’ella conduce:
ché ’n sue bellezze son cose vedute
che li occhi di color dov’ella luce
35ne mandan messi al cor pien di desiri,
che prendon aire e diventan sospiri.
In lei discende la virtù divina
sì come face in angelo che ’l vede;
e qual donna gentil questo non crede,
40vada con lei e miri li atti sui,
Quivi dov’ella parla si dichina
un spirito da ciel, che reca fede
come l’alto valor ch’ella possiede
è oltre quel che si conviene a nui.
45Li atti soavi ch’ella mostra altrui
vanno chiamando Amor ciascuno a prova
in quella voce che lo fa sentire.
Di costei si può dire:
gentile è in donna ciò che in lei si trova,
50e bello è tanto quanto lei simiglia.
E puossi dir che ’l suo aspetto giova
a consentir ciò che par maraviglia;
onde la nostra fede è aiutata:
però fu tal da etterno ordinata.
55Cose appariscon ne lo suo aspetto
che mostran de’ piacer di Paradiso,
dico ne li occhi e nel suo dolce riso,
che le vi reca Amor com’a suo loco.
Elle soverchian lo nostro intelletto,
60come raggio di sole un frale viso:
e perch’io non le posso mirar fiso,
mi conven contentar di dirne poco.
Sua bieltà piove fiammelle di foco,
animate d’un spirito gentile
65ch’è creatore d’ogni pensier bono;
e rompon come trono
li ’nnati vizii che fanno altrui vile.
Però qual donna sente sua bieltate
biasmar per non parer queta e umile,
70miri costei ch’è essemplo d’umiltate!
Questa è colei ch’umilia ogni perverso:
costei pensò chi mosse l’universo.
Canzone, e’ par che tu parli contraro
al dir d’una sorella che tu hai;
75che questa donna che tanto umil fai
ella la chiama fera e disdegnosa.
Tu sai che ’l ciel sempr’è lucente e chiaro,
e quanto in sé, non si turba già mai;
ma li nostri occhi per cagioni assai
80chiaman la stella talor tenebrosa.
Così, quand’ella la chiama orgogliosa,
non considera lei secondo il vero,
ma pur secondo quel ch’a lei parea:
ché l’anima temea,
85e teme ancora, sì che mi par fero
quantunqu’io veggio là ’v’ella mi senta.
Così ti scusa, se ti fa mestero;
e quando poi, a lei ti rappresenta:
dirsi: "Madonna, s’ello v’è a grato,
90io parlerò di voi in ciascun lato".
Il trattato IV discute il tema della nobiltà, con un excursus sulla storia dell’impero che prelude alle posizioni della Monarchia e poi della Commedia.