Altitudine: 638 m s.l.m.
Superficie: 34,55 km^2
Abitanti: 3.100
Patrono: San Nicola (6 dicembre)
CAP: 83040
Prefisso telefonico: 0825
Codice ISTAT: 064032
Codice catastale: D638
L'origine del nome non è chiara. Secondo alcuni deriva da una famiglia normanna, "Forma" che abitò questi luoghi. Secondo altri potrebbe derivare dal termine frumentum per indicare l'abbondanza del grano presente in zona. Quest'ultima ipotesi è avvalorata anche dallo stemma del Comune che riporta due spighe di grano. Nello stemma civico sono rappresentati però anche due fiumi, quindi il nome potrebbe derivare anche dal latino flumen, fluminis (fiume).
Flumeri si trova sul dorso di una collina a 638 m. sul livello del mare. Il suo territorio è circondato da due fiumi: l’Ufita e il Fiumarella che, anticamente, venivano chiamati rispettivamente Lavella e Bufata.
Dopo la caduta dell’Impero Romano e il turbolento passaggio dei Bizantini e dei Longobardi, troviamo Flumeri appartenente alla Baronia di Vico, nella seconda metà dell’XI secolo quando era signore il Normanno Gradilone, figlio di Riccardo de Forma, Principe di Capua. Dopo meno di un secolo, la sede di residenza della Baronia e del suo Signore fu spostata da Trevico a Flumeri. Allora il centro, che aveva già un castello munito di mura con due porte che si aprivano una ad Est, detta Porta della Vittoria, di cui se ne conservano ancora dei resti all’inizio del paese; e una a Nord, detta Porta di Santa Maria, venne fortificato diventando una vera e propria roccaforte a guardia delle vallate sottostanti. Accanto al castello sorgeva un Convento Francescano che si dice fosse stato fondato dallo stesso Poverello d’Assisi. Dopo i Normanni vennero gli Svevi e in un secondo tempo gli Angioini. Le successive lotte tra Angioini e Aragonesi trovarono Flumeri totalmente coinvolto. Nel 1461, infatti, fu cinta d’assedio dagli Aragonesi e le sue mura furono bombardate. Nel 1507, Ferdinando Il Cattolico diede il paese in Feudo a Consalvo di Cordoba, il Gran Capitano delle armate spagnole, per ricompensarlo della conquista del Regno di Napoli. A questi succedettero i D’Aquino, Marchesi di Corato, i Carafa ed i De Cardines, Marchesi di Laino, che nel 1624 lo vendettero a Giovanbattista De Ponte, il cui figlio Trifone si fregiò del Titolo di Duca di Flumeri. Il feudo passò successivamente ai Cavaniglia, Marchesi di San Marco ed infine ai Caracciolo di San Vito. Nel 1656 il paese fu colpito da una gravissima pestilenza: i suoi abitanti da 750 si ridussero a poco meno di 300. A partire dal XVIII secolo, Flumeri fu coinvolta nelle vicende storiche che interessarono la Baronia, in particolare, e il resto dell’Italia risorgimentale e post unitaria.
Una delle grandi manifestazioni di arte popolare a Flumeri, che si tramanda da diverse generazioni, effettuata in occasione della festa di San Rocco, come segno di fedeltà dei flumeresi verso il loro Protettore è senza dubbio quella della costruzione del Giglio.La parola Giglio significa “Offerta di primizie” ed intorno ad esso, s’intrecciano i valori dell’amicizia e del legame alle tradizioni. Nel lontano passato, il Giglio era dedicato alla dea Cerere, legato certamente alle origini pagane dei riti caratterizzati dall’offerta dei prodotti della terra. Nel 1600, quando la popolazione flumerese scese da 600 a 240 persone, a causa della peste, i cittadini si misero sotto la protezione di San Rocco, sicuri che il Santo proteggesse oltre che dalla peste da altre disgrazie e malanni. I flumeresi ritenevano, infatti, che, in occasione dei disastrosi terremoti che investirono l’area, Flumeri e la sua popolazione fossero stati risparmiati dalla catastrofe per intercessione del Santo. Si racconta, tra l’altro, che un certo Maglione Rocco, in una calda notte di luglio, durante uno dei suoi abituali viaggi con il traino da San Nicola Baronia ad Ariano Irpino, s’imbatté in un uomo che, dal Campo Comune, vicino all’antico Portone, guardava verso il paese. Il Maglione chiese allo sconosciuto il motivo della sua presenza in quel luogo a quell’ora, (erano circa le tre del mattino) e si sentì rispondere: “Sto a guardia di questo paese e dei suoi abitanti”. Questo aneddoto spiega il motivo per cui il Giglio è stato dedicato verso il Santo Taumaturgo di Montpellier. Il giglio è un robusto castelletto di travi di legno, che man mano si ristringono fino a raggiungere l’altezza di circa 30 metri e ogni anno la forma dei pannelli subisce qualche lieve modifica per esigenze legate al rinnovamento estetico. Tra la fine di Giugno e gli inizi di Luglio si raccolgono i covoni (gregne) offerti dagli agricoltori del luogo e si depositano in località Campo Comune, destinato a luogo della loro lavorazione. Nel frattempo i “carristi”, cioè gli addetti alla struttura del giglio, iniziano il montaggio, mentre le donne raggruppano le spighe per forma, grandezzae colore, da mettere al macero per meglio modellarle in rapporto alla loro destinazione: la formazione, cioè, di catene intrecciate destinate alla decorazione del Giglio. A questo lavoro partecipano varie squadre di giovani, impegnati nella gara del Palio: verrà infatti aggiudicato un premio al migliore assemblaggio decorativo.Ultimata la decorazione col grano, segue la fase dell’ Alzata,che si svolge di solito tra l’8 ed il 10 di Agosto.La cerimonia dell’alzata precede di qualche giorno la traslazione, che avviene il 15 agosto.La prima operazione consiste l’attacco delle funi alla struttura del Giglio e alla distribuzione di esse ai partecipanti delle funi legate all’obelisco. Segue l’assegnazione di scale, di travi, di forcali e di quant’altro serva a spingerla versol’alto e a puntellarla nelle pause del suo sollevamento. I momenti più duri della fase sono quelli che precedono il raggiungimento dei 50 gradi di pendenza rispetto al suolo, affidato esclusivamente alla forza delle braccia degli uomini. La fatica finisce quando le ruote del Giglio, prima in posizione orizzontale, poggiano a terra. E’ allora che diventa facile far assumere all’obelisco la posizione verticale, grazie all’azione delle funi anteriori e posteriori ed alla residuale spinta delle travi e delle scale che prima lo sostenevano. Il tutto si svolge nell’arco di tre-quattro ore, dalle 17,30 alle 20,30, sotto la coordinazione di un regista delle manovre che dirige tutte le operazioni tranquillizzando, allo stesso tempo, i più scettici.Una volta alzato, l’obelisco resta nel luogo dove è stato costruito per circa cinque- sei giorni.La fase più spettacolare, nel pomeriggio del 15 agosto, giorno della festività della Madonna Assunta, riguarda il trasporto del giglio lungo il centro abitato, fino a raggiungere Via Olivieri, dove si trova la chiesa di S. Rocco. Il giglio viene trasportato da un trattore, che col tempo ha finito col sostituire i buoi, mentre i “funisti” (coloro che tirano il Giglio conle funi) cercano di equilibrare le continue oscillazioni dell’obelisco, che viene depositato davanti la chiesa di San Rocco, dove rimane per tutto il mese di agosto; centinaia di giovani contribuiscono al trasporto mantenendo dritto il Giglio con poche funi. Il 16 agosto una processione porta la statua di S. Rocco per le vie del paese. Su questa effigie gli abitanti attaccano delle banconote. La sera ha luogo lo spettacolo pirotecnico.Il Giglio resterà nel luogo d’ancoraggio sino ai principi di Settembre quando verrà smontato: prima vien fatto cadere lentamente a terra da una gru e poi viene smontato dai “carristi” che staccano dalla struttura portante tutti i pannelli i quali vengono interamente distrutti o donati a chi si mostra desideroso di conservarli per proprio conto, turisti e non. Alla realizzazione del Giglio partecipano, ancora oggi, molti giovani, adulti, anziani, uomini, donne e bambini, tutti devoti di San Rocco, che collaborano alla costruzione dell’obelisco con genuina e autentica fede, che può spiegare l’enorme sacrificio e le tante ore di lavoro spese in onore del Santo.