DOMANDA = CONSUMO + INVESTIMENTO
Il volume dell’occupazione è determinato dal principio della domanda effettiva: se la domanda di beni di consumo e di beni di investimento è alta la produzione aumenta fino a soddisfarla completamente; se la domanda diminuisce la produzione si riduce.
La domanda effettiva di consumi e di investimenti determina dunque il livello di produzione che, a sua volta, determina il livello di occupazione.
Se le imprese non sono propense a investire perché non vedono prospettive di vendita dei loro prodotti, allora potrebbe farlo lo Stato attraverso la socializzazione degli investimenti.
L’intervento dello Stato attraverso la socializzazione degli investimenti fu la soluzione individuata da Keynes (1936) al problema della disoccupazione.
Ai nostri giorni la socializzazione degli investimenti (salvo per ragioni di particolare gravità) non è attuabile per via del Patto di Stabilità e di Crescita che obbliga gli Stati dell’eurozona a disciplinare la spesa pubblica e il debito pubblico (il deficit non deve superare il 3% del Pil e il debito pubblico deve rimanere al di sotto del 60% del Pil).
Occorrerà trovare una nuova via per stimolare la domanda, diversa da quella dell’investimento, per risolvere il problema della disoccupazione generazionale.
La popolazione con la maggiore propensione potenziale al consumo è quella dei trentenni, i nativi digitali. Sono proprio loro che necessitano di case, elettrodomestici, automobili, servizi per l’infanzia, scuole per bambini e quant’altro, molto più dei sessantenni che di tali nuovi consumi non hanno bisogno.
Mentre la variabile che influenza gli investimenti è il tasso di interesse, la variabile che influenza il consumo è invece la tassa (ovvero le imposte): più le tasse sono alte, minore è il reddito disponibile e minore sarà la spesa per consumi. Pertanto, poiché l’economia è già rallentata a causa di investimenti ridotti al lumicino, per evitare di rallentare ulteriormente l’economia fino quasi ad arrestarla, è essenziale non penalizzare i consumi con l’aumento delle imposte (quelle dirette come l’IRPEF e quelle indirette come l’IVA), poiché per riavviare l’economia sarà necessario far leva proprio sui consumi.
Tuttavia, resta un'impresa ardua evitare di aumentare le imposte, disinnescare l'attivazione delle clausole di salvaguardia. E qui entrano in gioco le strategie economiche.
Le strategie economiche (i piani di intervento da attuare nell'arco di tre anni) si basano su calcoli numerici ottenuti con simulazioni al computer risolvendo centinaia di equazioni in cui compaiono decine di variabili esogene (fissate ad hoc) che vengono "calibrate" (cioè tarate) sulla base di quanto è accaduto in passato. Ebbene, allora quei modelli sono in grado di prevedere il passato, ma non il futuro, perché le condizioni del presente sono culturalmente, tecnologicamente, scientificamente, socialmente, geograficamente, giuridicamente differenti da quelle del passato (è vero che le variabili esogene hanno la funzione di introdurre nelle simulazioni proprio i cambiamenti citati, che vengono chiamati "shock", ma ciò, tuttavia, non fuga il dubbio che le variabili esogene siano davvero efficaci nel riprodurre i fenomeni in maniera deterministica anche in presenza di equazioni stocastiche, contenenti cioè variabili aleatorie — per inciso, la Banca d'Italia usa ben 100 equazioni stocastiche su 800 equazioni per le simulazioni di scenari macroeconomici). Inoltre, in presenza di un debito pubblico elevato, di tensioni politiche accese e di aspettative sociali alle stelle, con tutta onestà intellettuale è ipotizzabile che diventi fortissima la tentazione di tarare le variabili esogene in modo da fare convergere le previsioni verso i risultati attesi (crescita del Pil, aumento dell'occupazione, riduzione del debito pubblico).
Ancora prima di elaborare una strategia economica occorre sviluppare una visione economica: "la disoccupazione generazionale dovrà sparire dalla nostra società".
Per attuare tale visione, è necessario far leva sul Consumo, perché fare leva sull'Investimento (come suggerisce Keynes) non è possibile in quanto gli Stati dell'eurozona sono vincolati dal Patto di Stabilità e di Crescita. La strategia da elaborare è quella relativa allo scenario peggiore: il caso peggiore (the worst case) è il caso in cui le imposte aumentino.
La soluzione per espandere i consumi anche in presenza di aumenti di imposte, tasse e accise è di fare entrare nel mondo del lavoro i trentenni. Ma le aziende non sono propense a investire e, in più, si trovano con una forza lavoro in esubero a causa dell’automazione e della disintermediazione (principalmente nelle banche e nelle assicurazioni, dove il lavoro dei dipendenti viene in pratica trasferito sui clienti attraverso il sempre più diffuso ricorso ai servizi fai da te che poggiano sulle tecnologie digitali. Ma l'automazione si sta rapidamente diffondendo anche nei supermercati con le casse automatiche, utilizzando le quali i clienti prendono il posto dei cassieri — ovviamente senza essere pagati per questo). Tali aziende sono in attesa che si concretizzino le condizioni per poter alienare la forza lavoro in esubero.
Per consentire l’ingresso nel mondo del lavoro dei trentenni, occorre quindi fare in modo che i sessantenni prossimi alla pensione escano dal mondo del lavoro. Si favorirebbe in tal modo il ricambio generazionale. A causa degli esuberi, il ricambio generazionale non porterà alla sostituzione 1:1 tra un sessantenne in uscita dal mondo del lavoro e un trentenne in entrata nel mondo del lavoro.
Le principali misure governative varate con la Legge di Bilancio 2019, “Reddito di cittadinanza” e “Pensione anticipata Quota 100”, sono misure valide perché tendono a stimolare i consumi, ma vengono attuate gravando sul bilancio dello Stato. Il ricambio generazionale, in particolare, viene attuato da un lato con il mancato versamento di contributi relativamente alti, di coloro che vanno in pensione dopo trentotto anni di lavoro, che servono a pagare le pensioni di quanti sono già in pensione; dall’altro, con nuovi contribuiti di nuovi lavoratori che non sono sufficienti, per quantità numerica e per valore dell’importo, a compensare l’esborso per le nuove pensioni anticipate.
Occorrerà quindi trovare un mezzo per finanziare il ricambio generazionale senza causare deficit per le casse dello Stato.
Viviamo nell’era digitale, in una nazione a elevata propensione al digitale, in un’economia digitale, ed è quindi naturale pensare di potere trovare nel digitale il mezzo per attuare la soluzione.
La moneta digitale cui si fa riferimento va intesa come scrittura su un registro gestito dallo Stato (lo stesso meccanismo adottato dalle banche).
La moneta digitale da utilizzare come mezzo per finanziare il ricambio generazionale NON è la criptovaluta nota a tutti (es. bitcoin).
A differenza delle banche che tramite l’erogazione di crediti creano denaro dal nulla (e perciò privo di valore intrinseco), il valore della moneta digitale di Stato sarà ancorato a risorse fisiche lavoro e capitale: un nuovo lavoratore che entra nel mondo del lavoro verrà retribuito per il suo lavoro con moneta digitale e quindi verrà creata, corrispondentemente, nuova moneta digitale; la moneta digitale non potrà essere scambiata in borsa, non produrrà altra moneta digitale tramite il meccanismo di interessi, sarà in formato solo digitale (no cartamoneta), verrà utilizzata per il pagamento di imposte e tasse e quindi avrà valore legale (legal tender, accettata per legge), sarà utilizzabile per il pagamento delle pensioni e per le compensazioni tra crediti/debiti tra Stato e imprese e tra Stato e famiglie, sarà utilizzabile solo entro i confini nazionali.
Tutte le transazioni eseguite tramite moneta digitale tra imprese e imprese, tra imprese e famiglie e tra privati saranno tracciate a livello centrale.
Il tracciamento delle transazioni impedirà di fatto l’evasione fiscale e consentirà di recuperare annualmente centoundici miliardi di euro dall’economia sommersa.
Il ricambio generazionale potrà essere quindi finanziato con centoundici miliardi di euro all’anno.
Sebbene non se ne abbia consapevolezza, è da più di quarant’anni che nei Centri di Elaborazione Dati si utilizza la moneta digitale come moneta complementare parallelamente alla moneta bancaria.
Per procedere a ulteriori verifiche degli effetti derivanti dalla doppia circolazione della moneta, è possibile sperimentare la doppia circolazione della moneta con esperimenti di economia in vivo utilizzando il Centro di Elaborazione Dati come laboratorio quale modello in scala ridotta della nazione.
La moneta digitale di Stato sarà senza interessi (e perciò non sarà interessante per le banche), non sarà scambiabile in borsa (e quindi non sarà preda di speculatori finanziari), il suo valore sarà stabile nel tempo e tutto ciò porrà l’economia nazionale al riparo da crisi finanziarie. Nell’economia nazionale non sarà presenta un’economia finanziaria, eccetto quella basata sull’euro che farà da cuscinetto tra l’economia nazionale e l’economia internazionale.
Lo Stato stabilirà come scambiare la moneta digitale di Stato con l’euro; il lavoratore potrà scegliere se essere retribuito dal suo datore di lavoro totalmente in moneta digitale oppure parte in moneta digitale e parte in euro (il pagamento delle imposte, tasse, tributi, ticket per prestazioni sanitarie, pagamento di multe, avverrà comunque in moneta digitale).
L’economia nazionale fondata sul lavoro, basata sulla moneta digitale, sarà a tutti gli effetti un’economia basata sul baratto: reddito (da lavoro/pensione) in cambio di moneta digitale, per scambio di moneta digitale con beni reali.
In fondo, è tutto ciò che occorre a 16 milioni di pensionati che ricevono una pensione 1.500 euro lordi al mese (per 12 mensilità), e a 23 milioni di lavoratori occupati che guadagnano invece 1.580 euro netti al mese (tutti i valori si riferiscono all'anno 2017).