Sulla Economatica
POST N. 3
domenica 15 settembre 2019 ore 14:26
«Ma è la stessa cosa!»
«No, non è la stessa cosa. Modi diversi di scrivere la stessa equazione significano cose diverse».
Era l’anno 1999. Un mio collega (informatico come me) esclamò: «Ma è la stessa cosa!»
«No, non è la stessa cosa», risposi io. E aggiunsi: «Modi diversi di scrivere la stessa equazione significano cose diverse».
L’esclamazione del mio collega scaturiva dal fatto che io sostenevo che l’equazione X=(1/R)N è diversa dall’equazione N=XR non solo nella forma ma anche nella sostanza. Sostenevo che modi diversi di scrivere la stessa equazione, pur essendo equivalenti dal punto di vista matematico, hanno tuttavia significato differente.
L’equazione N=XR è la legge di Little (una legge molto importante in campo informatico, ma non solo in campo informatico) e afferma che: il numero medio di richieste N in un sistema è uguale al throughput X di quel sistema per il tempo medio R speso dalla richiesta nel sistema.
L’equazione X=(1/R)N (che è una delle equazioni fondamentali dell’Economatica, per cui mi stava a cuore enfatizzarne la diversità rispetto alla legge di Little) è la legge del prodotto marginale decrescente e afferma che: il numero medio di utenti N attivi nel sistema determina il throughput X del sistema; al crescere di N cresce X, ma, al tempo stesso, diminuisce la produttività 1/R degli utenti, che riduce la crescita di X, per cui al crescere di N il throughput cresce a un tasso decrescente.
Le mie argomentazioni non furono sufficienti a convincere il mio collega del fatto che modi diversi di scrivere la stessa equazione significano cose diverse (ancora oggi incontro difficoltà nel convincere chi ha alle spalle studi di Fisica).
Mi ripromisi di indagare più a fondo sul modo in cui le equazioni vengono scritte. Nel 2009 scoprii il libro La leggerezza dell’essere. La massa, l’etere e l’unificazione delle forze di Frank Wilczek, Premio Nobel per la Fisica nel 2004. In questo libro c’era quello che cercavo:
La considerazione profonda è che modi diversi di scrivere la stessa equazione possono suggerire cose molto diverse, anche se sono logicamente equivalenti. La seconda legge di Einstein è: m=E/c2. La prima, naturalmente, è E=mc2. Com’è noto, la prima legge suggerisce la possibilità di ottenere grandi quantità di energia da piccole quantità di massa. Vengono in mente i reattori nucleari e le bombe atomiche. La seconda legge di Einstein suggerisce qualcosa di completamente diverso. Suggerisce la possibilità di spiegare come avviene che la massa emerge dall’energia. «Seconda legge» non è un nome appropriato, in realtà. Nell’articolo originario di Einstein del 1905, non si trova l’equazione E=mc2. Si trova m=E/c2 (forse, quindi, la dovremmo chiamare zeresima legge di Einstein). Di fatto, il titolo dell’articolo è una domanda «L’inerzia di un corpo dipende dal suo contenuto di energia?» In altre parole: è possibile che una parte della massa di un corpo derivi dall’energia della materia che contiene? Fin dall’inizio Einstein pensava ai fondamenti concettuali della fisica, non alla possibilità di costruire bombe o reattori.Il concetto di energia è molto più fondamentale del concetto di massa per la fisica moderna. Ciò si manifesta in molti modi. È l’energia, non la massa, a conservarsi. È l’energia a comparire nelle equazioni fondamentali, come quella di Boltzmann per la meccanica statistica, quella di Schrödinger per la meccanica quantistica e quella di Einstein per la gravità.
La mia affermazione in base alla quale modi diversi di scrivere la stessa equazione significano cose diverse trovava dunque conferma nelle autorevoli parole di Frank Wilczek. Ciò è di fondamentale importanza per l’Economatica. È fondamentale riportare nelle equazioni le variabili nelle loro corrette posizioni, seguendo le convenzioni in uso nella letteratura scientifica in cui la variabile indipendente è collocata sul lato destro dell’equazione, mentre la variabile dipendente è collocata sul lato sinistro dell’equazione. Seguendo tale convenzione, si rende esplicitamente chiara, evidente quale variabile determina l’altra.
Non tutte le equazioni dell’Economatica, però, seguono la convenzione in uso nella letteratura scientifica: questo perché alcune equazioni economatiche sono espresse secondo il formalismo delle equazioni economiche in cui spesso (ma non sempre) la variabile indipendente è posta sul lato sinistro dell’equazione mentre la variabile dipendente è posta sul lato destro dell’equazione. Ho provato a spiegarmi la ragione per cui gli economisti non seguono sempre le convenzioni in uso nella letteratura scientifica. Tornerò su questo argomento in un altro POST. Ad ogni modo, quando è necessario evitare l’ambiguità, in Economatica viene riportata, accanto all’equazione, l’annotazione di quale variabile è funzione di altre.
POST N. 2
giovedì 22 agosto 2019 ore 20:10
«Perché nessuno ha avuto la tua stessa idea?»
Era l’anno 2000. Un mio collega (informatico come me) mi domandò: «Perché nessuno ha avuto la tua stessa idea? O sei un genio, o la tua idea non vale niente».
Poiché non sono un genio, ne conseguiva che la mia idea non doveva valere nulla.
Ho riflettuto a lungo sulla domanda del collega, e solo qualche anno dopo sono riuscito a trovare la risposta. In effetti, quando un’idea si afferma è perché già da tempo è nell’aria, pensata da diversi studiosi; poi, qualcuno di loro riesce a sintetizzarla in modo convincente e riceve l’approvazione di tutti gli altri. Così fu per Einstein. Sulla teoria della relatività ristretta ci stava lavorando il matematico francese Poincaré nel 1904, ma fu Einstein nel 1905 a esprimerla in termini fisici e a raccogliere in tal modo i consensi di altri fisici. Sulla teoria della relatività generale ci stava lavorando anche il matematico tedesco Hilbert, ma fu ancora Einstein nel 1915 a esprimerla in termini fisici e, ancora una volta, a raccogliere i consensi degli altri fisici.
Per quanto riguarda il mio caso invece (lungi da me la pretesa di paragonare il mio caso a quello di Einstein), nel 1991, e ancora nel 2000, non c’era nessuno che stesse lavorando su come applicare i modelli economici al processo di elaborazione dei dati (eravamo nel pieno fermento iniziale della tecnologia internet, e in rete non trovavo alcun riferimento alla mia ricerca economico–informatica).
E allora sorge la domanda: perché nessuno, oltre me, ha mai pensato di applicare i modelli economici ai processi informatici?
La risposta che mi sono dato è la seguente: si sarebbe dovuta verificare una rara combinazione di fattori.
Occorreva:
1) conoscere in maniera approfondita il funzionamento del sistema operativo IBM MVS che gestisce gli elaboratori mainframe (non un qualsiasi altro sistema operativo, di qualsiasi altro costruttore di computer; ma proprio l’MVS di IBM);
2) svolgere la professione di sistemista mainframe ed essere specialista di tuning e capacity planning per Centri di Elaborazione Dati di grandi dimensioni;
3) nutrire un interesse profondo per l’economia e, in particolare, per la modellistica economica e, ancor più in particolare, per la macroeconomia e i modelli macroeconomici;
4) avere la possibilità di utilizzare il mainframe per la ricerca e ottenere la reportistica idonea a verificare i modelli economico–informatici oggetto della ricerca;
5) avere una forte attitudine e passione per la ricerca, ovvero curiosità, tenacia, coraggio e, soprattutto, un metodo speciale, lo stesso che guidò Einstein nella sua ricerca scientifica: adottare come criterio di verità la combinazione di semplicità, simmetria, armonia, eleganza (ciò che per Dirac sarà “la bellezza come metodo”) e avere una fiducia incrollabile nelle proprie convinzioni, anche quando queste sembrano, apparentemente, in contraddizione tra loro;
6) avere un pensiero libero, capace di andare anche contro corrente, come fece Einstein, che, quand’era un impiegato dell’Ufficio Brevetti di Berna, sconvolse la fisica trasformando i concetti di spazio e di tempo da assoluti a relativi, per cui, quanto più ci si avvicina alla velocità della luce, tanto più il metro si accorcia e tanto più l’orologio gira lentamente; oppure come fece Bill Phillips, che, quand’era ancora un tecnico elettronico (electronic engineer) ma già con la prospettiva di diventare un economista, scosse l’economia mettendo in evidenza che nel modello della domanda e dell’offerta (il più potente strumento di analisi degli economisti) non era possibile porre sullo stesso asse cartesiano, contemporaneamente, sia la quantità (uno stock) che la sua variazione nel tempo (un flusso), proprio come non è possibile collocare sullo stesso asse, contemporaneamente, sia lo spazio che la sua variazione nel tempo (la velocità);
7) partecipare a un evento scatenante, che fa scoccare la scintilla del "perché non" (perché non applicare i modelli economici anche al processo di elaborazione dei dati?). Una scintilla da cui ha origine "un pensiero abbagliante".
POST N. 1
giovedì 22 agosto 2019 ore 20:44
«Perché non?... ». Origini dell’Economatica
Era febbraio 1991. Seguivo una lezione serale di economia politica del corso di studi di Scienze Politiche all’Università Statale di Milano.
Mentre la professoressa sintetizzava gli obiettivi dello Stato e della banca centrale in termini di elevato Pil, elevata occupazione e bassa inflazione, mi resi conto che tali obiettivi erano gli stessi che avevo io come capacity planner. I termini informatici che usavo erano differenti, ma nella sostanza coincidevano con quelli economici: elevato throughput, servizio a tutti gli utenti che lo richiedevano, bassi tempi di risposta.
La professoressa passò rapidamente in rassegna i principali modelli macroeconomici. Ricordo che rimasi colpito dalla loro elevata capacità di sintesi e dalla loro semplicità. Pensai che, se fossi riuscito a utilizzare i modelli macroeconomici in luogo dei modelli informatici, mi sarebbe stato anche più facile comunicare i risultati dei miei studi di capacity planning ai miei capi e, soprattutto, ai Clienti ai quali prestavo consulenza informatica.
E allora pensai: perché non applicare i modelli economici anche ai processi di elaborazione dei dati?
Era febbraio 1991. La scintilla che avrebbe dato origine all’Economatica era appena scoccata.