17 Dicembre 2021 alle 13:25 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Stefano1961, lei ci ricorda che siamo il Paese dell’anno.
L’ansa.it titola: “The Economist incorona Draghi, ‘Italia Paese dell’anno’”. Sottotitolo: “Ma attenzione se il premier dovesse andare al Quirinale’.
Come tutti sanno, la Storia non si ripete. Ma gli uomini amano ripetere la Storia.
La Storia ci racconta dell’economista Luigi Einaudi, governatore della Banca d’Italia, divenuto il secondo Presidente della Repubblica italiana. Siamo intorno all’anno 1946, una data molto lontana perchè ci si possa ricordare di Luigi Einaudi, riconosciuto (riporto le parole dell’economista Sergio Ricossa) “grande come moralista, brillante espositore dei principi morali applicati all’economia, un valente divulgatore perché grande giornalista, e finalmente merita di essere ricordato come colui che salvò la lira nel 1946, quando eravamo arrivati al raddoppio dei prezzi in un anno”.
Sergio Ricossa continua: “Einaudi era all’epoca governatore della Banca d’Italia, e si fece nominare anche Ministro del Bilancio, il nuovo Ministero che aveva lo scopo di riunire tutto il controllo della politica economica e finanziaria”.
Ancora Sergio Ricossa: “Einaudi ebbe tutti contro: i sindacati, che temevano la disoccupazione, gli industriali, che temevano il crollo della produzione, gli economisti, che ormai erano quasi tutti keynesiani, soprattutto i giovani.”
Così conclude Sergio Ricossa riferendosi a Einaudi: “Vinse la sua battaglia, ma venne fatto fuori subito, nel modo migliore in cui può essere eliminata una persona scomoda: venne promosso. Fu nominato Presidente della Repubblica – allora il Presidente della Repubblica non si occupava molto degli affari politici – e così gli tolsero le cariche operative, cessò di essere ministro e governatore della Banca d’Italia”.
Io credo che: 1) se Mario Draghi diventerà presidente della Repubblica italiana; 2) se nel resoconto di Sergio Ricossa scrivessimo il nome di Mario Draghi al posto di Luigi Einaudi; 3) avremmo la conferma che gli uomini amano ripetere la Storia.
Personalmente propendo per Mario Draghi come Presidente del Consiglio dei Ministri fino al 2023 e oltre (anche fino al 2026). Per una semplice ragione: egli è responsabile del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Quindi, è sua, e solamente sua, la responsabilità di portare a termine tale Piano.
6 Dicembre 2021 alle 13:17 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Dunque, leggendo l’articolo di Stefano Rodinò mi pare di capire questo:
1) chi ha il green pass “rafforzato” può accedere a tutti i servizi che vuole
2) chi ha il green pass “base” può accedere ad una parte di servizi, per esempio, treni, metro e tram
3) chi il green pass non ce l’ha, non può accedere ad alcun servizio, nemmeno attaccarsi al tram
Ci è noto da tempo che il Governo si avvale di consulenze (chi non conosce, per esempio, la preziosissima consulenza della super esperta Prof.ssa Elsa Fornero offerta, tra l’altro, a titolo gratuito! Proprio lei, che da economista dovrebbe sapere che “non si servono pasti gratis” per cui ogni lavoro DEVE essere retribuito. Ma lasciamo correre). Ebbene, mi domando se il Governo per redigere le nuove regole non abbia chiesto (a titolo gratuito, si intende, visto che la Prof.ssa Fornero ha creato il precedente) anche la consulenza di un super esperto di Trenitalia.
Il dubbio mi viene perchè la distribuzione delle classi di servizio riservate ai cittadini in base al non avere il green pass, o all’avere il green pass “base” o “rafforzato”, assomiglia molto alle classi di servizio in vigore sui Frecciarossa: Classe di Servizio Standard (dove non hai diritto a niente, nemmeno alle noccioline), Business (dove ti danno il giornale a tua scelta – quando ce l’hanno), ed Executive (dove non so cosa ti danno perché non ci sono mai stato).
Dunque, come li vogliamo trattare i no-vax e i no-green pass? Come Arlecchino che prende bastonate da entrambi i padroni (da un parte il Governo, e dall’altra i pro-vax-pro-green pass)?
Come vogliamo vedere i virologi e gli infettivologi che si presentano in video ubriachi di notorietà a informare, suggerire, consigliare i no-vax ubriacandoli di parole affinché si convincano a vaccinarsi? Rafforzando, ovviamente, l’effetto contrario!
Siamo passati in due anni dal “Tutto andrà bene” a “Tutto è una farsa”!
Sì, perché siamo riusciti a trasformare, dal Paese di Pulcinella che tanto amiamo, una cosa seria (la vaccinazione) in una cosa semi seria (il green pass, pardon, la “Certificazione verde Covid-19” scritta, ovviamente, in colore blu).
Ma tutto ciò, nella farsa che noi tutti cittadini stimo recitando (chi bene, chi male), in fondo ci può anche stare (ma, detto sottovoce, a me ‘sta farsa non mi piace proprio).
3 Dicembre 2021 alle 16:32 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Lei mi sorprende, sig. Antonio, per la sua capacità di leggere nella mente degli altri, come quella del lettore Ettore e pure della mia.
Lei asserisce che il commento del sig. Ettore è rivolto al titolo dell’articolo. Non posso obiettare. Prendo atto della sua capacità di saper leggere il pensiero del sig. Ettore.
Lei asserisce che ciò che legge in questo articolo lo ha letto in altri articoli e quindi non le sembra che possano essere mie parole.
Le do pienamente ragione sul fatto che i contenuti di questo articolo possano allinearsi a quelli di altri articoli, non c’è dubbio su questo. Molte persone pesano allo stesso modo.
Ma mi rincresce di doverla smentire quando asserisce che non le pare che possano essere mie parole. Eccome, se lo sono!
Ma vede, sig. Antonio, la questione non è su “cosa si dice”, ma su “cosa occorre fare”.
Molti politici, sindacalisti, Associazioni dicono che bisogna andare in pensione a 62 anni, che bisogna aumentare le pensioni di invalidità, che bisogna sostenere l’occupazione. Va bene! Lo dico anch’io! E allora?
Ebbene non ho ancora sentito da un economista, da un politico, da un sindacalista, da un rappresentate di qualche Associazione “come fare”, che “ricetta economica” adottare.
Io la ricetta economica da adottare ce l’ho: utilizzare la moneta digitale di Stato (ma non sto qui a discuterne con lei, perché non è argomento da discutere su questo sito).
Ma attenzione, sig. Antonio, non venga a dirmi che anche qui sto dicendo le cose che dicono gli altri. Forse sono proprio gli altri a dire le cose che dicevo io anni fa, quando la parola “digitale” era pressoché a tutti poco conosciuta. Per esempio ciò che dice la BCE riguardo all’euro digitale. La BCE ci sta pensando adesso nel 2021. La moneta digitale io l’ho pensata già trent’anni fa, nel 1991!
Le dirò di più. Alle ore 21.17 di ieri, giovedì 2 dicembre 2021, ho espressamente approvato l’intervista che mi ha fatto la Dott.ssa Venditti. Anche qui, me lo lasci dire, mi sbalordisce questa sua capacità di catturare gli eventi che sono nell’etere, quando afferma, per esempio, “Non bisogna fare tardi la sera Dottoressa….”.
Sig. Antonio, io non so cosa lei stesse facendo alle ore 21.17 di ieri, perché non sono un veggente come lei. Ma le posso assicurare che sia la Dott.ssa Venditti che io eravamo ancora a lavoro sulla intervista.
Eravamo al lavoro, sig. Antonio. Al lavoro. Una parola, credo, che abbia perso significato e valore.
3 Dicembre 2021 alle 15:52 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Lei ha ragione, sig. Ettore, mancano le cifre.
Ci siamo talmente abituati ai numeri che abbiamo identificato le persone con i numeri stessi, trattiamo le persone come numeri e ci siamo perfino dimenticati che dietro quei numeri ci sono delle persone.
Dietro ogni numero c’è una persona.
Le svelo un segreto, sig. Ettore: lasci perdere le cifre (che a quelle già ci pensa il Governo), lasci perdere i numeri (che a quelli già ci pensano gli statistici) e vedrà che le apparirà la persona.
È soprattutto delle persone che bisogna tenere “conto”. Non tanto (o comunque non solo) dei numeri e delle cifre.
Per quanto riguarda l’attendibilità dei contenuti dell’articolo, posso solo dirle che sono mie opinioni, e quindi potrebbero essere a suo giudizio errate.
Di solito non esprimo “opinioni”, ma “argomentazioni” che sostengo con il formalismo matematico (perché lì è molto difficile scardinare le argomentazioni).
Ma mi dica la verità, caro Ettore, lei ce la vedrebbe su questo sito una mia argomentazione in termini matematici? Una trattazione soprattutto sulla moneta digitale di Stato che è la vera soluzione sia al problema delle pensioni, al problema del lavoro, al problema della povertà?
Francamente, sig. Ettore, io non ce la vedrei. E allora, non potendomi esprimere come vorrei, accetto con simpatia il suo giudizio negativo sulle mie opinioni (se non altro, perchè lei ha dedicato parte della sua attenzione alla lettura di questa intervista).
2 Dicembre 2021 alle 17:33 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Salvatore (primo), mi spiega in che modo lei deduce dal mio ragionamento che (utilizzo le sue stesse parole) “sarebbe molto meglio ridurle le pensioni invece che aumentarle”?
Potrebbe anche avere ragione lei, potrebbe anche darsi che nel mio ragionamento ci sia quello che abbia visto lei, ma io, mi perdoni, non riesco proprio a vedere quello che lei vede.
Credo che sia profondamente sbagliato dire che le “tasse diminuiscono”. Io credo che si usi dire così, per fare meglio capire alla gente che avranno più soldi in tasca.
Ciò che accade veramente è questo: le tasse vengono “distribuite” in maniera diversa, attraverso la rimodulazione delle aliquote fiscali, facendo pagare più tasse a chi guadagna di più, e facendo pagare meno tasse a chi guadagna di meno.
In tal modo le entrate fiscali dello Stato, nel loro complesso, dovrebbero rimanere invariate. Quindi lo Stato non ci perderebbe nulla e continuerebbe ad erogare i servizi come ha sempre fatto.
Ma cosa accade quando le persone diventano “più ricche”? Accade che banche e imprese (in primis, ma anche i piccoli esercenti), notando che la gente ha maggiore capacità di spesa, aumenteranno i prezzi dei loro servizi e prodotti. Le spiego in poche righe il mio “punto di vista” (che però, le anticipo, non trova riscontro in quella branca dell’economia che si chiama “economia comportamentale”).
Si ricorda, sig. Salvatore (primo) quando negli anni Settanta c’era la scala mobile? Ebbene, quando i prezzi al consumo aumentavano (inflazione anche al 10-20% all’anno), aumentavano anche i salari. Poi la scala mobile è stata abolita, perché si innescava il processo vizioso in base al quale l’aumento dei salari portava ad un nuovo aumento dei prezzi.
Personalmente ritengo che nella “economia complessa” valga il principio di “causalità circolare”, ovvero la causa determina l’effetto, che retroagisce sulla causa che agisce sull’effetto che retroagisce sulla causa… e così via.
Ecco quindi il mio principio (lo chiami pure, se vuole, “principio di Perfetto”, con la lettera “p” di “principio” minuscola giusto per precisare che sono solo io a pensarla così e nessun altro) che si fonda sulla causalità circolare: “se l’aumento dei prezzi porta all’aumento dei salari, avverrà pure che l’aumento dei salari porterà all’aumento dei prezzi”.
È un principio. Non è necessario dimostrarlo. È così, sic et simpliciter (come avrebbe detto il nostro caro Prof Cazzola, amante tra i pochi amanti della nostra gloriosa perduta lingua latina).
Ecco, sig. Salvatore (primo), c’è tutto questo dietro la sua deduzione dal mio pensiero “sarebbe molto meglio ridurle le pensioni invece che aumentarle?”
Perciò, ripeto: quando le imprese notano che la gente ha maggiore capacità di spesa, le imprese tendono ad aumentare i prezzi dei loro beni e servizi.
Ad ogni modo aspettiamo pure qualche mese. Vediamo se aumenteranno o no i costi di gestione dei conti correnti e delle linee telefoniche. Attenzione! Non sto parlando dell’aumento dei beni e servizi (come energia e gas) determinati dall’aumento delle risorse primarie (come il petrolio ecc.), ovvero da quello che si chiama “shock negativo dell’offerta”. Sto parlando di aumenti derivanti dalla maggiore capacità di spesa (cosa ben diversa dal cosiddetto “shock” dell’offerta).
Se l’aumento non ci sarà, il mio principio (che non è sostenuto da alcuna dimostrazione matematica) verrà invalidato dall’esperienza diretta (come avvenuto con il quinto postulato di Euclide).
30 Novembre 2021 alle 15:30 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Stefano Rodinò ci invita a commentare “queste novità sull’aumento delle pensioni”.
L’aumento delle pensioni è solo una illusione monetaria. In termini reali non ci sarà alcun aumento.
Le banche e gli operatori telefonici (giusto per fare un esempio), vedendo che le persone entreranno in possesso di maggiore denaro, aumenteranno i canoni di gestione dei conti correnti e delle linee telefoniche.
Pertanto, l’aumento delle pensioni (ma anche l’aumento degli stipendi) verrà eroso dagli aumenti dei prezzi dei servizi.
Chi crede che sia possibile ridurre le tasse, soprattutto con un elevato debito pubblico come quello che oggi abbiamo, pecca di ingenuità.
Certo, il Governo può benissimo ridurre le tasse “centrali”, ma aumenteranno quelle “locali” di Regioni e Comuni.
È un grave errore da parte del Governo ridurre le tasse nelle condizioni di elevata incertezza in cui oggi ci troviamo. Infatti, la maggiore liquidità degli italiani, a causa di un forzato arresto dei consumi dovuto al Covid, andrà solo ad aumentare i depositi sui conti correnti (che in febbraio 2021 ha toccato quota di oltre 1.700 miliardi di euro). Le banche non desiderano avere così tanta liquidità sui depositi, e quindi alzeranno i costi di gestione dei depositi.
Con la riduzione delle tasse ci guadagnano solo banche e imprese. I cittadini non guadagnano e non perdono nulla (in apparenza).
A perderci, perché avrà meno entrate e quindi aumenterà il debito pubblico, sarà solo lo Stato (e quindi noi cittadini, in realtà).
29 Novembre 2021 alle 20:04 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Emilio D’Agostino, il quadro che ci ha descritto ci è, purtroppo, ben chiaro.
Nel nostro Paese è difficile creare occupazione per le persone abili. Lo è molto di più per le persone disabili.
Se il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Ministro della Disabilità si dovessero incontrare faccia a faccia per trovare la soluzione al problema dell’occupazione delle persone disabili, ebbene io credo che rimarrebbero a lungo a fissarsi l’un l’altra senza proferire alcuna parola.
Più che il Governo, fanno le associazioni di volontariato e la Caritas. Ma non è certo solo un’opera di assistenza umana che l’essere umano desidera ricevere. Ancora prima dell’assistenza, si desidera l’esistenza, l’essere ciò che si è: un essere umano, con le proprie aspirazioni, con la propria dignità individuale e sociale.
La verità è che alla gente del Palazzo importa poco della gente che vive ai margini della società. Importa loro talmente poco che non interessa nemmeno recuperare fondi dalle slot machine, dai giochi d’azzardo, dalle sigarette, per poterli destinare al miglioramento della vita sociale di queste persone che la società ha abbandonato a se stesse.
Si è parlato di voler riformare il reddito di cittadinanza e di potenziare le politiche attive per il lavoro. C’è solo da sperare che a qualcuno venga una brillante idea da regalare al Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e al Ministro della Disabilità in modo che nel loro incontro faccia a faccia non rimangano in silenzio e che facciano (sue parole) “funzionare l’offerta lavorativa verso il mondo della disabilità”.
29 Novembre 2021 alle 19:21 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
È vero, sig. Baldini, manca la volontà di cambiare le cose. Nell’essere umano c’è una innata resistenza al cambiamento. Il Parlamento e il Governo sono fatti da essere umani, e quindi anche a loro manca la volontà di cambiare le cose.
L’essere umano agisce, perché è spinto ad agire. L’essere umano agisce perché è spinto ad agire dalle circostanze.
Con i soldi che verranno risparmiati per RDC e per pensioni di deceduti a causa del Covid si potrebbero fare diverse cose per gli invalidi civili. Ma non verrà fatto! Perché no? La risposta l’ha già data lei, sig. Baldini: manca la volontà di farlo.
Si può cambiare la legge sul reddito del coniuge. Ma non verrà fatto. Manca la volontà di farlo.
Se lo si vuole, i soldi si trovano. Ma non lo si vuole, manca la volontà di farlo.
C’è una sola volontà in grado di smuovere il Parlamento, il Governo e le Istituzioni: la volontà di un popolo che crede nella solidarietà sociale e che esprime questo suo credo attraverso un referendum popolare.
29 Novembre 2021 alle 15:47 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Il Governo e il Ministro per la disabilità Erika Stefani non sono gli interlocutori con i quali relazionarsi. Essi possono solo rispondere: “diteci dove trovare i soldi per l’aumento delle pensioni di invalidità per il range 74-99%, e noi le aumenteremo”.
L’interlocutore a cui rivolgersi è il Parlamento.
Il Parlamento opera per attuare la volontà del popolo, e si avvale del Governo come braccio operativo.
Occorre indirizzare al Parlamento la richiesta di indire un referendum in cui chiedere direttamente al popolo se è d’accordo nell’aumentare le tasse per reperire i fondi con i quali aumentare le pensioni di invalidità.
Non esistono altre strade percorribili. Se esistessero, il Governo le avrebbe già percorse.
19 Novembre 2021 alle 12:00 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig.ra Lina, ci sono logiche che sembrano sfuggire alla nostra comprensione perché non conosciamo completamente i razionali su cui tali logiche si fondano.
Il Governo sa bene che con 287 euro al mese non si riesce a vivere. Ma non riesce a fare di meglio. Ciò che il Governo fa, ciò che le Istituzioni fanno, è il meglio che si riesca a realizzare.
Abbiamo economisti e giuristi che sanno che c’è gente senza lavoro e famiglie in povertà assoluta. Ma non sono in grado di trovare le ricette giuste per dare lavoro alla gente e benessere alle famiglie. Do cosa si può loro incolpare? Di non avere conoscenze adeguate?
Ma la domanda fondamentale è questa, sig.ra Lina: malgrado tutto, riuscirò a farcela?
La mia personale risposta è: sì. Malgrado tutto.
P.S.: le posso assicurare, sig.ra Lina, che gli extracomunitari in tutto ciò non c’entrano proprio nulla. Non sono loro a privare del giusto, ma è il Governo a non dare il giusto.
18 Novembre 2021 alle 15:38 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Igor, la moneta digitale di Stato non vuole affatto essere una cosa di poco conto.
Avrà certamente letto che il Governo ha intenzione di abbassare il pagamento in contanti da duemila a mille euro. Il motivo è di contrastare l’evasione fiscale. Quindi, la tendenza è di rafforzare il pagamento con le carte elettroniche (per tutti, e non solo per gli invalidi).
Avrà anche sentito che la banca Fineco non desidera accettare conti correnti sui quali sono giacenti importi superiori ai centomila euro. Le banche vogliono che le persone investano i loro soldi, perché le banche non vedono le persone come risparmiatori, ma come investitori. Se la liquidità sui depositi aumenta, tutte le banche aumenteranno i costi di gestione (in parte l’hanno già fatto).
Qui entra in gioco la moneta digitale di Stato, gestita dallo Stato, attraverso le sue strutture (Cassa Depositi e Prestiti, e Poste italiane). Tale moneta digitale (che non è una criptovaluta tipo bitcoin) non è né più e né meno che la moneta che usa qualsiasi banca, che si chiama “moneta scritturale”.
Con tale moneta digitale di Stato di tipo scritturale si pagherebbero le tasse, le multe, le pensioni, gli stipendi. La userebbero tutti, e quindi nessuno saprebbe se uno è invalido o no.
Poiché la moneta digitale di Stato, di tipo scritturale, potrà circolare solo in Italia (per evitare conflitti di competenze con la BCE), la si potrà spendere solo in Italia, e quindi non può essere portata all’estero. Inoltre, tutte le transazioni verrebbero tracciate (proprio come oggi si fa con la moneta elettronica bancaria) e quindi l’evasione fiscale verrebbe inibita a monte e non a valle (tramite controlli). Recuperando i soldi dall’evasione fiscale si potranno finanziare le pensioni di invalidità (a prescindere dal loro grado) ben oltre le 578 euro mensili.
Infine, tra cinque anni cominceremo a vedere l’euro digitale. Quindi prima o poi le banconote scompariranno.
Lasciamo che lo Stato si occupi delle imprese e delle famiglie (dell’economia reale), e lasciamo invece che le banche si occupino degli investitori e degli speculatori (economia finanziaria).
13 Ottobre 2021 alle 17:13 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Marco, non si irriti. Onestamente, non ne vale proprio la pena commentando un semplice commento.
Non so che lavoro lei faccia. Ma non è importante saperlo.
Ci sono stati momenti in cui io, per esempio, ho dovuto analizzare problemi, trovare soluzioni, organizzare incontri, stendere progetti, pianificare attività, coordinare risorse, monitorare lo stato di avanzamento delle attività, trovare il sistema per far lavorare le persone, appianare le divergenze, mediare tra fornitori, clienti, personale, risorse finanziarie.
A volte mi venivano le lacrime agli occhi non già per la commozione (glielo assicuro), ma per lo sforzo intenso che faceva il mio cervello che doveva trovare soluzioni impossibili a problemi impossibili (in matematica si chiamerebbe “quadratura del cerchio”, ovvero trovare un cerchio di raggio “r” (erre) la cui area sia equivalente all’area di un quadrato di lato “l” (elle). È un problema senza soluzione. Il che vuol dire: NON è affatto un problema, perché ogni problema DEVE avere la propria soluzione).
Altre volte, invece, dovevo fare solo ciò che mi veniva detto di fare. Che sollievo! Non dovevo più fare scelte, raggiungere compromessi, prendere decisioni, per realizzare piani anche contro la mia volontà.
Dal suo commento posso solo immaginare il lavoro che lei fa: è quel tipo di lavoro in cui ti dicono “Tu non devi pensare. Devi solo fare ciò che ti io dico di fare”. Non lo trova rilassante?
Morale: prima di giudicare male gli altri e dire loro “vergogna!”, giudica bene te stesso, e scoprirai che è meglio restare in silenzio (questo vale anche per me).
Lei, sig. Marco, porta il nome di un evangelista. Forse ricorderà che “chi è senza peccato….”, lascio la continuazione a lei che senz’altro conoscerà.
4 Ottobre 2021 alle 14:53 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Marco, non si irriti. Onestamente, non ne vale proprio la pena commentando un semplice commento.
Non so che lavoro lei faccia. Ma non è importante saperlo.
Ci sono stati momenti in cui io, per esempio, ho dovuto analizzare problemi, trovare soluzioni, organizzare incontri, stendere progetti, pianificare attività, coordinare risorse, monitorare lo stato di avanzamento delle attività, trovare il sistema per far lavorare le persone, appianare le divergenze, mediare tra fornitori, clienti, personale, risorse finanziarie.
A volte mi venivano le lacrime agli occhi non già per la commozione (glielo assicuro), ma per lo sforzo intenso che faceva il mio cervello che doveva trovare soluzioni impossibili a problemi impossibili (in matematica si chiamerebbe “quadratura del cerchio”, ovvero trovare un cerchio di raggio “r” (erre) la cui area sia equivalente all’area di un quadrato di lato “l” (elle). È un problema senza soluzione. Il che vuol dire: NON è affatto un problema, perché ogni problema DEVE avere la propria soluzione).
Altre volte, invece, dovevo fare solo ciò che mi veniva detto di fare. Che sollievo! Non dovevo più fare scelte, raggiungere compromessi, prendere decisioni, per realizzare piani anche contro la mia volontà.
Dal suo commento posso solo immaginare il lavoro che lei fa: è quel tipo di lavoro in cui ti dicono “Tu non devi pensare. Devi solo fare ciò che ti io dico di fare”. Non lo trova rilassante?
Morale: prima di giudicare male gli altri e dire loro “vergogna!”, giudica bene te stesso, e scoprirai che è meglio restare in silenzio (questo vale anche per me).
Lei, sig. Marco, porta il nome di un evangelista. Forse ricorderà che “chi è senza peccato….”, lascio la continuazione a lei che senz’altro conoscerà.
1 Ottobre 2021 alle 23:16 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Roberto, credo che finalmente siamo arrivati alla “finestra” di cui lei parla.
La sua ostinazione mi ha talmente colpito che mi sono detto: “forse sto analizzando la questione dalla prospettiva sbagliata. Ovvero, dalla prospettiva Fornero e non dalla prospettiva di Roberto”.
Ho quindi deciso di approfondire la questione delle “finestre” e sono approdato ad una spiacevole conclusione che le dirò alla fine di questo commento.
Nel suo commento lei fa esplicitamente riferimento a “decreto 4/2019 (Quota 100)” (sue parole).
In tale decreto le finestre, effettivamente, ci sono. Tali finestre sono trimestrali, e si riferiscono sia alla “pensione anticipata Quota 100”, che alla “pensione di vecchiaia anticipata 42.10”.
In effetti, quello che è accaduto è che il Decreto-Legge 28 gennaio 2019, n.4 del Governo Conte I (al quale lei, sig. Roberto, fa riferimento) ha modificato il comma 10 dell’articolo 24 del Decreto-Legge 6 dicembre 2011, n. 201 del Governo Monti (al quale facevo riferimento io).
In altri termini, il Governo Conte I ha re-introdotto il concetto di “finestra” che la Riforma Fornero aveva invece cancellato. In pratica, il Governo Conte I invece di cancellare la Riforma Fornero l’ha ulteriormente aggravata.
Di tutto ciò, sig. Roberto, ho l’onestà intellettuale di dirle che questa modifica peggiorativa alla Riforma Fornero mi era passata del tutto inosservata (e, posso immaginare, sarà passata inosservata anche a molti altri).
Ma procediamo con ordine.
DECRETO-LEGGE 28 gennaio 2019, n. 4.
Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni.
Capo II
TRATTAMENTO DI PENSIONE ANTICIPATA «QUOTA 100» E ALTRE DISPOSIZIONI PENSIONISTICHE
Art. 14.
Disposizioni in materia di accesso al trattamento di pensione con almeno 62 anni di età e 38 anni di
Contributi
1. In via sperimentale per il triennio 2019-2021, gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria e alle forme esclusive e sostitutive della medesima, gestite dall’INPS, nonché alla gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, possono conseguire il diritto alla pensione anticipata al raggiungimento di un’età anagrafica di almeno 62 anni e di un’anzianità contributiva minima di 38 anni, di seguito definita «pensione quota 100». Il diritto conseguito entro il 31 dicembre 2021 può essere esercitato anche successivamente alla predetta data, ferme restando le disposizioni del presente articolo. Il requisito di età anagrafica di cui al presente comma, non è adeguato agli incrementi alla speranza di vita di cui all’articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
….
5. Gli iscritti alle gestioni pensionistiche di cui al comma 1 che maturano dal 1° gennaio 2019 i requisiti previsti al medesimo comma, conseguono il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico trascorsi tre mesi dalla data di maturazione dei requisiti stessi.
PRIMA SINTESI: la pensione anticipata Quota 100 ha una finestra di tre mesi. La pensione decorre dal quarto mese successivo alla maturazione del requisito (es.: chi matura il requisito il 31/12/2021, consegue il diritto al trattamento pensionistico dall’ 1/04/2022).
Passiamo ora alla pensione anticipata 42.10
Art. 15.
Riduzione anzianità contributiva per accesso al pensionamento anticipato indipendente dall’età
anagrafica. Decorrenza con finestre trimestrali
1. Il comma 10 dell’articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, è sostituito dal seguente:
«10. A decorrere dal 1° gennaio 2019 e con riferimento ai soggetti la cui pensione è liquidata a carico dell’AGO e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima, nonché della gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, l’accesso alla pensione anticipata è consentito se risulta maturata un’anzianità contributiva di 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Il trattamento pensionistico decorre trascorsi tre mesi dalla data di maturazione dei predetti requisiti».
SECONDA SINTESI: la pensione di vecchiaia anticipata 42 anni e 10 mesi di contribuzione ha una finestra di tre mesi. La pensione decorre dal quarto mese successivo alla maturazione del requisito (es.: chi matura il requisito il 31/12/2021, consegue il diritto al trattamento pensionistico dal 1/04/2022).
Torniamo a lei, sig. Roberto.
Lei si domanda se decadendo Quota 100 decadrà la finestra trimestrale anche per 42.10. Temo proprio di no. A meno che la Prof.ssa Fornero, che è consulente nel Governo Draghi, non proponga di rimuovere la finestra, intervenendo ancora una volta a fare ordine nel caos generato dai Governi precedenti.
Ciò che ho scoperto affrontando l’analisi che lei, sig. Roberto, mi ha spinto a fare è questo: chi voleva cancellare la Riforma Fornero l’ha invece ulteriormente aggravata.
Se davvero la mia analisi è corretta, se davvero non mi è sfuggito qualche altro comma di qualche altro articolo di qualche altra legge di qualche altro Governo, devo dire che mi spiace scoprire quanto sia facile ingannare la gente sapendo di essere in mala fede.
28 Settembre 2021 alle 18:05 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
La finestra dei tre mesi di Quota 100 dipende da quando si va in pensione.
Supponiamo che:
– si maturino i requisiti proprio il giorno del 31 dicembre 2021
– si voglia andare in pensione l’1 luglio 2022
– il rapporto di lavoro termini il 30 giugno 2022
Presentando la domanda di pensionamento di Quota 100 l’1 aprile 2022, si potrà andare in pensione proprio l’1 luglio 2022, senza dover aspettare l’1 ottobre 2022 (la finestra dei tre mesi è stata già maturata dalla data di maturazione dei requisiti: 31/12/2021).
Porto il mio caso. Avevo maturato i requisiti per Quota 100 già in febbraio 2019. Ho inoltrato tramite il Patronato la domanda di pensionamento Quota 100 in luglio 2020, fissando la data di pensionamento per l’1 gennaio 2021. La domanda è stata elaborata dall’Inps a metà novembre 2020 (perché l’INPS prende in esame la pratica di pensionamento un mese e mezzo prima della data di pensionamento indicata). L’1 febbraio 2021 l’Inps ha cominciato a corrispondermi la pensione versandomi la rata 2 (febbraio 2021) unitamente alla rata 1 (arretrato di gennaio 2021).
In pratica, da quando ho lasciato il lavoro (31/12/2020) a quando ho cominciato a percepire la pensione (1/2/2021) sono stato senza entrate solo per un mese.
Nota per le Partite IVA (io ho lavorato 32 anni da dipendente e 9 anni da autonomo a partita IVA): solitamente le fatture vengono saldate a 60-90 giorni dalla data emissione fattura (dipende ovviamente dal contratto che si stipula con il proprio committente). Per evitare possibili conflittualità con la pensione Quota 100 (che vincola a non percepire più di 5.000 euro lordi a fronte di una prestazione di lavoro, qualora si percepisca già la pensione Quota 100, pena l’immediata sospensione dell’erogazione pensionistica), è bene fare in modo (concordando con il proprio committente) che le fatture vengano incassate tutte prima della data indicata di pensionamento (io incassavo a 60 giorni dalla data emissione fattura e, poiché sarei andato in pensione l’1/1/2021, ho concordato con il mio committente – prima di indicare nella domanda di pensione la data di pensionamento – di potere incassare tutte le mie fatture entro il 31/12/2020).
E’ bene che i lavoratori a Partita Iva si confrontino con il proprio commercialista su come fare per evitare conflittualità tra incasso fatture e pensione Quota 100. E’ anc he bene che ci si confronti con il proprio datore di lavoro/committente e con il Patronato (perché ogni pensionando sembre essere un caso a sè).
27 Settembre 2021 alle 16:36 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Salvatore (primo) le do la spiegazione che mi chiede riguardo a ““perché molti studi scientifici — così si sostiene — affermano che l’aumento del tasso di occupazione degli anziani favorisce l’aumento del tasso di occupazione giovanile””.
Per darle la spiegazione, mi permetta di proporle uno stralcio che riprendo dalla mia esperienza epistolare con la Presidenza del Consiglio dei Ministri (Governo Conte) e con la Prof.ssa Elsa Fornero.
Il giorno domenica 11 ottobre 2020, alle ore 16:08 scrissi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri una lunga mail dove, tra l’altro, asserivo testualmente: “Occorre innanzitutto liberare i posti di lavoro oggi occupati dai sessantenni, una forza lavoro del tutto inadeguata a supportare la trasformazione digitale oggi in corso”.
Nello stesso giorno, domenica 11 ottobre 2021 alle ore 19:12, la Prof.ssa Elsa Fornero mi scrisse una mail in cui mi diceva testualmente. “Consiglio vivamente la lettura di questo lavoro scientifico di Banca d’Italia”.
Si trattava di un Working Paper (così si chiamano i lavori di natura scientifica che tendono a sollecitare una discussione informale prima di essere inviati ad una rivista scientifica) che mette in risalto l’effetto delle riforme pensionistiche su sostituzione giovani/anziani.
Il Working Paper della Banca d’Italia, dal titolo: “Workforce aging, pension reforms and firm outcomes”, by Francesca Carta, Francesco D’Amuri and Till von Wachter, Number 1297, September 2020, è un testo di 68 pagine contenente formule (non molte per la verità) e corredato da molte tabelle e grafici, con una bibliografia recante 55 riferimenti.
Nel Capitolo 8, Conclusions, gli autori del Working Paper riportano testualmente a pagina 21:
“We find that an unexpected increase in the share of older workers leads to a positive impact
on young and middle-age employment. An exogenous 10% increase in the number of old workers
implies a 1.8% increase in the number of young and 1.3% of middle-aged workers.
Mia traduzione: “Troviamo che un aumento inaspettato della quota di lavoratori anziani porta a un impatto positivo sull’occupazione giovanile e di mezza età. Un aumento esogeno del 10% del numero dei lavoratori anziani implica un aumento dell’1,8% del numero dei giovani e dell’1,3% dei lavoratori di mezza età”.
In pratica, il “lavoro scientifico” che mi ha consigliato di leggere la Prof.ssa Fornero afferma che un aumento del numero di lavoratori anziani ha come effetto un aumento del numero di lavoratori giovani.
Questo può anche essere vero in alcuni settori (in particolare nell’artigianato, nella costruzione dei violini, per esempio) dove l’esperienza dell’anziano conta moltissimo; ma nella trasformazione digitale che stiamo attraversando l’esperienza dell’anziano non conta proprio nulla, e anzi rappresenta un ostacolo per la transizione digitale che verrà portata avanti solo dai giovani.
Anzi, desidero fare mie proprio le parole che gli autori del Working Paper intendono confutare: “A larger presence of older workers may hamper firms’ productivity and future growth since older workers, even if more experienced, may be less innovative and less willing to take risks than younger cohorts.
Mia traduzione: “Una maggiore presenza di lavoratori anziani può ostacolare la produttività delle aziende e crescita futura poiché i lavoratori più anziani, anche se più esperti, possono essere meno innovativi e meno disposti a correre rischi rispetto alle coorti più giovani”.
Sono più che convinto che un aumento del tasso di occupazione degli anziani ostacolerà la produttività aziendale e la crescita futura (lasciamo perdere la crescita del PIL al 6% prevista per il 2021! Non si può costruire una cuccia per cani e poi dire, visto che bravi architetti che siamo?)
20 Settembre 2021 alle 16:06 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
@sig.ra Antonietta
Vorrei rispondere alla sig. Antonietta il cui commento viene pubblicato verso la fine dell’articolo a firma di Stefano Rodinò.
La sig.ra Antonietta, a proposito dell’Opzione Donna, si domanda:
“Perchè ci vogliono togliere anche questa possibilità? Se il sistema da un punto di vista contributivo era sostenibile ancora meno capisco per quale motivo questa misura debba essere accantonata”.
L’osservazione della sig.ra Antonietta è più che legittima.
La risposta all’osservazione della sig.ra Antonietta si trova nel documento stesso dell’Ocse intitolato “Studi economici dell’OCSE: Italia 2021” reperibile al seguente link: https://read.oecd-ilibrary.org/economics/studi-economici-dell-ocse-italia-2021_85d51ef5-it#page1
Ebbene, il motivo per cui l’OCSE raccomanda all’Italia di non rinnovare l’Opzione Donna a fine dicembre 2021 è per evitare di amplificare (testuali parole) “i rischi di povertà in età avanzata”.
Ma vediamo come l’OCSE arriva a formulare la sua raccomandazione, perché, una volta compresa, ci potrebbe essere lo spazio per rinnovare Opzione Donna riformulandola in termini diversi.
L’OCSE osserva (pag. 16):
“Le pressioni sulla spesa legate all’invecchiamento demografico e agli interessi sono elevate e destinate ad aumentare nel lungo termine. Il Governo si è impegnato a ripristinare i livelli di debito pre-COVID”.
L’OCSE raccomanda (pag. 16):
“Contenere la spesa pensionistica lasciando scadere il regime di pensionamento anticipato (“Quota 100”) e la cosiddetta “Opzione Donna” nel dicembre 2021, e ristabilire immediatamente la correlazione tra età pensionabile e speranza di vita”.
L’OCSE argomenta (passo 1, pag. 32):
“Attualmente, per il pensionato italiano tipico, si rilevano redditi più elevati e tassi di povertà più bassi rispetto alle controparti europee – il dato contrasta con i risultati emersi in relazione ai lavoratori nel Paese (Figura 1.12)” (mia nota: la didascalia della Figura 1.12 è la seguente: “Gli italiani più anziani sono relativamente più agiati rispetto alle controparti europee”).
L’OCSE continua (passo 2, pag. 32):
“Nel lungo periodo, malgrado la prevista riduzione della spesa pensionistica rispetto al PIL, i pensionati italiani saranno interessati da tassi di sostituzione relativamente elevati rispetto ai lavoratori negli altri paesi dell’UE”.
L’OCSE continua (passo 3, pag. 32):
“La ‘Pensione di Cittadinanza’ introdotta nel 2019 ha sostanzialmente potenziato il livello di protezione sociale degli anziani (OECD, 2019), tuttavia alcuni pensionati sono tuttora esposti al rischio di povertà”.
L’OCSE conclude (passo 4, pag. 32):
“La cosiddetta ‘Opzione Donna’, che dà diritto al pensionamento anticipato con un trattamento calcolato su base contributiva fino al Dicembre 2021, non andrebbe rinnovata, poiché amplifica i rischi di povertà in età avanzata (OECD, 2019)”.
Confesso che trovo difficile seguire la logica che è alla base dell’argomentazione dell’OCSE che prima evidenzia che i pensionati italiani stanno meglio degli omologhi europei (e qui sembrerebbe di capire che per l’OCSE non andrebbe bene che i pensionati italiani stiano meglio di quelli europei); e poi raccomanda di non rinnovare l’Opzione Donna perché altrimenti si “condannerebbe” la donna a vivere in povertà in età avanzata (e qui non si capisce come l’OCSE partendo dalla constatazione che i pensionati italiani stanno relativamente bene, ma tuttavia alcuni sono esposti al rischio povertà, giunge a raccomandare di non rinnovare Opzione Donna per non amplificare il rischio di povertà in età avanzata).
Con tutta franchezza (mi perdoni l’OCSE), ritengo l’argomentazione dell’OCSE del tutto sconclusionata, senza né capo e né coda. Ma forse è il momento di riconoscere di avere raggiunto il mio limite di comprensione.
Auspico che il Governo Draghi legga con estrema attenzione il documento dell’OCSE e le sue raccomandazioni. E se anche il Governo Draghi l’interpreterà così come l’ho interpretato io, confido che possa almeno prendere in considerazione la possibilità di rinnovare Opzione Donna per il triennio 2022-2024 rimuovendo la penalità di calcolo su base contributiva che secondo l’OCSE potrebbe esporre la donna al rischio povertà (la sola cosa razionale che mi pare di rilevare nelle considerazioni appena esposte da parte dell’OCSE).
15 Settembre 2021 alle 19:03 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Vaccinarsi è facoltativo, dunque non c’è obbligo di vaccinarsi. È una logica stringente. Occorre dare ragione al movimento IOAPRO.
Agli inizi della pandemia non si sapeva che cosa fare, e i malati di Covid venivano ricoverati negli ospedali, alcuni dei quali venivano equipaggiati anche in tempi relativamente veloci.
Il personale medico e infermieristico veniva distolto dai propri impegni quotidiani per potersi dedicare alla cura dei nuovi malati di Covid.
I malati “tradizionali”, quelli che avevano bisogno di terapie “tradizionali” come la dialisi, la radioterapia, la chemioterapia, vedevano ritardati gli interventi terapeutici che li riguardavano perché le risorse sanitarie erano per la maggior parte dedicate ai “nuovi” malati, che necessitavano di “nuove” terapie.
La struttura sanitaria ha fatto una scelta ben precisa, imposta dalle circostanze, da qualcosa di nuovo contro cui non c’erano armi con le quali difendersi. E la scelta è stata la seguente: prima i malati di Covid, e poi tutti gli altri.
Vaccinarsi contro il Covid, oppure non vaccinarsi contro il Covid, è anche questa una scelta ben precisa. Una scelta non imposta dalle circostanze, ma una scelta libera, individuale: ci si può vaccinare e quindi dotarsi di anticorpi per fronteggiare meglio il contagio da Covid; oppure ci si può non vaccinare e andare incontro alle possibili conseguenze che orami sono note a tutti.
La struttura sanitaria, a questo punto, non essendo più costretta dalle circostanze ma ben consapevole della scelta fatta dalle persone in totale libertà, può tornare ad assumersi le responsabilità che aveva verso i malati prima dell’avvento della pandemia.
Prima i malati “tradizionali” (bisognosi di dialisi, radioterapia, chemioterapia), e poi i malati di Covid che, per libera scelta, hanno deciso di non vaccinarsi.
10 Settembre 2021 alle 18:41 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Morgaro, ci sono due aspetti di cui il Governo deve tenere conto: 1) ridurre la spesa pensionistica; 2) mantenere la spesa pensionistica sostenibile.
Sui soldi risparmiati di Quota 100 non è possibile fare affidamento. In linea di principio, entro il 31 dicembre 2021 tutti gli aventi diritto potrebbero aderire a Quota 100. Quindi, i risparmi ipotizzati si volatilizzerebbero in un battibaleno. Inoltre, occorre tenere conto che coloro che hanno maturato i diritti per Quota 100 entro il 31 dicembre 2021 potrebbero esercitare il loro diritto di andare in pensione con Quota 100 nel 2022, oppure nel 2023, oppure nel 2024, in base alla cosiddetta “cristallizzazione dei diritti acquisiti”. In definitiva, i “risparmi” di Quota 100 sono solo “ipotetici”.
Per quanto riguarda i soldi risparmiati per le pensioni dovuti ai decessi causati dal Covid, questi sì che sono risparmi reali. Tali risparmi potrebbero essere impiegati per finanziare nuove pensioni che andrebbero a “compensare” le pensioni mancanti dovute ai decessi. Ma la logica della contabilità impone al Governo di utilizzare tali risparmi per ridurre la spesa pensionistica, e non già per mantenerla ai livelli attuali. Attenzione! il Governo non ha la possibilità di scegliere come impiegare i risparmi derivanti dalle pensioni: è obbligato a fare ciò che farà! L’obbligo deriva dagli impegni che il Governo si è assunto nei confronti dei Paesi partner europei, impegni che sono esplicitati con decisione nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza in riferimento alle Raccomandazioni 2019 del Consiglio europeo (“si richiede di attuare pienamente le passate riforme pensionistiche al fine di ridurre il peso delle pensioni di vecchiaia nella spesa pubblica e creare margini per altra spesa sociale e spesa pubblica favorevole alla crescita” – PNRR, #NEXTGENERATIONITALIA firmato da Mario Draghi, pagg. 25-26).
L’altro punto (il punto 2 prima accennato) è mantenere la spesa pensionistica a un livello sostenibile. Qui il problema è ben più difficile da risolvere.
Per mantenere la spesa pensionistica “strutturalmente sostenibile”, è necessario che le pensioni vengano pagate con i contributi dei lavoratori attivi. Ciò è problematico, se si pensa che da un lato i lavoratori attivi tendono a diminuire a causa delle poche nascite che ci sono all’anno, mentre i pensionati tendono a vivere sempre più a lungo (lasciamo da parte il Covid, che è un caso del tutto eccezionale). Con questo impianto di sistema previdenziale che si basa su elementi demografici, non c’è altra soluzione che: 1) riattivare il meccanismo automatico dell’aspettativa di vita; 2) allungare sempre di più il periodo di permanenza al lavoro.
In altre parole, la soluzione è la Riforma Fornero.
Ho analizzato le cose dal punto di vista del Governo. Il mio punto di vista è invece opposto. A mio avviso la Riforma Fornero va letteralmente invertita con una Nuova Riforma, che non si basi sull’aumento del tasso di occupazione degli anziani, ma sull’aumento del tasso di occupazione dei giovani, i soli che possono incrementare i nuovi consumi, la produzione e quindi l’occupazione.
3 Settembre 2021 alle 12:58 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Come lei dice, sig. Franco Giuseppe, non possono esserci più leggi che trattano lo stesso argomento.
La Legge Fornero resta il quadro di riferimento all’interno del quale si valutano misure pensionistiche con gradi differenti di flessibilità.
Nella legge Fornero la pensione ordinaria diventa la “pensione di vecchiaia” (67 anni più gli incrementi derivanti dall’aumento dell’aspettativa di vita); viene abolita la “pensione di anzianità” (35 anni di contributi e requisito anagrafico a 62 anni, o 40 anni di contributi) la quale viene sostituita dalla “pensione di anzianità anticipata”.
In estrema sintesi, la Legge Fornero consiste di: pensione di vecchiaia e pensione anticipata.
Nel XX Rapporto Inps si fa riferimento alle tre proposte in termini di “pensione anticipata”.
Pertanto, la proposta del Presidente Tridico 64-36 non sarebbe una nuova opzione al posto di 62-38, né cancellerebbe la Legge Fornero, ma sarebbe una pensione anticipata, con un determinato grado di flessibilità, all’interno del quadro di riferimento della Legge Fornero.
Nel XX Rapporto Inps si legge che con la proposta di pensione anticipata 64-36 “si realizza una flessibilità nella direzione del sistema contributivo con forti elementi di equità con lo sviluppo di risparmi già poco prima del 2035 per effetto della minor quota di pensione dovuta all’anticipo ma soprattutto ai risparmi generati dal calcolo contributivo”.
Errata-Corrige: Mi correggo. La locuzione “pensione di anzianità anticipata” va sotituita con la la locuzione “pensione di vecchiaia anticipata” (3 Settembre 2021 alle 14:58).
29 Agosto 2021 alle 15:44 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
L’articolo di Stefano Rodinò riporta: “Grazie al blocco dei licenziamenti si sono ridotte le cessazioni decise dall’azienda per motivi economici (da 560 mila a 230 mila), mentre sarebbero 330 mila i posti salvati grazie al blocco”.
Certamente una buona notizia (almeno in apparenza).
Che fine ha fatto la “mano invisibile” di Adam Smith, che dovrebbe regolare in maniera automatica prezzi e quantità delle merci attraverso il meccanismo chiamato “mercato” che esclude categoricamente l’intervento dello Stato (intervento ammesso solo in via eccezionale)? Semplice: la “mano invisibile” del mercato è stata sostituita dalla “mano visibile” dello Stato che dà sostegno al meccanismo chiamato “mercato” (lo Stato è potuto intervenire “a gamba tesa” sul mercato in quanto la pandemia è un caso eccezionale).
Che fine ha fatto il principio del “laisser faire, laisser passer” (“lasciar fare, lasciar passare”, ovvero, “lasciar produrre, lasciar commerciare”) dell’economia liberista secondo la quale lo Stato non deve imporre alcun vincolo all’attività economica, allo scopo di affermare il postulato della libertà individuale? Semplice: il “laisser faire” è stato sostituito dagli aiuti dello Stato che dà sostegno alle imprese per consentire la continuazione delle attività economiche (anche qui l’intervento dello Stato è giustificabile secondo l’adagio: “profitti privati, debiti pubblici”).
Che fine ha fatto la “distruzione creativa” di Marx e di Schumpeter secondo il quale, durante le recessioni, quando le aziende e il lavoro cominciano a scomparire e si invoca l’intervento dello Stato, è da evitare proprio l’intervento dello Stato per permettere alle aziende di rinnovarsi se non vogliono scomparire? Semplice: la “distruzione creativa” di Marx e di Schumpeter è stata impedita dallo Stato “grazie” al blocco dei licenziamenti (anche qui l’intervento dello Stato è giustificabile: mantenere in azienda le esperienze dei lavoratori, evitando così che vadano disperse).
Non esprimo alcun giudizio in merito agli interventi da parte dello Stato. Mi limito solo ad osservare che l’economia ne avrebbe maggiormente beneficiato (certo, sarebbe tutto da dimostrare) se grazie allo sblocco dei licenziamenti ci fossero stati 200 mila pensionamenti in più nella fascia (55-64)anni di età non più in linea con le esigenze aziendali, permettendo alle aziende di rinnovarsi attraverso il ricambio generazionale (“distruzione creativa”) assumendo 130mila giovani in più nella fascia (25-34) anni di età in linea con l’evoluzione digitale.
27 Agosto 2021 alle 22:51 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Franco Giuseppe, apprezzo la sua franchezza. Ancor di più perché espressa da chi il lavoro se l’è visto scorrere tutto per intero, senza sconti.
Vede, quando ci si cimenta nell’esposizione dei propri pensieri, è facile esporsi alle critiche e talvolta al ridicolo (come dice lei). Quando si gioca una partita, si deve mettere in conto anche una buona dose di fischi.
Ma quando io gioco pesante, non uso le parole, uso le formule matematiche, che non sono affatto ridicole. E quando io uso le formule matematiche le assicuro che odo solo il silenzio.
Noto che le sono bastate appena cinque righe per descrivermi. Se questa è la percezione che le ho dato di me, non me ne dolgo affatto, posso solo prenderne atto.
Io sono un osservatore dell’animo umano. Soprattutto, ho osservato il mio animo. Ed ho raggiunto la piena consapevolezza che non sono gli altri a determinare il mio “destino” (nel senso di andare a “destinazione”, raggiungere uno scopo), ma sono io stesso che lo determino. E se questo posso farlo io, chiunque altro lo può fare.
Nella mia vita non c’è spazio per la fortuna o la sfortuna. Io raccolgo ciò che ho seminato. Chi opera con piena volontà, con determinazione, con costanza diventa un magnete che attrae eventi favorevoli per giungere alla propria “destinazione”, per compiere il proprio destino.
Attraverso il mio impegno nel lavoro, trovando i giusti agganci per cambiare di volta in volta le aziende, ho potuto aumentare notevolmente il mio stipendio al punto da poter versare molti contributi per cui ho potuto avvantaggiarmi, col sistema misto, più con la parte contributiva che con quella retributiva, raggiungendo con Quota 100 ben il 92% dell’ultimo stipendio anziché l’80% che si ha col retributivo.
Ma ora mi dica, sig. Franco Giuseppe, se sono io nel suo mirino, perché mai fa uso delle mie parole per prendersi gioco dei precoci, invitandoli a prendere il carrello della spesa al supermercato dell’INPS?
27 Agosto 2021 alle 17:39 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Roberto, mi aspettavo (mi creda sulla parola, la prego) che qualcuno avrebbe detto “ma che ci azzecca – per usare una parola alla Di Pietro – il supermercato con le pensioni!” Questo mio pensiero l’ho pensato alle 12:58, mentre il suo commento è stato pubblicato alle 13:55. Perciò, non posso aver pensato il mio pensiero dopo aver letto il suo commento.
Lei parla di “senso di realtà”, sig. Roberto.
Per me, avere il senso della realtà significa:
– vedere le cose così come sono, e non come vorrei che fossero
– comprendere perché le cose accadono proprio nel modo in cui accadono, e non in altro modo
– capire cosa posso cambiare e cosa non posso cambiare
– cambiare il mio modo di pensare, se voglio cambiare le circostanze
La sua nipotina non “capisce” la iniquità, perché non “conosce” la iniquità. La sua nipotina non vede la realtà con gli occhi dello zio Roberto, non vede la differenza tra equo e iniquo: la sua nipotina vede la realtà così com’è.
La realtà così com’è non è né bella né brutta, né male né bene. È, semplicemente, la realtà.
Il bello non è nelle cose, ma in chi guarda le cose.
Il male non è nell’azione, ma in chi commette l’azione.
Vede, sig. Roberto, dovremmo vedere il mondo così come lo vede la sua nipotina.
Lei, sig. Roberto, dice: “Trovo non giustificabile che un sito specializzato sulla tematica pensioni pubblichi un intervento del genere senza mai interrogarsi sull’iniquità della misura”.
Le rispondo che questo sito più e più volte si è interrogato sull’iniquità della “misura” (credo che lei si riferisca alla misura “Quota 100”). Inoltre, sig. Roberto, credo che non sia importante che lei giustifichi questo sito: l’importante è che questo sito giustifichi la pubblicazione del suo commento.
Le posso assicurare che il mondo non sta andando alla rovescia. Se lei lo vede andare alla rovescia, probabilmente lo sta guardando da una prospettiva capovolta.
Qualcuno diceva: “non è il gregge che dice al pastore dove andare, ma è il pastore che dice al gregge dove andare”. Ebbene, io aggiungo: “non è lei che dice al mondo in che verso girare, ma è il mondo che dice a lei da che parte girare”.
Per tornare al confronto tra la coda al supermercato e una vita da lavoro, mi lasci dire questo: la persona “equa” è chi si comporta in maniera “equanime” (aliena da passioni e pregiudizi) sia in coda al supermercato che in attesa della propria pensione.
26 Agosto 2021 alle 18:17 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Franco Giuseppe, sono andato in pensione anticipata Quota 100 il 1° gennaio 2021 con, precisamente, 64 anni e 11 mesi di età anagrafica e con 41 anni di contributi versati. Con la Fornero, sarei andato in pensione a 67 anni e 4 mesi, ovvero il 1° giugno 2023.
Quota 100 è stata una parentesi, che si è aperta e subito chiusa. Ho potuto verificare quanto avrei preso di pensione; ho potuto valutare se l’importo era per me soddisfacente; ho potuto scegliere se pensionarmi con Quota 100 senza possibilità di continuare a lavorare, oppure se pensionarmi a 64 anni di età con il sistema di calcolo tutto contributivo (avrei preso 100 euro nette al mese in meno rispetto a Quota 100) ma con la possibilità di continuare a lavorare; ho potuto decidere per Quota 100.
Per quanto mi riguarda, è tutto qua.
Per quanto riguarda il futuro delle pensioni, non potrà esserci una Riforma pensioni in grado di soddisfare tutti i lavoratori. Non tanto perché non si possa fare una Riforma pensioni “equa e sostenibile”, ma perché i nostri governanti hanno in mente di realizzare solo un Piano: il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Un Piano Nazionale da realizzare con i soldi europei (250 miliardi di euro) e con una forza lavoro stanca e demotivata; un Piano nazionale senza una Visione Nazionale.
Se i nostri governanti avessero anche una Visione Nazionale oltre al Piano Nazionale, allora sarebbero in grado di realizzare una Riforma Pensioni tale da permettere a chiunque di decidere se e quando lasciare il lavoro per potere andare in pensione.
26 Agosto 2021 alle 14:20 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Una delle cose che andrebbe fatta (a mio avviso, si intende) è quella di non formarsi alcun giudizio sulla Storia.
La Storia non può essere sottoposta a giudizio, non può essere giudicata. Ma solo analizzata.
La Storia va analizzata in termini di causa ed effetto, seguendo la progressiva successione degli eventi.
Il Fascismo, per esempio, è la Tesi. L’Antifascismo è l’Antìtesi. La Repubblica italiana è la Sintesi
Davvero la storia ha già condannato il fascismo e il comunismo? Forse sì, la storia scritta con la “s” minuscola, quella che viene adattata di volta in volta alle circostanze contingenti per raggiungere il proprio scopo. Ma la Storia, quella scritta con la “S” maiuscola, quella no, quella non giudica e non condanna.
A chiedere le dimissioni dell’onorevole di Claudio Durigon sono proprio quelle persone che conoscono la storia con la “s” minuscola. Sono quelle persone che non conoscono la Storia.
No. Non si può prendere a calci la Storia. Non si possono giudicare “i fatti di ieri alla luce dei valori di oggi”.
Quale destino per Quota 100?
Quota 100 appartiene oramai alla Storia. Come la Storia, anche Quota 100 non va giudicata. Ha fatto dei danni? Aspettiamo che giunga alla sua naturale conclusione prima di affermare ciò, perché non abbiamo ancora toccato il fondo con la Riforma Fornero!
E allora si vedrà se avrà fatto più danni Quota 100 che ha permesso l’uscita solo di pochi lavoratori la cui assenza dal lavoro non pregiudica affatto la crescita economica in quanto sono solo degli esuberi, oppure avrà fatto più danni la Riforma Fornero che ha ingabbiato molti lavoratori stanchi, demotivati, obsoleti, improduttivi che pregiudicano invece la crescita economica!
Per ora, una cosa sola è certa su Quota 100: è stata come un breve squarcio di sole nel cielo plumbeo della Riforma Fornero!
15 Agosto 2021 alle 12:39 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Non entro nel merito delle osservazioni dell’Armiliato e del Prof. Cazzola.
Mi piace solo bonariamente osservare, da cultore di Dante, che spesso si cita in maniera errata il verso “Non ti curar di lor, ma guarda e passa”.
Per la verità, la frase che Virgilio volge a Dante quando attraversano la zona in cui sono relegati gli ignavi — il Vestibolo (l’anticamera dell’Inferno) — è la seguente: “Non ragioniamo di lor, ma guarda e passa” (Canto III dell’Inferno).
Gli ignavi, secondo Dante, non meritano alcuna considerazione, al punto che Dante non li considera nemmeno degni di stare all’Inferno. Per questo la zona degli ignavi è il Vestibolo, “fuori classificazione”, fuori dall’Inferno.
Anch’io, lo confesso, in un mio commento recente ho introdotto una variante nel verso dantesco (“alla covid”, diciamo così). Ho scritto “Più lieve legno convien che mi porti”. Il verso corretto è invece “Più lieve legno convien che ti porti”, ed è la frase che Caronte rivolge a Dante nel Canto III dell’Inferno quando Virgilio e Dante vengono traghettati da Caronte verso la sponda che introduce nell’Inferno. Sono sicuro che Dante comprenderà sia me che il Prof. Cazzola per aver citato in maniera arbitraria i suoi versi.
Dopo queste mie lievi digressioni,
Torniamo a rivedere le pensioni.
(due versi endecasillabi a rima baciata)
10 Agosto 2021 alle 13:42 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Franco Giuseppe, le confesso che sono capitato “su questo sito” perché cercavo con Google la parola chiave “Quota 100”.
Da Google venivo sempre indirizzato su pensionipertutti.it.
Pur avendo davanti a me la possibilità di una lunga carriera di lavoro (avrei potuto lavorare fino a oltre i settant’anni), tuttavia all’età di 65 anni e con 41 anni di contributi interamente versati, aderendo a Quota 100, ho preferito lasciare volontariamente il lavoro, cogliendo in tal modo l’opportunità di potermi ritirare nel mio eremo di solitudine e di silenzio (c’è ancora una finestra aperta sul mondo tramite internet: ma presto chiuderò anche quella) per continuare in maniera più spedita la mia evoluzione verso stati di miglioramento sempre più elevati.
Me lo si lasci dire ancora una volta: equità e giustizia non esistono in questo mondo. Sono ideali di perfezione che non potranno mai esistere in un mondo imperfetto come il nostro. Ciò che esiste è il tendere all’equità e alla giustizia.
La Riforma Fornero è il meglio che i nostri economisti siano in grado di elaborare. Quando si scoprirà che la Riforma Fornero è vecchia, retrograda, inadatta alla società digitale e all’economia digitale, ebbene, solo allora si metterà mano ad una nuova Riforma Pensionistica. Per il momento i lavoratori si mettano il cuore in pace: la Riforma Fornero resterà (al più con qualche lieve concessione addizionale che senz’altro non sarà gradita ai lavoratori).
La Riforma Fornero resterà perché: 1) non se ne è mai andata; 2) lo ha raccomandato la Commissione europea; 3) tale raccomandazione è stata recepita nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (per poter ricevere i finanziamenti dall’Europa); 4) i nostri economisti non riescono proprio ad andare oltre la Riforma Fornero, non hanno le basi economiche per andare oltre, non conoscono l’economia digitale, che è l’economia che sta gradualmente soppiantando l’intera economia tradizionale (la sola economia che i nostri economisti conoscono).
Per quanto riguarda la sua proposta, ebbene le dico che non sta in piedi. La sua proposta poggia sul principio di equità (“sarebbe equo”, dice lei): ma l’equità, come ho detto in precedenza, non esiste in questo mondo (se esistesse, non staremmo qui a parlarne).
Sig. Franco Giuseppe, diciamoci la verità: sia lei che io siamo in pensione, siamo saliti su quello stesso carro che prima come muli ci trascinavamo dietro. Ora che siamo noi su quel carro e altri lavoratori trasportano i nostri pesi, dovremmo forse scendere? Dovremmo dire all’Inps di non retribuirci la pensione? Forse lei no, perché ha la pensione “equa”. Ma io, io che ho la pensione anticipata Quota 100, per di più finanziata con la fiscalità generale e non con il gettito contributivo, dovrei forse dire all’Inps che non merito tale pensione “iniqua”?
Spesso ripenso a ciò che diceva Dante: “più lieve legno convien che mi porti” .
5 Agosto 2021 alle 14:27 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Carlo, premetto che mi sono trovato nella seguente situazione (di “benedizione”): nato a febbraio 1956, ho maturato 41 anni di contribuzione ed ho potuto accedere a quota 100 di fatto già a quota 106 (41+65). Sono appartenuto a quella fascia di lavoratori con stipendio medio-alto che mi ha consentito di poter andare in pensione anche rinunciando a 200 euro nette al mese (ma percependo due anni e mezzo prima la pensione).
Le assicuro che non appartengo ad alcuno schieramento politico. Ho troppo rispetto per la “politica” (che opera per il benessere della società) per potermi schierare con un partito (che opera per il benessere proprio a scapito del benessere della società).
Se ha letto qualche mia proposta sulle pensioni che le è sembrata incommentabile, ebbene sia libero di esprimere la sua critica. Io seguo la verità, e la verità non ha mai paura delle critiche.
Chi continua a sostenere (come lei) l’opportunità di separare la previdenza dall’assistenza è fuori pista in quanto: Previdenza=Assistenza+Pensioni.
In altre parole, l’assistenza non può essere separata dalla previdenza in quanto è una sua componente fondamentale.
Forse chi afferma di dover separare la previdenza dall’assistenza vorrebbe invece affermare che occorre separare la spesa assistenziale (infortunio, malattia, invalidità, disoccupazione involontaria, reddito di cittadinanza, ecc.) dalla spesa pensionistica (pensione di vecchiaia, pensione di anzianità, Opzione Donna, Ape sociale, ecc.). Ma questo di fatto avviene già, leggendo i bilanci dell’INPS. Tanto è vero che vengono forniti dati numerici relativi alla spesa pensionistica e alla spesa assistenziale: relativamente all’anno 2020, l’INPS ha erogato un importo complessivo di 212,9 miliardi di euro di cui 190,0 miliardi sostenuti per la spesa pensionistica e 22,9 miliardi per la spesa assistenziale.
Per la Corte dei conti, invece, la spesa previdenziale totale nell’anno 2020 è stata di 340,6 miliardi. (tale spesa previdenziale comprende la spesa pensionistica più la spesa assistenziale).
Dai dati presentati dall’INPS emerge una forte discrepanza tra i 212,9 miliardi di euro erogati in pensioni più assistenza nel 2020 e i 340 miliardi di spesa previdenziale nel 2020 di cui parla la Corte dei conti. Non sono entrato nei dettagli per comprendere tale discrepanza.
Per quanto riguarda le risorse da destinare alle pensioni, di fatto le risorse non ci sono, anche volendo recuperare i 100 miliardi annui di evasione fiscale.
Infatti, nel sistema pensionistico oggi in vigore, che è a ripartizione, le pensioni vengono pagate con i contributi dei lavoratori attivi. In altre parole, la cassa dell’INPS per il pagamento delle pensioni è sempre vuota, in quanto i lavoratori depositano i soldi in termini di contributi e i pensionati li prelevano in termini di pensioni.
Come vede, sig. Carlo, in quella cassa per le pensioni i soldi dell’evasione fiscale non entrano, e quindi non servono per finanziare le pensioni.
Servirebbe, invece, recuperare l’evasione contributiva, che si aggira intorno ai 20 miliardi annui. Questo sì che servirebbe a pagare nuove pensioni, perché ci sarebbero più contributi cui poter attingere, più soldi per finanziare soprattutto Quota 41 senza limiti di età, Opzione Donna senza penalizzazione, e tante altre modalità di pensione. Il perché lo Stato abbia difficoltà a recuperare i soldi dall’evasione contributiva, questo proprio non saprei dirglielo.
Per quanto riguarda il ricambio generazionale cui lei accenna, questo è proprio l’obiettivo che si prefigge la mia proposta sulle pensioni che lei giudica incommentabile.
La ripresa dei consumi cui lei accenna può essere avviata solo attraverso il ricambio generazionale.
Il ricambio generazionale è la premessa sui cui si dovrebbe fondare la nuova riforma previdenziale. Ma questo non accadrà, perché i vari esperti di previdenza sono ancorati al basso tasso di natalità che non consente di mantenere in “equilibrio” (così si esprimono gli economisti) il sistema pensionistico (fondato sul rapporto attivi/pensionati).
Per questo rimarrà in vigore la Riforma Fornero (che lo ripetiamo per l’ennesima volta è rimasta sempre in vigore dal 2012 ad oggi). Forse, la Riforma Fornero verrà rivista allargandone leggermente le maglie. Di più non si potrà proprio fare, con il modo corrente di pensare, ovvero (riprendendo una frase scritta nel suo libro dal Prof. Cazzola) andando avanti verso il futuro (economia digitale) con la testa rivolta all’indietro verso il passato (economia tradizionale).
1 Agosto 2021 alle 20:14 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Il Dott. Domenico Cosentino ci offre un’occasione davvero rara di sviluppare più in profondità la tematica della “separazione della previdenza dall’assistenza”.
Quando il Dott. Cosentino riporta il dato della Corte dei conti relativo alla spesa previdenziale che nel 2020 è risultata pari a 340 miliardi di euro, ha ben ragione nell’osservare che a tale spesa concorrono non solo le erogazioni pensionistiche ma anche quelle che non hanno nulla a che vedere con le pensioni.
Questo però non vuol dire che occorre separare la previdenza dall’assistenza: queste due voci sono già ben separate nel bilancio INPS.
Ciò che occorre fare, invece, è registrare in maniera corretta le uscite sotto le voci di “Previdenza” e “Assistenza”. Ma, per la verità, la questione è ancora più profonda, perché bisogna capire veramente cosa intendiamo per “Previdenza”. In effetti, ciò che tutti noi intendiamo dire è che occorre distinguere la “spesa pensionistica” dalla “spesa assistenziale” in quanto entrambe concorrono a formare la “spesa previdenziale”.
Il documento dell’INPS dal titolo “Statistiche in breve” con sottotitolo “Pensioni vigenti all’1.1.2021 e liquidate nel 2020 erogate dall’Inps” redatto in marzo 2021 aiuta a chiarire la distinzione concettuale e contabile tra “Previdenza” e “Assistenza”.
Sulla Previdenza così si esprime l’INPS: “Le prestazioni di tipo previdenziale sono erogate, a seguito di versamento di contributi durante l’attività lavorativa, al verificarsi di eventi quali il raggiungimento di una determinata età anagrafica e anzianità contributiva (pensione di vecchiaia e anticipata), la perdita della capacità lavorativa (pensione di inabilità) o la riduzione della stessa (assegno di invalidità) e la morte (pensione ai superstiti o di reversibilità)”.
Sulla Assistenza così si esprime l’INPS: “Le prestazioni di natura assistenziale sono erogate a sostegno di situazioni di invalidità o di disagio economico (prestazioni agli invalidi civili comprese le indennità di accompagnamento e pensioni e assegni sociali)”.
Mia NOTA: per evitare confusione concettuale si farebbe bene a non usare la parola “pensione” quando si parla di Assistenza.
Sulle erogazioni in termini di “volumi” (quantità) in ambito Previdenziale e Assistenziale così si esprime l’INPS: “Le pensioni vigenti all’1.1.2021 sono 17.799.649, di cui 13.816.971 (il 77,6%) di natura previdenziale e 3.982.678 (il 22,4%) di natura assistenziale (Figura 1 e Tavola 1)”
Mia NOTA: per evitare confusione concettuale, ripeto anche qui che si farebbe bene a non usare la parola “di natura assistenziale” quando si parla di “pensioni vigenti”.
Sulle erogazioni in termini finanziari in ambito Previdenziale e Assistenziale così si esprime l’INPS: “L’importo complessivo annuo è pari a 212,9 miliardi di euro di cui 190,0 miliardi sostenuti dalle gestioni previdenziali e 22,9 miliardi da quelle assistenziali”.
Nella Tavola 1 l’INPS indica alla voce scritta in caratteri cubitali “TOTALE PENSIONI” (212.918,9 milioni di euro) la somma delle seguenti voci:
– “Totale Pensioni Gestioni Lavoratori Dipendenti” (135.683,1 milioni di euro) +
– “Totale Pensioni Gestioni Lavoratori Autonomi” (51.546,7 milioni di euro) +
– “Totale Pensioni Altre Gestioni e Assicurazioni Facoltatite” (2.792,7 milioni di euro) +
– “Totale Prestazioni Assistenziali” (22.896,5 milioni di euro).
Mia NOTA: per evitare confusione tra Previdenza e Assistenza, si farebbe bene a non inserire in “TOTALE PENSIONI” la voce “Totale Prestazioni Assistenziali”.
Come si può notare, i documenti dell’INPS potrebbero dare adito a qualche incomprensione su cosa è Assistenza e cosa è Previdenza perché la parola “pensioni” compare in entrambe le voci ma, tutto sommato, con un po’ di sforzo mentale si riesce a capire quanto si spende per la Previdenza e quanto si spende per l’Assistenza.
Dai dati presentati dall’INPS emerge una forte discrepanza tra i 212,9 miliardi di euro erogati in pensioni nel 2020 e i 340 miliardi di spesa previdenziale nel 2020 di cui parla la Corte dei conti. Come mai?
Nel documento “Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica” della Corte dei conti del 24 maggio 2021, nel capitolo “LA SPESA PER LA PREVIDENZA” a pag. 165 è riportata la Tavola 2 “CONTO CONSOLIDATO DELLA PA: TOTALE SPESA PER LA PREVIDENZA (2017-2020; MILIONI DI EURO). Nella Tavola 2, nella colonna relativa all’anno 2020 sono riportate le seguenti voci espresse in milioni di euro:
TOTALE SPESA PREVIDENZIALE: 340.643 così suddivisa:
– Pensioni e rendite: 281.601
– Liquidazioni per fine rapporto di lavoro: 14.418
– Indennità di malattia per infortuni e maternità: 9.450
– Indennità di disoccupazione: 13.601
– Assegno di integrazione salariale: 14.514
– Assegni familiari: 5.836
– Altri sussidi e assegni: 1.223
Mia NOTA: ci si potrebbe domandare cosa c’entrano con le Pensioni l’Indennità di disoccupazione, l’Assegno di integrazione salariale, gli Assegni familiari, Altri sussidi e assegni. Evidentemente la Corte dei conti deve avere i suoi validi motivi per inserire nella “Previdenza” anche voci che non appartengono alla spesa pensionistica.
Se assumiamo la seguente definizione di “PREVIDENZA”:
“l’azione svolta dallo Stato o da appositi istituti allo scopo di assicurare ai cittadini l’assistenza necessaria quando vengono a trovarsi in condizioni di bisogno (infortunio, malattia, disoccupazione, ecc.) o al termine della vita lavorativa (pensione)”,
allora ci rendiamo conto che bisogna puntare non tanto sulla separazione tra “Previdenza e Assistenza” (perché la Previdenza contiene sia Assistenza che Pensioni) ma sulla “Separazione tra Pensioni e Assistenza” e attribuire in maniera corretta la voci specifiche a ciò che attiene le pensioni (finanziate con i contributi dei lavoratori attivi) e l’assistenza (finanziata con la fiscalità generale – Irpef e IVA).
31 Luglio 2021 alle 16:23 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Massimo Candy, è possibile che io possa cadere in contraddizione. Ma fino ad oggi non mi è stato possibile farlo.
Lei afferma che a causa della pandemia il mondo è cambiato. Le posso assicurare con certezza che l’Inps l’ha compreso.
Lei afferma anche che, ancora a causa della pandemia, non si vive più a lungo. Anche qui le posso assicurare con certezza che l’Inps ne ha tenuto conto nei suoi calcoli in merito alla speranza di vita.
Adesso lasciamo la parola all’Inps e vediamo cosa dice nel suo rapporto “XX Rapporto Annuale (Luglio 2021)” che si può scaricare al seguente link:
A pag. 142 vi è una tabella che illustrerò qui di seguito in un formato poco brillante (per cui me ne scuso):
REQUISITO DI ETA’ PER LA PENSIONE DI VECCHIAIA
Requisito di età per la pensione di vecchiaia per gli anni 2021-2022:
Ante Covid-19: 67 anni
Post Covid-19: 67 anni
Requisito di età per la pensione di vecchiaia per gli anni 2023-2024:
Ante Covid-19: 67 anni e 3 mesi
Post Covid-19: 67 anni
Requisito di età per la pensione di vecchiaia per gli anni 2025-2026:
Ante Covid-19: 67 anni e 6 mesi
Post Covid-19: 67 anni e 2 mesi
Requisito di età per la pensione di vecchiaia per gli anni 2027-2028:
Ante Covid-19: 67 anni e 8 mesi
Post Covid-19: 67 anni e 5 mesi
Requisito di età per la pensione di vecchiaia per gli anni 2029-2030:
Ante Covid-19: 67 anni e 10 mesi
Post Covid-19: 67 anni e 8 mesi
Requisito di età per la pensione di vecchiaia per gli anni 2031:
Ante Covid-19: 68 anni
Post Covid-19: 67 anni e 11 mesi
Requisito di età per la pensione di vecchiaia per gli anni 2032:
Ante Covid-19: 68 anni e 2 mesi
Post Covid-19: 67 anni e 11 mesi
Requisito di età per la pensione di vecchiaia per gli anni 2033:
Ante Covid-19: 68 anni e 2 mesi
Post Covid-19: 68 anni e 2 mesi
Requisito di età per la pensione di vecchiaia per gli anni 2034:
Ante Covid-19: 68 anni e 4 mesi
Post Covid-19: 68 anni e 2 mesi
Requisito di età per la pensione di vecchiaia per gli anni 2035:
Ante Covid-19: 68 anni e 4 mesi
Post Covid-19: 68 anni e 4 mesi
REQUISITO DI ANZIANITA’ PER LA PENSIONE ANTICIPATA (MASCHI)
Requisito di anzianità per anticipata (maschi) per gli anni 2021-2026:
Ante Covid-19: 42 e 10 mesi
Post Covid-19: 42 e 10 mesi
Requisito di anzianità per anticipata (maschi) per gli anni 2027-2028:
Ante Covid-19: 43 anni
Post Covid-19: 43 e 1 mese
Requisito di anzianità per anticipata (maschi) per gli anni 2029-2030:
Ante Covid-19: 43 e 2 mesi
Post Covid-19: 43 e 4 mesi
Requisito di anzianità per anticipata (maschi) per gli anni 2031-2032:
Ante Covid-19: 43 e 4 mesi
Post Covid-19: 43 e 7 mesi
Requisito di anzianità per anticipata (maschi) per gli anni 2033-2034:
Ante Covid-19: 43 e 6 mesi
Post Covid-19: 43 e 10 mesi
Requisito di anzianità per anticipata (maschi) per gli anni 2035:
Ante Covid-19: 43 e 8 mesi
Post Covid-19: 44
SINTESI
Leggendo i dati dell’Inps, sembra che ci sia poca differenza tra l’aspettativa di vita Ante Covid-19 e Post Covid-19. In particolare, allo scadere del decennio cui lei fa riferimento, sig. Massimo Candy, ovvero 2031, risulta:
Requisito di età per la pensione di vecchiaia per gli anni 2031:
Ante Covid-19: 68 anni
Post Covid-19: 67 anni e 11 mesi
Requisito di anzianità per anticipata (maschi) per gli anni 2031-2032:
Ante Covid-19: 43 e 4 mesi
Post Covid-19: 43 e 7 mesi
C’è una cosa importante che mi preme farle presente, sig. Massimo Candy: usi con grande prudenza la frase “Riforma Strutturale”, perché il concetto di “Riforma Strutturale” che ha in mente l’Europa potrebbe non piacerle affatto. Giusto per farle un esempio, le porto un estratto dalla “Dichiarazione della Commissione europea, della BCE e dell’FMI sulla missione di valutazione intermedia in Grecia” del 17 giugno 2010: “si registrano progressi anche in relazione alle altre riforme strutturali che interessano fra l’altro l’amministrazione locale, le privatizzazioni, il mercato del lavoro e il sistema tributario”.
Sappiamo fin troppo bene che fine ha fatto la Grecia con l’applicazione di “Riforme Strutturali”.
31 Luglio 2021 alle 14:09 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Wal52, il chiederle il suo pensiero sul COME fare per impiegare almeno una quota parte di quel 10% di disoccupati cronici equivale alla seguente domanda: “Lei, al posto mio, come farebbe?” Forse anche a lei sarà capitato sentirsi dire da un amico: “tu, al posto mio cosa faresti?”.
Questo è un modo per capire anche gli altri. Mettendosi al loro posto.
Io riesco a capire Fornero, Cazzola, Leonardi, Tridico, Brambilla, Cottarellli, Boeri, Monti e Draghi. Posso farlo, perché riesco a vedere le cose dal loro punto di vista. Questo, però, non vuol dire che io condivida il loro punto di vista, soprattutto quando sono convinto che il loro punto di vista, ai tempi di oggi che sono i tempi del digitale, è molto simile al punto di vista di una popolazione che utilizzi ancora le conchiglie come moneta di scambio.
Non saprei dirle con precisione del perché la Svizzera abbia un tasso di disoccupazione inferiore al nostro (4,9% contro il 10%). Posso solo ipotizzare che ciò sia dovuto al fatto che la società svizzera è molto sviluppata nella produzione dei servizi, soprattutto nei servizi finanziari, e quindi necessita in modo continuo di personale, di un personale esperto, che di conseguenza viene retribuito con uno stipendio anche 2,5 volte maggiore di quello che percepirebbe in Italia, e che tali servizi finanziari siano alimentati da un ampio afflusso di capitali finanziari che fluiscono da tutte le nazioni del mondo verso la Svizzera.
Ma fare i confronti con altri Paesi non è l’esercizio che più mi sta a cuore. Se lo facessi, dovrei convenire con l’economista Joseph Stiglitz che nel suo libro del 2017 “L’Euro. Come una moneta comune minaccia il futuro dell’Europa” così scrive: “Molti studi di economia pongono l’interrogativo di che cosa debba fare un gruppo di paesi per avere una moneta comune e godere dei frutti di una prosperità condivisa. Gli economisti erano d’accordo su un punto: perché la moneta unica potesse funzionare, occorreva una somiglianza sufficiente tra i diversi paesi” (pag. 17). Ebbene, sig. Wal52, i Paesi europei sono completamente diversi tra loro, e per questo la moneta unica europea, l’euro, non può funzionare. Per questo io propongo una valuta locale, nazionale, parallela all’euro, di natura digitale, scritturale e gestita dallo Stato italiano e non dalla Bce. Per di più, sono in grado di poter effettuare esperimenti di economia in laboratorio al fine di provare il funzionamento della moneta digitale e come le teorie economiche correnti andrebbero fatte evolvere verso l’economia digitale.
Per quanto riguarda lei, sig. Wal52, le posso assicurare che la sua esperienza lavorativa di 41,5 anni di vita vissuta sul campo e non sui libri conta molto di più dei titoli accademici (che peraltro andrebbero tutti rivisti alla luce del digitale essendo oramai tutti obsoleti – a cominciare da quello di “Dottore in scienze economiche”) e, inoltre, la sua integrità morale che traspare dai suoi commenti vale molto di più di quella dei politici pronti a cambiare casacca quando se ne presenta l’occasione, tradendo il proprio partito, i propri elettori, la democrazia stessa.
Per quanto riguarda me, invece, io sono un viandante solitario che si è casualmente fermato per una breve sosta ad ascoltare i problemi veri della gente e ad osservare come le soluzioni proposte da Dottori, Professori, Saggisti, Esperti, Consulenti siano molto distanti dai veri problemi reali della gente. Soluzioni distanti, è vero, eppure ritenute eque. D’altra parte, si è sempre parlato di “equidistanza” e mai di “equivicinanza”.
30 Luglio 2021 alle 20:07 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Attilio, la sua meraviglia è subito spiegata.
I 9 miliardi in 10 anni per Quota 41 sono relativi alla voce di spesa “Previdenza” la quale viene finanziata con i contributi dei lavoratori attivi che nel 2020 sono stati 22.238.839.
I 9 miliardi per il Reddito di Cittadinanza sono relativi alla voce di spesa “Assistenza” la quale viene finanziata con la fiscalità generale (IRPEF), ovvero con le tasse versate al fisco dai lavoratori attivi (che nel 2020 sono stati 22.238.839) e dai pensionati (che sempre nel 2020 sono stati 17.785.262).
Come può notare, RdC ha più “contribuenti” (che pagano tributi: 40.024.101) di Quota 41 (che versano contributi: 22.238.839).
Può altresì notare che il rapporto “lavoratori attivi/pensionati” è uguale a 22.238.839/17.785.262=1,25 (un valore un po’ bassino, per la verità).
Quest’anno coloro che prepareranno la Legge di Stabilità, nel fare la Riforma Fiscale e la Riforma Previdenziale, per far tornare i conti, avranno un bel problema da risolvere.
Una cosa è certa: l’IRPEF non potrà essere ridotta.
30 Luglio 2021 alle 14:20 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Wal52, riconosco che la mia affermazione sulla riclassificazione delle spese tra assistenza e previdenza può dare adito a qualche incomprensione. Le riporto in proposito l’affermazione completa che Leonardi riporta nel suo libro (a pag. 100) che viene citato nell’articolo: “Il fatto che questi due interventi importanti sulle pensioni (pensione di garanzia per i giovani e non autosufficienza per gli anziani) riguardino l’assistenza, e non la previdenza, dovrebbe essere utile per ricordare che la riclassificazione delle spese tra assistenza e previdenza è utile a fini conoscitivi ma non è utilizzabile a fini strumentali per ridurre le spese di assistenza a favore della previdenza”.
Sarebbe come dire che pur separando l’assistenza dalla previdenza (cosa che l’INPS già fa a livello contabile nei suoi bilanci) tuttavia tale separazione non consente di ridurre le spese di assistenza per aumentare le spese di previdenza.
Anche il Prof. Cazzola si mostra scettico nel vedere realizzata la separazione dell’assistenza dalla previdenza, e ce lo fa capire a pag. 18 del suo libro (anch’esso citato nell’articolo) quando parla della “operazione bilancio parallelo”, ovvero “a fianco del documento contabile ufficiale, ne era redatto un altro secondo i criteri della separazione tra previdenza e assistenza” (un approfondimento a riguardo della “operazione bilancio parallelo” è possibile trovarlo al seguente link dell’Istituto Bruno Leoni Libri – IBL Libri – che ha pubblicato il libro del prof. Cazzola: https://www.brunoleoni.it/storia-riforme-controriforme-sistema-pensionistico)
Ritengo che la tematica della separazione della previdenza dall’assistenza sia così complessa e sottile (fa entrare in gioco anche l’Art. 38 della Costituzione italiana) da richiedere una preparazione approfondita e soprattutto una visione dall’interno dell’INPS. È un po’ come voler risolvere il problema dell’evasione fiscale: se ne parla sempre ma non si riesce mai a individuare la soluzione per risolvere il problema.
Per quanto riguarda la sua osservazione, sig. Wal52, in merito alla “fascia di popolazione in età di lavoro (15-64) che è prevista in diminuzione del 19 per cento” per cui lei suggerisce di impiegare almeno una quota parte di quel 10% di disoccupati cronici, mi sentirei di dirle questo: è l’uovo di Colombo, lo capirebbe chiunque. Il punto è questo: nessuno sa come farlo. Ma lei, sig. Wal52, forse saprebbe come farlo? Saprebbe COME fare per impiegare almeno una quota parte di quel 10% di disoccupati cronici?
30 Luglio 2021 alle 11:25 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Le do pienamente ragione, sig. Massimo: il mondo è cambiato. Lo sa lei, lo so io, ma “loro” non lo sanno ancora. Chi sono “loro”? nemmeno loro lo sanno.
Il mondo è cambiato non già a causa della pandemia. La pandemia ha solo dato un’accelerazione al processo di cambiamento che era già in corso di sviluppo da tempo: la digitalizzazione. Siamo passati in un battibaleno dall’economia “tradizionale” all’economia digitale. Siamo nell’era digitale, siamo in una società digitale, siamo in un’economia digitale. E non esiste ancora la moneta digitale! Non si è posto lei, sig. Massimo, il perché? Alla BCE stanno ancora studiando se, come, quando, e perché l’euro digitale! Non esistono ancora economisti digitali! E come vuole allora che ci siano le ricette per la società digitale (per lavoro e pensioni) se non esistono ancora economisti che sappiano come funziona un’economia digitale?
Perciò, occorre pensare ancora in maniera tradizionale. Occorre pensare allo stesso modo in cui pensano Fornero, Cazzola, Leonardi, Tridico.
Lei, sig. Massimo, dice che i soldi per pagare le pensioni ci sarebbero. Ci sono i miliardi risparmiati per i pensionati deceduti (è vero); i miliardi previsti per Quota 100 (è vero); i miliardi di evasione contributiva (è vero). Ma sa cosa le risponderebbero Fornero-Cazzola-Leonardi? Le risponderebbero pressappoco così: “Non è questo il punto. Il Punto è che si nasce sempre meno e si vive sempre più a lungo”. Loro (ora sappiamo chi sono “loro”) hanno in mente il parametro fondamentale dato dal rapporto “numero di lavoratori attivi/ numero di pensioni vigenti”. Lei, sig. Massimo, dovrebbe spiegare loro come fare ad aumentare le nascite (e quindi il numero di lavoratori attivi)! Sarebbe in grado di farlo?
Vuole invece sapere cosa le risponderebbe Tridico? Le risponderebbe pressappoco così: “Non è questo il punto. Il Punto è che il rapporto tra la spesa pensionistica e il Pil deve rientrare entro certi limiti. Oggi siamo nella media dei Paesi europei. Se il Pil non cresce, nemmeno la spesa pensionistica può crescere”. Tridico (ma non solo lui) ha in mente il rapporto “spesa pensionisica/Pil”. Lei, sig. Massimo, dovrebbe spiegare a Tridico come fare ad aumentare il Pil! Sarebbe in grado di farlo?
Ora lei mi dirà: “È il Governo che deve pensare a come fare ad aumentare le nascite e come fare ad aumentare il Pil”.
Sa come le risponderebbe il Governo? Le risponderebbe pressappoco così: “Ci stiamo già pensando, tramite il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Non solo ci attendiamo una forte spinta alla crescita economica e quindi al Pil, ma anche uno stimolo alle nascite, provvedendo ad offrire per esempio – cito testualmente – ‘un concreto aiuto alle famiglie, incoraggiando la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e la conciliazione tra vita familiare e professionale’”.
Vuole invece sapere come la penso io? Senza una “visione” (“la disoccupazione deve sparire dalla nostra società”) si hanno solo visioni (Quota 100, Opzione Donna, APE sociale, Quota 41 per precoci in stato di necessità, Uscita a 63 anni con quota contributiva, e alla via così).
22 Luglio 2021 alle 21:26 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
La Riforma Fornero è figlia del suo tempo. Ce ne si rende conto leggendo il libro “La guerra dei cinquant’anni” del Prof. Cazzola.
La Riforma Fornero è stata originata da una continua catena di causa-effetto, non è stata una scelta, ma una necessità. È questo ciò che io ho colto nel libro del Prof. Cazzola, ed è questo che mi pare di cogliere nella frase del Prof. Cazzola quando alla fine della presente intervista afferma: “I partiti – anche quelli che appoggiavano il governo Monti – dicono di essere stati costretti a votarla per la situazione in cui si trovava il Paese”.
Ma il tempo di oggi non è il tempo in cui ha avuto origine la Riforma Fornero. Il tempo di oggi è il tempo del digitale, del lavoro da remoto, del fai da te, non è il tempo dell’analogico, del lavoro in azienda, dell’altro che fa per te.
Il tempo di oggi è un tempo opposto a quello che ha dato origine alla Riforma Fornero: è un tempo che richiede una Riforma Previdenziale (anch’essa determinata dalla catena di causa- effetto) opposta alla Riforma Fornero.
22 Luglio 2021 alle 10:09 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Fare confronti tra Paesi differenti è un esercizio molto difficile, perché occorre conoscere le condizioni economiche, sociali e politiche dei singoli Paesi che si pongono a confronto.
Quando si affronta il problema delle pensioni bisogna affrontare simultaneamente il problema del lavoro: affrontare il problema delle pensioni senza considerare anche il problema del lavoro è un approccio metodologicamente errato, in quanto non si tiene conto dell’elemento comune che pensioni e lavoro hanno tra loro e che li lega, i contributi, una sorta di “cerniera” come la zip dei pantaloni che lega tra loro due lati di stoffa opposti ma complementari. È ancora più grave affrontare il problema del lavoro senza tenere conto del rapido ritmo con cui va diffondendosi l’impiego delle tecnologie digitali, un ritmo che non dà tempo di riassorbire in altri settori produttivi la manodopera rimasta inutilizzata a causa dell’automazione e della disintermediazione.
La Svizzera non ha il problema della disoccupazione che invece ha l’Italia. In Svizzera il tasso di disoccupazione nel quarto trimestre del 2020 è stato del 4,9%. In Italia il tasso di disoccupazione a fine 2020 era intorno al 10% (circa 2,5 milioni di italiani disoccupati, cifra che sale di molto se si considerano le 800mila persone che da gennaio ad aprile 2021 hanno perso lavoro, e se si considerano anche i 2,1 milioni di giovani inattivi, ovvero di giovani nella fascia di età 15-24 anni che non studiano e non lavorano. Totale di persone in Italia senza lavoro: 5 milioni).
Nella condizione in cui l’Italia oggi si trova (con elevata disoccupazione e forte spinta verso la digitalizzazione), aumentare il tasso di occupazione degli anziani significherebbe andare incontro a quella che io chiamo “catastrofe generazionale”.
21 Luglio 2021 alle 1:08 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sergio Ricossa (1927-2016), economista e accademico torinese (la Prof.ssa Fornero, che è anche lei di Torino, deve averlo senz’altro conosciuto) così scriveva nel 1997: “Impariamo l’economia equivale dunque a dire impariamo a cucinare: la cucina è un’attività creativa, in sviluppo, non possiamo preparare le ricette del 2050, perché non sarebbero le ricette del 2050. Lo stesso è per l’economia, che può descrivere il presente ed il passato, ma le leggi del futuro non è assolutamente in grado di insegnarle, perché sovente accade quello che i filosofi chiamano l’eterogenesi dei fini, cioè noi crediamo di ottenere certi risultati ed invece otteniamo i risultati opposti, o comunque completamente diversi da quelli attesi. Lo stesso accade cucinando, anzi, molte delle ricette più appetibili sono il risultato di errori”.
Ecco, ora in cucina è entrata la Prof.ssa Fornero. Lasciamo che cucini la ricetta per il 2050 preparata dal Presidente Tridico! Chissà, magari in virtù dell’eterogenesi dei fini, dai suoi errori (che senz’altro ci saranno, sono pronto a scommetere la mia testa) potrà uscire qualcosa di buono per lavoratori e pensionati. Perciò, per cortesia, lasciamo in pace per una buona volta la Fornero, che è conosciuta agli italiani, purtroppo, solo per la tristemente famosa Riforma Fornero (forse è per questo che l’economia viene definita la “scienza triste”) e non per aver scoperto la legge economica Fornero, nè per aver elaborato il modello economico Fornero, nè per aver sviluppato la teoria economica Fornero, insomma, qualcosa che abbia a che vedere con l’economia. Affidiamoci invece all’economista Sergio Ricossa e lasciamo che la Fornero cucini per lavoratori e pensionati la ricetta preparata da Tridico.
A costo di attirarmi delle antipatie, devo confessare che Fornero e Tridico, in fondo, mi sono simpatici. Sono tra i pochi, assieme a Cazzola, a credere in ciò che dicono e fanno, pur sapendo di non raccogliere ampi consensi. Sono tra i pochi pronti a difendere a spada tratta le idee in cui credono. Sono tra i pochi ad essere intellettualmente onesti. Forse sbagliano, ma sbagliano sapendo di essere nel giusto. Anche il vecchio Max Planck che era nel giusto riteneva che il giovane Einstein si sbagliasse (ma era Planck che si sbagliava).
Meglio loro, che si rendono visibili ed esposti a dissensi, piuttosto che coloro che si nascondono dietro di loro per ricevere consensi.
20 Luglio 2021 alle 17:30 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Il giornale La Stampa riporta una frase tra virgolette che sembrerebbe aver detto la Prof.ssa Fornero: “I politici ci chiamano per le scelte impopolari”.
Quando i politici hanno rinunciato volontariamente all’esercizio del potere sovrano, cedendo il mandato a Mario Draghi e a Daniele Franco (due tecnici, due monetaristi) davvero il pensiero della gente non è andato a Mario Monti e ad Elsa Fornero?
Adesso che lo scenario sembra avere contorni più precisi: davvero si pensa che il Governo Draghi possa fare meglio del Governo Monti? con il rapporto debito pubblico/PIL e il rapporto deficit pubblico/PIL di gran lunga superiori a quelli che c’erano ai tempi di Monti?
Le invettive non vanno rivolte ai tecnici che sono chiamati a prendere scelte impopolari (è loro mestiere aggiustare le finanze che i politici hanno rovinato); vanno invece richieste spiegazioni ai politici che hanno tradito il mandato loro conferito dal popolo, dando mandato ai tecnici di compiere scelte impopolari.
19 Luglio 2021 alle 13:42 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
La libertà si apprezza quando viene a mancare.
Ci fu un tempo storico, assai vicino, in cui si creò il movimento IOCHIUDO. Una nazione grande era oppressa dal dominio di una piccola nazione, e allora si pensò di chiudere tutte le attività produttive (ma davvero tutte quante) per conquistare la propria libertà. E così fu.
Ai nostri tempi si forma il movimento IOAPRO. Vaste categorie di lavoratori vengono oppresse da DPCM di piccoli governi, e allora danno corso a manifestazioni per vedere riaffermata la libertà di ogni individuo, la libertà di scegliere se vaccinarsi oppure no.
IOCHIUDO ha lottato per la propria libertà sacrificando il proprio lavoro. IOAPRO lotta per il proprio lavoro impedendo di sacrificare la libertà altrui.
Coma andrà a finire con IOAPRO non lo sappiamo ancora, ce lo dirà la storia. Come è andata a finire con IOCHIUDO lo sappiamo già, ce lo ha detto la Storia.
17 Luglio 2021 alle 20:25 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Osservando il corso degli eventi in maniera distaccata, in un giorno di quiete, con pensieri calmi, si scopre che il sistema previdenziale di oggi è il risultato di una continua catena di cause ed effetti.
In altre parole, i Governi che di volta in volta si sono succeduti ed hanno messo mano alle pensioni sono stati costretti a fare ciò che hanno fatto: hanno agito su base di necessità e non di volontà.
Lo stesso si può dire per il Governo Draghi: agisce per necessità, non per volontà.
Si agisce per volontà quando si ha una “visione” da realizzare, e quando c’è qualcuno capace di realizzare quella visione. Oggi nessuno ha quella visione in grado di attuare le aspettative degli italiani, sia in termini di pensione che di lavoro: non ce l’ha il Governo, non ce l’hanno i Partiti politici, non ce l’hanno i Sindacati.
Domanda: se non si è riusciti a fare una riforma previdenziale buona quando sti stava finanziariamente meglio, la si potrà fare oggi in cui si sta finanziariamente peggio?
Ciascuno tragga le proprie conclusioni.
16 Luglio 2021 alle 14:01 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Giovanni, ci sono i contributi, le imposte e le tasse.
I “contributi” vengono versati dai lavoratori attivi a enti previdenziali (es. INPS) e servono per finanziare le pensioni.
Le “imposte” vengono versate dai lavoratori attivi e dai pensionati al fisco (Agenzia delle Entrate) e servono per finanziare servizi generali che sono a carico dello Stato (sanità, istruzione, difesa). Imposte sono l’IRPEF (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche) e l’IVA (Imposta sul Valore Aggiunto).
Le imposte sono pagate ovviamente anche dalle imprese (es. IRES: Imposta sul Reddito delle Società).
Le “tasse” servono invece per pagare servizi specifici. È il caso, per esempio, della TARI (TAssa sui RIfiuti).
Il pagamento delle imposte è obbligatorio e vi fa riferimento l’Articolo 53 della Costituzione:
“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
16 Luglio 2021 alle 12:15 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Lei ha perfettamente ragione, sig. Francesco. Ci sarebbe da attendersi che le aziende trasferirebbero i maggiori costi di produzione sui loro prodotti, proprio come farebbero se i Sindacati richiedessero l’aumento dei salari dei lavoratori.
Ma proprio qui sta il punto sul quale la tecnologia digitale ci induce a riflettere: poiché con la tecnologia digitale non abbiamo più a che vedere con macchine tipo “trattore da campo” ma con macchine guidate da software “intelligenti” orientate a raggiungere in maniera autonoma ma programmata determinati obiettivi, occorre trattare la tecnologia alla stregua della forza lavoro (e non più come capitale fisico). Si potrebbe in tal caso anche pensare ad un effetto sostituzione: se non si vuole far pagare i contributi alla tecnologia, allora si aumentino i salari dei lavoratori! Aumentando i salari dei lavoratori, aumenterebbero di conseguenza i contributi che i lavoratori verserebbero.
La chiave di volta sono i contributi, che compaiono sia sul fronte lavoro che sul fronte delle pensioni: poiché i contributi vengono depositati dai lavoratori e prelevati dai pensionati (così funziona il nostro sistema a ripartizione), si rende necessario sviluppare una visione unitaria del mondo lavorativo e discutere allo stesso tavolo (e non su tavoli separati) sia la Riforma Pensioni che la Riforma Lavoro.
10 Luglio 2021 alle 9:42 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
“Il fondo pensione è una sorta di libretto di risparmio”. Bene.
Consente “a nonni, zii e parenti di finanziare il fondo pensione dei giovanissimi consentendo la deduzione fiscale”. Ottimo.
DOMANDA: Ma chi gestisce i Fondi Pensione? Fiducia assoluta?
RISPOSTA: Certo!! … I Fondi sono vigilati proprio come il sistema bancario!!!
Ah, beh!
7 Luglio 2021 alle 17:41 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Quando si parla di numeri è sempre difficile trovare la quadra.
Ci sono numeri a volte differenti per qualche centinaia di milioni in merito alla stessa voce (poco se confrontato con il valore dei miliardi).
Proviamo a vedere questi numeri ricorrendo ad altre pagine del preventivo di bilancio 2021 dell’INPS chiamato “Tomo_I_preventivo_2021”.
A pagina 533 si legge: “Le entrate contributive sono state calcolate in 229.841 mln”.
A pagina 539 si legge: “Le pensioni ammontano a 297.841 mln (comprensivi di 58.227 mln di trattenute fiscali”.
MIA INTERPRETAZIONE: a) le pensioni vengono finanziate con le entrate contributive pari a 229.841 mln; b) nel valore di 297.841 milioni sono inclusi i 58.227 milioni di trattenute fiscali, il che significa che i pensionati dovranno pagare al fisco 58.227 milioni per cui il vero esborso per le pensioni è pari a 297.841 – 58.227 = 239.614 milioni; c) per pagare le pensioni mancano 239.614 – 229.841 = 9.773 milioni, ovvero poco più di 9 miliardi di euro.
A pagina 30 si legge: “La gestione economica presenta un risultato di esercizio negativo pari a 20.327 milioni di euro” (mia nota: è ragionevole ritenere che in questi 20 miliardi di deficit ci siano i 9 miliardi per coprire la spesa pensionistica).
In un mio precedente post affermo che sarebbe bene non affrontare la questione della separazione tra previdenza e assistenza: lo ritengo utile per lasciare all’INPS ampia libertà di scelta su come coprire il disavanzo di 9 miliardi, ricorrendo eventualmente anche alla fiscalità generale (cosa che, ripeto, alla quale non bisognerebbe ricorrere per dare copertura alle pensioni) che normalmente serve per coprire le spese assistenziali.
Al tempo stesso, in un altro mio post, domando ai Sindacati come pensano di riuscire a pagare le pensioni ricorrendo solamente al gettito contributivo. La mia è una domanda retorica e la risposta è la seguente: le pensioni vanno pagate ricorrendo al gettito contributivo il quale, essendo insufficiente per pagare le pensioni correnti, va incrementato attraverso l’aumento dell’occupazione. Quindi il problema da affrontare è duplice: 1) come mandare in pensione la generazione corrente di lavoratori nella fascia di età 55-64 anni?; 2) come aumentare l’occupazione ingaggiando le nuove leve generazionali nella fascia di età 25-34 anni?
Su come risolvere i due problemi sopra esposti (pensioni e lavoro) mi sono espresso più volte sia su pensionipertutti.it che altrove.
Ad ogni modo, sig. Wal52, non si preoccupi più di tanto: per quanto mi riguarda, non noto affatto che il discorso tra noi non funziona. Il confronto di idee serve proprio per chiarirsi. E per questo dovrei anche ringraziarla, perché, sollecitando chiarimenti da parte mia, mi dà la possibilità di chiarire sempre di più il mio pensiero su una tematica di vastissime dimensioni quale è la previdenza.
A destare preoccupazione, invece, dovrebbe essere la mancanza di discorso tra Governo e Sindacati.
7 Luglio 2021 alle 13:40 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Carlo Q, concordo con lei. Anche per me le pensioni dovrebbero essere considerate come parte del Welfare.
Il mio dizionario di lingua inglese traduce “welfare” con benessere. Un Welfare State è dunque uno “Stato del benessere” che attua interventi rivolti alla protezione sociale in favore dei cittadini.
Il Welfare State viene confuso a volte con lo “Stato assistenziale”. Il Welfare State, invece, va identificato con lo “Stato sociale”.
Quando parliamo di “Stato sociale”, c’è forse differenza tra pensioni e assistenza?
La sola differenza che rilevo è nel modo di finanziare previdenza e assistenza: la previdenza va finanziata con i contributi del lavoro (e quindi questo deve stimolare i policy maker a creare lavoro); mentre l’assistenza va finanziata con la fiscalità generale (e quindi questo deve stimolare i policy maker a tarare le aliquote fiscali in modo da prendere ai ricchi e dare ai poveri).
Per il resto, credo che tra previdenza e assistenza ci sia una sorta di mutuo soccorso: se per finanziare le pensioni non sono sufficienti i contributi del lavoro, allora si attinga pure alla fiscalità generale; se per finanziare l’assistenza non è sufficiente la fiscalità generale, allora si attinga pure ai contributi del lavoro.
Anche questo (anzi, soprattutto questo), io credo, è equità sociale.
7 Luglio 2021 alle 12:03 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Mauro Marino, credo che la previdenza e l’assistenza si possano separare solo attraverso la scissione dell’INPS in due istituti differenti: uno dedicato alla previdenza (l’INPS – Istituto Nazionale di Previdenza Sociale) e uno dedicato all’assistenza (INAS – Istituto Nazionale di Assistenza Sociale – che nella mia idea non è il Patronato CISL fondato nel 1949 che offre assistenza e consulenza a lavoratori, pensionati e immigrati, ma un istituto statale alla pari dell’INPS che gestisce un budget alimentato dalla fiscalità generale).
Sig. Mauro Marino, lei vuol sapere esattamente quanto incide la spesa pensionistica pura sul totale? Bene, la rimando all’articolo “Riforma pensioni 2020, ultimissime: separare previdenza da assistenza, falsa soluzione?” pubblicato su Pensionipertutti.it a firma di Erica Venditti in data 9 ottobre 2020.
In quell’articolo si riporta che “Il Pil del 2018 (anno cui fa riferimento Tridico) è stato, in base ai dati Istat, di 1754 miliardi. La spesa complessiva per pensioni e assistenza è stata di 266 mld, il 15% del Pil, di cui 211 mld pari al 12% del Pil per la spesa previdenziale e 50 mld pari al 3% del Pil per spese assistenziali”.
Per sintetizzare i contenuti dell’articolo, riporto qui di seguito quanto la dott.ssa Venditti, nel paragrafo “quanto pesa DAVVERO l’assistenza sulla previdenza?” – riprendendo le mie parole – afferma: “A conti fatti il bilancio previdenziale risulta all’attivo (Biasioli e Brambilla) e le spese per le pensioni, depurate dai numeri dell’assistenza, sono al lordo il 12% del Pil e al netto il 9% del Pil (Tridico) in linea con la media Ue (che è stata il 12,6% nel 2016): se sappiamo tutto ciò vuol dire che sotto il profilo contabile la previdenza e l’assistenza sono già separate e finanziate in modo adeguato. Dunque, dove sta il problema?”
Infine, sig. Mauro Marino, sono d’accordo con lei quando afferma che: “Le pensioni di invalidità e l’accompagnamento non possono essere nello stesso calderone dei contributi versati dai lavoratori”. E aggiungo, con tutta la forza di pensiero di cui dispongo, che dentro il calderone della fiscalità generale – che serve per coprire le spese dell’assistenza – non dovrebbe nemmeno esserci la pensione anticipata Quota 100”.
Caro sig. Mauro Marino, al momento la “assistenza” serve per pagare le pensioni. Non si tocchi nulla, non si separi nulla, anche perché, se è dal 1989 che si cerca di separare la previdenza dall’assistenza e fino ad oggi non si è riusciti a farlo, vuol dire che il problema della separazione non è proprio una cosa così semplice da farsi (se posso usare una metafora un po’ audace, vorrei dire che separare la previdenza dall’assistenza è un po’ come voler separare due bimbi siamesi uniti per la testa).
Piuttosto, invece, si rafforzino le misure per il contrasto all’evasione contributiva che, nel 2017, si aggirava attorno ai 20 miliardi di euro (tra lavoratori regolari e irregolari), una somma che se venisse recuperata di anno in anno servirebbe a finanziare le pensioni Quota 41 indipendentemente dall’età.
Come è mia consuetudine, riporto la fonte dei miei dati, che ho ripreso dal “Documento di Economia e Finanza 2020. Nota di Aggiornamento. Allegato. Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva – anno 2020”. Alle pagine 122-123 si legge: “L’ipotesi massima di contributi commisurati alla retribuzione dei regolari porta a una stima dell’evasione contributiva dell’ordine di 11 miliardi nel 2014 e di 11,3 nel 2015; nel 2016 la riduzione dell’input di lavoro dipendente irregolare induce un ridimensionamento a 10,9 miliardi dell’evasione, che però si riporta a 11,7 miliardi nel 2017. Analogamente nell’ipotesi minima, che considera come imponibile la retribuzione effettiva stimata per gli irregolari, si giunge a un’evasione contributiva che nei quattro anni varia tra gli 8,2 e gli 8,3 miliardi, tranne nel 2016 quando scende a circa 7,8 miliardi”.
In definitiva, per quanto riguarda la separazione tra previdenza e assistenza, i conti sono in ordine, la spesa per la previdenza è in linea con la media UE, e l’assistenza (finanziata con la fiscalità generale) contribuisce a finanziare le pensioni (già finanziate con i contributi dei lavoratori attivi). Il problema che invece emerge è il seguente: sic rebus stantibus (giusto per imitare bonariamente il Prof. Cazzola) – ovvero, stando così le cose – non sarà possibile ridurre le tasse (perché altrimenti non si potrebbero pagare le pensioni tramite la fiscalità generale).
5 Luglio 2021 alle 18:43 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Con la cifra di 125.994 milioni di euro l’INPS si riferisce alle entrate da fiscalità generale, ovvero a imposte che non hanno una specifica destinazione (come Irpef e Iva). Tali entrate da fiscalità generale servono (afferma l’Inps) per la copertura di alcune voci di spesa tra cui: Quota 100, assegni e pensioni sociali, pensioni anticipate e salvaguardie, prestazioni a favore della disabilità non di origine professionale, reddito e pensione di cittadinanza, prestazioni per protezione sociale.
Ad onor del vero, parlando di 125.994 milioni di euro, non ho fatto accenno alla spesa per assistenza, ma alla fiscalità generale. Con ciò ho voluto mettere in evidenza che Quota 100 viene finanziata con Irpef e Iva e non con i contributi dei lavoratori (come, a mio avviso, dovrebbe invece avvenire).
La spesa per l’assistenza è la GIAS – Gestione Interventi ASsistenziali – che riguarda: pensioni di invalidità civile, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali, pensioni di guerra, altre prestazioni assistenziali di cui integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali.
Nel “Tomo_I_preventivo_2021.pdf” (di 1.120 pagine) dell’INPS, nel capitolo “Parte Quinta. Le entrate e gli oneri a carico della GIAS” a pag. 445 si legge:«Gli oneri a carico della “Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali” (GIAS) per l’anno 2021 sono stati valutati in 128.115 milioni [omissis]”. A pag. 446 si legge che la copertura degli oneri [pari a 128.115 milioni di euro] “sarà assicurata per 125.994 milioni dai trasferimenti dal bilancio dello Stato” e da “2.121 milioni da altre entrate (contributi della produzione, recupero di prestazioni ed entrate diverse)”.
Sembra di capire, dunque, che la GIAS cui si riferisce l’INPS includa anche le “gestioni previdenziali” oltre agli “interventi assistenziali”. Ma se la GIAS viene finanziata con la fiscalità generale (ovvero IRPEF e IVA) vuol dire che anche le gestioni previdenziali vengono finanziate con la fiscalità generale.
Osserviamo allora che le pensioni vengono finanziate sia con i contributi dei lavoratori attivi che con la fiscalità generale.
Ne consegue che se si separa l’assistenza (GIAS) dalla previdenza, si avrà la possibilità di finanziare un numero minore di pensioni.
Allora sembrerebbe avere ragione il Prof. Cazzola. Nel suo libro “La guerra dei cinquant’anni” alle pagine 18 e 19, parlando della separazione tra previdenza e assistenza il Prof. Cazzola afferma che “ancora oggi continua a circolare tra i luoghi comuni che distorcono il dibattito sulle pensioni” la questione che “i conti delle pensioni sarebbero in ordine se non dovessero sopportare l’onere dell’assistenza. Era (ed è) vero esattamente il contrario”.
Conclusioni: per quanto riguarda le pensioni, i Sindacati farebbero bene a non toccare l’argomento in merito alla separazione tra assistenza e previdenza, perché altrimenti, venendo a mancare il gettito della fiscalità generale, sarebbe davvero molto difficile poter finanziare le pensioni, già penalizzate dalla mancanza di 9 miliardi di gettito contributivo.
3 Luglio 2021 alle 21:56 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Il segretario confederale della Cisl Ignazio Ganga afferma che non può nascondere alcune preoccupazioni. Infatti, sono ben manifeste, in quanto sono le stesse che vengono espresse dai lavoratori.
Per quanto riguarda la separazione tra previdenza e assistenza, il segretario della Cisl afferma che si stanno “incontrando diversi ostacoli fra le posizioni in campo per arrivare ad una chiara separazione tra previdenza e assistenza”. Questi ostacoli, è vero, permangono oramai da lungo tempo: “sin dal 1989, il legislatore si è proposto di separare l’assistenza dalla previdenza, istituendo presso l’Inps una speciale Gestione degli interventi assistenziali (Gias) da finanziarsi a carico dell’erario” (come si legge nell’articolo “La sottile distinzione tra previdenza e assistenza” scritto da Onorato Castellino e Elsa Fornero su la voce.info in data 17/07/2003 (https://www.lavoce.info/archives/21872/la-sottile-distinzione-tra-previdenza-e-assistenza/).
Ma non è sulla separazione tra previdenza e assistenza che è mia intenzione soffermarmi, quanto, invece, sulla previdenza, che, a detta del segretario confederale della Cisl, “dovrebbe essere intesa come la voce collegata ai contributi”. Prima di venire al punto della questione, mi è necessario però fare un preambolo.
Proprio sui contributi il Prof. Cazzola rileva un problema che espone nel suo libro “La guerra dei cinquant’anni” nel paragrafo 4 intitolato “Il bilancio preventivo Inps per il 2021” a pag. 249: “Il Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ) ha approvato il bilancio preventivo dell’Inps per l’anno 2021. Le entrate previste per contributi saranno pari a 229,841 miliardi di euro; le uscite per prestazioni da contributi sono pari a 239,120 miliardi, per un saldo negativo pari a 9,27 miliardi di euro”.
Il Prof. Cazzola non ne indica la fonte, ma ritengo che si riferisca al documento redatto dal Consiglio di indirizzo e vigilanza Inps, Deliberazione n. 23 del 29 dicembre 2020, avente per oggetto: “progetto di bilancio preventivo finanziario generale di competenza e di cassa ed economico-patrimoniale generale dell’INPS per l’esercizio 2021”. Il documento CIV2020_0023.pdf è scaricabile dal sito Inps al seguente indirizzo: https://www.inps.it/docallegatiNP/Mig/Istituto/Delibere_Odg/2020/CIV2020_0023.pdf
In particolare, nel documento del Civ a pag. 13 si legge: “Totale gettito contributivo 229.841 milioni di euro”. A pag. 14, invece, si legge: “Totale spese per prestazioni mutualizzate 239.120 milioni di euro”. (Piccola nota: il prof. Cazzola si esprime in termini di “miliardi di euro” ed utilizza la virgola (,) per indicare i decimali; mentre il Civ si esprime in termini di “milioni di euro” ed utilizza il punto (.) per indicare le migliaia).
Il Civ aggiunge alle pagg. 13-14 che i trasferimenti a carico della fiscalità generale a copertura di Quota 100 (4.629 milioni di euro), Reddito e Pensione di cittadinanza (7.197 milioni di euro), assegni e pensioni sociali ed altre forme assistenziali è di 125.994 milioni di euro (mia nota molto personale: finanziare Quota 100 con la fiscalità generale, anziché con il gettito contributivo, non è affatto una cosa da farsi).
Dopo questo necessario preambolo, vengo finalmente al punto cruciale della questione in merito all’osservazione del segretario confederale della Cisl Ignazio Ganga sul proposito (molto corretto, aggiungo io) che la previdenza “dovrebbe essere intesa come la voce collegata ai contributi”. A lui e ai segretari delle altre sigle sindacali rivolgo dunque la seguente domanda: “come finanziare tramite contributi le nuove pensioni 2022 con un gettito contributivo già in deficit di 9 miliardi di euro nel 2021?”
22 Giugno 2021 alle 22:24 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Antonio60, lei è disilluso. Lo si capisce. Noi lo capiamo.
Il Prof. Angrisani dice le cose come stanno. Anche il Prof. Cazzola dice le cose come stanno, e le dice apertamente, pubblicamente, esprimendo il suo pensiero attraverso giornali e televisioni, insomma, come si suol dire, “ci mette la faccia” e, per farlo, non può certamente nascondersi dietro alcuno.
Sul punto 1) relativo ai giovani ha oggettivamente ragione: se non hanno lavoro o hanno un lavoro precario è molto difficile che potranno formarsi una famiglia e crescere dei figli.
Sul punto2) riguardo a esperti, politici, sindacalisti e opinionisti vari ha intuito bene: le loro soluzioni tendono a ridurre il sistema di calcolo pensionistico al contributivo puro. Sono le sole soluzioni che riescono a trovare. Non riescono ad andare oltre, a vedere oltre. Non sono lungi-miranti, e quindi non sono nemmeno lungi-andanti. Li immagini, se vuole, come simpatici vecchietti dalla vista corta che avanzano a passi lenti e incerti. Onestamente, se lei incontrasse sulla sua via un vecchietto così, se la prenderebbe? Se i nostri esperti, politici, sindacalisti e opinionisti vari non vanno (non dico oltre la sufficienza) nemmeno oltre la mediocrità, non è colpa loro. Loro, comunque, ce la mettono tutta per fare le cose per bene.
Sul punto 3) riguardo al dare una mano alle donne, cargivers, precoci, disoccupati in età avanzata non le si può dare torto, ma si rassicuri: sono certo che per cargivers, precoci e disoccupati in età avanzata qualcosa di buono uscirà. Per le donne, invece, per quanto il Governo sbandieri a vele spiegate la “parità di genere”, non vedo ancora nulla all’orizzonte: la nostra società è culturalmente profondamente arretrata per capire in tutta la sua profondità concettuale e portata cosa significhi “parità di genere”.
Sig. Antonio60, mi permetta un’osservazione che, mi spiace, non le piacerà: se lei si sente disilluso è perché si era illuso, e se si era illuso è perchè credeva vero ciò che desiderava. Perciò, se proprio cerca qualcuno a cui dare la colpa per la sua disillusione, ebbene, sig. Antonio60, le basta guardarsi allo specchio.
Ultima cosa. C’è chi si appoggia ad altri per sembrare un gigante. Non è il caso del Prof. Cazzola.
22 Giugno 2021 alle 19:13 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Antonio, lei solleva giuste obiezioni.
Nel mondo in cui viviamo ci sono i “fatti” e i “giudizi” sui fatti. L’economia si occupa di entrambi.
L’economia che si propone di descrivere i fatti e le relazioni tra i fatti si chiama “economia positiva”. Si pone domande del tipo: “qual è oggi il tasso di disoccupazione?”, “come varia il tasso di inflazione al variare del tasso di disoccupazione?”, “quale sarà l’influenza di un’imposta sulla benzina sul consumo della benzina?”, “quale deve essere il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati in modo che il sistema previdenziale sia sostenibile dal punto di vista finanziario?”.
L’economia che “giudica” i fatti, che implica l’etica e i giudizi di valore si chiama “economia normativa”. Si pone domande del tipo “quanta inflazione si dovrebbe tollerare e quanta disoccupazione si dovrebbe tollerare?”, “l’imposizione fiscale dovrebbe tartassare i ricchi per aiutare i poveri?”, “è giusto spendere in aerei F35 quando ci sono migliaia di famiglie in povertà?”.
Gli economisti (in qualità di “scienziati”) si occupano prevalentemente di economia positiva sulla quale si fondano le “ricette” dell’economia normativa di cui si occupano invece i politici.
Fatta questa doverosa premessa, sig. Antonio, veniamo alle sue osservazioni. A tali osservazioni non potranno risponderle gli economisti, ma potranno invece risponderle i politici. Ebbene, per quanto riguarda “recuperare i soldi dai ricchi, dagli evasori, dalle grande aziende che non pagano tasse in Italia” (sue parole) i politici le risponderanno: “è obiettivo di questo Governo rimodulare le aliquote fiscali in modo da rendere più equa la tassazione, che oggi favorisce di gran lunga i ricchi mentre penalizza coloro che hanno redditi più bassi. Per quanto riguarda gli evasori, stiamo già provvedendo con l’attuazione della fatturazione elettronica. Sulle aziende che non pagano le tasse in Italia ci stiamo muovendo in sintonia con i nostri Partner europei al fine di approdare quanto prima ad una Politica Fiscale comune. Tale Politica Fiscale comune ci consentirà di conseguire una maggiore equità distributiva tra i Paesi europei, e si avvicina sempre più il giorno in cui avremo in Europa tasse uguali per tutti e stipendi in linea tra loro in tutti i Paesi della Comunità europea”.
Infine, il Governo avrà modo di proseguire dicendo: “proprio per consentirci di raggiungere questi obiettivi ambiziosi, l’Ocse e il Consiglio europeo raccomandano all’Italia di tenere sotto stretta sorveglianza i conti pubblici, a cominciare dalla spesa pensionistica che è superiore alla media europea”.
Sia l’Italia che l’Europa riconoscono che (parafrasando la sua frase, sig. Antonio) “finché non ci sarà equità fiscale non si riuscirà a raggiungere il benessere comune”.
Sig. Antonio, le interessa ricevere un mio consiglio che credo lei forse stia già seguendo? Ascolti economisti e politici in maniera distaccata. Ma diffidi di quegli economisti che non cambiano idea quando cambiano i fatti; e diffidi di quei politici che volendo cambiare i fatti delegano i tecnici per non cambiare nulla.
18 Giugno 2021 alle 16:05 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Mauro, contrariamente a quanto si possa pensare, apprezzo le sue parole. Quanto più feroci sono le critiche al mio pensiero, tanto più il mio pensiero ne esce rafforzato. La forza del mio pensiero non è tanto nelle parole che lo esprimono, quanto nei modelli matematici che lo sostengono. Chi vuole confutare il mio pensiero può farlo. Ma deve farlo in termini matematici.
Per quanto riguarda la creazione del denaro dal nulla, l’idea non è proprio mia, ma dell’economista John Kenneth Galbraith. Lo spiega nel suo libro intitolato “Soldi. Conoscere le logiche del denaro per capire la grande crisi” (ed. BUR Rizzoli, 2017)”. A pag. 24 del Capitolo intitolato “Le banche” Galbraith afferma: “Il processo mediante il quale le banche creano denaro è talmente semplice che si fa fatica a crederlo”. Non voglio privarla del piacere, sig. Mauro, di leggere il libro di Galbraith per scoprire veramente come si crea il denaro.
Ancora per quanto riguarda la creazione del denaro dal nulla, potrebbe leggere, sig. Mauro, il libro dell’economista greco Yanis Varoufakis (ministro dell’economia nel Governo Tsipras) intitolato “È l’economia che cambia il mondo. Quando la disuguaglianza mette a rischio il nostro futuro” (ed. Rizzoli, 2015). A pag. 65 Varoufakis illustra la scena in cui il negoziante Michalis va in banca a chiedere un prestito di 500.000 euro con cui pagare un produttore della macchina dei telai, e scrive: “Domanda: dove prende il banchiere la somma per prestarla, gravata da un certo interesse, a Michalis? La risposta «Il banchiere prenderà quei soldi dal nulla»”. Infatti, una volta che Michalis ha ricevuto dal banchiere in prestito 500.000 euro, così scrive Varoufakuis: “Subito pagherà il produttore della macchina dei telai, trasferendogli sul conto quei 500.000 euro, e così si sarà creata «dal nulla» una somma di 500.000 euro”. Anche qui, sig. Mauro, non voglio privarla del piacere di leggere il libro di Varoufakis.
Lei teme che io “nulla capisca di politica monetaria, macroeconomia, e finanza”. Il suo timore è fondato, per quanto riguarda la finanza: è vero, io proprio non capisco come si possano scommettere i soldi della gente (lavoratori, famiglie, risparmiatori, pensionati) giocando in borsa. È per questo che la mia attenzione è rivolta prevalentemente all’economia reale (pane, lavoro, famiglie, imprese) piuttosto che all’economia finanziaria (azioni, obbligazioni, derivati, cripto-valute). È per questo che la mia attenzione è rivolta alla macroeconomia dello Stato (che deve avere come obiettivo l’abbattimento della disoccupazione), è per questo che la mia attenzione è rivolta alla politica monetaria da affidare allo Stato per supportare la sua politica di occupazione, affinché lo Stato non debba prendere in prestito dalla Banca un foglio di carta che per produrlo sarà costato alla Banca 10 centesimi mentre per restituirlo lo Stato dovrà sborsare 100 euro (questo solo perché su quel foglio di carta è scritto il numero “100”). La Banca Centrale ha come obiettivo il controllo dell’inflazione, non la riduzione della disoccupazione (che è l’obiettivo, invece, dello Stato). Ad ogni modo a creare la moneta non è tanto la Banca Centrale (che al massimo potrà creare il 10% della moneta in circolazione), ma sono le banche commerciali (quelle che erogano mutui e prestiti) a creare per il 90% la moneta “dal nulla” attraverso una semplice scrittura su un registro (per questo si parla di “moneta scritturale”).
Vede, sig. Mauro, ammesso e non concesso (nel senso che se anche fosse possibile non lo farei mai) io mi presentassi al tavolo per un confronto dove siedono anche Lagarde della Bce, Visco di Banca d’Italia, Draghi Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, e dicessi loro “Se si vogliono trovare risorse addizionali, invece che affidarsi a pittoresche proposte occorre fare tre cose che in italia nessuno fa: UNO: abbattere l’evasione DUE: abbattere gli sprechi e gli sperperi TRE: incentivare innovazione e produttivita’”, beh, non credo proprio che siano disponibili a lasciarmi proseguire oltre nel mio discorso. Queste cose loro le sanno già.
Ad ogni modo, sig. Mauro, mi lasci dire che non basta dire COSA fare, ma anche COME fare.
UNO. Per abbattere l’evasione fiscale è necessario che tutte le transazioni a carattere monetario vengano registrate: con la moneta digitale ciò è possibile farlo (infatti, la Cina utilizzerà lo yuan digitale soprattutto per eliminare l’evasione fiscale).
DUE. Per abbattere gli sprechi e gli sperperi è necessario che le risorse (reali e monetarie) vengano utilizzate in maniera ottimale (in genere su questo agisce il fattore “prezzo”, che è il modo per razionare le risorse cosiddette “scarse” ovvero non disponibili in quantità tale da poter soddisfare l’illimitata quantità di bisogni e desideri umani). C’è da aggiungere che se ciò potesse realmente essere fatto, non staremmo ancora qui a parlarne. Durante i miei 40 anni di lavoro ho trovato sempre sprechi di risorse: umane e finanziarie. Pertanto, ritengo che un minimo spreco di risorse debba essere in qualche modo tollerato dalla nostra società (proprio come viene tollerato un livello minimo di disoccupazione).
TRE. Per incentivare innovazione e produttività è necessario che avvenga lo swap (ovvero la sostituzione del tipo: fuori uno e dentro un altro) tra la generazione (55-64) anni e la generazione (25-34) anni.
Il come rendere finanziariamente possibile lo swap generazionale, ovvero la sostituzione generazionale, ovvero il ricambio generazionale, è sintetizzato nell’articolo che lei avrà certamente letto.
Una piccolissima nota su di me: sono l’unico nella storia di trecento anni di economia ad avere reso l’economia una scienza sperimentale chiamandola “economatica” (fusione di economia e informatica. Aggiungo che in tutta la storia dell’umanità, a partire da Adamo ed Eva, solo due persone sono riuscite a fondere due discipline tra loro: Luigi Fantappiè che ha fuso Fisica e Biologia e Claudio Maria Perfetto che ha fuso Economia e Informatica).
17 Giugno 2021 alle 23:26 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Bene, sig.ra Wal, vado un poco oltre il mio ragionamento.
Punto 1: a livello europeo l’economista Stiglitz suggerisce di utilizzare un “euro flessibile”, ovvero ciascun Paese (o gruppi di Paesi) adotterebbe un proprio euro. L’idea di Stiglitz si fonda sul fatto che l’euro come moneta unica può funzionare solo se i Paesi sono omogenei tra loro. I Paesi dell’eurozona non sono omogenei tra loro. Si pensi, per esempio, al confronto tra la Germania e l’Italia. La Germania ha un debito pubblico di gran lunga inferiore a quello italiano che le consente di sostenere maggiori spese sia in termini di investimenti pubblici che di assistenza sociale. Queste cose l’Italia non può farlo.
Punto 2: anche accettando l’idea di Stiglitz, ci vorrebbe un tempo molto lungo prima che i Paesi dell’eurozona possano giungere ad un comune accordo su quanto propone Stiglitz.
Punto3: la Lituania appartiene all’eurozona e quindi adotta l’euro. Al tempo stesso ha lanciato il 23 luglio 2020 una propria moneta digitale chiamata LBCoin che, per non creare subbuglio nell’eurozona, viene identificata come una “moneta da collezione”.
Punto 4: l’Estonia appartiene all’eurozona e quindi adotta l’euro. Aveva in animo nel 2017 di lanciare la propria moneta digitale su ampia scala, attirandosi le ire di Draghi, allora presidente della BCE. Quindi l’Estonia ridimensionò il suo progetto ed espresse l’intenzione di utilizzare l’estcoin solo all’interno della propria nazione per i cosiddetti “residenti digitali” (anche lei, sig.ra Wal, se lo volesse, potrebbe richiedere la residenza digitale in Estonia e utilizzare l’estcoin). La motivazione espressa dall’Estonia è che vuole testare la tecnologia blockchain (la stessa che adotta la criptovaluta bitcoin).
Punto 5: L’Italia ha i suoi problemi, ed è bene che guardi nel proprio territorio, senza pensare a cosa potrebbero fare gli altri Stati. Tali problemi sono molto più gravi (a mio avviso, si intende) di quanto gli italiani possano riuscire a immaginare e di quanto il Governo possa affermare. Per affrontare problemi di tale portata (impoverimento di milioni di famiglie, disoccupazione su larga scala soprattutto su quella giovanile, anziani al lavoro inadeguati a sostenere la transizione tecnologica, precarietà diffusa in ambito lavorativo) aggravati da una situazione politico economica allarmante (partiti litigiosi, scollamento tra Governo e Sindacati, elevato debito pubblico, Pubblica Amministrazione deludente, Governi che non durano oltre due anni) è necessario un radicale cambiamento di rotta.
Punto 6: il cambiamento di rotta che si richiede all’Italia deve innanzitutto evitare che l’Italia entri in rotta di collisione con l’Europa. Pertanto, l’Italia deve raggiungere la propria stabilità interna nel rispetto dei vincoli europei, attenendosi scrupolosamente al Patto di Stabilità e di Crescita (sebbene tale patto sia stato sospeso fino alla fine del 2022).
Punto 7: lo inserisco qui per lei, sig.ra Wal, per consentirle di farle prendere un po’ di respiro. Lo consideri un intermezzo. Trovo che ci sia un contraddizione intrinseca nei piani di Governo: cosa vuol dire che la partita chiave per il nostro Paese si gioca sulla crescita economica quando il Patto di Stabilità e di Crescita (che serve proprio per la crescita economica) è stato sospeso? Nulla di grave, sig.ra Wal, è solo un intermezzo, un pensiero laterale.
Punto 8: l’Italia deve camminare con le proprie gambe, con le proprie risorse, senza aiuti dall’esterno, dall’Europa, senza prestiti europei. Per fare investimenti lo Stato può agire solo in due modi: aumentare le tasse, oppure chiedere prestiti. Se lo Stato non aumenta le tasse oggi e chiede invece prestiti, vorrà dire che sarà domani che lo Stato aumenterà le tasse.
Punto 9: è qui che si inserisce il mio pensiero della moneta digitale di Stato complementare all’euro. E mi riallaccio con quanto riportato in questo articolo. Attingere in primis al proprio patrimonio immobiliare per finanziare le nuove pensioni, mandare la fascia (la coorte) (55-64) in pensione, sostituirla con coorti più giovani, in modo tale che si avvierà un circolo virtuoso consumi- investimenti-produzione-occupazione tale per cui si potranno sostenere in maniera endogena le pensioni future (ovvero, senza più ricorrere a risorse esogene come il patrimonio dello Stato).
Punto 10: mi fermo qua e non vado oltre, per non tediarla ulteriormente ed anche perché l’ora è oramai già tarda.
17 Giugno 2021 alle 14:15 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Ha compreso bene il mio pensiero, sig. Franco Giuseppe, sul come utilizzare la moneta digitale. Questa moneta esiste solo all’interno del computer, non la si può toccare, non può essere estratta tramite una macchina erogatrice di moneta (ATM bancomat) come si fa con i contanti in banconote. Utilizzare la moneta digitale è come acquistare un libro su Amazon attraverso un click (se, per esempio, Amazon già conosce il numero della sua carta di credito).
La moneta digitale di Stato non è una moneta per così dire “senza copertura immediata” ( ovvero a credito, cioè i soldi potrebbero anche non essere sul conto) ma è una moneta “con copertura immediata” (ovvero a debito, cioè i soldi devono già essere sul conto).
La moneta digitale di Stato, per avere copertura immediata, deve trovare già riscontro con qualcosa di reale (esempio, un palazzo). Il patrimonio immobiliare dello Stato è valutato intorno ai 340 miliardi di euro. Quanto vale, per esempio, Palazzo Chigi? Avrà certamente un valore. Diciamo 700 milioni di euro (incluso tutto quanto è all’interno). Dunque, si ipoteca Palazzo Chigi (e non lo si può più né vendere e nè trasformare in liquidità) e si ottengono 700 milioni di “lire digitali” equivalenti a 700 milioni di “euro digitali” con cui pagare lo Stato paga le pensioni.
Questo meccanismo serve innanzitutto per finanziare le nuove pensioni, che altrimenti non potrebbero essere finanziate senza pesare sulla spesa pubblica (insomma, è come se una famiglia non potendo fare spese con il proprio stipendio ricorre alla vendita dei propri gioielli).
Una volta che entra in gioco la nuova forza lavoro da parte dei giovani, le pensioni potranno essere pagate non più attingendo alla “liquidità” dei beni immobili ma ai contributi (digitali) versati dai lavoratori.
17 Giugno 2021 alle 13:13 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Franco Giuseppe, è sempre davvero molto difficile spiegarsi. Perché è molto difficile esprimersi in termini semplici (questo è un problema che ce l’ha chi parla, non chi ascolta).
Quando affermo di “vendere il patrimonio dello Stato allo Stato” non intendo certamente l’ingegnosa idea di Totò (che ammiro per la sua napoletaneità verace, insuperabile al mondo).
Intendo che il patrimonio dello Stato venga ipotecato, e pertanto non più vendibile ad alcun potenziale acquirente al fine di ridurre il debito pubblico.
L’alternativa alla vendita del patrimonio dello Stato? Ebbene, è una patrimoniale applicata ai beni delle famiglie e delle imprese.
Lo Stato per quanto possa essere gestito da “politici arraffoni”, da politici “farabutti e avidi” (sue parole) è pur sempre lo Stato in cui viviamo, in cui cresciamo, in cui alleviamo i nostri figli, in cui vediamo morire i nostri genitori.
Se in questo stesso Stato non nutriamo fiducia, non ci rimane che vivere una vita piena di dubbi che ci priva persino della speranza di poter, un giorno, cambiare tutto ciò.
17 Giugno 2021 alle 12:49 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Vede, sig.ra Rosa, non si tratta di inventare soluzioni cervellotiche. Si tratta di scoprire soluzioni che mettano d’accordo erogazione delle pensioni senza pesare sul debito pubblico, inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, senza rompere gli equilibri con l’Europa.
Temo proprio che argomentazioni come “risparmi con Quota 100”, “risparmi sulle pensioni non erogate a causa di morti di Covid” non vengano recepite dal Consiglio europeo di Michel, dalla Commissione europea di von der Leyen, dalla Banca Centrale Europea di Lagarde.
Per confrontarsi con Istituzioni europee, con il Governo Italiano, con la Banca d’Italia, con gli economisti italiani, con i partiti e con i sindacati, occorre portare argomentazioni (cosa e come fare), non argomenti (Quota 100 e morti di covid).
17 Giugno 2021 alle 12:31 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Paolo, tutti gli italiani e gli europei familiarizzeranno con la moneta digitale quando verrà emesso l’euro digitale della BCE che circolerà parallelamente all’euro in banconote cartacee (probabilmente entro il 2022). Si parlerà quindi di moneta digitale bancaria, gestita dalla Banca Centrale Europea.
Per fare un esempio molto semplice, lei già utilizza la moneta digitale: lo fa quando paga con bancomat o con la carta prepagata bancaria, o con la carta PostePay. Si può anche chiamarla moneta elettronica, se questo termine le è più familiare.
La moneta digitale di cui parlo io è una sorta di “euro digitale” che anziché essere gestito dalla Banca Centrale Europea verrebbe gestito dalla Cassa Depositi e Prestiti italiana. Per lei in termini di stipendio o di pensione non cambia proprio nulla. Dovrebbe invece avere due accessi a due conti differenti: uno presso la banca se lo preferisce (alla quale deve pagare commissioni) e uno presso lo Stato, presso le Poste (al quale non dovrà pagare nulla). La possibilità di gestire i due conti correnti da un unico punto di accesso verrebbe garantita dalle tecnologie informatiche.
17 Giugno 2021 alle 12:08 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig.ra Mirella Rotondi, si rassicuri. Se per qualsiasi motivo lei avrà necessità di trasferirsi all’estero, non potrebbe portare con sé la valuta digitale destinata a circolare solo in Italia. Pertanto, se avrà residenza all’estero, la sua pensione le verrebbe versata interamente in valuta euro. La moneta digitale nazionale deve facilitare la vita degli italiani. Non renderla più complicata di quanto non lo sia già.
9 Giugno 2021 alle 17:42 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Vede, sig. Lorenzo, non so lei ma io credo che sia molto più costruttivo confrontarsi con chi la pensa diversamente da noi che non con chi la pensa come noi.
Se lei desidera sentirsi dire ciò che desidera che le venga detto ascolti pure il politico di turno che più le piace. Sono arciconvinto che ne troverà uno che la pensa come lei. Ma mi creda sulla parola, il rischio di rimanere deluso è davvero molto alto.
Il Prof. Cazzola e la Prof.ssa Fornero non parlano soltanto, ma argomentano, ovvero parlano seguendo un filo conduttore logico e ben strutturato. I politici non agiscono così, loro parlano per slogan, senza argomentare, e c’è un motivo molto valido: loro sanno che dopo tre secondi le persone cui loro si rivolgono già pensano a qualcos’altro.
Io potrei avere (e ce le ho) opinioni differenti da quelle del Prof. Cazzola e della Prof.ssa Fornero. Ma ciò non di meno li ammiro per la loro onestà intellettuale e coerenza.
7 Giugno 2021 alle 18:32 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Vede, sig. Vincenzo, non bisogna lasciarsi prendere né dallo sconforto né dall’ira quando si analizzano i fatti. È difficilissimo rimanere distaccati quando si è parte coinvolta, lo so molto bene, ma ciò non di meno è necessario farlo se si vogliono avanzare argomentazioni che non siano vulnerabili a delle contro-argomentazioni.
Ho letto i tre documenti che ho citato (le Raccomandazioni del Consiglio europeo, il Documento di Economia e Finanza del Governo italiano, il Rapporto della Corte dei Conti) e mi creda, non ho trovato alcuna apertura verso le pensioni. Al contrario, tutti e tre i documenti enfatizzano la necessità di contenere la spesa pubblica. La voce maggiore della spesa pubblica è la spesa pensionistica.
Se i Sindacati vogliono (provare a) vincere la partita sulle pensioni, devono risolvere il seguente dilemma: come aumentare la spesa pensionistica senza aumentare la spesa pubblica.
Sig. Vincenzo, con tutta onestà intellettuale, lei crede che i Sindacati possano risolvere il dilemma che le ho evidenziato?
7 Giugno 2021 alle 14:46 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
“Come è noto noi la pensiamo diversamente” (afferma il sottosegretario confederale della Cgil, Roberto Ghiselli).
È vero. I Sindacati hanno “diversamente ragione” (affermo io).
Ma “non basta avere ragione, bisogna essere capaci di farsela dare” (afferma Giuliano Cazzola).
I Sindacati faticano a farsi dare ragione. E faticano ancora di più nel vedere la realtà come la vedono il Consiglio Europeo (Raccomandazione del Consiglio sul programma nazionale di riforma 2019 dell’Italia), il Governo italiano (Documento di Economia e Finanza 2021) e la Corte dei Conti (Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica): sulle pensioni la partita è già chiusa.
31 Maggio 2021 alle 12:22 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Grazie sig.ra Wal (Alessandra) per aver soddisfatto la mia curiosità, che ho poi ulteriormente soddisfatto andando alla ricerca su internet del CV di Tridico.
È un curriculum (relativo al 2018) di 16 pagine di cui la più importante è la prima pagina in cui Tridico elenca le sue professioni da docente universitario. Nelle rimanenti 15 pagine Tridico elenca i suoi studi e gli articoli che ha scritto.
Sig.ra Wal, non si lasci suggestionare dai CV dei professori di economia: per la maggior parte sono un lunghissimo elenco di articoli, perché è in base al numero di articoli che scrivono che possono maturare i requisiti per avanzare nel mondo accademico. Sono articoli che vengono scritti assieme ad altri, che richiamano altri articoli degli stessi autori, insomma sono articoli autoreferenziali.
Alcuni articoli vengono considerati addirittura di natura “scientifica”. Ancora devo capire in che senso i professori di economica interpretano la parola “scienza”.
Personalmente non conosco in economia alcuna “formula di Tridico”, né una “curva Cottarelli”, né una “equazione Boeri”, né un “modello Draghi”, né una “teoria di Fornero”.
Conosco invece la “curva di Phillips”, l’“’equazione di Fisher”, il “modello Harrod-Domar”, la“teoria di Keynes”.
Vede, sig.ra Wal, noi non abbiamo economisti, ma solo professori di economia. Non c’è stato nessun economista italiano vincitore del Premio Nobel per l’economia. Sì, d’accordo, Franco Modigliani è stato l’unico italiano a vincere nel 1985 il Nobel per l’economia per i suoi lavori sul risparmio e i mercati finanziari. Ma a quel tempo Modigliani era “cittadino statunitense” (dal 1946).
31 Maggio 2021 alle 11:2 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Mi complimento con lei, sig. Carlo Q, per la sua ottima analisi. Mi ha tolto proprio le parole di bocca. I miei complimenti sono non solo per i contenuti della sua analisi, ma anche per il modo in cui li ha espressi: pacato, distaccato, obiettivo.
Il termine “umanoide” l’ho introdotto con un preciso intento: voglio intendere che l’economia (la disciplina economica e la società economica) deve estendere il proprio orizzonte oltre il comportamento umano.
I termini “robot” e “androide” li trovo riduttivi per costruirci su un Nuova Scienza Economica.
Il termine “intelligenza artificiale” mi sembra più che altro l’evoluzione del più fisico “cervello elettronico” (come veniva chiamato l’elaboratore elettronico negli anni sessanta). Pertanto, nemmeno sulla intelligenza artificiale si può costruire una Nuova Scienza Economica.
Robot, androide, intelligenza artificiale verrebbero visti come “capitale fisico” e non come “forza lavoro”.
L’umanoide (così come lo intendo io) non è “capitale fisico” ma è “forza lavoro” così come lo è l’essere umano. L’umanoide produce beni e servizi così come li produce l’essere umano. E se l’essere umano paga l’IRPEF e contributi, anche l’umanoide deve pagare l’IRPEF (che si dovrebbe chiamare IRAUT — Imposta sul Reddito degli AUTomi) e i contributi (che sarebbero ovviamente di natura digitale).
La parità di genere di cui oggi tanto si parla non va confusa in termini riduttivi con la “pari opportunità” tra uomo e donna, ma va considerata come una questione che unisce molti aspetti dell’essere umano: il sesso biologico, l’identità psicologica, il ruolo sociale, a cui vanno aggiunti altri aspetti come l’etnia di appartenenza, il credo religioso, la classe sociale. Sarebbe bene sin d’ora inserire nella parità di genere anche la parità tra umano e umanoide (almeno, in prima istanza, in termini economici).
Allo stato di evoluzione in cui si trova oggi la nostra società, più che l’umanoide è la parità di genere che mi sembra fantascientifica.
Ottima la sua analisi, sig. Carlo Q. Bravo!
29 Maggio 2021 alle 22:15 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
“Per i giovani il futuro non esisterà”, dice Mauro Marino. È vero.
Il futuro non esiste per nessuno di noi. È una strada che va costruita strada facendo.
Dove comincia la strada per il futuro? Comincia in Italia, di cui si conosce la lingua, un fattore fondamentale per lo sviluppo delle relazioni umane.
La prima tappa è trovare un lavoro (che quasi certamente non sarà a tempo indeterminato e corrispondente alla propria formazione scolastica — come bene osserva Mauro Marino). Per trovare un lavoro non è sufficiente registrarsi su linkedin o su monster o inviare curriculum (scritto sempre al singolare e mai al plurale “curricula”) corredati con una propria foto a mezzo busto (dalla cintola in su e senza occhiali da sole). È necessario accompagnare il curriculum con una lettera di presentazione di se stessi. Essendo all’inizio della strada non c’è molto da dire riguardo a quanta strada è stata percorsa, non ci sono esperienze da indicare. Ma non importa. Ci si gioca tutto con la lettera di presentazione. Deve essere scritta in linguaggio semplice, con la forza della convinzione in cui traspare la voglia di vincere. Le aziende cercano i campioni.
Occorre comprendere bene il business dell’azienda alla quale ci si rivolge. La si deve studiare bene, di cosa si occupa, quali sono i prodotti e i servizi che vende, quali sono i suoi Clienti; ma la cosa più importante è riuscire a rispondere a questa domanda “perché l’azienda dovrebbe scegliere proprio te e non un altro?”.
Quando si viene chiamati per un colloquio, occorre presentarsi ben vestiti, senza tatuaggi in bella vista, senza piercing all’ombelico o al naso. Il telefono va mantenuto spento.
Durante il colloquio occorre parlare senza mangiarsi le parole, senza gesticolare, con tono pacato, e smettere di parlare quando l’interlocutore interviene (porsi subito nella posizione di ascolto).
Quando si viene assunti (ovvero “ingaggiati”) fare gruppo (per non essere indicati come “asociali”), ascoltare i propri colleghi (sopportare le loro lamentele quando parlano male del capo), aiutarli nello stendere la documentazione (una cosa che mai nessuno vuole fare). È così che ci si fa voler bene e si diventa indispensabili.
Sapere scrivere bene è l’asso nella manica per mantenere il proprio lavoro: scrivere la relazione dopo una riunione di lavoro (in genere un buon capo la richiede); scrivere la documentazione di un processo aziendale (una cosa che manca in tutte le aziende, e se c’è non viene quasi mai aggiornata). Scrivere la documentazione non è semplice, e infatti molti non ci riescono. Molti non sanno neppure da che parte cominciare (dall’indice? dall’introduzione? dallo scopo?).
Dopo aver fatto un po’ di esperienza e ci si presenta per un altro lavoro occorre dire la seguente frase magica: “so ben documentare i processi aziendali”. Basta dire solo questo (ovviamente a ragion veduta e dimostrabile attraverso il proprio curriculum ed anche quando si descrive la propria esperienza lavorativa passata). Poiché nelle aziende manca la documentazione (non solo il personale interno è restio a scrivere la documentazione ma lo è anche e soprattutto il personale esterno che vede nella documentazione un potenziale rischio per il proprio impiego) il capo vede nella persona che sa documentare l’angelo salvatore. Si viene assunti senza passare dal via.
Meglio preferire lavorare in azienda (in “presenza”, come oggi si suole dire) che da casa (in “smart working” come oggi si suole dire). È fondamentale se si vuole fare carriera (con lo smart working non si fa carriera. Lo smart working va bene per chi è prossimo alla pensione). In azienda si interagisce con le persone e quindi gli altri possono osservare come ci si comporta, se si mantiene la calma quando si viene “attaccati” oppure si perde la calma (non bisogna mai perderla la calma, in nessuna circostanza — cosa molto difficile, è vero). Spesso le occasioni per fare carriera o per cambiare azienda le si trovano alla macchina del caffé parlando con i commerciali della propria azienda o di altri Fornitori.
È bene non contare tanto su ciò che dicono i politici, i sindacalisti, gli economisti, gli industriali che “dicono che i giovani devono essere aiutati concretamente ma poi di fatto nessuno fa nulla” (come bene osserva Mauro Marino). È bene contare solo su se stessi, sul proprio valore, sul valore delle proprie idee e del proprio lavoro.
Qualora si riuscisse a sviluppare un’idea che nessuno al mondo ha mai avuto (non è necessario brevettarla come si fa con i vaccini) nessuno più al mondo potrà mai ostacolarti.
Politici, sindacalisti, economisti, industriali possono sbagliare. Ma sei solo tu a pagarne le conseguenze.
26 Maggio 2021 alle 16:09 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Salvatore (primo) lei pone domande molto sensate e interessanti che meritano certamente delle risposte (purtroppo brevissime, per ovvie ragioni di spazio).
1. Lei va in pensione e percepisce, per fare conti semplici, 1000 euro così suddivisi: 500 euro + 500 LE (Lire Elettroniche come lei le chiama — io l’ho chiamata LID, Lira Italiana Digitale. È importante che la Nuova Lira sia digitale. C’è una sottilissima differenza tra “elettronico” e “digitale”, ma non è il caso di approfondire in questa sede)
2. Con le LE lei paga: tasse allo Stato, alla Regione, al Comune
3. Con le LE lei paga anche: panettiere, idraulico, fabbro, elettricista, beni di consumo di vario genere, servizi di vario genere (trasporti, ristorante, affitto, bollette energetiche, telefoniche)
4. Con le LE che Stato, Regioni e Comuni ricevono tramite i suoi pagamenti (e quelli di altri pensionati ovviamente nonché anche dei lavoratori, chiaramente), vengono pagati i lavoratori che sono loro dipendenti e i loro fornitori: metà in euro e metà in LE
5. Con le LE che le imprese ricevono, le imprese pagano tasse a: Stato, Regioni, Comuni. Le imprese pagano i loro dipendenti e i loro fornitori metà in euro e metà in LE
PRIMO RISULTATO: non c’è alcuna differenza nella circolazione della moneta per scambi di beni tra imprese, famiglie e Stato all’interno del territorio italiano. Come si paga con l’euro, così si paga con le LE. Le differenze principali sono: a) le LE possono circolare solo in Italia; b) le transazioni effettuate con le LE vengono necessariamente registrate; c) con le LE l’evasione fiscale, a tutti i livelli, è bloccata sul nascere.
Proseguendo.
Con le LE lo Stato italiano paga le pensioni, gli stipendi dei propri dipendenti e i fornitori. Negli scambi con il mondo esterno lo Stato, le imprese e i cittadini utilizzano l’euro. Non è possibile utilizzare le LE per pagamenti con l’estero.
Se i cittadini non hanno sufficienti euro per acquistare prodotti dall’estero, dovranno necessariamente rivolgersi ai prodotti italiani acquistabili con le LE. Le imprese che non possono esercitare scambi con l’estero per mancanza di euro, dovranno costruire impianti in Italia e rivolgersi a fornitori italiani. Con l’avanzare della digitalizzazione sarà possibile delocalizzare anche la forza lavoro (già è possibile delocalizzare gli impianti produttivi). Questo significa che un’impresa italiana potrà impiegare personale estero dove il costo del lavoro è più basso invece che personale italiano il cui costo è relativamente alto (a nulla giovano i cosiddetti sgravi fiscali).
SECONDO RISULTATO: si passa dalla globalizzazione (che ha depauperato l’Italia) alla localizzazione (che ricostruirà il tessuto produttivo del’Italia).
Infine, la cosa più importante.
Le LE non possono essere create dal nulla come avviene con l’euro. L’euro viene creato dalle banche nel momento in cui viene concesso un credito (per esempio quando si accende un mutuo o viene dato un prestito a un’impresa). O quando la BCE stampa le banconote (ma questa creazione è solo il 10% della creazione di denaro). Sono le banche commerciali che creano la maggior parte di denaro dal nulla. Le LE sono legate a risorse reali (lavoro e capitale fisico). Le LE si cerano con il lavoro e con le case. Se un dipendente viene assunto, metà del suo lavoro è legato alla moneta LE. Inoltre, le LE non possono incrementarsi con il tasso di interesse. Non esiste alcun concetto di tasso di interesse applicabile alle LE. Esiste il concetto di tasso di utilizzo di risorse. Ecco perché insisto sul fatto che la moneta digitale richiede una nuova impostazione della Teoria della Moneta. A tutti gli effetti, la moneta digitale è un mezzo di scambio e non un bene di scambio, ed è la versione digitale del baratto.
TERZO RISULTATO: le LE non sono scambiabili in borsa, non può esserci attacco verso le LE da parte degli speculatori finanziari, non possono essere utilizzate dalle banche per acquisti di titoli tossici (derivati e quant’altro). Ma, cosa di suprema importanza, sig. Salvatore (primo), mentre i suoi euro sonanti possono essere perduti dalla banche (mi permetto solo di citare il Monte Paschi di Siena e non mi permetto di andare oltre…), le sue LE “poco spendibili” (gestite dallo Stato attraverso la Cassa Depositi e Prestiti e le sue “filiali” postali) le assicurano il consumo di beni e servizi di prima necessità (vestiario, cibo, bollette, affitto) senza perdita alcuna.
Per concludere.
L’idea che ho io delle LE, ovvero della moneta digitale di Stato come le chiamo io, è totalmente diversa da altre idee di monete complementari avanzate da altre persone in quanto, a differenza di quanto sostengono gli altri, la moneta di cui parlo io non può essere creata dal nulla. Questa mia idea può essere messa alla prova dei fatti attraverso esperimenti di economia condotti in laboratorio con persone viventi (e non con semplici simulazioni in vitreo, facendo girare dei programmi scritti ad hoc, i cui risultati sono veri definizione).
26 Maggio 2021 alle 13:23 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Paolo, riguardo alla proposta del Presidente Tridico ho avuto modo di analizzarla guardando il video su cui l’INPS ha postato l’intervento del Presidente Tridico al seguente indirizzo di youtube:
https://www.youtube.com/watch?v=V-ZrH3rjXr8
Quando analizzo delle proposte, il mio approccio, per economia di pensiero, è quello di osservare la proposta dall’alto (osservo la foresta) la cui struttura solitamente rimane invariata (es. pensione erogata in due quote: quota contributiva e quota retributiva), e non mi concentro sui dettagli (non osservo gli alberi) che sono invece destinati a cambiare (es. il modo in cui vengono calcolate le due quote, a partire da quando, con quali parametri, con quali risultati).
C’è invece chi dedica cura anche ai dettagli della proposta, perché vede, per così dire, l’albero singolo. In questo caso vorrei indirizzarla al seguente link (sempreché non ci abbia già pensato lei):
https://quifinanza.it/pensioni/video/pensioni-anticipate-inps-tridico/490213/
Mi permetta, sig. Paolo, di esplicitarle il mio pensiero molto personale riguardo alle pensioni.
Tutte le varie opzioni pensionistiche che trovano ampio consenso nella compagine governativa, istituzionale e sindacale vanno benissimo, se incontrano anche la soddisfazione dei lavoratori.
Per quanto personalmente mi riguarda, nessuna opzione pensionistica mi soddisfa. Né Quota 100 (perché riguarda solo una parte di lavoratori con stipendi relativamente alti), né Quota 41 (perché riguarda solo una parte di lavoratori con carriere continue), né Opzione Donna (perché penalizzante per le donne in quanto con il calcolo interamente contributivo), né altre Opzioni che sono penalizzanti, o in termini di calcolo o in termini di età anagrafica.
Non mi soddisfa neppure la Riforma Fornero, che da soluzione per la stabilità del sistema previdenziale è diventata il vero problema da risolvere a causa dell’incalzante incedere della digitalizzazione (tra cui l’automazione e la disintermediazione) che genererà una disoccupazione di massa non appena partiranno i progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza in ambito digitalizzazione (e non sto tenendo conto della bomba esplosiva di disoccupazione che esploderà quando verrà rimosso il divieto di licenziare). Più disoccupati ci saranno, meno lavoratori potranno andare in pensione, più la Riforma Fornero si affermerà come la sola soluzione possibile per la stabilità del sistema previdenziale e per la tenuta dei conti pubblici. Un circolo mostruosamente vizioso che tenderà a spegnere progressivamente il motore del lavoro perché impedisce quel necessario ricambio generazionale che è la benzina che alimenta il futuro lavoro nel digitale.
La Riforma previdenziale cui si deve approdare deve essere una Nuova Riforma (o Controriforma nel senso positivo della parola), che sostituisce integralmente la Riforma Fornero e che sia in linea con i tempi del digitale, in armonia con l’Economia Digitale, con il Lavoro Digitale, con i Beni Digitali, e con la Moneta Digitale sulla quale l’Economia Digitale si fonda. Per approdare a una Nuova Riforma Pensioni è necessario vedere le cose dall’alto (la foresta, che armonizza tra loro l’albero-lavoro, l’albero-pensioni, l’albero-famiglia, l’albero-impresa, l’albero-Italia-debito-pubblico, l’albero-Europa-che-chiede, l’albero-mercati-finanziari, l’albero-moneta-digitale-di-Stato) e non perdersi nei dettagli (es. il solo albero-pensioni, facendo simulazioni e controsimulazioni al computer modificando ora la platea dei lavoratori, ora l’aspettativa di vita, ora il coefficiente di trasformazione sotto il vincolo del bilancio dello Stato).
Se il problema da risolvere è il seguente: dato il budget a disposizione, individuare quante pensioni possiamo erogare, allora anche con i calcoli più precisi che lei si aspetta di ricevere, sig. Paolo, mi creda sulla parola, non si potrà arrivare in alcun modo a formulare un’uscita pensionistica che potrà soddisfare le aspettative dei lavoratori. Di tutti i lavoratori.
25 Maggio 2021 alle 22:02 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Franco Giuseppe, i partiti promettono mari e monti ai loro elettori per andare al governo, ma quando ci arrivano mari e monti scompaiono.
È facile illudere la gente promettendo alla gente ciò che la gente desidera.
Ma poi i partiti devono fare i conti con quanto possono spendere una volta che sono al governo, e si rendono conto che non possono mantenere tutte le promesse che hanno fatto in clima elettorale, ma possono mantenere solo una parte di queste promesse. È questa parzialità che si traduce in mancanza di equità e in mancanza di giustizia.
Lei, sig. Franco Giuseppe, mi domanda se “la tenuta dei conti pubblici non era importante quando è stata varata quota 100”. Certamente sì che la tenuta dei conti pubblici era importante quando è stata varata Quota 100! È proprio per questo che hanno varato Quota 100 e non Quota 41 (che sarebbe costata più di Quota 100).
Poi lei mi domanda “era cosa decente varare una norma assai costosa per i conti pubblici e per di più iniqua e ingiusta?”. Per la verità, Quota 100 non si è rivelata poi tanto costosa per i conti pubblici, dal momento che si è risparmiato qualche miliardo perché due terzi degli aventi diritto (ad oggi) non ne ha usufruito. Probabilmente mi dirà che è “assai costosa” per pagare le pensioni ad un terzo soltanto delle persone aventi diritto. Anche se così fosse, i conti pubblici ne hanno comunque beneficiato. Anzi, ne hanno beneficiato forse proprio perché Quota 100 è iniqua e ingiusta secondo la sua visione.
Quota 100 è proprio così iniqua e ingiusta? Mi viene in mente la battuta di Andreotti che diceva “il potere logora chi non ce l’ha”. Ebbene, credo che Quota 100 logori chi non ha potuto usufruirne. Mi lasci passare questa facile battuta, sig. Franco Giuseppe, per il piacere della discussione.
25 Maggio 2021 alle 13:51 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Salvatore (primo), io non parlo affatto di “moneta parallela all’Euro” come lei riferisce. Io parlo di “moneta di Stato parallela all’euro”, cosa non di poco conto, e ben diversa da quanto riportato da lei. Che la moneta sia di Stato e non di Banca è ciò che fa la differenza. Ora, come ha più volte ribadito con toni decisi (talvolta stizziti) Mario Draghi da presidente della Bce “No member state can introduce its own currency; the currency of the euro zone is the euro” (a proposito dell’intenzione dell’Estonia di lanciare la sua criptovaluta estcoin).
Orbene, poiché l’Italia come Paese dell’eurozona non può introdurre la propria moneta in quanto c’è già l’euro, potrebbe comunque introdurre una moneta di Stato gestita dallo Stato e circolante solo all’interno del territorio italiano (non ho trovato alcuna controindicazione nei documenti della Bce a tale riguardo — a meno che non mi sia sfuggita).
Anche altre voci sostengono l’opportunità di avere una moneta di Stato parallela all’euro, una delle quali è quella del vice presidente emerito della Corte Costituzionale prof. Paolo Maddalena che in un articolo del 16/02/2021, rivolgendosi a Mario Draghi, spiega perché “Serve una moneta di Stato parallela all’euro”.
Benché le mie ragioni sulla moneta di Stato parallela all’euro differiscano lievemente da quelle del Prof. Maddalena, tuttavia concordo in massima parte con lui.
Anche il M5S nel 2017, parlando (come i ventriloqui) attraverso la voce di Paola Pisano (nel 2017 assessore al digitale nella giunta del comune di Torino e poi Ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione nel Governo Conte bis) a proposito della moneta complementare (ai tavoli di lavoro partecipava anche l’economista Nino Galloni), affermava: “Stiamo studiando dei Torino-coin, un progetto di innovazione distruttiva. L’idea è creare una community open utilizzando la blockchain technology”.
Il Torino-coin voleva/vorrebbe essere a imitazione della moneta complementare sardex della Sardegna e della moneta complementare valdex della Valle d’Aosta.
La moneta di Stato di cui parlo io vale a livello nazionale e serve per pagare anche le tasse, e quindi è cosa ben diversa dal sardex e valdex che sono criptovalute a livello regionale e scambiabili entro un ristretto circuito commerciale. La moneta di Stato di cui parlo io è digitale (ma non è una criptovaluta come il bitcoin, che non è una “moneta” ma un asset finanziario), ed è proprio del tipo che usiamo noi tutti ogni giorno quando utilizziamo il computer, ma non ne siamo consapevoli. Su questo tema ho già pronta una presentazione di una decina di slide che nella maniera più semplice possibile fa capire cosa è, come e dove è già utilizzata la moneta digitale parallela all’euro sia in Italia che in Europa. Ho intenzione di pubblicarla a giorni su you tube.
A cosa serve la moneta digitale di Stato di cui parlo io? A molte cose. Per esempio, a lasciare andare in pensione tutti coloro che lo desiderano, a prescindere dall’età anagrafica e dagli anni di contribuzione.
Come vede, sig. Salvatore (primo), la mia è una proposta seria. Essa verte su una Nuova Teoria della Moneta da me sviluppata (differente dalla Teoria Monetaria Moderna — MMT), su una Nuova Economia (che non è la New Economy), su una vera Economia Digitale (che non è la Data Economy o Information Economy), sostenuta da argomentazioni scientifiche e supportata da esperimenti in vivo. La mia proposta potrebbe essere ritenuta semmai irrealizzabile, ma mai una provocazione.
22 Aprile 2021 alle 12:35 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Caro sig. Paolo, a Keynes non è stato assegnato il Premio Nobel per l’economia (e l’avrebbe certamente meritato) perché tale premio è stato istituito dalla Banca Centrale di Svezia solo nel 1968. Keynes è morto nel 1946, e non è possibile assegnare Premi Nobel postumi.
Lei accenna alla MMT: è la Teoria Moderna della Moneta, una teoria macroeconomica eterodossa, la quale afferma che i Paesi aventi sovranità monetaria (come Regno Unito, Giappone, Stati Uniti d’America) non hanno bisogno né delle tasse e né dei prestiti per potere spendere, in quanto possono stampare tanta moneta quanta è loro necessaria. In altre parole, un Paese con sovranità monetaria può finanziare la spesa pubblica attraverso l’emissione di nuova moneta. Uno dei fautori (anzi, il creatore) della MMT è l’economista Warren Mosler, al quale si sono unite Mariana Mazzucato e Stephanie Kelton. Mosler propone per l’Italia una ricetta economica per uscire dalla crisi: stampare lire per pagare le tasse. In pratica, Mosler propone (almeno inizialmente) la doppia circolazione della moneta: euro e lire.
Anche Mario Daghi sembra non essere contrario alla MMT. Nel suo discorso di addio alla BCE così si esprime in un suo passo: “Alcune delle nuove idee a proposito della politica monetaria, come la MMT o studi come quello recentemente presentato da vari autori tra cui il professor Fisher e altri di altri autori, suggeriscono diverse maniere di incanalare il denaro nell’economia. Queste sono oggettivamente idee piuttosto nuove che non sono state discusse dal Consiglio Direttivo; le dovremmo considerare, ma non sono state testate.”
Per quanto riguarda la mia idea di moneta digitale di Stato, ebbene ci sono affinità tra la mia idea è la MMT. Lei si domanda (rivolgendosi a me): “E cosa ne pensa delle teorie della Mazzucato, della Kelton e degli altri esponenti della MMT. Sono applicabili secondo lui?”. La mia risposta è: sì, tali teorie secondo me sono applicabili in teoria, ma non nella realtà attuale.
C’è infatti una questione da affrontare: apparteniamo all’Eurozona, utilizziamo l’euro e siamo vincolati a Patti stabiliti tra gli Stati europei (tra questi, il Patto di Stabilità e di Crescita che pone agli Stati vincoli molto precisi per quanto riguarda la spesa pubblica).
Pertanto, qualsiasi nuova moneta, diversa dall’euro, che venga introdotta in un Paese dell’Eurozona non deve entrare in conflitto con i principi che sono alla base della Unione Europea (né tantomeno con la BCE).
Prima di proporre per l’Italia la moneta digitale di Stato, gestita dallo Stato italiano, ho studiato attentamente il modo per non entrare in conflitto con la BCE. La moneta digitale di Stato come la intendo io non è una criptovaluta (la cui estrema variabilità sui mercati finanziari non la rende eleggibile come moneta, che tra le sue prerogative deve avere proprio quella della stabilità), ma è invece in tutto e per tutto uguale alla moneta scritturale che le banche utilizzano per erogare mutui e prestiti. Con la moneta digitale di Stato si pagherebbero le tasse e, quindi, diventerebbe “moneta legale” e, pertanto, dovrà essere accettata per legge da chiunque, da qualsiasi esercente per l’acquisto di beni e servizi.
La moneta digitale di Stato sarebbe una moneta stabile, non soggetta al meccanismo del tasso di interesse (e quindi non aumenterebbe a dismisura), sarebbe vincolata a risorse reali (lavoro e capitale fisico come edifici e quant’altro) e quindi anche in questo caso non potrebbe crescere a dismisura (cosa che invece accade con l’euro quando le banche concedono prestiti e mutui creando in tal modo denaro dal nulla).
La moneta digitale di Stato, in pratica, aumenterebbe se aumentasse il lavoro o se aumentassero gli edifici, case e quant’altro; mentre diminuirebbe se lavoro e capitale fisico diminuissero.
Ad ogni modo, che sia a prevalere la mia idea di moneta digitale di Stato, o la MMT di Mosler o anche l'”euro flessibile” (ogni Stato avrebbe il proprio euro) proposto dall’economista Stiglitz (Premio Nobel per l’economia) poco importa. Ciò che importa è ridurre l’influenza a volte devastante dell’economia finanziaria delle banche sull’economia reale di famiglie e imprese.
Infine, a mio riguardo, lei si domanda: “come lo posso accettare tra i massimi esperti di moneta digitale?”.
La sua domanda, caro Paolo Ceccherelli, è legittima. Le dirò ch tutti gli economisti parlano di economia, ma nessun economista è in grado di dimostrare, con esperimenti reali, ciò di cui parla (perché l’economia che conoscono gli economisti non è una scienza sperimentale). Io, invece, sono in grado di dimostrare con esperimenti reali (e non con semplici simulazioni al computer tipo videogiochi) ciò di cui parlo. Sono in grado di affermare che nell’epoca digitale si afferma la moneta digitale, che sulla moneta digitale si fonda l’economia digitale, che l’economia digitale è la fusione dell’economia “analogica” (tradizionale) con le tecnologie digitali, e che su tale fusione si fonda la società digitale, che produce beni digitali (informazioni) e servizi digitali (home banking, home insurance, i servizi di informazione delle testate giornalistiche fondate sul web), con la compartecipazione al lavoro di robot, tecnologie digitali ed esseri umani, e che tutto ciò può essere portato in un laboratorio reale fatto di persone in carne ed ossa che consiste in un Centro di Elaborazione Dati che equivale in tutto e per tutto ad una nazione digitale in miniatura.
In pratica, sig. Paolo Ceccherelli, le sto dicendo che ho portato l’economia in laboratorio e che pertanto è possibile oggi parlare di “scienza economica” nel vero senso della parola in quanto disciplina sperimentale al pari della fisica, della chimica e della biologia. Che cosa ce ne facciamo dell’economia in laboratorio (si domanda la gente)? Ebbene possiamo sperimentare, per esempio, la doppia circolazione della moneta (cui accenna anche Warren Mosler) ed esplorare le possibili politiche monetarie e fiscali da attuare per risolvere il problema delle pensioni e del lavoro in un modo ad elevata automazione e disintermediazione.
Non credo che ci sia qualche altra persona al mondo che le possa dire come eseguire esperimenti in laboratorio con la moneta digitale. E questo fa di me il massimo esperto di moneta digitale e di economia digitale.
15 Aprile 2021 alle 11:54 (pubblicato su https://www.pensionipertutti.it)
Sig. Alf, rispondo al suo commento del 12 Aprile 2021 alle 16:55.
La ringrazio per il suo commento, per due motivi: 1) perché ha dedicato una parte del suo tempo a leggere l’articolo; 2) perché mi offre l’occasione per puntualizzare qualcosa sulla moneta digitale.
Anch’io, come lei, ho giocato a Monopoli con le banconote di carta proprie di quel gioco e che avevano un proprio valore giusto nel gioco del Monopoli mentre non avevano alcun valore al di fuori del gioco stesso.
La moneta digitale di cui io parlo non è la criptovaluta (se è questo che le è venuto in mente): in fondo anche le criptovalute (bitcoin e quant’altro) hanno un valore per giocare alla finanza. La BCE non assegna alle criptovalute il rango di “moneta” e le assimila piuttosto a degli asset finanziari.
Io mi considero, a livello mondiale (e sfido chiunque a dimostrare il contrario), il più profondo conoscitore della “moneta digitale”, in quanto la sto studiando da trent’anni (dal 1991) e perché ho fatto esperimenti con la moneta digitale. A tal proposito voglio precisarle che non ha senso parlare di “economia digitale” senza parlare di “moneta digitale” dal momento che uno dei concetti base dell’economia è la moneta. E quindi mi meraviglio come gli economisti riescano a parlare di economia digitale senza avere mai avuto in mente il concetto di moneta digitale né averla mai vista funzionare.
La BCE ha cominciato solo da qualche anno a studiare l’euro digitale.
La Cina, invece, ha iniziato a sperimentare lo yuan digitale in quattro sue città lo scorso anno (2020).
La moneta digitale frutto dei miei esperimenti serve proprio per realizzare quello che dice lei “quota 41 per tutti libera scelta per chiunque si faccia due conti e decida di andare in pensione e basta”. Ma senza la moneta digitale lo Stato, gestita dallo Stato italiano, il Governo Draghi dovrà usare l’euro e quindi i prestiti europei che sono subordinati all’attuazione di riforme ferree (ancora di più di quanto possa essere la Riforma Fornero, glielo assicuro). E quindi il Governo Draghi non potrà mai, lo ripeto: mai, realizzare quanto dice lei.
La lascio con una prospettiva, sperando di non darle dispiacere: ci sono molti soldi sui conti correnti degli italiani, troppi, troppi risparmi (anche a causa della contingente impossibilità di spendere). Sono quindi soldi che le banche non riescono ad impiegare per i loro scopi e quindi perdono di redditività e quindi sono costrette ad aumentare i costi di gestione del denaro. È proprio di questi giorni la notizia che Unicredit aumenterà i costi di gestione dei conti correnti della propria clientela (e credo che tutte le altre banhce, anche quelle solo online, faranno come Unicredit).
Con la moneta digitale di Stato che ho in mente io l’economia reale (famiglie, lavoratori e imprese) sarebbe messa al riparo da eventuali turbolenze presenti nell’economia finanziaria (banche e investitori finanziari). Ma, soprattutto, si potrà realizzare la Riforma Pensioni che ha in mente lei e tutti gli italiani.