Sulla Economia

POST N. 4

sabato 27 febbraio 2021 ore 16:10

"L'imbroglio delle curve di domanda ed offerta"


Torniamo a Sergio Ricossa richiamato al Post 1 e al suo Dov’è la scienza nell’economia? pubblicato nel 1997 da Di Renzo Editore:

“È sempre più difficile definire il concetto di legge nelle scienze fisiche. Nel campo economico, poi, le leggi non esistono, se le inventano gli economisti. Prendiamo una delle leggi più elementari ed apparentemente più indiscutibili dell’economia, la legge della domanda e dell’offerta, in un mercato di concorrenza”.

“Che cosa fanno gli economisti? Vanno alla lavagna e zac, zac, curva di domanda, curva di offerta - totalmente inventate -; nel punto dove si incontrano, lì è il prezzo di equilibrio, le quantità domandata ed offerta sono uguali, ed ecco come si forma il prezzo sul mercato”.

“Non è vero. Primo, quelle curve sono inventate e se provassimo a disegnarne una con dati empirici e reali, incontreremmo difficoltà notevoli. Un giorno mi dissi: Sono stufo di disegnare delle curve inventate. (Bisogna sapere che nel 99,9 per cento dei libri di economia le figure, i diagrammi sono totalmente inventati).”

Qualche paragrafo più avanti, Ricossa continua così:

“Quando gli economisti disegnano la curva di domanda e di offerta è come se queste fossero simultanee, il che non avviene mai, anzi, il più delle volte l’offerta crea la propria domanda. Per esempio, non c’è in principio una domanda di ferrovie, prima si costruiscono le ferrovie, con quegli investimenti enormi che hanno mandato in rovina tante società, poi a poco a poco si cerca di convincere la gente ad andare in treno, ma ci vuole un bel po’ di tempo. E così è stato per le automobili, il televisore. Il consumatore deve imparare a conoscere e ad usare i nuovi prodotti o, per esempio, nel caso dell’automobile bisogna prendere la patente. L’offerta di un nuovo prodotto è legata ad una novità tecnica che deve creare a poco a poco la propria domanda, e di solito questa offerta è al principio molto cara e riservata a pochi; poi si diffonde, aumenta la produzione, il prezzo si abbassa, e così via. Ma è rarissimo che domanda ed offerta siano simultanee”.

“Lo stesso vale per il concetto di equilibrio che sta alla base della teoria economica e che semplicemente non esiste. Si continua a ragionare come se lo scopo del mercato fosse quello di realizzare un’economia in equilibrio. Il ragionamento è il seguente. L’andamento delle curve dell’offerta e della domanda rappresenterebbe la variazione dei prezzi, che possono essere troppo alti o troppo bassi, fino al raggiungimento, dopo vari aggiustamenti, del prezzo di equilibrio. È come se tutto questo movimento dovesse ontologicamente convergere verso la posizione di equilibrio da cui moltissimi economisti sono affascinati e di cui decantano le virtù. Ah, la condizione di equilibrio è bellissima, perché ottimizza questo e quell’altro, mette d’accordo compratori e venditori, se siamo in equilibrio non c’è disoccupazione!”.

“Tutte idiozie! Perché lo scopo - e la realtà - del mercato non è questo, se lo fosse sarebbe davvero pieno di fallimenti. È proprio il contrario: il mercato rompe gli equilibri preesistenti, se ce ne sono, perché le innovazioni tecnologiche e i cambiamenti merceologici immessi sul mercato mettono tutto in subbuglio. Altro che equilibrio, scompaginano tutto, ed il progresso è così, il progresso non è equilibrio!”.

Qualche paragrafo più avanti, Ricossa continua ancora così:


“Il mercato, che ha come scopo quello di portare alla condizione di equilibrio, è quindi una fantasia degli economisti che non trova alcun riscontro nella realtà. Allora, quando gli economisti vedono che il mercato reale non funziona così come lo immaginano, invece di ammettere l’inutilità della ricerca di questo fantomatico equilibrio, dicono: “Ecco il fallimento del mercato! Dobbiamo far intervenire l’autorità pubblica a correggerlo, a porvi rimedio”.

Beh, che cosa dire di queste parole di Sergio Ricossa? Ricossa dà un duro colpo all’economia. A me sembra che le sue riflessioni siano difficili da confutare.

Vorrei provare, però, a controbattere ad alcune riflessioni di Ricossa, in particolare alle seguenti:

  1. “Nel campo economico, poi, le leggi non esistono, se le inventano gli economisti”

  1. “Quando gli economisti disegnano la curva di domanda e di offerta è come se queste fossero simultanee, il che non avviene mai...”

  1. “Lo stesso vale per il concetto di equilibrio che sta alla base della teoria economica e che semplicemente non esiste.”

Ricorrendo all’Economatica la nuova scienza economica che fonde economia e informatica si può così controbattere alle riflessioni di Ricossa:

  1. Nel campo economatico (e quindi anche nella nuova scienza economica) le leggi esistono. Infatti, viene dimostrato che la curva economica della Domanda Aggregata coincide con la legge informatica chiamata legge di Little, mentre la curva economica della Offerta Aggregata coincide con la legge informatica chiamata legge del tempo di risposta.

  1. Nel campo economatico le curve di Domanda Aggregata e di Offerta Aggregata sono simultanee. Ciò è dovuto al fatto che l’Economatica è fondata sulla produzione del servizio (in particolare, sulla produzione del servizio di elaborazione dei dati), e il servizio è un processo in cui la produzione e il consumo sono simultanei. Questa simultaneità deriva dal fatto che è il cliente a generare il servizio (un taxi, un ristorante, un bar che non ha clienti non eroga alcun servizio). Il cliente, dunque, consuma il servizio che egli stesso produce (il concetto è più facile da capire se si pensa al self service tipo quello alla pompa di benzina o all’home banking). In sintesi: la curva di offerta aggregata (di produzione del servizio) è simultanea alla curva di domanda aggregata (di consumo del servizio) (per inciso, in economatica la curva di domanda aggregata macroeconomica coincide con la curva di domanda microeconomica, e la curva di offerta aggregata macroeconomica coincide con la curva di offerta microeconomica. Quindi, anche le curve di domanda e di offerta microeconomiche sono simultanee. Tuttavia, ha ragione anche Ricossa quando afferma che per taluni beni e taluni servizi le curve di offerta e di domanda non sono simultanee).

  1. Nel campo economatico l’equilibrio viene sostituito dall’obiettivo (fine, scopo). Pertanto, dire che “il sistema è in equilibrio” significa dire che “il sistema ha raggiunto l’obiettivo”. Ci sono forze, tuttavia, interne al sistema (condizioni endogene) o esterne al sistema (condizioni esogene, o shock) che spingono il sistema distante dall’obiettivo. Poiché siamo in campo informatico, la produzione avviene sotto la supervisione di un computer (di solito della classe mainframe), una vera e propria macchina di governo (ovvero una machine à gouverner, secondo la definizione data dal domenicano francese padre Dominique Dubarle nel 1948) che ha il compito di portare il sistema nella condizione di “obiettivo raggiunto”. Qui è il Governo di una nazione a trasmettere gli obiettivi di produzione (e di consumo) da raggiungere. In assenza di una macchina di governo, il Governo di una nazione (come pure la Banca Centrale) devono intervenire (per così dire) “manualmente”.

POST N. 3

sabato 27 febbraio 2021 ore 14:08

Il Premio Nobel per l'economia? Semplicemente non esiste!


Diciamolo subito: il Premio Nobel per l’economia non esiste.

“L'impropriamente detto Premio Nobel per l'economia non era previsto dal testamento di Alfred Nobel e viene assegnato dal 1969, in seguito all'istituzione (nel 1968) da parte della Banca di Svezia di uno speciale fondo per il premio.” (Wikipedia, 27/02/2021).

“Il premio Nobel per l'economia, ufficialmente premio della Banca di Svezia per le scienze economiche in memoria di Alfred Nobel (in svedese Sveriges Riksbanks pris i ekonomisk vetenskap till Alfred Nobels minne), viene assegnato dal 1969, in seguito all'istituzione da parte della Sveriges Riksbank (che in quell'anno festeggiò i 300 anni dalla sua fondazione), di uno speciale fondo di dotazione per il conferimento del premio.” (Wikipedia, 27/02/2021).

Il “premio della Banca di Svezia per le scienze economiche in memoria di Alfred Nobel” (che secondo la definizione data dalla Banca Centrale svedese va assegnato ogni anno a quegli economisti “che hanno nel precedente anno reso un grande servizio all’umanità”), viene dunque “con-fuso” col “Premio Nobel” per il semplice motivo che viene conferito assieme agli altri Premi Nobel.

Alfred Nobel, nel suo testamento nel 1895, espresse la volontà di assegnare un premio a chi ha “apportato i maggiori benefici all’umanità”, indicando i campi dove tali benefici vanno riscontrati: fisica, chimica, medicina, letteratura, pace. Alfred Nobel, dunque, non pensò mai ad un premio destinato a economisti. Perché?

Il problema è legato alla natura per così dire “ambigua” dell’economia: di un fisico o di un chimico si possono individuare i meriti scientifici grazie ad una loro scoperta, di un medico si può riconoscere il merito di avere individuato un farmaco per curare una malattia. Ma per un economista? Non è in discussione il riconoscimento del valore dell’economista, ma è certamente più complicato individuare il suo apporto specifico al miglioramento della società. Di ciò il Comitato Nobel è pienamente consapevole, ed è per questo che fa riferimento al “premio della Banca di Svezia per le scienze economiche in memoria di Alfred Nobel” piuttosto che al “Premio Nobel per le scienze economiche”.


Per approfondimenti, invito il lettore a leggere il mio articolo L’economia potrà diventare una scienza, ed eliminare disoccupazione e povertà? pubblicato su “Il Valore Italiano” il 2 ottobre 2020.

POST N. 2

sabato 27 febbraio 2021 ore 13:00

L'economia non è una scienza perché non fa esperimenti? E l'economia sperimentale allora cosa fa?


Nel 2002 il Premio Nobel per l’economia fu assegnato allo psicologo israeliano Daniel Kahneman (1934) e all’economista statunitense Vernon Lomax Smith (1927).

La motivazione per Daniel Kahneman fu: «per avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d'incertezza.» (for having integrated insights from psychological research into economic science, especially concerning human judgment and decision-making under uncertainty).

La motivazione per Vernon Lomax Smith fu: «per avere stabilito esperimenti di laboratorio come strumento nell'analisi economica empirica, soprattutto nello studio di meccanismi di mercato alternativi.» (for having established laboratory experiments as a tool in empirical economic analysis, especially in the study of alternative market mechanisms).

Dunque, con l’assegnazione del Premio Nobel per l’economia a Vernon Smith nel 2002, la sperimentazione in economia entra a pieno titolo nell’ortodossia dell’economia. Da allora sono sorti nel mondo centinaia di centri per l’economia sperimentale aventi come obiettivo l’esecuzione di esperimenti per testare la validità delle teorie economiche e per provare nuovi meccanismi di mercato.

Ma qual è l’opinione degli economisti mainstream circa la possibilità di eseguire esperimenti di economia in laboratorio, nonostante l’entrata a pieno titolo dell’economia sperimentale nell’ortodossia dell’economia?

Ebbene, nel 2015 l’economista statunitense Gregory Mankiw (1958), professore di economia all’università di Harvard, così si esprime a pagina 3 nel suo testo universitario Macroeconomia (sesta edizione italiana):

“Come gli astronomi che studiano l’evoluzione delle stelle o i biologi che osservano

l’evoluzione delle specie, gli economisti non possono condurre esperimenti in ambienti

controllati: per questo motivo sono costretti a ricorrere a dati storici. Gli economisti

osservano le differenze tra un sistema economico e l’altro e la loro evoluzione nel tempo;

queste osservazioni forniscono tanto le basi per la formulazione delle teorie

macroeconomiche, quanto i dati per sottoporle a verifica empirica.”

Anche per l’economista statunitense Joseph Stiglitz (1943), consigliere economico negli anni Novanta del presidente Bill Clinton, gli esperimenti di economia in laboratorio non sono possibili, come egli stesso afferma nella prefazione del suo libro l’Euro (2016):

“Da studioso di economia, ho trovato l’esperimento dell’euro affascinante. Noi economisti non

abbiamo occasione di condurre esperimenti in laboratorio e dobbiamo testare le nostre idee sulla

base degli esperimenti che ci vengono offerti dalla natura o dalla politica.”

Contrariamente a quanto sostengono Mankiw e Stiglitz, e differentemente dall’approccio adottato dall’economia sperimentale, l’economia può avvalersi, oggi, della sperimentazione in laboratorio, alla pari della fisica, della chimica e della biologia.

In merito a ciò, invito il lettore a leggere l’intervista L'economista in camice, come il ced diventa laboratorio di economia pubblicata su www.iltempo.it il 20 dicembre 2019.

POST N. 1

sabato 06 febbraio 2021 ore 15:50

«L'economia? Non è una scienza!»


È l’osservazione dell’economista italiano Sergio Ricossa (1927-2016), e la si ritrova a pag. 29 nel suo pamphlet Dov’è la scienza nell’economia? pubblicato nel 1997 da Di Renzo Editore.

Ricossa paragona l’economia alla cucina: “la cucina è un’attività creativa, in sviluppo; però non possiamo preparare oggi le ricette del 2050, perché non sarebbero le ricette del 2050”.

“Lo stesso è per l’economia – prosegue Ricossa –, che può descrivere il presente ed il passato, ma non è assolutamente in grado di prevedere e insegnare le linee del futuro. Sovente accade quello che i filosofi chiamano l’eterogenesi dei fini: crediamo di ottenere certi risultati ed invece otteniamo risultati opposti, o comunque completamente diversi da quelli attesi. Lo stesso accade cucinando, anzi, molte delle ricette più appetibili sono il risultato di errori”.

Ricossa ha le sue buone ragioni per ritenere che l’economia non sia una scienza. Io credo, però, che esistano ragioni ancor più forti di quelle di Ricossa per affermare che l’economia non è una scienza. E una delle ragioni forti è questa: “Tutte le attività intellettuali che non hanno come controllo esperimenti riproducibili in laboratorio non sono scienza” (Antonino Zichichi, fisico).

Ebbene, stando a quanto afferma Zichichi, poiché l’economia non ha come controllo esperimenti riproducibili in laboratorio, l’economia non è una scienza.

Contrariamente a quanto sostiene Ricossa, e concordemente con quanto afferma Zichichi, l’economia potrà aspirare a diventare una scienza, alla pari della fisica, della chimica e della biologia.


In merito a ciò, invito il lettore a leggere il mio articolo L’economia potrà diventare una scienza, ed eliminare disoccupazione e povertà? pubblicato su “Il Valore Italiano” il 2 ottobre 2020.