Conferenza tenuta a Bruxelles il 26 novembre 2024 dalla professoressa Marina Bressan 



Su un'altura un castello era quello dei conti di Gorizia. Il loro dominio si estendeva su gran parte del Tirolo, della Stiria, della Carniola e sull’ interno dell'Istria. Nelle sale del castello arciduchi e imperatori ricevettero l'omaggio della popolazione in tre lingue in tedesco in italiano e sloveno.


Una cerchia di alture, che si vestono in primavera di bianco e di rosa, racchiude la città, preservandola dai venti gelidi del nord dalle sferzate di bora. La Madonna la veglia dall'alto del suo santuario. La pietra brulla del Santo si è ricoperta di verde, il monte fiorisce ancora di anime in tutte le stagioni.


Le acque smeraldine dell'Isonzo, forzando la stretta di Salcano irrompono placide in città, recando in dono l'eco gioioso l'eco dei canti gioiosi della Val Trenta, ma anche le note dolorose delle malvagità dell'uomo.

Terra intrisa di sangue: austriaci contro italiani; Gorizia era il premio della vittoria.


Terra che racchiude nelle sue viscere vittime dell'alleanza tra forze tra forze perverse;  terra interrotta violentemente dall'odio delle rivendicazioni territoriali; terra sfregiata da un confine che passava lungo la linea ferrata con la stazione della Transalpina assegnata a Nova Gorica e su un muretto sovrastato dalla rete ma il senso di appartenenza ad una stessa terra ha trasceso le barriere nazionali: Gorizia insegna ora nei suoi corsi di laurea ai giovani di tutta Europa a superare le divisioni e non a marcarle.


Gorizia dal fascino nascosto che si svela attraverso un volto misterioso scolpito nella pietra, una statua celata in un cortile, un pozzo abbandonato, i viali orlati di ippocastani che intervallano scenari diversi. Magnolie dai grandi fiori bianchi e carnosi coprono la facciata di un ottocentesco villino, cedri maestosi dei forti rami si estendono come strascichi di velluto fino al suolo, siepi di alloro orlate da viole, grappoli di glicine illuminano un chiostro o una fila da arcate di palazzi eleganti custodi di patrie memorie. Piazze, salotti, luoghi di incontro dove il passato vive nel presente.


Gorizia sommersa in maggio da fiori, ricca di frescura in estate, ammantata di broccati d'oro in autunno.

La bellezza di Gorizia va scoperta nel ritmo delle stagioni e gustata a piccoli sorsi come il suo vino. Le colline, ornate da ricchi vigneti che circondano Gorizia, si estendono in armoniose modulazioni fino al Collio- Brda,  il “vero vigneto della Contea”: sono state motivo di poesia per diversi forestieri. Delle locande e delle osterie che favorivano l'approccio fra coloro che parlavano lingue diverse, è sopravvissuto il rito del brindisi, la manata sulla spalla, le sfide a carte che hanno sostituito quelle incredibili alla morra, dove si mescolavano urla, bestemmie e intelligenza.

Malinconia, ambizione intrecciate e speranze deluse, moderazione, discrezione contraddistinguono l'animo di goriziani che non disdegnano il piacere, non ignorano la raffinata semplicità, eredi di un passato basato sulla cultura del rapporto umano, sulla capacità culturale con i popoli confinanti, sul lavoro e sulla tradizione, fieri e pronti ad affrontare con intelligenti soluzioni la sfida del domani.

 

E la sfida prossima scade il prossimo 8 febbraio 2025, quando Nova Gorica, con la consorella Gorizia si presenterà al mondo intero come capitale della Cultura. La ferocia, la spietatezza, la violenza caratterizzarono gli anni del secondo conflitto; per circa dieci anni, fino agli inizi degli anni Cinquanta,Gorizia continuò a vivere in condizioni di assoluta precarietà. Una cortina di ferro era stata innalzata come una spada al centro del corpo, privando Gorizia del novanta per cento del suo retroterra. Era stata sconvolta anche la pace dei morti: un reticolato spaccava in due il cimitero. Spezzate strade, borgate. La nuova città Nova Gorica, creata dall’altra parte, a ridosso del confine, oltre lo sperone della Castagnevizza, aveva assunto le funzioni di punto di sbocco di un vasto retroterra, che un tempo erano state quelle peculiari di Gorizia.


Ipnotizzata dalla durezza del confine, Gorizia stentò a ritrovarsi, anche le remore psicologiche acuite dal problema del Territorio libero di Trieste del 1953, non facilitarono la ripresa. Questa avvenne con il nuovo spirito riformistico aleggiante in Jugoslavia che a partire dal 1960, trasformò la morsa del confine in una frontiera aperta, e con il progressivo maturarsi della consapevolezza che bisognava scrollarsi di dosso le acrimonie del passato per guardare all’avvenire senza dimenticarsi.  Il confine di ferro in tutti sensi: etnico, ideologico, economico, psicologico, apparteneva al passato.  Le cifre di transito minuto attraverso il valico della Casa Rossa, triste e silenzioso, fino a pochi anni prima, toccavano nel 1969  gli otto milioni e mezzo di persone. Un milione e mezzo erano i cittadini italiani e jugoslavi abitanti in un raggio di dieci chilometri dal confine, ai quali uno speciale lasciapassare la propustnica consentiva di spostarsi con agilità e con una data quantità di merci non soggette a dogana da uno Stato all'altro. Il Friuli Venezia Giulia e la Slovenia diventavano così complementari. Il dialogo, anche culturale, era alla base di una politica di rispettosa integrazione fra italiani e sloveni; gli antichi rancori sono stati gradualmente messi da parte, riandando al tempo, in cui liberali italiani e clericali sloveni collaboravano nell’amministrazione della città.

 

Sono trascorsi molti anni. Anche la stazione della Transalpina a Nova Gorica è raggiungibile a piedi attraversando una piazza, inaugurata il 30 aprile 2004, in occasione dell’ingresso ufficiale della Slovenia nell’Unione Europea. Nuovo clima di relazioni tra le due città, tra i due Stati, diventati paesi membri della stessa entità europea sovranazionale, membri di pari diritto e di condivise responsabilità, esempio in un’Europa, in cui confini emergono, imposti con il vigore delle armi o con le nuove ideologie d'esclusione.


La piazza Transalpina- Trg Evrope, è diventata luogo privilegiato per iniziative comuni tra le due città.

I posti di blocco, ripristinati nel periodo del Covid, sono stati smantellati: la dinamica e moderna Nova Gorica si unisce a Gorizia e insieme recitano una parte non marginale in un sipario di verde beatitudine.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    

 Progetti comuni, i cui protagonisti sono i giovani. Cresciuti in un territorio unito, dove c’è un confine politico ma non mentale, sono abituati a consideralo libero passaggio da una  parte all’altra, più “soglia” che altro, luogo della creatività, dove si incontra l’altro che parla una lingua diversa, che ha una cultura diversa, ma accomunata da valori fondamentali come il rispetto, il desiderio di conoscere l’altro e la convivenza costruttiva.


Sono le soglie, non i confini a permetterci di vivere le terre di mezzo, sono il luogo e lo spazio dove si facilitano l'incontro, il contatto, la contaminazione. Sono luoghi di ricerca non di sconvolgimento, sono luoghi che insegnano di incamminarci sulla stessa via, noi tutti che siamo portatori di identità diverse, ma desiderosi di tracciare i connotati di un’Europa dove “sentirsi a casa propria”.


Non che pregiudizi, stereotipi, diffidenze e dubbi siano spariti.  Resistenze e ostruzionismi che impediscono a molti “anziani” di andare oltre confine. Per loro il confine rimarrà sempre e sarà inviolabile ed eterno. E la paura, la paura di perdere la propria identità nazionale, culturale, linguistica: ma conosciamo veramente il significato di confine?  Conoscere i confini significa conoscere chi siamo, possedere un'identità, caratterizzata da modi di comportarsi nella vita di ogni giorno a volte diversi, a volte simili, a volte incomprensibili, rispetto a chi sta aldilà della frontiera. Ma soprattutto la conoscenza ha un ruolo decisivo: conoscere esattamente il passato, non in modo parziale e incompleto: la memoria ereditata può essere pericolosa. Parole come "foibe", "fascismo", "sofferenze", "orrori", "echi sordi dei sinistri spari", "assassini" "oppressori del mio popolo" "terra macchiata di sangue", "patria" emergono in superficie, dilatandosi da una e dall'altra parte, ma allo stesso tempo c'è una determinazione che questi fatti possano essere superati; non dimenticati, visto che incidono sull'essere nazionale delle persone, ma superati con uno sforzo condiviso.

Un cammino insieme, uno sforzo comune, una voglia condivisa, giovani e vecchi uniti nell'abbattere le barriere, "armati di parole” , per dialogare, per confrontarsi. Ma innanzitutto iniziare da se stessi. Poi uscire dal proprio rifugio, ricordando da dove si è partiti.

 

 

 

copyright ©   MARINA BRESSAN