Laocoonte soccorre i figli

Il verso del serpente - Sibilo Snake sound - Hissing sound.mp3

Testo latino e Traduzioni - vv. 212-224

Testo Virgilio

Diffugimus visu exsangues. Illi agmine certo
Laocoonta petunt; et primum parva duorum
corpora natorum serpens amplexus uterque
implicat et miseros morsu depascitur artus;
post ipsum auxilio subeuntem ac tela ferentem
corripiunt spirisque ligant ingentibus; et iam
bis medium amplexi, bis collo squamea circum
terga dati superant capite et cervicibus altis.
Ille simul manibus tendit divellere nodos
perfusus sanie vittas atroque
veneno,
clamores simul horrendos ad sidera tollit:
qualis mugitus, fugit cum saucius aram
taurus et incertam excussit cervice securim.



Luca Canali

Scappiamo pallidi in volto. Quelli in schiera sicura

vano su Laocoonte; ed anzitutto entrambi i serpenti,

abbracciati i piccoli corpi dei due figli

li avvolgono e divorano col morso le misere membra;

poi afferran lui stesso che accorre e porta le armi

e lo legano con enormi spire; ed ormai

abbracciatolo due volte nel mezzo, due volte circondatogli

il collo con gli squamosi dorsi lo superan con testa ed alti colli.

Egli tenta con le mani divellere i nodi

macchiate le bende di bava e nero veleno,

insieme alza alle stelle terribili grida:

quali i muggiti, quando un toro ferito sfugge l’altare

e scuote dal capo la scure incerta.



Alessandro Fo

Noi fuggiamo esangui alla vista. Ma quelle, sicure,

su Laocoonte si abbattono; e prima i piccoli corpi

dei due figli ciascuno dei due serpenti, avvinghiandoli,

stringe, e divora a morsi le misere membra; lui stesso,

poi, che accorreva in aiuto e brandiva le armi, ghermiscono,

e lo avviluppano in spire imponenti; e già per due volte

l’hanno serrato alla vita, due volte i dorsi squamosi

cingono al collo. Le teste e le alte cervici sovrastano.

Lui, le bende cosparse di bava e fosco veleno,

con le mani a un tempo si sforza di sciogliere i nodi

e al contempo orribili grida leva alle stelle,

quale il toro muggiti, se fugge ferito dall’ara

dopo che dalla cervice ha scrollato la scure malcerta.



Rosa Calzecchi Onesti

Qua, là, agghiacciati a tal vista, fuggiamo. Ma quelli diritto

su Laocoonte puntavano: e prima i piccoli corpi

dei due figli stringendo, l’uno e l’altro serpente

li lega, divora a morsi le misere membra;

poi lui, che accorreva in aiuto e l’armi tendeva,

afferrano, avvinghiano fra le spire tremende. Due volte

già l’hanno annodato alla vita, due volte al suo collo

cingon le terga squamose, ardue le teste levando.

Lui con le mani tenta di sveller quei nodi,

bava le bende sacre gocciolando e nero veleno,

e intanto urla orribili manda alle stelle,

come muggiti, se il foto fugga piagato dall’ara

via dal collo scrollata la scure esitante.




Personale

Sbiancando alla vista fuggiamo. Essi si muovono sicuri

verso Laocoonte; e prima ogni serpente stringe

i piccoli corpi dei figli tra le proprie spire e

mordendoli divora le loro le loro povere membra;

poi, mentre [Laocoonte] viene in loro aiuto e con le armi in mano,

prendono anche lui e lo avvolgono in enormi spire; e già

due volte gli cinse la vita, due volte avvolgendo le loro pieghe squamose

attorno al collo, le teste e le alte cervici sovrastano.

Egli si sforza di spezzare i nodi con le mani,

la sua sacra fascia intrisa di sangue e di oscuro veleno

mentre leva al cielo grida terribili:

come il muggito di un toro, che è fuggito ferito

dall’altare, scuotendo dal collo la scure malcerta.

Passi in altri autori

Pseudo-Apollodoro, Bibliotheca, Epitome, 5.18


Ἀπόλλων δὲ αὐτοῖς σημεῖον ἐπιπέμπει: δύο γὰρ δράκοντες διανηξάμενοι διὰ τῆς θαλάσσης ἐκ τῶν πλησίον νήσων τοὺς Λαοκόωντος υἱοὺς κατεσθίουσιν.


Apollo inviò loro anche un segno: due serpenti uscirono dal mare, provenienti da isole vicine, e divorarono i figli di Laocoonte.



Gaio Giulio Igino, Fabulae, 135


Laocoon Capyos filius Anchisae frater Apollinis sacerdos contra voluntatem Apollinis cum uxorem duxisset atque liberos procreasset, sorte ductus, ut sacrum faceret Neptuno ad litus. Apollo occasione data a Tenedo per fluctus maris dracones misit duos qui filios eius Antiphantem et Thymbraeum necarent, quibus Laocoon cum auxilium ferre vellet, ipsum quoque nexum necaverunt. Quod Phryges idcirco factum putarunt, quod Laocoon hastam in equum Troianum miserit.


Figlio di Capi e fratello di Anchise. Sacerdote di Apollo, si sposò ed ebbe figli contro il volere del dio. Mentre svolgeva un sacrificio sulla spiaggia in onore di Nettuno, Apollo inviò due dragoni che uccisero i suoi figli Antifante e Timbreo e quando Laocoonte corse ad aiutarli, uccisero anche lui strozzandolo. I Troiani credettero che Laocoonte venisse ucciso per aver scagliato una lancia contro il cavallo di legno.



Petronio, Satyricon, 89


[...] Infulis stabant sacri

Phrygioque cultu gemina nati pignora

Lauconte. Quos repente tergoribus ligant

angues corusci. Parvulas illi manus

ad ora referunt, neuter auxilio sibi,

uterque fratri; transtulit pietas vices

morsque ipsa miseros mutuo perdit metu.

Accumulat ecce liberum funus parens,

infirmus auxiliator. Invadunt virum

iam morte pasti membraque ad terram trahunt.


[...] Cinti di sacre bende

e con addosso il costume frigio i due figli gemelli

di Laocoonte stavano lì sulla spiaggia. A un tratto

li avvinghiano nelle loro spire i due draghi di fiamma,

e quelli protendono ai morsi le piccole mani. Ciascuno

non sé ma il fratello aiuta, e pietà si scambiano,

finché morte li coglie in un mutuo terrore.

Alla strage si aggiunge anche il padre, ben debole aiuto,

che i due draghi già sazi di morte assalgono

e trascinano sul lido. Giace vittima il sacerdote

tra le are e il suo corpo percuote la terra.



Quinto Smirneo, Posthomerica, vv. 472-485


[...] Ἔλειπτο δὲ μοῦνος ἄπωθε

Λαοκόων ἅμα παισί· πέδησε γὰρ οὐλομένη Κὴρ

καὶ θεός. Οἳ δέ οἱ υἷας ὑποτρομέοντας ὄλεθρον

ἀμφοτέρους ὀλοῇσιν ἀνηρείψαντο γένυσσι

πατρὶ φίλῳ ὀρέγοντας ἑὰς χέρας· οὐδ' ὅ γ' ἀμύνειν

ἔσθενεν· ἀμφὶ δὲ Τρῶες ἀπόπροθεν εἰσορόωντες

κλαῖον ὑπὸ κραδίῃσι τεθηπότες. Οἳ δ' ἄρ' Ἀθήνης

προφρονέως τελέσαντες ἀπεχθέα Τρωσὶν ἐφετμὴν

ἄμφω ἀιστώθησαν ὑπὸ χθόνα· τῶν δ' ἔτι σῆμα

φαίνεθ', ὅπου κατέδυσαν ἐς ἱερὸν Ἀπόλλωνος

Περγάμῳ ἐν ζαθέῃ. Προπάροιθε δὲ Τρώιοι υἷες

παίδων Λαοκόωντος ἀμείλιχα δῃωθέντων

τεῦξαν ἅμ' ἀγρόμενοι κενεὸν τάφον ᾧ ἔπι δάκρυ

χεῦε πατὴρ ἀλαοῖσιν ὑπ' ὄμμασιν [...]


Restarono soltanto, soletti, i figli, e Laocoonte in disparte, avendo loro legati la Dea, e la nocente Parca. Essi assalirono con le bocche orrende entrambi i figliuoli, che la vicina morte paventavano tremando, e verso l’amato padre stendevano le mani, ed esso a loro non poteva dar soccorso, e da lontano al misero ed orrendo spettacolo, sbigottiti piangevano dal petto interno i Teucri. Ed essi prontamente avendo eseguito contro ai Teucri il crudele compito imposto loro da Atena, entrambi si celarono sotto la terra; e segno ancor vi resta del luogo, in cui si inabissarono dentro al tempio d’Apollo in mezzo a Pergamo sacra. Quindi i Troiani raccolti insieme, dove furono uccisi i figli di Laocoonte così crudelmente, costruirono loro un sepolcro: sopra cui il padre distillò lacrime dai ciechi occhi, e in mille modi pianse, [...]

Spunti lessicali: Laocoonta & Veneno & Clamores

LAOCOONTA

Laocoon, Laocoontis (n.m), Λαοκόων, Λαοκόωντος (n.m.)

Il sacerdote troiano Laocoonte compare due volte nel Liber II dell’Aeneides, in relazione con gli avvenimenti della caduta di Troia: quando tiene un discorso ammonitore (v. 42 ss.), e poi in veste di sacerdote sacrificante (v. 201 ss.). Come personaggio fallisce sempre il suo scopo. Il suo invito a diffidare del cavallo di legno perde il suo effetto sui Troiani a causa della comparsa di Sinone e del suo discorso menzognero (v. 69 ss.). Il suo sacrificio a Nettuno viene vanificato dai due serpenti che uccidono prima entrambi i suoi figli e poi lui stesso (v. 213 ss.). Queste due apparizioni di Laocoonte, al pari dell’intera Ilioupersis del II Libro, vengono narrate da Enea a Didone, una prospettiva che è da tenere in considerazione in rapporto alle altre versioni del mito di Laocoonte.

Entrambe le volte Laocoonte è armato. Nella sua prima apparizione porta una hasta ingens, con la quale colpisce i fianchi del cavallo di legno (Aen. II, 50-53). La seconda volta ha degli spiedi (tela), con i quali vuole correre in aiuto dei suoi figli stretti nelle spire dei serpenti (v. 216). In entrambi i casi la sua azione è vana. Infatti il colpo con la lancia contro il cavallo di legno viene interpretato dai Troiani come un sacrilegio verso il dono votivo per Minerva, che ha come conseguenza la punizione per mezzo dei serpenti (vv. 230-31). La morte di Laocoonte è un prodigium per la caduta di Troia, un signum... periturae civitatis, come commenta Servio (ad Aen. II, 201). Nelle due più importanti versioni letterarie del mito prima di Virgilio era Enea stesso che riconosceva il segno di sventura e fuggiva da Troia con i suoi. Si tratta della Ilioupersis di Arctino tramandata nel riassunto in prosa di Proclo, e della tragedia Laocoon di Sofocle conservataci in pochi frammenti (370-77 Radt). Questa versione non poté essere utilizzata da Virgilio, poiché il suo Enea descrive come testimone oculare l’intera caduta di Troia fino alle sue estreme conseguenze. Anche per altri aspetti Virgilio diverge da Arctino e da Sofocle, poiché nel primo Laocoonte viene ucciso dai serpenti insieme a uno solo dei figli, nella tragedia sofoclea morivano entrambi i figli e il padre sopravviveva, mentre in Virgilio tutti e tre sono vittime dei serpenti. Nella tradizione greca, inoltre, Laocoonte non è sacerdote di Nettuno-Poseidone (solo Euforione sembra averlo definito così: Serv. ad Aen. 2, 201), bensì sacerdote di Apollo Thymbraios. Questo vale anche per la tradizione figurativa prima di Virgilio, che è piuttosto scarsa. In due raffigurazioni vascolari italiote, che probabilmente dipendono dalla tragedia sofoclea, il prodigio dei serpenti ha luogo nel recinto di Apollo; dopo il loro orribile atto i serpenti non si dirigono, come in Virgilio, verso la statua di Minerva (Aen. II, 225-227), bensì verso quella di Apollo. Virgilio deve aver cambiato consapevolmente la scena della morte di Laocoonte, poiché non vuole gravare Apollo, il principale dio dell'età augustea, della responsabilità di quell’orribile avvenimento. In contrasto con la tradizione greca, Apollo non compare mai nell’intera Ilioupersis narrata da Enea. Solo dopo la fuga, a Delo, Enea implora il dio con l’appellativo patrio di Thymbraeus (Aen. III, 85). In Virgilio, i serpenti fatali non sono legati ad Apollo, bensì a Nettuno e a Minerva. In questo contesto Virgilio chiama la dea saeva Tritonis (Aen. II, 226).


VENENO

venenum, venenis (n.n.)

Nell’opera virgiliana il veleno è presente nell’atto di essere trasmesso agli uomini tramite due condotti principali: erbe e animali. Sostanze velenose sono infuse nell’uomo attraverso il morso degli animali; e, a questo proposito, nella successione delle occorrenze di venenum, Virgilio sembra operare un climax ascendente. La fine di Laocoonte è segnata quando due serpenti aspergono di bava e di nero veleno le sue bende sacerdotali (Aen. II, 221 perfusus sanie vittas atroque veneno). In latino venenum è un vox media, corrispondente al greco φάρμακον; cioè può avere un’accezione benefica o malefica, a seconda che sia qualificata con bonum o malum. Si è visto però come Virgilio faccia uso della voce sempre con sfumatura negativa, dal più al meno, fino all’effetto letale sia nella persona, come accade a Laocoonte, sia nella psiche, come accade ad Amata (Aen. VII, 354 ss.).


CLAMORES

clamor, clamoris (n.m.)

Il sostantivo in questione, con il verbo da cui deriva, clamo, e i suoi composti (conclamo, exclamo, proclamo, reclamo), forma una grossa famiglia di termini di suono onomatopeici, esprimenti la voce, il grido dell’essere umano nelle sue varie sfumature. Clamor in Virgilio è innanzitutto quello dei viri in netta contrapposizione con altri tipi specifici di suono. Rispecchia stati d’animo diversi: può essere il grido felice dei naviganti, o quello desolato delle donne, o ancora quello orrendo di Laocoonte, nel momento culminante dell’assalto dei serpenti (Aen. II, 222 clamores simul horrendos ad sidera tollit), o del Ciclope, o il tristis [...] clamor / bellantum iuvenum et duro sub Marte cadentum (Aen. XII, 409-10).