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Alessia Meneghel

Il libro secondo dell’Eneide narra la drammatica caduta di Troia, voluta dal Fato e inevitabile; essa è tanto più dolorosa perché inattesa, dal momento che coglie di sorpresa i Troiani, che avevano creduto alla ritirata dei Greci. D'altra parte, la caduta della città rivela anche la cecità degli uomini e la loro incapacità di cogliere i segni evidenti della realtà: nemmeno i suoni sordi e minacciosi che rimanda il ventre del cavallo percosso da Laocoonte li dissuadono dal portarlo in città (“Stetit illa tremens, uteroque recusso insonuere cavae gemitumque dedere cavernae.” vv.53-54).

La caduta di Troia dipende dall'inganno: paradossalmente, la città in cui gli eroi si erano a lungo scontrati nel rigoroso rispetto del codice eroico, cade per un'ingegnosa macchinazione; non le armi di Achille e dei più forti eroi, ma l'astuzia di Ulisse e dello scaltro Sinone.

Ogni angosciosa scena è preceduta da attimi di silenzio assordanti e prima ancora da frastuoni che si stagliano nel cielo come fulmini in una tempesta.

I versi della notte prima della battaglia (vv. 246-253) per esempio racchiudono in loro una quiete terrificante, sottolineata da Virgilio ai vv. 252-253: fusi per moenia Teucri conticuere; sopor fessos complectitur artus. Questa quiete, questo silenzio rigenerante è, se ci si pensa, fuori luogo rispetto a quello che poi lo stesso Enea racconta alla corte; come può il silenzio trasformarsi in poco tempo nel frastuono della battaglia che infuria?

Il tema del rumore però non è attribuibile solo al rumore stesso dello scontro (vv. 254-259; 298-301), ma si possono considerare rumori anche i contrasti che affliggono l’animo di Enea: dalla scelta di scappare sotto consiglio degli Dei (nunc omnes terrent aurae, sonus excitat omnis suspensum et pariter comitique onerique timentem.) alla scelta di correre a cercare Creusa e quindi rischiare la vita gridando il suo nome alla disperata ricerca (ausus quin etiam voces iactare per umbram implevi clamore vias, maestusque Creusam nequiquam ingeminans iterumque iterumque vocavi.).

Questa capacità di Virgilio di racchiudere in poche righe specifiche i suoni che poi ci portiamo dietro per tutta la narrazione fa in modo che ogni parola del manoscritto rimanga impressa nella testa del lettore e faccia diventare accattivante la lettura di questo classico.

Andrea Manna

Il secondo libro dell’Eneide può essere considerato uno dei passi più ricchi di pathos dell’intera opera. Non è un semplice racconto simposiale (la cornice infatti è il banchetto con Didone ed i cartaginesi), una performance di un aedo, ma è una vicenda realmente accaduta, di cui Enea stesso è il protagonista. Ha assistito in prima persona ai fatti accaduti poiché lui era lì, nessuno meglio di lui sa come sono andate le cose, questa sua conoscenza non viene celata da Enea, anzi egli commenta, con brevi frasi, le scelte che sono state prese: dixerta. Ille, dolis instructus er arte Pelasga (vv. 152-153) passo in cui si riferisce a Sinone e al fatto che solo dopo l’ingresso a Troia del cavallo si capì che in realtà aveva mentito; un altro sprezzante commento sull’inganno si trova ai vv. 195-198 (Talibus insidiis periurique arte Sinonis credita res, captique dolis lacrimisque coactis quos neque Tydides nec Larisaeus Achilles, non anni domuere decem, non mille carinae) dove si può individuare non solo il rammarico, ma anche tutto il dolore per ciò che era avvenuto. Stesso dolore che, alla fine del verso, proverà per la perdita della sua cara moglie, Creusa, la quale fatone erepta Creusa (v. 738). Il dolore di Enea probabilmente non può essere compreso, probabilmente perché non riusciamo a trovare una spiegazione. Virgilio stesso, lungo tutto il poema, cerca di dare una motivazione a tutto il dolore che i personaggi devono subire, cerca di dare una motivazione al suicidio di Didone, alla morte di Miseno, la guerra contro i popoli italici. La spiegazione a cui giunge Virgilio è, come sappiamo, quella del fato di Enea, tutto viene giustificato perché le divinità e il Fato stesso vogliono che Enea, una volta giunto nel Lazio, fondi una città dalla quale poi sorgerà Roma. Né Virgilio né noi non possiamo ritenerci soddisfatti di questa spiegazione, la disperazione di Enea nel dolore per le perdite che ha subito viene trasmesso quindi sia allo scrittore che si interroga, ma anche a noi lettori, che a più di duemila anni di distanza ancora ci chiediamo, leggendo questi passi ricchi di pathos e di sofferenza, il "perché?", senza però trovare una risposta. Non solo abbiamo gli stessi interrogativi, ma interiorizzando il racconto sembra di vivere noi stessi quelle vicende, i rumori e i silenzi che Virgilio sapientemente rende con estremo realismo Vix ea fatus erat senior, subitoque fragore intonuit laevum, et de caelo lapsa per umbras stella facem ducens multa cum luce cucurrit (vv. 692-694). È proprio la capacità di Virgilio di far imprimere nella nostra mente, grazie alla semplice narrazione dei fatti, immagini ma anche suoni, a rendere questo poema non solo un classico, ma anche una lettura che trasporta il lettore.

Mattia Venier

Nelle battute finali del secondo canto dell’Eneide vengono a concretizzarsi tutti i presagi e i timori che avevano costellato buona parte dei versi precedenti. Il sacco della città, l’uccisione del re Priamo (vv. 544-553) e la fuga dello stesso Enea (vv. 725-729) vengono a concretizzarsi in un’atmosfera cupa e funesta che Virgilio riesce abilmente a caratterizzare con un uso vario e pertinente delle diverse terminologie. I vocaboli utilizzati presentano delle sfumature che rendono più concreto il racconto come opaca (v. 725), che si riferisce ai luoghi d’ombra, mentre umbram (v. 773) descrive il buio della notte; allo stesso tempo la loro varietà previene una fastidiosa ripetitività nel testo. Decisamente affascinante è la scelta dei termini collegati alla sfera del suono, qui utilizzati per identificare e descrivere discorsi narrare , rumori raucus e sonus, grida clamor (v. 769). L’attenzione dell’autore è in questi casi concentrata su che cosa emetta il suono o quale sia lo stato d’animo di chi urla o esprime sentenze di senso compiuto, affinché le diverse situazioni siano sempre rappresentate al meglio.