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Anna Tissino

I tre passi analizzati presentano la celebre vicenda di Laocoonte, sacerdote di Apollo secondo la tradizione greca ma volontariamente indicato da Virgilio come ministro del culto di Nettuno per non gravare la responsabilità della tragedia su quello di Febo, che era il principale dell’epoca augustea.

Interessante la scelta dei vocaboli utilizzati da parte del poeta: l’ingannevole dono è definito con il termine uterus, (v. 52), come a sottolineare il ventre pregno di soldati achei. Notevole anche l’abilità di Virgilio nei versi riguardanti la morte di Laocoonte, che tramite l’allitterazione della “s” rendono il sibilo degli angues: ille Simul manibuS tendit divellere nodoS / perfuSuS Sanie vittaS atroque veneno, / clamoreS Simul horrendoS ad Sidera tollit (vv. 220-222).

La straziante tragedia di Laocoonte trova la sua massima celebrazione artistica nel Gruppo del Laocoonte, scultura in marmo del periodo ellenestico realizzata dalla scuola di Rodi, che riesce a rendere perfettamente l’angoscia e la disperazione del sacerdos nel tentare di salvare i figli.

Chiara Tissino

I passi analizzati, situati nel Liber II dell'Eneide, narrano dei momenti in cui compare Laocoonte, secondo la tradizione greca sacerdote di Apollo ma, per scelta di Virgilio, di Nettuno. Questo cambiamento è dovuto alla volontà di non caricare il dio, principale divinità dell'epoca augustea, della morte atroce dell'uomo e dei suoi figli causata dall'attacco dei serpenti marini (vv. 212-222), inviati da Febo. Il poeta latino descrive con sapiente maestria la scena cruenta, alternando suoni e silenzi per coinvolgere al meglio il lettore. Dopo aver terminato la propria arringa contro gli Achei, Laocoonte, nel silenzio della folla, scaglia una lancia contro il ventre della machina (v. 46), facendo risuonare le cavae cavernae (v. 53). Nonostante il riverbero sia un'evidente prova del dolos, i Troiani, persuasi anche dalle menzogne del soldato acheo Sinone, non credono al sacerdote. Mentre Laocoonte officia il sacrificio di un toro, Minerva, offesa secondo i Teucri dall'empio gesto dell'uomo, scatena contro di lui e figli due angues (v. 204) provenienti dalla vicina isola di Tenedo e preannuncianti, secondo Servio, l’arrivo delle navi greche che ivi si erano nascoste. Si possono quasi udire i serpentes sibilanti solcare le onde, mentre dalla spiaggia la folla osserva la scena in silenzio, paralizzata dal terrore. I rettili attaccano senza esitazione i giovani figli del sacerdote, stritolandoli nelle proprie spire e uccidendoli a morsi. Inutilmente il padre tenta di salvarli: mentre i dracones lo avvolgono con i propri corpi, impregnando le bende di atro veneno (v. 220), Laocoonte leva grida strazianti fino alle stelle (ad sidera tollit, v. 222), paragonate ai muggiti di un toro che, ferito, scappa dall'altare. Quando le urla si spengono e i serpenti si nascondono dietro la statua di Atena, sulla scena cala, come un sipario, il silenzio dello sgomento.
Le emozioni trasmesse dalla lettura di questo passo sono molteplici. Si comincia con l’ansia della consapevolezza di Laocoonte, il quale, pur sapendo della presenza dei soldati nemici all’interno del cavallo, non riesce a fare nulla di concreto per impedire il loro ingresso nella città; l’orrore e la paura alla vista dei serpenti mostruosi, descritti con maestria da Virgilio, per poi passare infine all’incontenibile dolore, emotivo e quasi fisico, per la morte dei giovani figli del sacerdote e dell’uomo stesso.

Davide Battiston

I tre passi approfonditi narrano della tragica sorte di Laocoonte, veggente e sacerdote di Apollo, punito per non essersi piegato alla volontà divina. Nei versi 50-54 Virgilio racconta che il sacerdote, per distogliere i troiani dall’inganno, scaglia una lancia sul ventre del cavallo che rimbomba sonoramente. Un ventre cavo e profondo, come emerge dalle scelte lessicali per descriverlo: alvom e utero “ventre, cavità”, insonuere “risuonare”, cavae cavernae “cave caverne” (v. 51-53).

Nei versi 203-211 due serpi possenti e minacciose emergono dal mare e stritolano Laocoonte e i figli. La celebrazione di questo momento straziante trova conforto nel Gruppo del Laocoonte in cui a emergere sono l’impotenza e la fragilità umana di fronte alla volontà divina.

Infine, nei versi 212-224 si innesta e si conclude una delle similitudini più significative del canto: Laocoonte, avvolto dai serpenti, muggisce e si divincola come un toro ferito durante il sacrificio, quando il colpo della scure non è stato fatale (incertam securim). Da notare l’insistenza che Virgilio pone sul suono “s” che compare ben diciannove volte. L’intento dell’autore era senza dubbio quello di simulare il sibilo dei serpenti, un tema che si collega perfettamente a quello dei silenzi e suoni.

Margherita De Mattio

Questi due passi dell’Eneide libro II vedono come protagonista Laocoonte, sacerdote di Apollo Timbreo e descrivono bene due momenti caratteristici e rappresentativi del libro.

Il primo passo, Laocoonte che colpisce il cavallo di legno (vv 50-53), ci dà un’informazione molto importante: il fatto che l’asta, lanciata contro il ventre dell’animale, vv. 52-53, Stetit illa tremens, uteroque recusso insonuere cavae gemitumque dedere cavernae, fece risuonare le cavità e gemere le cupe caverne; questo ci fa capire che il cavallo al suo interno fosse vuoto per poter contenere i soldati achei e che quindi lo scetticismo di Laocoonte non era infondato. E’ interessante osservare che il termine utero, che viene usato dal poeta per definire il ventre del cavallo, torna quattro volte nell’Eneide libro II, ogni volta in cui si fa riferimento all’ingannevole dono. Inoltre Virgilio fa una breve descrizione della struttura del cavallo, al verso 51: curvam compagibus alvum, dal fasciame del ventre ricurvo.

Nel secondo passo che è stato analizzato i due serpenti escono dal mare per cercare Laocoonte, il quale mentre cerca di salvare i figli urla simile a un toro (vv.203-224). Dal punto di vista sonoro è sicuramente più ricco rispetto al primo. Descrive in modo molto dettagliato l’arrivo, le caratteristiche fisiche (ai versi Aen II, 205/210: pectora quorum inter fluctus arrecta iubaeque/ oculos suffecti sanguine et igni sibila) e la ferocia dei serpenti marini che stritolano e divorano i figli di Laocoonte, per poi dirigersi verso il sacerdote, spergendo di bava e di nero veleno le sue bende sacerdotali (Aen. II, 221 perfusus sanie vittas atroque veneno). In latino venenum è un vox media, e può avere un’accezione benefica o malefica, a seconda che sia qualificata con bonus o malus. Si è notato però come Virgilio faccia uso della voce sempre con sfumatura negativa. Laocoonte in seguito, urlando per il dolore viene paragonato ad un toro muggente che ferito fugge dall’ara, e scuote via dal collo la scure malcerta, ai versi 223-224: qualis mugitus, fugit cum saucius aram taurus et incertam excussit cervice securim.