Ingresso del cavallo a Troia
Testo latino e Traduzioni - vv. 232-240
Testo latino
Ducendum ad sedes simulacrum orandaque divae
numina conclamant.
Dividimus muros et moenia pandimus urbis.
Accingunt omnes operi pedibusque rotarum
subiciunt lapsus, et stuppea vincula collo
intendunt; scandit fatalis machina muros
feta armis. pueri circum innuptaeque puellae
sacra canunt funemque manu contingere gaudent;
illa subit mediaeque minans inlabitur urbi.
Luca Canali
Gridano che si deve condurre al tempio il simulacro
e pregare il nume della dea.
Apriamo una breccia nelle mura e spalanchiamo la cinta
della città.
Tutti si accingono all’opera e pongono sotto le zampe
scorrevoli rulli e gettano canapi al collo.
Sale la fatale macchina i muri, gravida
d’armi. Giovinetti intorno e intatte fanciulle
cantano inni e godono di toccare la fune.
Quella entra e scorre minacciosa in mezzo alla città.
Alessandro Fo
Va condotta ai templi l’effigie, e va supplicato,
gridano, della dea il nume.
E apriamo i muri di Troia, ne spalanchiamo le mura.
Tutti si accingono all’opera, rulli scorrevoli mettono
sotto gli zoccoli e tendono corde di canapa al collo;
quella fatale macchina ai muri dà la scalata,
gravida d’armi. Intorno fanciulli e fanciulle illibate
cantano inni sacri e stringono in festa la fune;
quella s’insinua in città, e minacciosa vi striscia nel cuore.
Rosa Calzecchi Onesti
Ai templi l'effige bisogna portare, placar la potenza
del nume, si grida.
E apriam le muraglie, spezziamo la cinta della nostra città.
Turri dan mano all'opera: e adattano sotto le zampe
ruote scorrevoli, e al collo corde di canapa
gettano. L'ordigno fatale supera i muri,
pregno d'armi. Intorno fanciulli e non promesse fanciulle
cantano gli inni sacri, toccano lieti la fune.
Sale l'ordigno, già corre la città minaccioso.
Personale
Gridano che bisogna condurre al tempio il simulacro e
pregare il nume della dea.
Rompiamo una parte delle mura e apriamo una breccia nella cinta della città.
Tutti si accingono al lavoro e collocano rulli
sotto le zampe e tendono funi al collo. La fatale macchina varca le mura,
gravida d’ armi. Intorno ragazzi e fanciulle non sposate
intonano inni sacri e provano gioia nel toccare con la mano la fune.
Quella entra e si insinua minacciosa nel cuore della città.
Passi in altri autori
Gaio Giulio Iginio, Fabulae, 108
EQUUS TROIANUS
Achivi cum per decem annos Troiam capere non possent, Epeus monitu Minervae equum mirae magnitudinis ligneum fecit eoque sunt collecti Menelaus Ulixes Diomedes Thessander Sthenelus Acamas Thoas Machaon Neoptolemus; et in equo scripserunt DANAI MINERVAE DONO DANT, castraque transtulerunt Tenedo. Id Troiani cum viderunt arbitrati sunt hostes abisse; Priamus equum in arcem Minervae duci imperavit, feriatique magno opere ut essent, edixit; id vates Cassandra cum vociferaretur inesse hostes, fides ei habita non est. Quem in arcem cum statuissent et ipsi noctu lusu atque vino lassi obdormissent, Achivi ex equo aperto a Sinone exierunt et portarum custodes occiderunt sociosque signo dato receperunt et Troia sunt potiti.
CAVALLO DI TROIA
Poiché gli Achei durante dieci anni non riuscirono a prendere Troia, Epeo su suggerimento di Minerva costruì un cavallo di legno di grandi dimensioni, e in esso furono posti Menelao, Ulisse, Diomede, Tessandro, Stenelo, Acamante, Toante, Macaone, Neottolemo. Sul cavallo scrissero: I Danai lo danno in dono a Minerva, e spostarono l'accampamento a Tenedo. Quando i Troiani videro questo, pensarono che il nemico se ne fosse andato; Priamo ordinò che il cavallo fosse portato alla cittadella di Minerva, e diede un annuncio che celebrassero magnificamente. Quando la profetessa Cassandra continuò ad insistere che c'erano nemici all'interno, non le credettero. Lo misero nella cittadella, e di notte, quando dormivano, vinti dal gioco e dal vino, gli Achei uscirono dal cavallo che era stato aperto da Sinone, uccisero le guardie alle porte, e, a un dato segnale, fecero entrare i loro compagni. Così si impossessarono di Troia.
Petronio, Satyricon, 89
Iam decuma maestos inter ancipites metus
Phrygas obsidebat messis, et vatis fides
Calchantis atro dubia pendebat metu,
cum Delio profante caesi vertices
Idae trahuntur, scissaque in molem cadunt
robora, minacem quae figurarent equum.
Aperitur ingens antrum et obducti specus,
qui castra caperent. Huc decenni proelio
irata virtus abditur, stipant graves
recessus Danai et in voto latent.
O patria, pulsas mille credidimus rates
solumque bello liberum: hoc titulus fero
incisus, hoc ad fata compositus Sinon
firmabat et mendacium in damnum potens.
Già la decima estate assediava i mesti e incerti Frigi
e il nero dubbio invadeva la fede del vate Calcante,
quando al responso di Apollo crollano recise le vette
dell'Ida, cadono i tronchi tagliati gli uni sugli altri,
e già danno forma a un cavallo minaccioso. Nel vasto fianco
si apre uno squarcio di caverna che dentro nasconde
uno stuolo agguerrito d'armati. Lì s'annida un valore infuriato da
un decennio di guerra, e i Danai stipati
si celano in quel dono votivo. O patria! Noi credemmo in fuga
le mille navi e libero il suolo patrio dalla guerra.
Questo trovammo inciso sulla bestia, questo affermò
Sinone pronto al destino, possente menzogna verso il baratro.
Quinto Smirneo, Posthomerica, libro XII, vv. 423 - 443
[...] ἀγειρόμενοι δ᾽ ἅμα πάντες
σειρὴν ἀμφεβάλοντο θοῶς περιμήκεϊ ἵππῳ
δησάμενοι καθύπερθεν, ἐπεί ῥά οἱ ἐσθλὸς Ἐπειὸς
ποσσὶν ὑπὸ βριαροῖσιν ἐΰτροχα δούρατ᾽ ἔθηκεν,
ὄφρα κεν αἰζηοῖσιν ἐπὶ πτολίεθρον ἕπηται
ἑλκόμενος Τρώων ὑπὸ χείρεσιν. οἱ δ᾽ ἅμα πάντες
εἷλκον ἐπιβρίσαντες ἀολλέες, ἠΰτε νῆα
ἕλκωσιν μογέοντες ἔσω ἁλὸς ἠχηέσσης
αἰζηοί, στιβαραὶ δὲ περιστενάχουσι φάλαγγες
τριβόμεναι, δεινὸν δὲ τρόπις περιτετριγυῖα
ἀμφὶς ὀλισθαίνουσα κατέρχεται εἰς ἁλὸς οἶδμα:
ὣς οἵ γε σφίσι πῆμα ποτὶ πτόλιν ἔργον Ἐπειοῦ
πανσυδίῃ μογέοντες ἀνείρυον: ἀμφὶ δ᾽ ἄρ᾽ αὐτῷ
πολλὸν ἄδην στεφέων ἐριθηλέα κόσμον ἔθεντο:
αὐτοὶ δ᾽ ἐστέψαντο κάρη: μέγα δ᾽ ἤπυον αὐλοὶ
ἀλλήλοις ἐπικεκλομένοι: ἐγέλασσε δ᾽ Ἐνυὼ
δερκομένη πολέμοιο κακὸν τέλος: ὑψόθι δ᾽ Ἥρη
τέρπετ᾽: Ἀθηναίη δ᾽ ἐπεγήθεεν: οἱ δὲ μολόντες
ἄστυ ποτὶ σφέτερον μεγάλης κρήδεμνα πόληος
λυσάμενοι λυγρὸν ἵππον ἐσήγαγον: αἱ δ᾽ ὀλόλυξαν
Τρωιάδες, πᾶσαι δὲ περισταδὸν εἰσορόωσαι
θάμβεον ὄβριμον ἔργον: ὃ δέ σφισιν ἔκρυφε πῆμα.
Allora tutti si radunarono, e su quell'enorme cavallo gettarono in fretta funi, e le fissarono in alto; poiché sotto le sue zampe Epeo aveva posto dei rulli di legno lisci, affinché, trascinato dalle mani troiane, potesse scivolare dentro le mura della loro città. Tutti lo trascinarono con molti strattoni e sforzi, come quando giovani faticosamente trascinano una nave verso il mare; i rulli ostinati gemono con forza, mentre la carena, scivolando con alte grida, scende nel mare; così quella moltitudine trascinava con fatica fino alla città la propria sorte, l'opera di Epeo, e intorno a lei avevano appeso grandi corone di fiori, e se ne avvolsero le loro stesse teste, mentre l'un l'altro si rispondevano suonando i flauti. Enio rideva tristemente, vedendo la fine di quella terribile guerra; Era si rallegrava dall'alto, Atena era contenta. Quando i Troiani furono giunti nella loro città, abbatterono le mura della città, per far entrare il cavallo funesto. Le figlie di Troia lo accolsero con grida di benvenuto; meravigliate, tutte guardavano l'opera possente dove era in agguato la loro rovina.
Spunti lessicali: Machina
MACHINA: machina, machinae (macchina da guerra o da assedio)
Derivato dal greco μηχανή (macchina)
Nell’intera opera compare 4 volte, nel II libro 3 volte.
Machina è un sostantivo utilizzato per rivolgersi al cavallo di legno. Nell’Eneide assume un significato intriso di religiosità per il fatto di essere uno strumento di distruzione voluto dal fato. Gli studiosi ancora oggi si domandano se Troia sia stata veramente distrutta grazie a questo inganno e sono state formulate varie teorie. Una fra queste ritiene che la città sia stata rasa al suolo da un terremoto ed essendo Poseidone il dio dei terremoti la statua in suo onore assunse le sembianze del suo simbolo, un cavallo. Un’altra teoria sostiene che lo strumento per la distruzione di Troia sia stato proprio una macchina da guerra o d’assedio. Addirittura secondo la teoria di un archeologo navale il cavallo sarebbe stato una nave chiamata Hippos e che i diffusori dell’opera Omerica si siano confusi nella sua interpretazione.