Sorrisi E Canzoni TV

22-28 December 1996

Un tempo si chiamaya Prince. Oggi Symbol. Ma confessa in Esclusiva a “Sorrisi” Che…

Il mio nome non conta



Michael Mountain

Non riesco a ricordare un solo period dell amia via, tranne forse quando ero ragazzino, in cui non abbia dedicato alla musica almeno dodici ore al giorno.

Prima ascoltandola, poi suonandola. Sperimentando strumenti, arrangianmenti, sonorità, contaminazioni di tutti I generi. Lo so: mi dicono tutti che lavoro troppo e che incido troppo.

Il mio porblema, infatti, non è tanto l’inspirazione, quella non manca mai, ma come fermare e mettere su carta o su nastro un’idea musicale prima che questa venga cancellate dall’idea successive. Un altro problema?

Non ho mai volute soffermarmi, appositamente, sul funk puttosto che sul rock, sul rap piuttosto che sul jazz. Primo, perché ritengo tutte le etichette, tutte le barriere assolutamente prive di senso. Poi, perchee sono un curioso per natura. E, come tutti I curiosi, amo mescolare I suoni e magari inventarne di nuovi. Il fatto è che oggi, nel rock, tutti cercano di fae le stesse identiche cose: col tempo è venuta a mancare quella voglia di nuovo, di eccitante, di misterioso che dovrebbe sempre accompagnare la ricercar di un musicista sensibile al tempo in cui vive.

E questo è un vero peccato.

Una volta si chiamava Prince ed era il genio osé della musica rockfunk e dei testi scollacciati. Oggi, il trentottenne musicista americano non ha più un nome, ma solo un simbolo grafico che ricorda, insieme, il segno genetico femminile e quello maschile. Non solo: dopo una vita condotta a fare il playboy, sì è finalmente e felicemente sposato con la corista e .ballerina Mayte, l’ultima delle sue numerose “protette”. E da lei ha avuto recentemente un figlio che, purtroppo, è spirato poto dopo la nascita. Tutto questo, insieme al fatto di essersi liberato dalla “schiavitù”· della precedente casa discografica (dalla Wea alla Emi, per una cifra stimata intorno ai 60 miliardi di lire!), per là quale incideva fin dal suo debutto nel 1978, si è tradotto in un nuovo modo, più sereno e sentimentale, di fare musica, ben espresso nell’ultimo triplo Cd “Emancipation” e nei suoi 36 brani. Di questo e altro “Sorrisi” ha parlato direttamente con “Symbol” (oggi è il nome che preferisce), in una delle rarissima interviste concesse alla stampa: è lui interamente vestito di viola e con stivaletti dal tacco quasi a spillo., ad accoglierci nel suo quartier generale di Paisley Park, a Minnapolis. la città dove vive.

Prima di tutto, il·nome: come la dobbiamo chiamare ora?

“Come preférite: pesonalmente, trovo che Symbòl sia un gran bel nome. Perché, in fin dei conti, oggi le parole hanno solo un signitìcato molto ,ruoto. Meglio allora i segni grafici, nero su bianco: con quelli, almeno, non c'è possibilità di interpretazioni errate”.

È vero che sono state le sue lotte con la precedente casa discografìca a consigliare questo nuovo nome?

“A dire la verità, io ho solo ascoltato quello che mi diceva lo spirito. E il mio spirito non sbaglia mai: un po’ come la voce di Dio. Quando mi ha suggerito di dare una svolta alla mia vita, non ci ho pensato due volte. Cosi, il nome Prince adesso appartiene al passato, alla storia, a un’altra casa discografica”.

Fino a pochi·mesi .fa lei si divertive ad apparire. in.pubblico con la scritta “Slave” (Schiavo) dipinta sul viso. Adesso pubblica un album che s’intitola “Emancipation”: come mai questo cambiamento?

“Tutti pensano che io sia un povero pazzo solo perché mi dipingevo quella scritta in faccia. Invece, io mi sentivo veramente uno schiavo: come definire una persona che non può fare tutto quello che vorrebbe? Quando impedisci a qualcuno di sognare, nel mio caso d’incidere tutta la mia musica, allora questa è schiavitù. Ma ciò ormai fa parte del passato: grazie al mio nuovo contratto con la Emi, adesso sono veramente padrone della mia musica. E con le mie canzoni posso, fare quello che voglio, anche stampare un album al mese, se mi salta in mente. Insomma, non mi sono mai sentito mèglio, come se fossi appena rinato: libero nel mio lavoro, felice nella vita privata· e con un futuro roseo davanti a me...”.

Le canzoni di’ “Emancipation” parlano più di amore che di sesso e di sesso mai fine a se stesso, ma legato sempre al sentimento: fatto abbastanza strano per chi, come lei, ha ·spesso affrontato l’argomento in modo molto aperto sfrontato…

“Questo lo çlice la gente: per molti: io sono solo un maniac che canta di sesso in ogni canzone. Un’interpretazione come un’altra, ma non la mia: io sono ben conscio che il sesso faccia parte integrante della vita e dell’amore e ne parlo con tutta la sensibilità di cui sono capace. Si tratta solo di diversi punti di vista, esattamente come il. c, omune s. enso del pudore-ò della normalità: chi può dire, oggi, dove finisca la normaltà e dove inizi l’anormalità? Nessuno”.

Eppure lei, in qualche modo, si avvia verso una certa normalità, almeno sentimentale: i suoi musicisti, ad esempi, giurano di non avere mai visto SymboI cosi innamorato. Allora, anche l’amore.aiuta a cambiare vita?

“Certo, io l’ho sempre sostçnuto . Nel caso di Mayte, de.vo dire che Dio mi ha mandato la donna migliore che potessi desiderare, uno ‘stimolo fortissimo alla mia creatività: quando la guardo negli occhi, mi trovo all’istante catapultato in un altro mondo, dove regna un silenzio impressionante. È difficile da descrivere, proprio come è difficile descrivere là musica. Del resto, sono sicuro che io e lei siamo due metà della stessa mela. E che abitavamo uno ‘stesso corpo in un’altra vita, probàbilmente, nell’antico Egitto. Per essere più precisi, il corpo di’un uomo che aveva quattro mogli. Lo dico perché, ogni volta che Mayte mi mostra qualche libro sulle pìramidi, qualche foto di papiri o addirittura si mette a cantare antiche nenie dei faraoni, tutto questo mi suona stranamente familiare. Per questo, ultimamente, mi sono appassionato alla storia egizia. E ho volute creare “Emancipation” proprio come gli antichi egizi costruivano le loro piramidi: una struttura perfettamente matematica, con tre Cd lunghi un’ora l’uno e ciascuno con lo stesso numero di canzoni, 12”.

Gli egizi credevano anche nelle divinità. E lei?

“Credo nell’esistenza di un Dio che governa le nostre menti. Ma non credo in tutte le religioni che l’uomo· ha voluto creare”.

Il suo desiderio di paternità purtroppo non si è risolto felicemente: come si· sente adesso?

“Mi spiace, ma preferirei non parlarne. Mi sento solamente di dire che diventare padre è una delle esperienze più profonde e più coinvolgenti che possano capitare a un uomo”.

È vero che ha cambiato faccia a Paisley Park, il suo quartier generale, proprio in vista di questo figlio?

“Sì, insieme a Mayte avevo pensato che questo posto, dove io vivo e lavoro,. Dovesse avere un aspetto meno·asettico e più colorato. Così, immaginando un bimbo che dovesse correre per questi corridoi,ho cerçato di rendere plù allegro l tutto. Ma su· Paisley Park, al momento attuale, ho altri progetti”.

E cioè?

“Nel 1997, quando sarò· impegnato tutto l‘anno in tournée e quindi questa struttura non mi servirà, penso di aprirla al pubblico. Così tutti potranno vedere i miei studi di registrazione, la sala-prove e quella dove realizzo i video, la sartoria che prepara i costume di scena ·per me e tutta la band. E la sera sarà possibile ballare nella zona discoteca, dove io già mi esibisco ogni tanto per gli amici”.

Ma come vive Mayte i suoi ritmi di lavoro frenetici?

“Benissimo: lei mi adora e qualsiasi cosa io faccio lei è dalla mia parte. Anche per questo l’ho sposata”.