VIOLENZA DI GENERE
Uno sguardo psicoanalitico alla violenza contro le donne
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Uno sguardo psicoanalitico alla violenza contro le donne di Stefano Bolognini
I grandi mutamenti storici degli ultimi cento anni, come la parità di diritti, di opportunità e
di indipendenza economica per le donne, il diritto di voto, l’istruzione, il movimento
femminista, l’estensione di orizzonti culturali dei giornali femminili, il nuovo
riconoscimento sociale uMcializzato, la parità professionale effettiva, hanno ridisegnato
lo status femminile conferendogli piena dignità civile, alla pari con quello maschile.
Questo non sembra avere affatto eliminato il fenomeno della violenza psicologica, Ssica e
sessuale: la cronaca riporta in continuazione notizie drammatiche che oltrepassano la
normale frequenza dei delitti generici e che segnalano invece una notevole speciScità
delle aggressioni contro rappresentanti del genere femminile.
Naturalmente, per lo psicoanalista queste notizie non si differenziano del tutto e in
assoluto da tutte quelle che parlano di violenza tra le persone: la frase di Money Kyrle
relativa ad un “tradizionale commercio di infelicità tra gli esseri umani” mantiene una sua
validità generale anche quando si entra nello speciSco delle violenze di genere. Eppure
non è realistico disconoscere tale speciScità. Il rapporto tra uomini e donne è per sua
natura così viscerale e carico di fantasmi da mobilitare con forza estrema tutta la gamma
delle possibili angosce e tutto il repertorio dell’aggressività. Umiliazioni, svalutazioni,
desideri di controllo e di dominio, occupazioni della mente altrui Sno allo
spossessamento del Sé, si sviluppano e rimbalzano senza tregua non appena il
rassicurante regime fusionale che illude le persone all’inizio delle loro unioni viene poi
messo in crisi dalla inquietante percezione dell’alterità. Va chiarito subito un punto
cruciale, quando si parla di violenze sessuali: di sessuale, in esse, non c’è quasi niente.
Non è sesso, è aggressività, e spesso o quasi sempre aggressività distruttiva.
Tale aggressività può essere diretta ed esplicita, come nella sua forma estrema, lo stupro
di guerra, in cui la violazione dell’altro con il “fallo-baionetta” altro non è che un traSggere
e occupare anche i territori interni del corpo altrui, oltre che i territori geograSci esterni,
come sfregio al nemico. La donna, in tal caso, è puro territorio, e la guerra è contro i
maschi nemici. Ma vi sono forme meno clamorose, eppure non meno sostanziali, di
violenza. Ricordo il racconto di una paziente molto disturbata che diceva di “lasciare al
marito lacarcassa” quando lui intendeva possederla, nonostante il loro pessimo rapporto
personale; di fatto la paziente si dissociava durante i rapporti (che non poteva riSutare per
complesse ragioni) “osservando se stessa da due o tre metri di distanza”.
Nell’inSnito campionario delle violenze possibili, vi sono tanto le ferite dirette quanto i più
subdoli avvelenamenti “goccia a goccia”, paragonabili all’infusione di polonio. Le
umiliazioni possono essere massive e sferzanti oppure progressive, inapparenti e basate
su microtraumi cumulativi, come ad esempio tutti quei casi in cui il patrimonio
narcisistico naturale e necessario di una persona viene attaccato, disciolto e svuotato per
gradi, senza ferite frontali. Una differenza opportuna per la comprensione di quanto
accade va stabilita tra le situazioni nelle quali si assiste a episodi di violenza occasionale
dovuta a scompenso psichico e a destrutturazione momentanea dell’organizzazione
mentale dell’uomo (ad esempio, in seguito ad accessi d’ira di varia origine) e quelle
basate invece su assunti “culturali” e presupposti narcisistici “sacri” che l’uomo ritiene
siano fuori discussione e dai quali si sente legittimato a una condotta aggressiva.
Rientrano in questo ambito tutte le forme di violenza fondate su presupposti ideologici
e/o religiosi che escludono il dubbio e la comprensione delle ragioni altrui dalla mente del
maschio.
Per un analista non è diMcile riconoscere, in molti casi, la radice profonda di molte
violenze maschili nella vendetta per la dipendenza infantile dalla madre, per l’esclusione
edipica, per le ferite narcisistiche. Personalmente credo di poter differenziare, ad
esempio, due diverse tipologie di “delitto edipico”. Secondo me, i delitti passionali in cui
l’uomo uccide il rivale hanno prevalentemente a che fare con un livello fortemente edipico
di odio contro l’equivalente paterno, in una dimensione triadica; mentre quei casi in cui
l’uccisore sopprime la moglie o Sdanzata mostrano un livello ancora più regressivo, nel
quale il soggetto vive ancora in una dimensione fortemente diadica di cui non può
tollerare la smentita e l’interruzione: qui il terzo quasi non c’è, se non come occasionale
evidenziatore della inaMdabilità dell’oggetto di base (la madre diadica), vero ed unico
oggetto di tutti i movimenti emotivi nel campo. La regressione massiccia, la smentita
della dipendenza e il bisogno di controllare l’oggetto creano spesso forme di violenza di
cui il soggetto non coglie l’aspetto infantile estremo: l’espressione della supremazia Ssica
anzi serve a rassicurarlo circa la propria superiorità rispetto all’oggetto dal quale è invece
così dipendente.
In linea di massima, oltre alla confusione tra la sessualità e l’aggressività distruttiva, va
segnalata anche una confusione non meno importante tra il codice fallico e il codice
genitale. La fallicità illude il soggetto circa la propria perfetta e indefettibile integrità
narcisistica, priva tanto di affetti quanto di periodo refrattario: il pene/baionetta è sempre
teso e pronto al combattimento. La genitalità invece, basata su una integrazione di affetti
e pulsioni, su considerazione per lo stato e la sorte dell’oggetto e sulla accettazione della
propria non-onnipotenza, richiede la disillusione rispetto agli ideali narcisistici più rozzi e
primitivi e il raggiungimento di una dimensione relazionale con-vivibile. Lo scambio e la
condivisione del piacere sono desiderati, permessi e non temuti, in un regime che
potremmo concepire come “intersoggettivamente democratico”. Un capitolo a parte
meriterebbero: la trasmissione transgenerazionale dei traumi e della violenza;
l’identiScazione con l’aggressore (far soffrire per non soffrire); il vincolo
sadomasochistico, come via di appagamento di pulsioni inaccettabili e come garanzia di
non separatezza e di non abbandono; il riconoscimento consapevole della violenza, come
primo vero passo verso la libertà; e inSne la strategia del “pugno di ferro in guanto di
velluto”, cioè la dissimulazione – apparentemente eautata e gentile – del “consiglio”
maSoso.
Anche nella relazione tra uomo e donna la violenza può essere allusa, minacciata o
annunciata in modo collaterale, insinuante e con toni mellieui. Tutte queste varianti fanno
da corollario inquietante allo scoppio della violenza franca, e ne complicano i codici e il
linguaggio non verbale, in una dimensione vecchia come il mondo che la civiltà non è
riuscita Sno ad oggi ad eliminare, e molto spesso nemmeno a limitare.
STEFANO BOLOGNINI
Fondatore dell' International Psychoanalytical Association e dell'Inter-Regional Encyclopedic Dictionary of Psychoanalysis.
Opere
"Come vento, Come onda: dalla finestra di uno psicoanalista , i nostri (bi) sogni di gloria" Bollati Boringhieri, 1999
"Il sogno cento anni dopo", cura del volume collettivo, Bollati Boringhieri, 2000.
"L'empatia psicoanalitica", Bollati Boringhieri, 2002.
"Psicoanalisi e pluralismo delle lingue", selezione dallo 'International Journal of Psychoanalysis', 2004.
"Passaggi segreti. Teoria e tecnica della relazione interpsichica", Bollati Boringhieri, 2008.
"Lo Zen e l'arte di non sapere cosa dire", Bollati Boringhieri, 2010.
"Flussi vitali tra Sé e Non-Sé - L'interpsichico", Raffaello Cortina Editore, 2019.
"Freud e il mondo che cambia. Psicoanalisi del presente e dei suoi guai", con L. Nicoli, Enrico Damiani Editore, 2022
Sitografia
https://www.spiweb.it/dossier/femminicidio-nella-psicoanalisi/uno-sguardo-psicoanalitico-alla-violenza-contro-le-donne/