SOSTEGNO ALLA COPPIA E            ALLA GENITORIALITÀ

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Sostegno alla coppia e alla genitorialità




È possibile attivare percorsi diversi in riferimento ad eventi normativi o paranormativi.


Eventi di vita Normativi


È indirizzato a coppie che non mettono in discussione il loro legame ma hanno bisogno di un aiuto psicologico che miri ad affrontare alcuni situazioni come:


- la preparazione all’impegno alla convivenza e/o al matrimonio


- il cambio di una situazione lavorativa


- in preparazione alla Funzione Genitoriale


Eventi di vita Paranormativi  


È indirizzato a coppie che non mettono in discussione il loro legame, ma hanno bisogno di un aiuto psicologico che miri ad affrontare alcuni situazioni come:


- un lutto, una malattia, la disabilità di un figlio ecc.
    


SEPARAZIONE E DIVORZIO. LA RICERCA DI UN NUOVO EQUILIBRIO

LEGGI L'ARTICOLO 

La separazione e il divorzio non sono eventi che si realizzano in tempi brevi, comportano un vero e proprio percorso, una successione di fasi, che permette alle persone implicate di elaborare interiormente quanto sta accadendo o quanto accaduto, di ristrutturare le proprie relazioni e di raggiungere una nuova organizzazione familiare.

Diversi autori si sono interessati al processo psicologico del divorzio e ne hanno descritto la sua articolazione.

Ad esempio all'interno del modello di Kaslow possiamo individuare la relazione che esiste tra le emozioni provate e i comportamenti utilizzati dal partner nelle differenti fasi del processo separativo.

L'autrice prevede tre passaggi per il superamento della separazione coniugale:

la fase dell'alienazione, precedenti alla separazione, la fase conflittuale durante la separazione e la fase riequilibratrice successiva alla separazione.

Secondo quest'autrice la maggior parte delle persone impiega circa due anni per portare a compimento questo percorso.

La fase dell'alienazione coincide con la decisione dei coniugi di separarsi una volta constatata la loro incompatibilità.                                                                             

Questo momento è molto difficile sia per chi prende la decisione sia per chi la subisce.

Generalmente per arrivare a compiere questa scelta occorre che si sviluppi tra i coniugi un senso di estraneità da ciò che precedentemente veniva percepito come appartenente all'esperienza del proprio sé.

Il distacco emotivo e la delusione non sono percepite in riferimento a tutte le componenti della relazione: ad esempio ci si distacca dal partner a livello sessuale e non magari a livello affettivo e sociale.

Questo procura una grossa destabilizzazione poiché comporta la rinuncia a qualcuno che rappresenta ancora per sé una fonte di sicurezza.

Questo è uno dei motivi per cui vi sono fasi dell'alienazione che possono durare anche molti anni.

Dal punto di vista psicologico la difficoltà per chi subisce la decisione della separazione è molto simile al lutto causato dalla morte di una persona cara.

La seconda fase chiamata conflittuale o legale nasce dall'esigenza di riorganizzare in modo concreto la propria vita. In questa fase la controversia viene spostata sul piano del diritto per risolvere questioni pratiche come ad esempio chi dovrà abitare nella casa coniugale, la frequentazione dei figli, il mantenimento eccetera.

Durante queste trattative ci si può trovare davanti ad atteggiamenti che si collocano tra due estremi: quello di negare la separazione, limitando al minimo i cambiamenti, e quello di sciogliere ogni vincolo perché ciascuno possa ottenere il massimo beneficio nella contrattazione.

A livello emotivo psicologico questa fase è accompagnata da sentimenti che non favoriscono i partner nelle scelte che devono prendere a proposito della riorganizzazione della propria vita; in questo momento prevale il senso di perdita e la certezza che molti punti di riferimento verranno a mancare dopo la separazione.

Così alla depressione può seguire l'aggressività, alla disperazione la rabbia e la confusione.

L'ultima fase quella riequilibratrice si realizza attraverso la riorganizzazione sia individuale che delle relazioni familiari.                                                                   

Quanto più positivamente sono state superate le precedenti due fasi tanto più i membri della famiglia saranno in grado di sperimentarsi con fiducia in nuove possibilità.

In questa fase la prospettiva temporale è rivolta verso il futuro e non più al passato.

L'esito migliore di questa fase corrisponde al divorzio psichico ed è quando ciascun partner riacquista la capacità di progettazione di sé, di guardare al futuro attraverso adeguate scelte affettive e relazionali.

Un altro modello molto importante è quello proposto da Emery (1994) il quale sottolinea la dimensione della perdita legata al divorzio.

Vi è anche qui una comparazione del divorzio a una situazione di lutto. Questo psicologo americano ha sviluppato un modello ciclico del lutto che passa attraverso le seguenti emozioni: amore, collera e tristezza.

Nella situazione specifica della separazione per amore si intende quel senso di nostalgia che può assalire l'individuo per essersi diviso da una persona cara e per l'inconscia speranza di tornarci insieme.

La collera invece è collegabile alla frustrazione e al risentimento, ma anche a stati emotivi ben più forti, come l'ira e una rabbia furibonda per la separazione.

Infine la tristezza rappresenta una costellazione di sentimenti come il senso di solitudine, la depressione e la disperazione. Affinché il lutto possa avere il suo corso occorre che i coniugi abbiano la possibilità di sperimentare per un tempo adeguato tutte e tre le emozioni appena descritte; di fatto però ciò non accade sempre.

Può succedere che alcune persone rimangano "fissate" su una sola di queste emozioni. Alcune possono rimanere fissate sull’amore continuando a negare la realtà e continuando indefinitamente a sperare in una riconciliazione; altre invece rimangono fissate sulla collera e cercano di ottenere vendetta o rivendicano ad oltranza i propri diritti.                                                                                                

Altre rimangono invece fissate sulla tristezza e si attribuiscono la colpa di tutti i fallimenti della famiglia diventando depressi.

È opportuno in questi casi che le persone si sblocchino completando il ciclo del lutto con le emozioni mancanti. Perché l'esperienza del lutto sia completa occorre che "si sentano tristi perché hanno perduto il loro matrimonio, si sentano in collera per tutto quello che è successo e tuttavia conservino ancora qualche tenero ricordo del passato e qualche rimpianto per quel che avrebbe potuto essere e non è stato" (Emery, 1994, pp. 54-5).

Un ultimo modello interessante è quello di Bohannan (1970, 1973).

Questo autore vede il divorzio come un processo multidimensionale che attraversa sei dimensioni.

Una di queste è il divorzio genitoriale: riguarda l'assunzione di responsabilità nei confronti dei figli. Il divorzio mette fino al matrimonio ma non alla genitura.              

La legge permette di dividersi dal coniuge ma non dai propri figli. In questo senso il divorzio coinvolge l'intera famiglia in una necessaria rinegoziazione delle relazioni.

Un punto nodale, per una buona soluzione, è che i genitori comunichino congiuntamente ai figli la loro decisione di separarsi assumendosene la piena responsabilità in modo che in nessuno dei figli possano ingenerarsi sensi di colpa.


Bibliografia

Gambini P. (2016). Psicologia della famiglia. La prospettiva sistemico-relazionale. FrancoAngeli

 


“La capacità di mentalizzare rappresenta un fattore protettivo che riduce l’impatto delle esperienze precoci difficili e la probabilità della trasmissione transgenerazionale dell’insicurezza dell’attaccamento”.

Maria Paola Nazzaro 

Psicoterapeuta ad orientamento junghiano

Ma cos’è la mentalizzazione? Clicca e leggi l'articolo 



 Il concetto di "mentalizzazione" è stato introdotto nel lessico anglosassone da Peter Fonagy, il quale la definisce come una forma di attività mentale "immaginativa". Questo perché non possiamo conoscere direttamente i pensieri o i sentimenti degli altri, ma dobbiamo immaginarli. Fonagy spiega che attraverso la mentalizzazione il soggetto interpreta il comportamento umano in termini di stati mentali intenzionali, come bisogni, desideri, sentimenti, credenze, obiettivi, propositi e motivazioni.

La capacità di comprendere se stessi come agenti mentali nasce dalle esperienze interpersonali, specialmente nel contesto delle prime relazioni oggettuali. 

Fonagy e Target (2003) sostengono che l'esperienza del sé, o l'esperienza di avere una mente, si sviluppa dall'infanzia attraverso l'interazione con figure più mature, assumendo che queste interazioni siano benignamente intenzionate e sufficientemente sintonizzate.

Questi autori hanno utilizzato il concetto di mentalizzazione come base per integrare la psicoanalisi e la teoria dell'attaccamento, utilizzando modelli esplicativi dalla psicopatologia dello sviluppo.

Il concetto di mentalizzazione era già implicito in alcuni modelli psicoanalitici precedenti. 

Freud, anche se non utilizzava il termine "mentalizzazione", interpretava i processi mentali come il risultato dell'interazione tra le energie psichiche e le rappresentazioni mentali. 

Melanie Klein (1945) nel descrivere la posizione depressiva, sottolinea come essa implichi il riconoscimento della sofferenza provocati all'altro e della tristezza e del senso di colpa in se stessi, il che significherebbe consapevolezza degli stati mentali degli altri e di sè.

Bion (1962) concepisce la funzione di contenimento del pensiero, per cui emozioni e sensazioni non pensate chiamate, elementi beta, si trasformano attraverso la funzione alfa, in esperienze pensabili.

Altri autori come Winnicott ha enfatizzato l'importanza del rispecchiamento del caregiver nello sviluppo del sé vero.

In modo indipendente, alcuni psicoanalisti francesi come Luquet 1981, Marty 1968 e Green 1975, interessati al trattamento di pazienti psicosomatici con scarsa simbolizzazione degli stati mentali, modalità di pensiero improntata alle sensazioni e al processo primario esempio pazienti Alessi timici, hanno utilizzato il termine "mentalizzazione".

Dunque la mentalizzazione è sia una componente intrapsichica che interpersonale. 

Idealmente, queste capacità dovrebbero consentire all'individuo di distinguere tra realtà interna ed esterna, tra modalità di funzionamento psichico e di finzione, e tra processi emotivi e mentali interni e comunicazioni interpersonali. È  sostenuta da diverse abilità cognitive specifiche, tra cui la comprensione degli stati emotivi, il controllo dell'attenzione e la capacità di esprimere giudizi sugli stati soggettivi, nonché dal pensare esplicitamente agli stati mentali.

Alcune definizioni pratiche del concetto di mentalizzazione includono "tenere a mente la mente", "considerare gli stati mentali propri e degli altri" e ancora “comprendere i fraintendimenti” e  “vedere se stessi dall'esterno e gli altri dall'interno”.

In sintesi, la mentalizzazione rappresenta una componente essenziale dello sviluppo psicologico, che si evolve dalle prime esperienze interpersonali e influenza il modo in cui comprendiamo noi stessi e gli altri.


Bibliografia 

ALLEN, J.G., FONAGY, P., BATEMAN, A. W. (2008), La mentalizzazione nella pratica clinica. Tr. it. Raffaello Cortina, Milano 2010.

BATEMAN, A. W., FONAGY, P. (2004), Il trattamento basato sulla mentalizzazione. Tr. it. Ratfaello Cortina, Milano 2006.