Le terne pitagoriche sono infinite:
Euclide, Proclo e Diofanto
a cura di Margherita D.P., Giovanni D.R., Filippo L., Matteo L.,
Aurora M., Denisa P. (3A), Filippo D.B., Chiara P. (3B)
Euclide, Proclo e Diofanto
a cura di Margherita D.P., Giovanni D.R., Filippo L., Matteo L.,
Aurora M., Denisa P. (3A), Filippo D.B., Chiara P. (3B)
I tenditori di corde egizi
Fonte: https://digilander.libero.it/scuoladibiasio/pitagora.htm
Fin dall’origine dei tempi la matematica ha fatto parte della vita dell’uomo e con il tempo si è evoluta sempre più, venendo a nuove “conquiste” che hanno man mano accompagnato l’uomo nella sua evoluzione. Abbiamo già accennato agli antichi Egizi, più precisamente ai geometri egizi, che per risolvere un problema pratico (come piantare dei pali dritti sul terreno?) fecero uso delle loro conoscenze matematiche sui triangoli numerici, in seguito denominati terne pitagoriche.
E’ proprio presso gli antichi Egizi che sentiamo parlare per la prima volta di triangoli numerici. Oggi noi sappiamo che i numeri 3, 4 e 5 hanno la magica proprietà di soddisfare il teorema di Pitagora ovvero 3² + 4² = 5², perchè 9 + 16 = 25, e inoltre sappiamo che l’angolo fra i lati lunghi 3 e 4 è un angolo retto. Le terne di numeri interi, con la stessa proprietà della terna 3, 4 e 5, prendono il nome di terne pitagoriche.
Ma quante sono le terne pitagoriche? Come si possono generare? Quando sono apparse la prima volta nella storia e perché?
Cercheremo di rispondere a tutte queste domande raccontando la storia di chi dedicò parte della sua intera vita a capirne di più, cercando i documenti e le fonti, formulando congetture. Ci addentreremo nel mondo dei triangoli numerici, delle formule che li generano, delle loro dimostrazioni, incontreremo grandi personaggi come Pitagora, Euclide, Diofanto, Pisano, parleremo delle proprietà dei numeri, alcune già note e altre tutte da scoprire, senza timore, immergendoci con tranquillità nel cuore della storia della matematica.
Alla prima domanda risponderemo che le terne pitagoriche sono infinite e analizzeremo alcune delle formule in grado di generarle tutte, come quella attribuita ad Euclide nel 300 a.C. e giù ancora fino a Leonardo Pisano e Felix Klein.
Intanto, cliccando nel pulsante qui in basso, troverete la dimostrazione moderna delle formule che generano le terne pitagoriche.
La tavoletta Plimpton 322
Molte delle tavolette in argilla babilonesi trovate nel XIX secolo hanno argomento matematico. Tra queste troviamo la tavoletta Plimpton 322 che prende il nome dalla raccolta dell’editore newyorkese George A. Plimpton alla Columbia University.
La tavoletta risale al 1800 a.C. circa e al suo interno si trovano numeri in scrittura cuneiforme in seno a una tabella di 15 righe per 4 colonne. Plimpton 322, parzialmente scheggiata, è larga 13 cm, alta 9 cm e spessa 2 cm circa.
Tavoletta Plimpton 322
Fonte: photo author unknown, Public domain, via Wikimedia Commons
George A. Plimpton acquistò la tavoletta dall’antiquario Edgar J. Banks nel 1922 e negli anni ‘30 lasciò in eredità tutta la sua collezione alla Columbia University.
Secondo l’antiquario, la tavoletta proveniva da Senkereh, una località nel sud dell’Iraq conforme all’antica città di Larsa. La tavoletta è scritta con il sistema numerico babilonese che corrisponde approssimativamente a quello sessagesimale da noi conosciuto poiché è quello utilizzato per calcolare il tempo. La differenza tra il nostro sistema, il sistema decimale, e quello dei babilonesi è che il nostro sistema lavora su base 10 mentre il loro su base 60.
Le opinioni degli studiosi differiscono su come i numeri contenuti nella tavoletta siano stati generati e sul perché i babilonesi fossero interessati a tabelle di questo tipo.
Molte sono le teorie a riguardo, la più accreditata e più antica (risalente infatti agli anni ‘40 del 1900) è di Neugebauer ed è proprio quella riguardante le terne pitagoriche; infatti, la tavoletta contiene i dati di 15 triangoli numerici il cui angolo acuto minore decresce gradualmente da 45° circa a 30° circa, dalla prima alla quindicesima riga; nella seconda e terza colonna sono riportati i valori del cateto dispari e dell’ipotenusa, mentre non è chiaro cosa sia rappresentato nella quarta colonna.
Un’altra teoria, sviluppata da David Joyce intorno al 1990, è quella in cui si suppone che nella tavoletta si parli di trigonometria, intuendo nei numeri seni e coseni degli angoli. Nel corso del 2017 si è scoperto che il contenuto della tavoletta Plimpton 322 è un trattato di trigonometria, come aveva già intuito nel ‘90 David Joyce.
Anche teorizzando sul contenuto e il significato della tavoletta rimane un altro mistero, il suo scopo. Anche qui varie sono le teorie ma la più accreditata è quella secondo la quale la tavoletta sarebbe servita per calcoli utili alla costruzione e progettazione di edifici, luoghi di culto e anche utili all’agricoltura.
Il triangolo numerico
Uno dei fondamentali della filosofia pitagorica, cioè il collegamento tra numero e cosmo, massima espressione di ordine e bellezza, secondo Plutarco, filosofo del I secolo a. C., sarebbe di origine egizia; una prova fu il triangolo numerico (3, 4, 5), presente nel Papiro di Kahun (II millennio).
Infatti nel De Iside et Osiride, uno dei suoi Moralia, Plutarco diceva questo:
È poi probabile che gli egizi per primi abbiano paragonato la natura dell'universo con il più bello tra i triangoli....
Per Plutarco gli egizi, oltre a conoscere bene la relazione pitagorica tra i tre lati di un triangolo rettangolo, consideravano il numero 3 come il numero primo e perfetto, che attribuivano a Osiride dio-padre, il numero 4, come quadrato di due, che attribuivano a Iside dea-madre, ed il numero 5 come unione tra il 2 e il 3, attribuito al dio-figlio Horus nel quale i principi si univano tra di loro creando l’universo. Queste furono forse versioni egizie di concetti pitagorici e molto probabile è che il principio di bellezza associato al triangolo (3, 4, 5) fosse già presente in Grecia nel IV secolo a.C..
Fonte: Foto di Lady Escabia da Pexels
A prescindere dalla mistica del numero, il triangolo (3, 4, 5) possiede delle caratteristiche uniche che lo rendono il “generatore”. Il triangolo egizio ha infatti i cateti, l’ipotenusa e l’area come quattro numeri successivi, che godono della proprietà che il quadrato del terzo numero è uguale alla somma dei quadrati dei primi due numeri e il cubo del quarto numero è uguale alla somma dei cubi dei primi tre. Inoltre, al triangolo generatore (3, 4, 5) di area 6 sono legati tutti i triangoli numerici, perchè tutti hanno un cateto multiplo di 3, un cateto multiplo di 4, un lato multiplo di 5 e l'area multipla di 6.
Queste sono però proprietà dimostrate solo molto tempo dopo Plutarco.
Proclo
Durante il V secolo a.C. il sapiente e famoso filosofo neoplatonico Proclo di Costantinopoli concludeva il suo Commento al primo libro degli Elementi di Euclide, il suo capolavoro, la più ricca fonte di informazioni storiche sulla matematica dei Greci. Egli aveva studiato matematica con Erone il Giovane ad Alessandria entrando così in contatto con l’immensa cultura egizia da cui imparò molto; in Grecia poi è stato a direzione della Scuola di Atene. Nel suo capolavoro egli commenta la Proposizione 47, ovvero il teorema di Pitagora, spiegando come i greci siano arrivati ad identificare le espressioni dei triangoli numerici e riportando come prima cosa che i pitagorici identificarono le terne di lati a partire dai numeri dispari, mentre i platonici a partire dai numeri pari.
Il procedimento applicato dai pitagorici, sotto forma di formula, dice che se d = 2n +1 (il numero dispari prefissato) allora:
Una caratteristica di questi triangoli è che il cateto dispari risulta sempre minore di quello pari e che l'ipotenusa supera di 1 il cateto pari.
I riferimenti storici di Proclo si riducono a due tipi di triangoli particolari: quello di Pitagora e di Platone (di cui si parlerà successivamente). Dagli Elementi di Euclide però risulta chiaro che i greci generalizzarono queste soluzioni; infatti la Proposizione 8, Libro II è traducibile con la formula:
conosciuta già dai babilonesi, che è espressione generale delle terne quando mn sia un quadrato.
Al Lemma 1 della Proposizione 29, Libro X, Euclide approfondisce l'argomento prefiggendosi di trovare due quadrati la cui somma sia un quadrato, giungendo alla precedente espressione, per mn = quadrato e alla formula:
in cui m = b² e n = a². La prima espressione è generale, include cioè tutte le terne; la seconda, invece no, avendo imposto dei vincoli ai parametri. Ne sono escluse terne (sempre composte) quali la (45, 60, 75) per le quali l'ipotenusa non è decomponibile in somma di due quadrati, pur essendolo il suo quadrato.
Per la dimostrazione del Lemma 1 della Proposizione 29, Libro X cliccare sul pulsante qui sotto:
Plutarco nelle Platonicae disquisitiones ci riporta di una proprietà trovata dai pitagorici stessi sui numeri triangolari:
Ogni numero triangolare, quando si aggiunga al suo ottuplo l'unità, dà un quadrato.
Da una rappresentazione grafica pitagorica dei numeri triangolari, si ha che 8Tn + 1 = (2n+1)², dove Tn è il numero triangolare di lato n. Ad esempio:
Da questa proposizione si può avere un'altra interpretazione dell'espressione delle terne "dei pitagorici"; essa si può utilizzare anche per ricavare alcune proprietà elementari dei numeri quadrati dispari.
L'espressione (2n+1)² = 8Tn + 1 può essere disposta a gnomone tra il quadrato di lato 4Tn e il quadrato di lato 4Tn + 1, e può esser così letta:
il numero che precede un quadrato dispari è sempre multiplo di 8 e dalla sua divisione per 8 risulta un numero che è somma di successivi numeri naturali a partire da 1.
Cosí:
Se poi il quadrato dispari non è multiplo di 3, esso sarà del tipo 3n + 1 e quindi il numero che lo precede sarà anche multiplo di 3.
In conclusione tutti i quadrati dei numeri dispari non multipli di 3, e in particolare i quadrati dei numeri primi, sono del tipo 24n + 1.
Fonte: Picutti E., Storia del triangolo numerico, articolo tratto dalla rivista “Le Scienze”, numero 185, gennaio 1984, anno XVII, volume XXXII.
Pitagora ed Euclide, con la personificazione dell'Aritmetica e della Geometria
Fonte: Picutti E., Storia del triangolo numerico, articolo tratto dalla rivista “Le Scienze”, numero 185, gennaio 1984, anno XVII, volume XXXII.
Proclo ed il suo rapporto con Platone
Fonte: Picutti E., Storia del triangolo numerico, articolo tratto dalla rivista “Le Scienze”, numero 185, gennaio 1984, anno XVII, volume XXXII.
Nel commento alla Proposizione 47, Proclo spiega come i matematici greci siano arrivati a trovare le espressioni che definiscono i cosiddetti triangoli numerici. Si riesce così a fare una prima grande distinzione tra Pitagorici e Platonici in fatto aritmetica e geometria; infatti i primi avevano identificato le terne di lati dei triangoli a partire dai numeri dispari, che non a caso erano considerati fonte di perfezione e di armonia dalla comunità pitagorica. Dobbiamo aspettare il IV secolo a.C., quando i platonici identificarono le terne basandosi invece sui numeri pari.
Procedimento attuato dai Platonici
Da questa relazione si deduce chiaramente che per n dispari si originano terne di lati pari multiple di quelle dei pitagorici, mentre per n pari si originano triangoli primitivi nei quali l'ipotenusa supera di 2 il cateto dispari e questo è sempre maggiore di quello pari, eccetto nel caso n = 2.
Quanto alla geometria riportiamo un breve cenno ai cinque poliedri regolari, noti anche come solidi platonici.
I solidi platonici sono strutture geometriche solide. Sono in tutto 5: tetraedro, ottaedro, icosaedro, esaedro e dodecaedro.
L’aggettivo platonico deriva dal fatto che queste figure appaiono per la prima volta nel celebre dialogo platonico del Timeo dove il filosofo descrive i cinque poliedri regolari e le loro proprietà, in base ai quali spiega l’origine dell’universo. Egli concepiva il corpo come un solido la cui superficie si può scomporre in triangoli, sia isosceli che scaleni.
Essendo il fuoco, la terra, ecc., dei corpi, essi sono fatti di triangoli.
Il fuoco è un tetraedro regolare, quello tra i 5 solidi regolari con il minor numero di basi e, di conseguenza, il più volatile. L’aria è fatta di ottaedri regolari, l’acqua è formata da icosaedri, e la terra, ha come solido costitutivo il cubo, il solo, fra tutti gli altri, ad essere scomposto in triangoli isosceli e la cui stabilità si oppone alla mobilità del tetraedro.
Al dodecaedro Platone aveva assegnato il ruolo privilegiato di rappresentare l’intero cosmo, forse perché è il poliedro regolare che più di ogni altro si avvicina alla sfera circoscritta e la forma sferica rappresentava la perfezione del mondo, in Platone.
Queste forme geometriche sono considerate perfette dal momento che presentano lo stesso aspetto da qualsiasi angolazione, le loro facce sono tutte costituite dalla stessa forma regolare. I loro vertici sono le distribuzioni simmetriche dei loro punti su una sfera.
Fonte: https://nientedadire.it/2020/10/15/solidi-platonici/
Diofanto e il problema 8, Libro II
Nel periodo dal 250 al 350 d.C. , noto anche come Tarda Età alessandrina, troviamo il più grande algebrista greco, Diofanto di Alessandria. Diofanto fu un matematico di origine greca vissuto ad Alessandria. Verrà considerato padre dell’algebra ma tale appellativo non potrà esser preso alla lettera poiché lui non si occuperà dei contenuti dell’algebra moderna ma fu l'iniziatore del calcolo algebrico, da lui portato avanti fino alla risoluzione numerica delle equazioni di 2º grado.
Diofanto
Fonte: Unknown authorUnknown author, Public domain, via Wikimedia Commons
Arithmetica di Diofanto, Biblioteca Apostolica Vaticana
Fonte: Diophantus, Public domain, via Wikimedia Commons
L'opera principale di Diofanto a noi nota è l'Arithmetica, un trattato originariamente di tredici libri, di cui sono pervenuti solo i primi sei (nell'antica Grecia il termine aritmetica indicava la teoria dei numeri). La sua opera è interamente dedicata alla risoluzione di problemi sui numeri interi, espressi da equazioni algebriche in più incognite, ancora oggi note come equazioni diofantee di cui si cercano soluzioni intere. Diofanto stabilì metodi generali per le equazioni di primo grado, prive di rappresentazioni geometriche e dunque basati su criteri riconducibili ai principi di equivalenza. Questa lunga analisi venne definita da Diofanto analisi indeterminata e si pensa possa essere stata ripresa dagli arabi e posta anche come base della scuola algebrica italiana del 1500.
In Diofanto sono presenti i primi esempi di simbolismo algebrico che ancora oggi si utilizzano come i simboli per le incognite, le potenze, l’uguaglianza, la sottrazione ecc… Nel volumetto Sui numeri poligonali invece Diofanto studierà particolari successioni di numeri che potrà individuare con opportune trasformazioni, ovvero punti raffigurati come poligoni.
Problema 8 Libro II
Dividere un dato numero quadrato in due quadrati.
E' dato il numero quadrato 16 e sia x² uno dei quadrati richiesti, dunque 16-x² deve essere un quadrato.
Si prende in considerazione un quadrato della forma (mx - 4)² con m numero intero qualsiasi e 4 che è la radice quadrata di 16.
ESEMPIO: prendiamo (2x - 4)² e lo eguagliamo a 16 - x², dunque otteniamo 4x² - 16x + 16 = 16 - x² e le soluzioni sono:
1) 5x² = 16x
2) x = 16/5
I quadrati richiesti sono dunque 256/25 e 144/25.
Osserviamo che Diofanto non usa più la geometria ma fa un discorso assolutamente algebrico. Il ragionamento si può generalizzare nel modo seguente:
Una curiosità sul matematico Diofanto ci viene fornita dall’indovinello posto nella propria lapide, il quale come soluzione indicava l’età della propria morte ma forniva anche piccoli dettagli della propria vita. L’epitaffio di Diofanto è un quesito scritto sulla sua tomba sotto forma di un’equazione algebrica. L’obiettivo è quello di scoprire per quando anni lui visse.
L’epitaffio dice:
Passante, c’è in questa tomba Diofanto. Oh, gran prodigio, la scienza ti darà la misura della sua vita. Ascolta. Volle un dio che la sua infanzia fosse per la sesta parte della sua vita e aggiunse un dodicesimo per il pelo sulle guance. Poi, dopo una settima parte, venne per lui il giorno delle nozze, e cinque anni dopo il matrimonio gli nacque un figlio. Povero figlio diletto! Conobbe il gelo della morte dopo soltanto la metà degli anni del padre. Per consolarsi, questi, quattro anni passò nello studio dei numeri, poi morì.
Prima di tutto bisogna tradurre ciò che viene detto a parole in numeri, creare quindi un’equazione di primo grado e infine risolverla. Con x indichiamo il numero di anni.
sesta parte della sua vita: (1/6)x
un dodicesimo della sua vita: (1/12)x
settima parte della sua vita: (1/7)x
cinque anni: 5
la metà degli anni del padre (di Diofanto): (1/2)x
quattro anni: 4
Sommiamo tutti questi valori che compongono l’età di Diofanto, quindi uguagliamo la somma a x (totale degli anni).
La soluzione è 84, dunque Diofanto morì a 84 anni.