Egloghe
Le Egloghe sono due componimenti di carattere bucolico scritti in lingua latina tra il 1319 e il 1321 a Ravenna, facenti parte di una corrispondenza con Giovanni Del Virgilio, intellettuale bolognese i cui due componimenti finiscono sotto il titolo di Egloga I e Egloga III, mentre quelli danteschi sono l'Egloga II e Egloga IV. La corrispondenza/tenzone fra i due nacque quando l'intellettuale rimproverò Dante di voler conquistare la corona poetica scrivendo in volgare e non in latino, critica che suscitò la reazione di Dante e la composizione delle Egloghe, visto che Giovanni del Virgilio aveva inviato a Dante tale componimento latino e che, secondo la dottrina medievale della responsio, l'interlocutore doveva rispondere con il genere usato per primo.
De Monarchia
L'opera venne composta in occasione della discesa in Italia dell'imperatore Enrico VII di Lussemburgo tra il 1310 e il 1313. Si compone di tre libri ed è la summa del pensiero politico dantesco. Nel primo Dante afferma la necessità di un impero universale e autonomo che riconosce come unica forma di governo capace di garantire unità e pace. Nel secondo riconosce la legittimità del diritto dell'impero da parte dei Romani. Nel terzo libro Dante dimostra che l'autorità del monarca è una volontà divina, e quindi dipende da Dio: non è soggetta all'autorità del pontefice; al contempo, però, l'imperatore deve mostrare rispetto nei confronti del pontefice, vicario di Dio in Terra. La Monarchia è l'unica opera in prosa e di argomento teorico ad essere stata completata da Dante. La scrive in latino, perché intende rivolgersi a un pubblico di dotti non necessariamente italiano e in quanto il tema affrontato è la necessità di una monarchia universale, che unifichi sotto il suo dominio tutta l'Europa.
De Vulgari Eloquentia
È un trattato in prosa latina di argomento linguistico-retorico, dedicato alla definizione della lingua volgare da usare nelle opere letterarie: la datazione dell'opera è incerta, ma è probabile che Dante l'abbia scritta nei primi tempi dell'esilio parallelamente alla composizione del Convivio. Il trattato è incompiuto: il poeta lascia addirittura una frase a metà. Il titolo significa letteralmente «Sull'eloquenza volgare» e la scelta del latino si spiega con il proposito da parte dell'autore di rivolgersi a un pubblico di specialisti, non necessariamente italiano. Nel De vulgari Dante compie una riflessione teorica che ha come fine la costruzione di un volgare ideale, passando in rassegna le principali lingue parlate in Italia agli inizi del Trecento.
Le Rime
Sono una raccolta di componimenti poetici composti da Dante in un ampio arco di tempo, dalla giovinezza sino ai primi anni dell'esilio, non inclusi da lui nella Vita Nuova o nel Convivio. Si tratta di 54 componimenti di sicura attribuzione dantesca , cui vanno aggiunti 26 testi di dubbia attribuzione e altri 26 testi di «corrispondenti» poetici, tra cui Guido Cavalcanti. Vari sono i modelli cui si rifà l'autore, dai siculo-toscani delle rime giovanili, agli stilnovisti. Notevole è la varietà dei temi, ed è centrale il tema amoroso, non solo nelle rime riconducibili allo Stilnovo ma anche nei testi che si ispirano ad altre scuole poetiche. In base alla cronologia e ai temi trattati le poesie vengono solitamente suddivise in cinque gruppi: rime giovanili e stilnovistiche, tenzone con Forese Donati, rime «petrose», canzoni dottrinali e allegoriche, rime dell'esilio.
Convivio
Il Convivio (scritto tra il 1303 e il 1308), dal latino convivium, ovvero "banchetto" (di sapienza), è la prima delle opere di Dante scritta subito dopo il forzato allontanamento di Firenze. L'opera consiste in una vera e propria enciclopedia dei saperi più importanti per coloro che vogliano dedicarsi all'attività pubblica e civile senza aver compiuto gli studi regolari. Il progetto originale dell'opera prevedeva quindici trattati in prosa volgare, uno introduttivo e altri quattordici di commento ad altrettante canzoni dottrinali composte dall'autore negli anni precedenti. Dante non portò a termine l'opera e la lasciò incompiuta dopo il IV trattato, probabilmente per dedicarsi alla composizione della Commedia. Dante ritiene beati i pochi che possono partecipare alla mensa della scienza, dove si mangia il "pane degli angeli", e miseri coloro che si accontentano di mangiare il cibo delle pecore. Dante dice di non appartenere alla "beata mensa" ma si colloca ai piedi della tavola per raccogliere le briciole ed offrirle agli "illetterati" coloro che non hanno avuto la possibilità di studiare. Fondamentale è infatti per Dante il ruolo dell'intellettuale, il cui fine è quello di generare nei cuori nobili l'amore per la sapienza che conduce alla felicità. Varie sono le fonti e i modelli cui Dante si rifà nella composizione di quest'opera: anzitutto i filosofi pagani alla cui lettura si era avidamente dedicato prima dell'esilio, fra i quali spiccava Aristotele.
Vita Nova
La Vita Nova può essere considerata il "romanzo" autobiografico di Dante, in cui si celebra l'amore per Beatrice, presentata con tutte le caratteristiche proprie dello stilnovismo dantesco. Racconto della vita spirituale e della evoluzione poetica del Poeta, la Vita Nova è un prosimetro, una narrazione mista di prosa e versi in cui i capitoli in prosa illustrano i contenuti e i significati dei testi poetici tra cui hanno particolare rilevanza la canzone-manifesto "Donne ch'avete intelletto d'amore" e il celebre sonetto "Tanto gentile e tanto onesta pare". L'opera è consacrata all'amore per Beatrice e fu composta probabilmente tra il 1292 e il 1293. Essa racconta le tappe principali dell'amore tra Dante e Beatrice, in un arco di tempo che va dal primo incontro dei due all'età di nove anni fino al periodo successivo alla morte della donna.
Epistole
Sono tredici lettere scritte in latino e indirizzate a vari interlocutori, reali e ideali, concepite da Dante come vere opere letterarie destinate alla pubblicazione. Assai incerta è la loro datazione, anche se furono sicuramente tutte composte durante l'esilio del poeta. In esse Dante affronta vari argomenti, per lo più politici e relativi alla vicenda del suo esilio, mentre alcune sono redatte per conto dei signori da cui era ospitato; la lingua e lo stile sono particolarmente curati. Tra le lettere, particolarmente interessanti sono quelle di argomento politico, fra cui la V, la VI e soprattutto la VII, indirizzata all'imperatore Arrigo VII durante la sua discesa in Italia (databile quindi intorno al 1310-1313) in cui Dante esorta il sovrano a mettere da parte gli indugi e stroncare le resistenze dei Comuni italiani guelfi che si oppongono alla sua restaurazione, in particolare Firenze che è a capo del movimento di opposizione antimperiale e contro cui lo scrittore si scaglia con furore biblico.
L'Epistola XIII è la più discussa, essendo la lettera con cui Dante invia a Cangrande della Scala un gruppo di canti del Paradiso e con la quale dedica al signore di Verona la III Cantica: nella lettera Dante fornisce al suo illustre protettore alcune spiegazioni circa il contenuto del poema, in particolare si sofferma sulla struttura allegorica dell'opera che può essere interpretata secondo quattro sensi o livelli di significato: letterale, allegorico, morale, anagogico. L'autenticità dell'Epistola è stata più volte messa in dubbio dagli studiosi moderni per via di alcune affermazioni circa l'interpretazione del poema, anche se l'orientamento prevalente oggi è incline a riconoscere la paternità dantesca.
Al magnifico e vittorioso signore, il signore Cangrande della Scala, Vicario generale del sacratissimo Cesareo Principato nella città di Verona e nella città di Vicenza, Dante Alighieri, fiorentino di nascita non di costumi, a lui devotissimo, augura vita felice per lunghi anni e che la gloriosa rinomanza possa accrescersi per l'eternità...
Quaestio de aqua et terra
La Quaestio de aqua et terra (Questione sull'acqua e sulla terra) è un'opera in lingua latina di Dante Alighieri, redazione scritta di un'esposizione orale tenutasi a Verona, nella chiesa di Sant'Elena, il 20 gennaio 1320.
Tramandata dalla editio princeps stampata a Venezia nel 1508 e per questo messa in dubbio quanto all'autenticità, è il testo di una disputa di carattere accademico e scientifico tenuta da Dante a Verona il 20 gennaio 1320: lo scrittore riprende il contenuto di una disputa analoga tenutasi poco tempo prima a Mantova e alla quale egli aveva assistito casualmente, che riguardava il rapporto tra la sfera dell'acqua e quella della terra (si discuteva cioè se in qualche punto del globo l'acqua potesse essere più alta delle terre emerse). Dante argomenta che ciò è impossibile e lo fa soprattutto per sostenere l'impalcatura fisica e astronomica su cui si regge il poema, in cui la struttura dell'Universo è modellata secondo l'astronomia aristotelico-tolemaica.
Il Fiore
Il Fiore è un poemetto o corona di 232 sonetti, anonimo, da alcuni critici attribuito a Dante Alighieri. Si tratta di una riscrittura compendiosa del Roman De La Rose. In assenza di una datazione precisa, la critica ha evinto, da alcuni riferimenti testuali, che Il Fiore risale a un periodo compreso tra 1283 e 1287, in concomitanza col Detto D'Amore. Parte dei critici danteschi, in accordo con quanto dimostrato da Gianfranco Contini, ritiene che l'opera vada attribuita al giovane Dante, il quale probabilmente soggiornò in Francia intorno al 1286-1287.
Detto d'Amore
Il Detto d'Amore è un poemetto di 480 settenari attribuito a Dante Alighieri. Incentrato sull'amore cortese, il poemetto è in parte tratto dal Roman De La Rose, romanzo francese pubblicato nel 1280, di cui riprende parti non considerate dall'autore nella stesura de Il Fiore. In mancanza di riferimenti cronologici, la critica colloca il Detto negli anni 1280, dopo la pubblicazione del Roman de la Rose e in concomitanza con la composizione de Il Fiore, malgrado la metrica del componimento sia semplice e consti di soli settenari a rima baciata.
Al capolavoro del poeta fiorentino è dedicata una pagina a parte del sito.