Africa

Il mio primo incontro con un Presepio africano avvenne oltre vent’anni fa in occasione d’una mostra missionaria.

Pur non essendo bellissimo ed accattivante, poiché era tutto nero e scolpito in modo molto ingenuo, era però molto coinvolgente; per me aveva l’arte e l’amore che la persona vi aveva dedicato con tutto il suo cuore.

I Missionari che avevano indirizzato questi artisti in sculture diverse dalla loro quotidianità, li avevano anche indirizzati verso una possibilità di vita più serena.

Il legno d’ebano così duro da scalfire e i Missionari, per me, rappresentano un unico ricordo, molto più antico, molto più dolce, molto più spirituale.

Giovanni era un cugino di mio padre, molto più giovane di lui; era un bimbetto piccino ed esile quando una malattia stava per portarlo lontano. Non c’erano più speranze per lui, quando un mattino si svegliò con un’immagine di Don Bosco in mano (messagli vicina da qualcuno nella speranza di una protezione ormai insperata) cantando a squarciagola “Don Bosco torna fra noi…..”

La sua incredibile guarigione lo portò ad una vocazione religiosa senza confini. Tant’è che dopo i vari noviziati in Convento fu sempre più convinto di seguire le orme del Santo Daniele Comboni.

Fu così che partì per l’Africa oltre 60 anni fa, quando però dell’Africa non conoscevamo nulla.

Andò nello Zaire, nel Togo, nel Sudan, in Congo e non ricordo dove altro ancora. Scrisse dei primi rudimentali vocabolari delle lingue con cui veniva in contatto e che avrebbero aiutato i suoi confratelli nei viaggi successivi. Fece foto e piccoli filmati che documentarono usi e costumi dei popoli con cui aveva vissuto.

Dopo un certo numero di anni gli era consentito di rientrare per curarsi e per vedere i parenti e magari essere inviato ad altra destinazione.

E così dai suoi viaggi, qualche volta, ci portava piccoli oggetti realizzati dai suoi fedeli. Piccole cose fatte con amore. Certamente lo abbiamo aiutato a realizzare tanti sogni ed ad aiutare tanta gente e, dove è stato, qualcuno ha il nostro, il mio, nome.

Per la sua fede si trovò in mezzo a guerre e carestie, fu anche prigioniero per 75 giorni in Sudan in una prigione, che era anche latrina, dove potevano solo stare in piedi per quanti erano (ne parlarono tutti i giornali). Fu lì che il suo fisico si debilitò talmente tanto che morì sessantenne per le molte malattie contratte. Ma neppure il suo fisico distrutto dall’artrite e dai dolori riuscì mai a piegarlo, a toglierli quella dolcezza, quella accettazione travagliata della vita che andava al di là della luce dei suoi occhi affaticati.

Ed anche se da anni la Casa Madre cui apparteneva voleva impedirgli di ritornare in Africa lui non si arrese mai. Alla sua missione ed alla sua gente ritornò fino alla fine, fino a che i suoi reni lo lasciarono solo.

Certo di quel periodo ricordo racconti primitivi così distanti da noi e per noi inconcepibili (come lo sputo al suo arrivo quale saluto di benvenuto o la madre che andava sulla tomba del figlio morto per continuare ad allattarlo tramite una cannuccia di paglia infilata nella terra, od il fenomeno dell’ubiquità di uno stregone visto da lui in un luogo, quando altri lo avevano visto altrove, a centinaia di chilometri di distanza. E talvolta lui stesso, quando con le medicine tradizionali non riusciva a curarsi, ricorreva allo stregone del villaggio).

Ovviamente succedeva spesso anche il contrario, ma tutti questi racconti erano così fantastici ed emozionanti, almeno per me, che neppure ero adolescente, che ancora li ricordo.

Certo mi hanno fatto crescere con l’idea di popolazioni primitive ed arcaiche, non mi hanno mai fatto considerare che anche là, nel frattempo, sono “cresciuti” i grattacieli. Ed allora la loro arcaicità di allora diventa la mia ignoranza di oggi. Molto su cui riflettere davanti a questi presepi così semplici e magnifici nella straordinarietà dell’evento.

Sebbene uno stile ben identificativo si materializzi in tutti i miei Presepi africani, indipendentemente dalla provenienza, per la rigidità e semplificazione dei personaggi, un appunto merita il mio Presepio egiziano.

Lo acquistai al mercato di Assuan fra aromi di spezie e lini colorati. Fu l’unico che trovai e devo dire alquanto brutto. Il giorno prima, nel quartiere copto, ne avevo trovato uno meraviglioso, di molti pezzi, forse in avorio, ma molto molto, troppo costoso. Il gruppo con cui eravamo si era allontanato e queste cose richiedono tempo…. Ci rinunciai ma ci penso spesso, ed in ogni caso fu l’idea migliore.

Se non fosse stato d’avorio, sarebbe stata una gran truffa, ma se fosse stato d’avorio in un certo senso la truffa l’avrei fatta io, avrei indotto qualcuno ad uccidere un animale per procurarsi altro avorio per realizzare un altro Presepio che avrebbe sostituito quello da me acquistato.

mimma