Repubblica — 11 agosto 2002 pagina 17 sezione: POLITICA ESTERA
GERUSALEMME - Tra due settimane ricomincia anche qui il campionato di calcio. Tra due settimane, dallo stadio Teddy Kollek non lontano dal museo della Shoah che ricorda l' Olocausto e le sue vittime, si risentiranno scandire ripugnanti cori da centinaia e centinaia di tifosi scatenati. Il più gettonato? «Adolf! Adolf! Non hai finito il lavoro!». Sottinteso: Hitler, dovevi liquidarli tutti. Sono gli ultras del Betar, la squadra di Gerusalemme su cui si convoglia il tifo degli ebrei sefarditi. I loro insulti sono diretti agli ebrei askenazi: «Adolf! Adolf! Non li hai ammazzati tutti!». Dietro quest' urlo obbrobrioso si nasconde un conflitto sotterraneo sempre più feroce, tra la minoranza povera ed emarginata dei sefarditi - gli ebrei della diaspora occidentale ed araba - e la maggioranza originaria dell' Europa Orientale che da sempre, in Israele, ha in mano quasi tutte le leve del potere. Ma per il solito gioco dei destini incrociati e dei paradossi, il Betar è anche la squadra in cui Benjamin Netanyahu, l' ex premier ed attuale rivale di Sharon, è il grande padrino, l' eroe di questi tifosi - i più turbolenti del campionato israeliano - i quali, in una sorta di scambio politico calcistico, votano compatti per il Likud, il partito al governo, che è controllato e diretto dagli askenazi. Il regista arabo-israeliano Nizar Hassan (che sta girando un film su Jenin e ne ha appena fatto uno sul calcio e i sefarditi) sostiene che le manifestazioni razziste allo stadio dei "betarini" hanno radici sociali e culturali profonde. Spesso, si tratta di ebrei che a casa parlano ancora l' arabo delle loro terre d' origine (vengono dal Marocco, dall' Iraq, dalla Siria, dal Maghreb, dall' Egitto). Che guadagnano poco e sono sfruttati e marginalizzati come i palestinesi. Lo stadio è il luogo dove tutte le frustrazioni si sfogano. Il conflitto con i palestinesi - il costo della vita aumentato ferocemente, disoccupazione crescente, tasse aumentate, paura per il terrorismo - ha esacerbato lo scontro con le classi dirigenti. Il "nemico" non è più soltanto l' arabo, ma l' ebreo ricco. Gli spalti caldissimi del Betar sono un serbatoio populista. Ed infatti, il Teddy Kollek è l' arena dei comizi politici di chi, nel Likud, vuol fare carriera o far passerella. Solo un altro luogo, a Gerusalemme, ha la stessa valenza: il mercato generale. Qui e allo stadio si misura il polso dell' opinione proletaria. Sharon non potrebbe mai metterci piede: è il politico più impopolare, tra i sefarditi. Al contrario, l' idolo di queste masse è il demagogico Netanyahu che vuole tornare a guidare il Paese. Quanto il calcio israeliano sia legato alla politica lo dice già il fatto che tutte le 14 squadre di serie A (in Israele si chiama SuperSerie) hanno legami forti con i partiti. Il Maccabi Haifa che per il secondo anno consecutivo ha vinto lo scudetto è espressione degli ambienti di destra. Le squadre col nome Maccabi (da Maccabei, i combattenti ebrei che avevano sconfitto i Greci) all' origine traevano i loro finanziamenti dai partiti nazionalisti e revisionisti (i movimenti che sono sfociati nel Likud). Quelle con la denominazione Hapoel (la più forte è di Tel Aviv) che in ebraico significa "lavoratori", erano collegate al movimento sindacale Avodà ("Lavoro"). Ci sono pure squadre arabe, quasi tutte della Galilea: 4 militano nella Serie Nazionale, la nostra serie B, sono il Taibe (che nel '96 approdò in serie A), il Benei Sakhnin, il Chai Nazareth (squadra mista musulmana-cristiana) e il Maccabi Farkana (di Canaa). Non hanno soldi né adeguate infrastrutture, però i giocatori arabi-israeliani sono abbastanza quotati e i migliori emigrano nelle squadre israeliane. Puntualmente sono accolti da sinistri cartelli: «Morte agli arabi». Il calcio è visto come l' unico e rapido modo per un arabo-israeliano di affrancarsi dalla cittadinanza di serie B in cui è confinato, di far quattrini. Il centrocampista Walid Badir, che gioca nel Maccabi Haifa, è la "stella" del campionato, così come Salim Tuama che milita nell' Hapoel Tel Aviv. Tuttavia, quando Tuama e altri giocatori della nazionale giovanile rimasero coinvolti in uno scandalo a luci rosse fu l' unico ad essere punito severamente. Proprio l' altro giorno si è dimesso Gavri Levy, il presidente dell' Ifa (Israel Football Association), travolto dagli scandali che negli ultimi tempi hanno scosso l' ambiente del pallone con la stella di David: sesso, corruzione, calcioscommesse. Poi c' è sempre la questione religiosa, sospesa come una spada di Damocle. Il campionato professionistico si gioca al sabato, e questo scatena gli anatemi dei rabbini ortodossi i quali fanno pressioni sul governo perché cambi il calendario. Buona parte dei giocatori, infatti, provengono dalle file sefardite e sono tradizionalisti e rispettosi. I più famosi vanno in pellegrinaggio dal celebre rabbino Ovadia Youssef, il capo spirituale dello Shas (il partito ortodosso in coalizione col Likud). La loro popolarità induce l' astuto Ovadia a non scomunicarli, ma ad accusare la Knesset, la federazione e l' establishment di empietà. I giocatori come vittime del sistema: da una parte sono messi all' indice perché giocano di sabato, dall' altra vengono perdonati perché sono gli eroi del popolo. Così, i voti del gran pubblico non si perdono. E lo shabbath si può celebrare a suon di slogan. - DAL NOSTRO INVIATO LEONARDO COEN