L’effetto fionda (o gravity assist in inglese) è ormai uno dei metodi più utilizzati per aumentare la velocità di una sonda spaziale facendola passare vicino a un pianeta, sfruttando la sua gravità ed il suo moto. Si ottiene un grande risparmio energetico e si recupera in danaro la perdita di tempo per effettuare la manovra. Vale la pena descriverla in dettaglio, essendo anche un’ottima applicazione dei principi di dinamica classica e dato che il grande Pierluigi ne ha parlato riguardo alla missione verso Plutone.
Immaginiamo di essere ciclisti molto temerari (ad esempio assi della mountain bike) e buttiamoci lungo il percorso tortuoso ed insidioso. Ad un certo punto ci troveremo di fronte ad una discesa terribile seguita da un altrettanto ripida salita. Ad esempio, una piccola valle percorsa da un torrente, attraversato da un piccolo ma sicuro ponte. Noi non abbiamo paura e ci lanciamo verso il basso acquistando velocità. Sul ponte arriveremo come dei razzi e proseguiremo anche in salita sfruttando la velocità guadagnata in discesa, fino a raggiungere il bordo opposto della valle (senza toccare i pedali) e proseguire la corsa. In queste condizioni avremo guadagnato velocità e poi l’avremo persa, ma alla fine (immaginando che non ci siano stati attriti: il sentiero è liscio come un biliardo) saremo tornati alla stessa che avevamo prima di scendere. E’ la stessa cosa che capita sulle montagne russe del Luna Park: si sale in alto, si scende a perdifiato e si ritorna il alto senza bisogno di alcun motore. Ovviamente è vietato assolutamente usare i freni! Si sfrutta soltanto l’energia potenziale, ossia quella che dipende dalla gravità (in questi casi quella della Terra, che ci aiuta a scendere verso il basso). In altre parole: si deve conservare l’energia totale del sistema. L’energia totale è data da quella potenziale (dovuta alla gravità) e quella cinetica (dovuta alla mia pedalata precedente). Quando scendo verso il torrente perdo in energia potenziale (vengo attratto verso il basso dalla gravità terrestre) e guadagno in energia cinetica (accelero nella discesa). Arrivato in fondo la mia energia potenziale è nulla (non posso più scendere), ma ho raggiunto il massimo di energia cinetica. Questa mi permette di proseguire in salita, ma, ovviamente, riguadagno in energia potenziale e comincio a perdere in energia cinetica (rallento). Se non ci sono attriti, riesco ad arrivare in cima, con la velocità che avevo prima di scendere. La figura 1 illustra la situazione, mettendo al posto della bicicletta una pallina.
Figura 1. La pallina (ciclista) arriva in A con una certa velocità. Si butta senza toccare i freni nella terribile discesa che termina sul ponte del torrente. Acquista velocità fino a toccare la massima proprio in C. Per conservare l’energia totale continua anche in salita (senza pedalare), rallentando, fino a giungere in E con la stessa velocità che aveva in A. Attenzione: A ed E devono avere la stessa altezza e, inoltre, non ci devono essere attriti.
Voi mi direte, e allora? Che c’entra con una sonda e con Giove od un altro pianeta? Eppure la situazione è “quasi” identica. Immaginiamo che Giove sia fermo nello spazio, senza girare attorno al Sole. E consideriamo la nostra navicella che sta arrivando verso di lui con una certa velocità v. Tutto sarà identico a quanto capitava a noi quando stavamo pedalando. Se le condizioni sono quelle giuste (distanza sufficiente da Giove e velocità abbastanza elevata; come dire se siamo bravi ad andare in bicicletta e non usiamo i freni) saremo attratti da Giove che ci farà girare attorno a lui, perdendo in energia potenziale e guadagnando in energia cinetica. Al “giro di boa” avremo la massima velocità. Poi proseguiremo in verso opposto (come prima continuavamo in salita) perdendo velocità e guadagnando in energia potenziale. Alla fine saremo tornati alla stessa velocità che avevamo prima dell’incontro, avendo però cambiato completamente direzione (figura 2a). Mi direte: “si, molto bello, ma non è che ci guadagniamo molto. Per cambiare rotta forse si poteva fare in altro modo …”. A questo punto, allora, facciamo muovere Giove lungo la sua orbita. Adesso sì che le cose cambieranno. D’altra parte a noi interessa acquistare velocità NON rispetto a Giove, ma rispetto al Sole, se vogliamo, ad esempio, raggiungere Plutone e la Kuiper Belt. Quindi ci poniamo in un sistema di riferimento diverso, in cui Giove si muova davvero. Allora consideriamo la stessa figura di prima, ma facciamo viaggiare Giove con una velocità V. Dopo il giro di boa la velocità della navicella dovrà tenere conto che Giove sta andando proprio dalla sua parte ed allora per conservare l’energia del sistema, ossia poter proseguire, abbandonando Giove, dovremo andare ad una velocità molto maggiore di quella che avevamo prima di raggiungere Giove. Se la nostra velocità era v, arriveremo a valori più alti avvicinandoci a Giove (dovremo “combinare” le due velocità con la ben nota “somma vettoriale”) e poi proseguiremo fino a raggiungere il valore massimo in uscita dal passaggio ravvicinato (figura 2b). In condizioni limite si potrebbe arrivare fino a guadagnare il doppio della velocità orbitale di Giove, che è di circa 13 km/sec. Sempre tutto in accordo con la conservazione dell’energia totale.
Figura 2. In a) Giove non si muove (o, se volete, ed è lo stesso, ci solidale con Giove mettiamo in un sistema). La velocità è la stessa all’ingresso e in uscita. In b) Giove si muove (prendiamo come sistema di riferimento quello del Sole). Sommando le velocità si vede che aumenteremo di molto quella di uscita.
Volete un altro esempio (sperando che non vi confonda le idee …)? Immaginiamo di essere in una stazione e voler lanciare una pallina da tennis contro un treno che arriva in senso opposto e che non si ferma. Se lancio la pallina a 50 km/h e il treno viaggia a 100 km/h a che velocità avverrà l’urto? Presto detto: 100 + 50 = 150 km/h. Infatti, se avete uno scontro contro un muro o contro una macchina che viene in senso opposto a voi, le conseguenze sono ben diverse. Per calcolare la velocità d’impatto, le due velocità si devono sommare. A questo punto la palla deve rimbalzare in senso opposto con la stessa velocità, ossia 150 km/h. Ma il treno dovrà vedersela scappare davanti e quindi la pallina rimbalzerà ad una velocità di 150 (come era arrivata) più i 100 km/h del treno. Infatti il treno ha trasferito alla pallina la sua velocità. La pallina schizzerà a 250 km/h. Questo ovviamente in condizioni perfette e senza attrito. La figura 3 mostra una vignetta che riporta questa situazione con valori diversi (miglia per ora), ma il concetto è lo stesso. Anche in questo caso siamo riusciti a lanciare una palla a 50 km/h ed a farla rimbalzare a 50+ 2×100, come nel caso di Giove. Se il treno fosse stato fermo, la palla sarebbe rimbalzata alla stessa velocità del lancio, ossia 50 km/h. E’ quindi fondamentale che l’oggetto che ci deve dare l’effetto fionda sia in movimento. In realtà, l’effetto fionda prende anche il nome di “rimbalzo elastico”, proprio per come le due situazioni si assomigliano.
Figura 3. Tiro una pallina da tennis a 30 miglia all’ora (mph) contro un treno che viaggia a 50 mph. La velocità al momento dell’impatto sarà di 30+50 = 80 mph. La pallina schizzerà con questa velocità all’indietro (urto elastico), aumentandola però di altri 50 mph, che le sono state “regalate” dal treno in movimento. In conclusione viaggerà a 130 mph. La velocità del treno (o meglio la sua energia cinetica) prende il posto della gravità di un pianeta. Il Sole, ovviamente, sta a guardare (siamo nel suo sistema di riferimento).
Spero di essere stato chiaro ed aver mantenuto la correttezza fisica pur cercando di semplificare. Sono pronto a fronteggiare i vostri attacchi frontali!!