Storia di Marco Scardino, Luca Battaglieri, ma anche di Nazario Masiero, Giorgio Moro, Piergiorgio Parodi, Gianni Reciputi, Antonio Pastorino, Elvio Tessiore
Nel 1977, al liceo di Finale, eravamo un gruppo di amici. Anni di piombo, di contestazione, di contrasti. C'erano ragazzi che facevano discorsi più grandi di loro. Parlavano di lotta di classe, di strategie politiche su posizioni inconciliabili. Secondo altri, più cauti, le tensioni delle città non avrebbero toccato la nostra lontana provincia.
Per fortuna, fu una stagione breve, anche i più coinvolti alla fine si accorsero che l'odio era fomentato da altri, per interesse o calcolo. Il disincanto giovanile prese il posto ai discorsi fumosi dei politici. I giornali estremisti divennero carta straccia. C'era un'età spensierata, tutta da vivere!
All’uscita dalla scuola di un giorno d'ottobre Marco, all'improvviso, mi chiese come si giocava a baseball. Tracciai sul momento qualche riga su un foglietto di carta, feci un po' di confusione, ma dal suo sguardo entusiasta capii che ero stato chiaro.
Finimmo per fare due squadrette, giocammo dappertutto, sulla spiaggia, nei prati, nei cortili, allora non c'erano in giro tante macchine, imparammo da soli, senza maestri, con l'istinto e la passione.
Non so come arrivammo a bussare alle porte dei vecchi giocatori degli Sharks. Piergiorgio Parodi, Bobo Boncardo, Giorgio Moro (quest'ultimo non è più fra noi da qualche anno. Lo ricordiamo con affetto, perché ci ha insegnato molte cose, non solo del baseball).
“Sappiamo che avete i materiali della vecchia squadra", li tampinammo, "le divise, le mazze, ci serve la roba del ricevitore, il giubbotto salvagente che usiamo noi di fortuna non va bene...”
Avevo sedici anni e firmai una ricevuta. “Una mazza Hillerich and Bradsby, sette guanti di plastica Viralfa, un paio di palline di gomma”. Sono passati trent’anni, e mi è rimasto un guanto, uno solo. Sono pronto a restituirlo. Il materiale c'era, mancava il campo. “E di chi è il campo?” “Ma del Comune, che domande!”
Fu così che prendemmo appuntamento con Nazario Masiero, all'epoca assessore allo sport del Comune di Finale.
“Noi siamo il baseball!” esclamai, serio, “noi siamo il baseball e vogliamo il campo Viola... ne abbiamo il diritto!” Masiero ci ascoltò, compunto. Solo ora, dopo oltre trent'anni, posso immaginare la sua incredulità. Davanti a lui c'erano due sedicenni a tampinarlo, rappresentando solo sé stessi. Due sbarbatelli, un po' piattole, ma determinati.
E chiedevano, anzi esigevano, nientemeno che il Sacro Luogo dove ogni domenica veniva celebrato l'Intoccabile Rito del Calcio. Roba da matti!
Ma anche Masiero doveva avere un fondo di follia. Credette in noi. Un branco di ragazzini.
E così che a Finale il Baseball risorse.
Tutto si svolse in fretta. Ottenuto il campo, Parodi ci presentò Gianni Reciputi.
Era un omone, serio e maturo. Ma aveva solo ventun anni. Ventun anni! Non aveva neanche la barba. Scoprimmo ben presto che era un terza base – saracinesca, dalle sue parti non passava una palla se non volando molto alta.
Con lui vennero Antonio Pastorino (lui la barba l'aveva: era un prima base non alto, non mancino, il contrario di quanto raccomandato dai manuali, ma pigliava tutto e batteva, anche). Enzo Ferrari, ricevitore di ferro, un giocoliere, con la palla. Elvio Tessiore, lanciatore e vedette della squadra. Un protagonista, campione in qualunque sport. E con loro portarono lo sponsor. Antonino Vario della Concessionaria Renault.
La squadra era fatta. Le divise erano quelle vecchie del Savona, ma ancora in ordine dopo che una sartoria aveva cucito il logo Renault e le strisce gialle e nere della casa francese.
E nel 1978 si cominciò. Sul serio. Allenamenti feroci, ma mai distruttivi. Noi ragazzi di sedici anni imparammo ad essere una squadra, una squadra di amici, lo siamo ancora adesso, dopo trent'anni: Marco Scardino, Luca Battaglieri, Luca Bastieri, Luca Massaferro, Riccardo Pio, Mario Micheli, Gabriele Casanova, Gabriele Gatti, Antonio Narice, Fabio Manca, Franco Vinotti, Paolo Bonato, Stefano Fugardo, Pierluigi Schiappapietre, Eros Mora, Francesco Oddone, Paolo Bonato.
Il primo campionato di serie C fu un bell'esordio. Un'emozione mai dimenticata.
Al campo Viola e poi al Comunale veniva più gente a guardare noi che alle partite di calcio. Un pubblico competente ed appassionato, molti ex giocatori. Un tifo da serie A, gente che fischiava, cantava in coro, prendeva in giro l'amico in campo e lo incoraggiava quando sbagliava. Gente che veniva alle trasferte con un affetto e un calore mai più visti a Finale. Qualcuno del pallone cominciò a rodersi dall'invidia, qualcuno si lamentò che le nostre scarpette rovinavano il campo, ma Finale era in serie C di Baseball e tutto ci fu concesso.
Quel primo campionato fu onorevole, finimmo secondi o terzi, la squadra c'era, sorretta da un entusiasmo incredibile, ad ogni seduta d'allenamento si presentavano nuovi giocatori, sia principianti assoluti, absolute beginners, che vecchi giocatori degli Sharks, per tutti c'era un posto in squadra. Ci fu qualche mugugno fra noi giovani, ma la passione sopì ogni cosa.
L'anno dopo Finale andò ancora meglio.