I fenomeni ottici della profondità, della grandezza apparente degli oggetti e della convergenza delle linee parallele sono noti fin dall’antichità. Euclide (330-275 a. C.), nella sua opera dedicata all’Ottica, riconducendo i meccanismi della visione ai principi della geometria, si afferma come il padre della prospettiva naturale. I suoi insegnamenti, tramandati e affinati dalla cultura musulmana, giunsero in Europa durante il medioevo e furono diffusi dalle scuole di Oxford e di Parigi e da studiosi come Leonardo Pisano (Fibonacci). Nel corso del Trecento alcune regole dell’ottica iniziarono a penetrare nella pratica pittorica di artisti attivi a Firenze, Siena e Padova. Ma gli spazi dipinti da Giotto, Ambrogio Lorenzetti o Giusto de’ Menabuoi sono ancora empirici e frutto di una prospettiva artigianale. Il merito della prima raffigurazione scientifica della realtà va al Brunelleschi (1413 circa), riconosciuto come l’inventore della prospettiva artificiale. Egli ideò un genere di rappresentazione assai complessa e laboriosa, nota con il nome di costruzione legittima. Il suo metodo venne semplificato da Leon Battista Alberti nel De pictura (1435; versione in volgare: 1436). Scritto per i pittori e per conferire dignità di scienza e di arte liberale alla pittura, il trattato si basa sull’Ottica euclidea e sugli studi medievali. La costruzione abbreviata albertiana è basata sulla visione monoculare di un osservatore immobile, sulla presenza di un pavimento reticolare, sui raggi visivi rettilinei che formano una piramide visiva e sull’idea del quadro, chiamato anche velo o finestra, come intersezione della piramide visiva. Tale costruzione consente, grazie al punto di distanza, di determinare con esattezza geometrica qualsiasi scorcio o profondità apparente. Con l’Alberti si afferma l’idea di uno spazio matematico. Se il Masaccio sembra anticipare la costruzione abbreviata, numerosi altri artisti fanno eco al metodo albertiano e ne sperimentano le preziose implicazioni linguistiche e simboliche. Fra questi ultimi si possono annoverare Donatello, Mantegna, Giovanni Bellini, Bramante e Leonardo. Piero della Francesca occupa un posto speciale in quanto all’attività di artista affiancò quella di teorico scrivendo il De perspectiva pingendi (1472-75). Il suo trattato espone le regole per la raffigurazione di oggetti e corpi geometrici, e illustra la prospettiva di corpi curvi e irregolari come la figura umana. I suoi insegnamenti avranno largo seguito nella realizzazione delle tarsie lignee per cassoni, cori e studioli. Con Paolo Uccello la pratica prospettica raggiunge esiti altissimi, al limite del virtuosismo, e si apre alle prime trasgressioni grazie all’uso di più punti di vista. La visione di un mondo fondato esclusivamente sulla matematica inizia a vacillare. Le certezze scientifiche dell’umanesimo entrano in crisi con l’ultimo Raffaello e con Michelangelo, per essere travolte dal mondo tragico e visionario del Tintoretto. Tuttavia la pratica della prospettiva continuerà ad allargarsi in tutta Europa, come dimostra l’enorme fortuna goduta dal francese Jean Pelerin, detto Viator. Il suo trattato – De artificiali perspectiva, Toul 1505 – introduce i punti di distanza, detti anche di concorso o di fuga (costruzione bifocale o accidentale), affrancando gli artisti dal vincolo della visione frontale. La divulgazione della prospettiva nei paesi di lingua tedesca spetta invece ad Albrecht Dürer, noto anche per sue quattro incisioni – uscite nella terza edizione di Underweisung der Messung o Institutionum geometricum, 1538 - raffiguranti ingegnosi dispositivi utilizzati per rappresentare in prospettiva oggetti e persone.