Chiesa e convento dei Carmini

La chiesa e il convento dei Carmini a Venezia, Venezia, Liceo Classico Foscarini, 21 0tt. 2017

Lezione di Antonio Manno

Presentazione del libro La chiesa e il convento di Santa Maria del Carmelo a Venezia, a cura di Antonio Manno, Saonara (PD), il prato, 2017. Estratto del libro.

Immaginiamo la Chiesa e il Convento dei Carmini, situati nelle vicinanze di Campo S. Margherita, come un insieme di oggetti o COSE: capitelli, colonne, archi, statue, dipinti, oggetti e paramenti liturgici ...

… delle quali sappiamo poco o nulla. Per conoscerle, inizieremo a datarle, cercarne gli autori e i soggetti. A queste COSE affiancheremo dunque PAROLE, ma soprattutto -per uscire dalla semplice elencazione, dal noioso ma necessario catalogo- cercheremo di interpretarne i significati, ossia di cercarne un senso.

Tutto ciò comporta la ricostruzione delle storie di quelle opere e del luogo dove si trovano. In altri termini, scrivere una storia dei Carmini significa recuperare la memoria di Venezia, in un momento in cui questa città, che sta continuando a perdere i suoi abitanti, rischia -non immediatamente- di diventare come Atene nel medioevo, quando i suoi abitanti ignoravano il glorioso passato del luogo in cui vivevano.

La chiesa dei Carmini è un TEMPIO, un luogo di preghiera, di speranza e di riti, ma anche di incontro, di esibizione e di racconto fra individui di ceti sociali diversi. Nelle sue opere d’arte si rispecchiano, si riverberano i DESIDERI, le aspettative, la rappresentazione di sé e del proprio mondo da parte di individui, corporazioni e ceti sociali.

Un desiderio che accomunava l’intera comunità dei fedeli era quello di salvare la propria anima e soprattutto fuggire la dannazione eterna e accorciare il più possibile la propria permanenza e quella dei propri cari fra le implacabili fiamme del Purgatorio.

Finanziare la realizzazione di opere d’arte, elargire elemosine e far celebrare messe per i defunti significava investire sulla salvezza in cielo oltre che celebrare, in terra, se stessi, la famiglia, la confraternita o la corporazione di appartenenza.

E’ sulla spinta di questa tensione verso l’aldilà che, ai Carmini, fiorirono il culto mariano (la Madre di Dio) e la devozione e l’imitazione di Cristo, motivi ispiratori di ogni opera d’arte.

I suggeritori e i registi di tale rappresentazione di sé e del mondo sono stati i monaci carmelitani:

seguaci di Elia, profeta dell’Antico Testamento

giunti dalla Palestina / dal monte Carmelo

sorti come eremiti e, una volta in Europa e a Venezia, diventati mendicanti e predicatori

A loro e ai veneziani che li hanno finanziati si deve l’originaria forma semplice e austera della chiesa e del convento dei Carmini.

Fra la fine del Duecento e la fine del Quattrocento, le opere d’arte dei Carmini sono ispirate al principio della mediocritas, nel quale si rispecchia la povertà apostolica delle origini. E questa chiesa, al pari di quella di Santa Caterina, è considerata il principale esempio di architettura conventuale di transizione fra romanico e gotico.

Nella mediocritas artistica si sono incontrate le istanze spirituali dei carmelitani, ex eremiti votati alla povertà, e quelle degli artigiani locali (pescatori, carpentieri navali, mercanti di lane e stoffe, mossi da pragmatismo e senso del risparmio) che si sono raccolti attorno alla chiesa e che si distinguevano per la scarsa propensione verso le innovazioni artistiche.

Una mentalità conservatrice, la loro, che deflagra con la penetrazione degli ideali umanistici del rinascimento. L’opera d’arte che ai Carmini annuncia tale cambiamento di mentalità è una tavola realizzata da Cima da Conegliano, L’adorazione dei pastori (1509 circa).

Il suo committente, Giovanni Calbo, mercante di stoffe, compare al cospetto di Maria e di suo figlio, nei panni di un pastore.

L’individuo, in virtù del suo status sociale ed economico, irrompe nel tempo e nello spazio sacro e, oltre a pensare alla propria salvezza, compie un atto di devozione verso il Bambino dichiarando la propria fede nella passione e resurrezione di Cristo.

La medesima aspirazione verrà espressa, sia pure in modo collettivo, nella pala raffigurante la Gloria di san Nicola, commissionata a Lorenzo Lotto dai mercanti dei Carmini (1527).

Oltre all’etica del lavoro, i due capolavori sono accomunati dalla celebrazione della natura e del paesaggio, un tema assai caro alla Venezia del tempo, ormai proiettata verso i valori e le risorse della Terraferma.

Le vicende artistiche del Cinquecento e del Seicento sono segnate dalle disposizioni sancite dal Concilio di Trento (1545-63), che hanno comportato profonde modifiche all’interno della chiesa dove, lentamente e con tempi dilatati, si cancella lo spazio originario per far posto a un ambiente liturgico ricco di decorazioni.

Tuttavia, ai Carmini, le novità dell’arte barocca non prenderanno mai piede, soprattutto per il profondo spirito conservatore dei monaci e dei ceti che hanno frequentato e sorretto finanziariamente il complesso dei Carmini.

L’episodio che ha comportato un’altra profonda cesura nella storia artistica della chiesa è stata l’erezione del monumento funerario di Giacomo Foscarini (1598-1616), politico e capitano da Mar.

Un enorme paramento architettonico, che occupa l’intera controfacciata, dominato dalla statua in armatura del committente, segno di un’invadente presenza che, anziché esprimere la propria fede in modo sommesso -come nel dipinto ordinato da Giovanni Calbo- impone nello spazio dei Carmini un’inedita enfasi retorica, grazie alla quale si dichiara la supremazia sociale dell’aristocrazia veneziana e si ostenta il proprio servizio verso la Repubblica come via privilegiata di salvezza.

Il peso di una simile alleanza con il patriziato, è contro bilanciato dai carmelitani con una nuova e fortunata apertura verso i ceti cittadini e popolari della città, offrendo loro i benefici spirituali dello Scapolare o Pazienza, un modesto indumento acquistabile da chiunque, che garantiva la permanenza in Purgatorio solo per pochi giorni anche al più povero dei devoti.

Sul culto dello scapolare, o abitino, fiorirà la nuova scuola di devozione dei Carmini che, nel corso del Seicento, erigerà la propria sede, impreziosita da uno straordinario soffitto nel quale Giambattista Tiepolo raffigurerà le virtù della Madonna del Carmelo.

L’ultimo episodio artistico di rilievo ai Carmini è la realizzazione di un ciclo di 24 tele, iniziato nel 1666 ed esposto lungo le due pareti della navata maggiore.

Ognuno di questi dipinti è stato pensato per giustificare, grazie alla forza persuasiva delle immagini, le origini e la storia dell’Ordine carmelitano che, nel frattempo, erano state messe in dubbio dai bollandisti, i gesuiti belgi che introdussero la filologia nella verifica delle fonti agiografiche.

Il metodo non fu gradito ai frati che, nel corso dei secoli, pur di sostenere che Elia fu il primo dei carmelitani non esitarono a imbastire una storia dell’Ordine priva di solide testimonianze scritte.

Ai Carmini si ripropone dunque una mentalità ormai sul viale del tramonto, distante dall’implacabile rigore dei Lumi e immersa nella rassicurante e affascinante protezione della provvidenza divina.

Bibliografia

La chiesa e il convento di Santa Maria del Carmelo a Venezia, a cura di Antonio Manno, Saonara (PD), il prato, 2017.