Il signor Ugo Sciamanna è il nipote di Luigi Brizi e di suo figlio Trento. Era ancora un bambino ai fatti qui raccontati dal nostro progetto; un bambino di 8 anni, che come dice lui, però, ricorda “tutto” della guerra, perché a 8 anni si è in grado di ricordare tutto, soprattutto quando quello di cui si sta parlando è più grande e terribile di quello che un bambino dovrebbe vedere ed è fatto di dolore, distruzione e morte ma anche di un grande coraggio. Questo coraggio, dice Ugo, non è stato mai rinfacciato, difficilmente raccontato, quando è stato possibile sminuito, perché aiutare, allora, era non solo necessario, ma, soprattutto, naturale.
Ugo ricorda Padre Niccacci, il guardiano del convento di San Damiano. Fu lui a interpellare il vecchio Brizi, durante la solita partita a carte nella piazza della città. E Luigi accettò. Trento capì ben presto le intenzioni del padre e non si volle tirare indietro; si propose anzi con insistenza. Da allora la tipografia Brizi, nella via davanti alla basilica di Santa Chiara, appena prima l’arco di corso Mazzini, iniziò a stampare insieme a giornali, brochure turistiche e menù per i ristoranti, le carte d’identità false che avrebbero salvato la vita a centinaia di Ebrei.
La rete clandestina serviva Perugia, coadiuvata da padre Federico e arrivava fino a Firenze sotto l’egida del Cardinale Dalla Costa, servendosi di un medium d’eccezione: il ciclista Gino Bartali che fingendo di allenarsi fino ad Assisi, arrivava in città trasportando i passaporti nella canna della bicicletta.
Grazie ad essi molti Ebrei assunsero nazionalità italiane, poterono accedere alla tessera annonaria, furono portati al Sud, oltre la linea del fronte, dove già erano arrivati gli Alleati.
Signor Sciamanna:
Cosa ricorda principalmente di quel periodo?
il nome Trento, di mio padre, era un risultato della Grande Guerra…mio nonno era un nazionalista. Io non abitavo ad Assisi quel periodo, ma ero sempre a casa dai miei nonni. Prendevamo spesso il pullman e mi ricordo dei bombardamenti sulle rotaie dei treni. Io sono stato sette giorni nella macchia senza mangiare…c’era il pane e lo bagnavamo nell'acqua dei torrenti per ammorbidirlo. Da lontano si sentivano solo i rumori delle cannonate.
Quando si è iniziato a parlare dell’Assisi clandestina? molto tardi…
No, in realtà all’incirca verso gli anni 90. Ci sono delle targhe in Assisi e anche dei riconoscimenti al cimitero agli uomini “Giusti”.
Mio nonno e mio zio non ne volevano parlare. Ma capisco. Mi ricordo all’epoca e mi ricordo bene, di persone prese per il collo. Ma poi la storia è stata ricostruita. Nel libro di A. Ramati c’è scritto tutto.
Le monache di San Quirico, quelle di Santa Chiara, i monaci, i sacerdoti, erano tutti consorziati nel segreto più tombale. Loro sapevano di noi, noi non sapevamo tutto di loro.
Come sceglievano i nuovi nomi da attribuire agli Ebrei?
Elenchi del telefono ma soprattutto i nomi di coloro che erano già morti. Giravano per il cimitero e si ispiravano ai nomi che assomigliavano di più a quelli che già avevano. Molti furono quelli presi da residenti nel Sud Italia, in previsione di condurli oltre la linea del fronte. Per lo più gli Ebrei, che grazie alle nuove identità potevano usufruire delle tessere annonarie, rimasero in Assisi.
Come avveniva il lavoro nascosto?
La tipografia stampava DI GIORNO, proprio perché di notte si correva il rischio di fare rumore e di farsi sentire. Il giorno invece si mischiavano le carte alle altre stampe destando meno sospetti.
Anche i funzionari del comune diedero un grandissimo sostegno. Furono loro a prestare i timbri di nascosto.
Mio zio partì un giorno, tornando al tramonto: andò a Foligno di nascosto, in bicicletta a prendere un timbro. La paura della ronda e della polizia tedesca era grande. Date retta è così.
Voi insegnanti e voi studenti raccontate il più possibile.
Dov’era posizionata la macchina tipografica? Ha una sua foto?
La foto che ho è quella conservata al Museo della memoria. Anche la macchina si trova lì. Prima era collocata proprio entrando da una porta centrale a due ante, dentro la tipografia, sulla sinistra, nell’angolo. Oggi al posto della tipografia c’è un bar e l’ambiente è stato un pò modificato. La porta in fondo sulla parete era più piccola e c’erano scaffali pieni di carte sia nel primo ambiente che dietro la porticina, nel secondo, un fondo pieno di fogli, quaderni, libri. Davanti alla macchina tipografica erano posizionati due sgabelli perché era necessario che ci lavorassero due uomini; sotto le brochure dei ristoranti nascondevano 3-4 passaporti per volta.
Ha ancora contatti con queste persone sopravvissute?
No. Voi dovete considerare questo: che questa è una cosa fatta, finita e che chiunque l’avrebbe fatta. Pensate a quanti in Italia ci sono stati che hanno fatto questo. E’ la storia! Oggi festeggiano a Milano, domani festeggiano a Roma, dopo domani ad Assisi secondo dove è successo. Non è stata solo Assisi, non sono stati solo mio zio e mio nonno.
Che questa cosa spero vi serva d’esempio.