Per l'attraversamento illegale della frontiera europea, dalla Bosnia alla Croazia, ci si prepara per settimane, anche mesi. Un passaggio cruciale che i migranti chiamano in gergo "the game", il gioco. Per provarci si attende il momento migliore: la notte, la mattina presto, magari in un giorno senza pioggia o neve. Si raccolgono le forze e si parte.
La tappa per mettere piede in Europa è, tuttavia, solo l'ultima di un lungo ed estenuante viaggio che parte da molto lontano. Siria, Iraq, Afghanistan, Pakistan, Nord Africa: uomini, donne e bambini in cerca di una vita migliore, o semplicemente di una vita; persone che hanno origini diverse, ma storie in comune. Guerra, fame e persecuzioni sono i motivi più diffusi tra chi cerca, rischiando la propria pelle, di lasciarsi alle spalle una realtà non più sostenibile.
La cosiddetta "rotta balcanica" parte dalla Turchia e risale verso Nord, fino alla Croazia, avamposto dell'UE in quella fetta di continente. Il cammino non è sempre lo stesso: le politiche xenofobe e gli asfissianti controlli di polizia messi in campo da alcuni Paesi hanno cambiato negli anni i percorsi, costringendo i migranti alla ricerca di nuovi varchi utili.
Negli ultimi anni il confine tra Bosnia e Croazia è diventato una “bomba” pronta ad esplodere alle porte dell'Europa, un collo di bottiglia dove è difficile garantire diritti e dignità. I migranti che attraversano la rotta balcanica arrivano a Bihac da Sarajevo e vi rimangono per mesi. Con un po' di fortuna, riescono a trovare riparo in un centro di accoglienza sovraffollato, tentando innumerevoli volte di attraversare il confine, affrontando la violenza della polizia croata e i boschi pieni di mine antiuomo.
Alcuni di loro, nell'attesa di poter superare quell'ultima frontiera, passano le loro giornate nella periferia di Bihac, in edifici abbandonati senza acqua ed elettricità gestiti dai trafficanti. “Abbiamo bisogno di aiuto per affrontare la situazione e rafforzare i diritti di coloro che hanno bisogno di protezione internazionale”, hanno affermato i rappresentanti dell'UNHCR.
Impossibile contare le persone morte sul confine tra Bosnia e Croazia: chi è saltato su una mina - eredità delle guerre jugoslave -, chi è stato sbranato dai lupi, chi è morto per il freddo. Tanti altri hanno trovato sul loro cammino la polizia croata e sono stati brutalmente respinti. Gli agenti utilizzano droni e cani per la ricerca; poi, una volta trovati i migranti, li picchiano, tolgono loro le scarpe, li privano dei pochi soldi che hanno in tasca e rompono i loro telefoni cellulari. Tutti soprusi che si consumano alle porte di casa nostra, di un'Europa che ambiva a diventare la casa dei diritti, ma che è rimasta ancorata alle sue paure, frenata dalle divisioni interne.
I flussi migratori continuano così a rappresentare una moneta di scambio, un'arma di ricatto con la quale negoziare per incassare o elargire miliardi di euro. Un gioco delle parti, come nel caso della rotta balcanica, tra la spietatezza della Turchia e l'ipocrisia dell'Unione Europea; un cinico braccio di ferro giocato sulla pelle di milioni di esseri umani, nel quale a perderci sono la solidarietà e il rispetto per la vita.