Sostenibilità della
Filiera ittica dell'Adriatico

Introduzione

L'Alto Adriatico

L’Alto Adriatico è uno dei mari più produttivi del Mediterraneo e di conseguenza è da secoli uno dei più sfruttati dalla pesca. Mestieri e tradizioni pescherecce sono profondamente cambiati nel tempo, in accordo con l’evoluzione tecnologica e le mutate necessità sociali e di mercato. In particolare, dopo il secondo conflitto mondiale si è assistito all’industrializzazione della pesca, che ha portato a un aumento significativo della capacità e dello sforzo di pesca e parallelamente a un miglioramento delle condizioni di vita e lavoro dei pescatori. Il motore e l’utilizzo di imbarcazioni via via più grandi permisero di ampliare le aree di pesca e trainare attrezzi più grandi e pesanti, mentre l’uso di verricelli facilitò nettamente le operazioni per il salpamento delle reti. A metà anni ‘80, con l’introduzione del LORAN (LOng RAnge Navigation) e successivamente del video plotter e del GPS (Global Positioning System), è migliorata enormemente la precisione nella navigazione, permettendo di sfruttare aree un tempo inaccessibili perché prossime a fondali inadatti allo strascico.

Al contempo, questa innovazione ha determinato la scomparsa di alcuni mestieri tipici che la caratterizzavano da secoli. Scomparsa legata in alcuni casi al declino delle specie sfruttate, che ha reso alcune attività di pesca non più redditizie in termini economici (Giovanardi O.).

Glossario

Stagionalità: periodo ideale in cui una specie andrebbe consumata, per una serie di valutazioni, tipo termine del periodo riproduttivo o presenza in maggiore concentrazione. Consumare prodotti di stagione impatta in modo minore sull’ambiente e sugli stock e risulta più economico, oltre ad incidere positivamente sulla qualità del prodotto.

Ciclo biologico: intera sequenza delle fasi dello sviluppo di un organismo, dalla cellula fecondata (lo zigote), la nascita di quell’individuo, che crescerà, diventerà adulto e si riprodurrà a sua volta.

Stock ittico: subpopolazione di una specie soggetta a pesca commerciale. È l'unità di base della biologia della pesca.

Taglia minima: misura minima al di sotto della quale la legge vieta la commercializzazione di una data specie, perché ancora non ancora adulti e che non hanno compiuto il loro ciclo vitale con la riproduzione

Pesca trainante: Tecniche di pesca che impiegano reti (generalmente a sacco) che pescano in maniera attiva sfruttando il trascinamento della rete. 

Nassa: antico attrezzo da pesca, tuttora impiegato nella pesca tradizionale. Ne esistono di diversi tipi, a seconda delle zone e del tipo di preda; i principali sono a campana e a barile. La nassa è costituita da una rete metallica o di plastica con, all'estremità, un "imbuto". L'esca appesa all'interno costringe il pesce, attirato dall'esca, ad entrare forzando le maglie posizionate sulla bocca della strozzatura. In questo modo la preda non è poi più in grado di lasciare la trappola. Le nasse sono generalmente posizionate al largo la sera, e recuperate la mattina seguente per sostituire l'esca e scaricare il pescato.

Rete da Posta: attrezzo da pesca professionale che viene posizionato in mare, lasciando che siano le prede a raggiungerlo e a rimanervi impigliate. Si tratta generalmente di una rete rettangolare portante dei galleggianti di plastica o sughero nella parte superiore (lima dei sugheri) e dei piombi (lima dei piombi) in quella inferiore. In passato erano realizzate soprattutto di cotone, oggi è di uso quasi universale il nylon, praticamente invisibile nell'acqua e di durata maggiore alla corrosione marina, nonché inquinante in caso di rottura e dispersione dell’attrezzo.

Di solito questi attrezzi vengono calati sul finire del giorno e salpati in mattinata.

Rete a Strascico: è una rete trainata attivamente sul fondale. Ha generalmente forma conica, con la parte terminale apribile per estrarre il pescato, che prende il nome di sacco. Durante la traina, che può durare fino anche a quattro ore, la rete è invece mantenuta aperta da strutture chiamate divergenti. La parte della bocca che strascica il fondale è in genere armata di piombi e catene, con la funzione di smuovere il sedimento e di farne venir fuori pesci ed altri animali che vi fossero intanati mentre la parte superiore degli stessi è dotata di galleggianti con lo scopo di tenere aperta la bocca.

Pesca a Volante: rientra nella categoria della pesca trainante pelagica ed è costituita da una rete che viene trainata generalmente da due imbarcazioni per un massimo di 20-40minuti e che rimane sospesa nella colonna d’acqua, senza sfiorare il fondale. Al termine di ogni cala viene recuperato a bordo il sacco con il pescato, che a volte è talmente abbondante da richiedere dei frazionamenti della pescata, detti tagli. Principali specie catturabili sono alici, sardine, sgombri e cefali. 

Specie aliene: specie non natie di una zona, in cui sono state introdotte da un areale completamente diverso, generalmente per opera diretta o indiretta dell’uomo. Una volta nel nuovo ambiente, queste specie possono non sopravvivere, sopravvivere e ricavarsi una propria nicchia ecologica, senza inficiare sull’habitat locale, o sopravvivere e diventare invasive, soppiantando anche delle specie originarie.

Fermo pesca: periodo in cui è vietata una certa tipologia di pesca, per permettere la riproduzione di alcune specie target e quindi il ripopolamento dello stock. Ogni tipologia di pesca, avendo di solito specie target differenti, hanno periodi di fermo pesca diversi.

Sostenibilità e filiera ittica

Nell’epoca storica che stiamo vivendo, uno dei termini maggiormente utilizzati nell’ambito dell’esercizio delle attività antropiche (produttive e non) è quello della SOSTENIBILITA’. 

Il suo significato letterale indica una condizione di sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri. Ciò detto, spesso ci si dimentica che tale riferimento è valido tanto per le componenti Naturali che per quelle che riguardano la sfera dell’uomo. 

In sintesi, è possibile riassumere il concetto di sostenibilità come la fusione di tre pilastri, all’interno dei quali va garantita la perdurabilità nel tempo. 

I pilastri sono: 

- quello ambientale: va garantito un prelievo di risorse che non comprometta gli stock, in modo da possedere una rendita continua nel tempo

- quello sociale: le attività devono garantire la dignità sociale di tutti gli attori della filiera, con particolare attenzione alle comunità locali

- quello economico: le attività devono (ovviamente) essere produttive per autosostenersi nel tempo, senza dipendere da politiche di assistenzialismo. 


In questo contesto si inserisce il settore ittico, che impiega diverse migliaia di persone e che, ancora in Italia, è un settore primario per numerose comunità costiere. 


A livello normativo e concettuale la pesca può essere suddivisa in due grandi categorie, differenti tra loro per tecnica, regolamenti e imbarcazioni:

Piccola pesca artigianale: La piccola pesca artigianale è la pesca praticata con imbarcazioni di lunghezza inferiore ai 12 metri, che operano entro le 12 miglia dalla costa. È opinione condivisa dal mondo scientifico che, rispetto agli altri metodi di pesca, si distingua per l’uso di attrezzi selettivi e a basso impatto ambientale. Questo perché la maggior parte degli attrezzi della piccola pesca artigianale sono selettivi in quanto consentono di catturare solo specifiche specie bersaglio, della taglia desiderata. Questa caratteristica consente alla piccola pesca artigianale di minimizzare le catture accidentali e di ridurre al minimo gli scarti.

Pesca industriale o semi-industriale: In essa sono racchiuse tutte le flotte di imbarcazioni con lunghezza superiore ai 12 metri che operano anche oltre le 12 miglia da costa. In mar Adriatico in essa sono raggruppate diverse tecniche di pesca, le più praticate sono la pesca a strascico, a volante, a circuizione, a palangaro e a turbo-soffiante per le vongole. 


A queste tecniche va aggiunto l’esercizio di una grande pesca oceanica, molto impattante a livello ambientale, svolta da vere e proprie navi che spesso completano i processi di lavorazione già a bordo e che contribuisce a rifornire i mercati di quelle poche specie sovra sfruttate che risultano essere quelle maggiormente richieste dal consumatore. 


Nell’analisi e nell’individuazione di specie dotate di un differente approccio di sostenibilità rispetto a quelle comunemente consumate è giusto prediligere quelle provenienti dalla piccola pesca artigianale per un duplice motivo. In primo luogo, molte tecniche posseggono realmente un elevato coefficiente di sostenibilità. In secondo luogo, si possono considerare anche specie locali derivanti da stock con un trend in leggero calo, poiché sulle tecniche di pesca artigianale è relativamente più facile applicare misure di mitigazione e sostegno agli stock stessi.

Specie ittiche dell'Adriatico

Guida al consumo critico

🟢 Specie "Semaforo Verde"🟢

Nomi comuni: cozza, mitilo, muscolo, mòsciolo, peocio, pedolo

Biologia

Il Mytilus galloprovincialis è presente nel Mar Mediterraneo, Mar Nero, Oceano Atlantico, dalla Manica fino alle coste del Marocco. Vive in comunità molto numerose, generalmente nella zona infralitorale, dal limite superiore della zona intertidale fino a profondità di qualche metro, attaccato a materiali duri (rocce o pali) o a substrati relativamente mobili in sospensione (corde) ai quali aderisce per mezzo del bisso (Bandiera, 2006). La salinità di crescita è intorno al 28/34‰ (ottimale: 27/30‰) e l’optimum della temperatura è tra gli 8°C e i 25°C.  La conchiglia è nera - bluastra, bombata e di forma quasi triangolare e costituita da carbonato di calcio, che il mollusco estrae dall’acqua.

La fecondazione è esterna e i sessi sono separati e facilmente riconoscibili una volta aperto il mollusco, in quanto il maschio presenta una colorazione del mantello (la parte edibile) chiara, quasi pallida, mentre quella della femmina è giallo-aranciata.


Come viene pescato

In alto Adriatico il M. galloprovincialis si ritrova diffusamente in allevamenti in mare aperto, che utilizzano la tradizionale tecnica di accrescimento nelle cosiddette “reste”, retine di plastica posizionate in veri e propri campi sommersi. Le problematiche legate a questa attività sono diverse, in particolare dovute alle retine stesse, che con le mareggiate o spaccate dai morsi di animali, come ad esempio le tartarughe marine che provano a cibarsi del mollusco, finiscono per rompersi, degradarsi e diventare un pericoloso quanto abbondante rifiuto di plastica che opprime i nostri mari. Non ultimo, la qualità organolettica stessa del prodotto: infatti, essendo le cozze costrette in spazi molto ristretti all’interno delle retine, si trovano spesso a filtrare gli scarti metabolici degli esemplari vicini. 

Tuttavia, a Marina di Ravenna, esiste una produzione minore di cozze che derivano dai banchi selvatici che si formano spontaneamente sulle strutture off shore. Sul mercato si trova un prodotto che si distingue per le sue caratteristiche uniche: per il metodo di produzione, per l’habitat di accrescimento e per l’elevata sostenibilità dell’intero processo.  

La raccolta e la commercializzazione delle cozze è disciplinata dalla legge italiana (DPR n. 1639/1968), che fissa la taglia minima per M. galloprovincialis a 5 cm.

Quale scegliere

La peculiarità della cozza di piattaforma è che compie il suo ciclo di vita spontaneamente, senza plastica e senza intervento dell’uomo, nascendo da banchi naturali sommersi e crescendo ancorata sui substrati presenti al largo, scegliendo la posizione dove ancorarsi e dove trascorrere il suo ciclo vitale. Proprio la sua natura selvatica conferisce a tale prodotto caratteristiche organolettiche pregiatissime e uniche. La raccolta avviene per opera di un gruppo di pescatori subacquei che, ogni estate, tra aprile e settembre si immergono per raccogliere, esclusivamente a mano, gli esemplari di taglia adulta e destinarli alla vendita. Viene prelevato solo la quantità di prodotto richiesta dal mercato, in base a quote giornaliere fissate dalle cooperative stesse, evitando così un impoverimento dello stock presente sulle piattaforme e di mettere sul mercato un'offerta sovradimensionata rispetto alla richiesta.

Questa tecnica è stata analizzata durante il progetto PRIZEFISH per valutarne il potenziale di sostenibilità, con ottimi risultati. Le due cooperative di pesca che la praticano, hanno registrato un marchio collettivo a tutela del proprio lavoro, denominato “LA SELVAGGIA DI MARINA DI RAVENNA”. Di fatto, il consumatore, scegliendo la cozza contrassegnata da tale marchio, si ritroverà ad assaporare un prodotto che costituisce un unicum in Italia per le pregiatissime proprietà organolettiche e soprattutto per l’elevatissimo livello di sostenibilità della sua intera filiera. 

Warnings

Bisogna porre particolare attenzione alla stagionalità del M. galloprovincialis. Si tratta infatti di una specie particolarmente sensibile alle variazioni di temperatura e che si sviluppa solo nei mesi tra la tarda primavera e l’estate. Trovando in commercio una cozza nei mesi autunno-invernali, il consumatore si troverebbe sicuramente di fronte ad un prodotto decongelato, non fresco o tutt’altro che locale.

Nomi comuni: seppia comune

Biologia

La Sepia officinalis è una specie demersale particolarmente abbondante nelle acque costiere, sui fondali fangosi e sabbiosi e generalmente ricoperti di alghe e/o fanerogame, ma la possiamo in realtà ritrovare anche offshore, fino a profondità di 200 m (Relini et al, 1999; Jereb e Roper, 2005). È dotata di un corpo allungato triangolare, circondato da due pinne ondeggianti che favoriscono il movimento dell'animale. Presenta otto piccoli tentacoli che nascondono al centro un becco corneo simile a quello di un pappagallo e due tentacoli più lunghi con ventose solo all'apice, che vengono estroflessi con uno scatto velocissimo per catturare le prede.

Il colore è grigio-giallastro, solitamente zebrato, ma come tutti i cefalopodi più evoluti può cambiare colore (e anche consistenza della pelle) sia per fini emotivi, sia per fini predatori e difensivi.

Quando è in pericolo la seppia emana una nuvola d'inchiostro nero, che viene liberato da un'apposita sacca (situata fra le branchie) e disperso con l'ausilio d'un getto d'acqua emesso dal sifone, posto sotto gli occhi, per confondere il predatore e darsi così alla fuga. La dieta è composta da crostacei come granchi di cui è ghiotta, piccoli pesci e cefalopodi, tra cui anche suoi simili.

Come viene pescato

Si tratta di una risorsa ittica commerciale particolarmente importante in Mediterraneo e soprattutto in Alto Adriatico, dove viene pescata tutto l’anno con differenti tecniche ed attrezzi, come cogolli, tramagli, rapidi e strascichi, in base al periodo. All’inizio della primavera gli individui adulti si concentrano nelle acque costiere per riprodursi, dove diventano target della pesca coi cogolli, generalmente praticata dai piccoli pescatori artigianali e che si concentra nei mesi tra la fine di marzo e l’inizio di luglio (Manfrin Piccinetti & Giovanardi, 1984). Essendo, poi, il ciclo vitale della seppia lungo un anno, al massimo due e si conclude generalmente con l’evento riproduttivo, alla fine della stagione si assiste spesso ad una moria di massa degli esemplari adulti (Boletzky, 1983). 

In autunno i giovanili migrano verso le acque offshore più profonde, dove vengono catturati dagli strascichi e dai rapidi, sia come specie target che come by-catch, fino alla fine dell’inverno (Bettoso et al., 2016).

Negli ultimi anni la pesca della S. officinalis ha registrato un deciso calo. Al di là dei trend, il pescato delle seppie ha mostrato spesso fluttuazioni periodiche, che possono essere legate a diversi fattori, tra i quali, ad esempio, quelli ambientali, la cui influenza, positiva o negativa sull’abbondanza di una specie può agire sui diversi stadi di sviluppo, dalle uova agli adulti (Byrne, 2011). 

Quale scegliere

Lungo la costa Italiana dell’Alto Adriatico, in particolare in piccole marinerie come quella di Marina di Ravenna, Cervia, Bellaria, dove prevale la piccola pesca artigianale costiera, la pesca alla S. officinalis con i cogolli rappresenta una delle basi dell’economia della pesca locale. Questa tipologia di pesca, di per sé comporterebbe in generale un basso impatto, togliendo dallo stock individui adulti che sono comunque destinati a morire. Tuttavia, proprio lo sfruttamento del momento riproduttivo delle seppie influisce in modo rilevante sullo sviluppo embrionale all’interno delle uova, che rappresenta uno degli stadi più vulnerabili del ciclo vitale. Le femmine di S. officinalis, infatti, sfruttano le nasse per la deposizione delle uova, necessitando di un substrato idoneo a cui aggrapparle (Lazzarini et al., 2006). Dato, però, che gli attrezzi hanno bisogno di pulizia periodica, per garantirne l’efficienza, le uova deposte su di essi vengono generalmente distrutte. Infatti, anche se è stato vietato l’utilizzo di idropulitrici o altri mezzi che danneggino le uova, a tutt’oggi non sono stati proposti metodi alternativi per la loro rimozione. Anche un’ipotetica rimozione manuale delle stesse, sempre che fosse fattibile durante le normali operazioni di pesca, non garantirebbe un elevato tasso di schiusa delle uova che, se ributtate in mare, verrebbero trasportate facilmente a terra dalle onde, oppure rimarrebbero sepolte nella sabbia del fondale.

Per ovviare a questa problematica, nel corso degli anni, in Alto Adriatico, sono stati effettuate varie sperimentazioni, con lo scopo comune di offrire un substrato alternativo per la deposizione e di conseguenza diluire il carico di uova presenti sui cogolli. 

Nel 2020 CESTHA ha condotto una sperimentazione con fondi FEAMP, il progetto S.E.P.P.I.A., che ha portato alla creazione e registrazione di un marchio di qualità eco sostenibile “CUTTLEFISH RESPONSABLE FISHERY”, che prevede l’applicazione da parte dei piccoli pescatori artigianali di alcuni comportamenti virtuosi. Nello specifico, la posa di collettori di uova (sistemi di cime che ricreano praterie sommerse) intercalati ai propri attrezzi e il conferimento al centro CESTHA delle uova deposte comunque sui cogolli. La differenza con le sperimentazioni precedenti sta proprio nell’utilizzo di materiali naturali per la costruzione dei collettori e nel loro scarso ingombro, nonché facile utilizzo da parte dei pescatori stessi, che possono così utilizzare autonomamente questi sistemi e accorgimenti per garantire al proprio pescato l’utilizzo del marchio. Questi accorgimenti rendono la S. officinalis contrassegnata dal suddetto marchio, un prodotto perfettamente sostenibile che il consumatore dovrebbe preferire a quella pescata con altre metodologie. La replicazione di questa sperimentazione nelle lagune venete, sempre da parte di CESTHA, nel 2021, col progetto FEAMP SEPOline, ha rafforzato e diffuso lungo le coste italiane dell’Alto Adriatico l’utilizzo del marchio “CUTTLEFISH RESPONSABLE FISHERY”. In quest’ultimo caso, vista la peculiarità dei fondali e dell’area delle lagune, la sperimentazione è stata condotta utilizzando dei collettori di dimensioni molto ridotte rispetto a quelli utilizzati nel progetto S.E.P.P.I.A. intervallati a grosse fascine di rami di alloro: tutti materiali naturali su cui le seppie possono deporre le proprie uova.

Warnings

Attenzione alla stagione: la seppia comprata nei mesi autunno/invernali, sarà sicuramente una seppia non sostenibile, in quanto pescata con sistemi distruttivi maggiormente impattanti, come lo strascico, con la cattura di esemplari che non hanno ancora compiuto il proprio ciclo riproduttivo.

Nomi comuni: pannocchia, stracciavocc (Abruzzo), sparnocchia, spernocchia, scrificio (Campania); canocchia (Emilia-Romagna); balestrin, sigà de maa, sighea, çigařa (Liguria); panocchia o nochia (Marche), cecala, caraviedde (Puglia); cambara de fangu, solegianu de mari (Sardegna); astrea, stria, streusa, schirifizu (Sicilia), canocia (Veneto), Sgarrabocca (Civitavecchia, Lazio)

Biologia

La Squilla mantis è un crostaceo della famiglia degli Squillidae, che può raggiungere una lunghezza massima di 20 cm. È distribuito diffusamente nel Mediterraneo ma principalmente in Adriatico e anche nell’Atlantico Orientale fino all’Angola. Ha una corazza di colore bianco-grigiastra con riflessi rosati e con due caratteristiche macchie ovali bruno-violacee sulla coda simili a occhi, volti a ingannare il predatore e attrarlo laddove l’esoscheletro è maggiormente resistente. La forma è allungata. Vive ad una profondità che va dai 10 m ai 200 m sui fondi sabbiosi, fangosi costieri, spesso in prossimità della foce dei fiumi o dello sbocco dei canali. È un animale solitario, vive durante il giorno in gallerie scavate nel fondo e di notte esce alla ricerca di cibo o per la riproduzione. La femmina depone numerose uova durante la primavera.

Come viene pescato

Nell’alto Adriatico, la canocchia viene pescata tutto l’anno ma è più abbondante in autunno/inverno e dopo le mareggiate, che causano la distruzione delle tane. Arriva sul mercato prevalentemente dalla pesca a strascico e dalle reti da posta.

In alcune piccole marinerie, come ad esempio quella di Marina di Ravenna, la piccola pesca artigianale utilizza un metodo alternativo di pesca per le canocchie, ovvero le gabbiette. Si tratta di piccole trappole rigide, con all’interno un’esca costituita da pezzi di pesce, che vengono calate in serie sul fondale e recuperate dopo qualche ora. Un ingresso a forma di imbuto permette alla canocchia di entrare, ma non di uscire. La particolarità di questo sistema, che rappresenta di fatto il suo forte carattere di sostenibilità è che, vista la rigidità dell’attrezzo, il pescato non è in alcun modo danneggiato o schiacciato e quando il pescatore tira su la gabbietta, può tranquillamente rilasciare immediatamente gli individui sottotaglia e le specie by-catch, senza che essi abbiano subito alcun danno. All’interno del progetto Interreg ITA-CRO PRIZEFISH, il centro CESTHA ha avviato con successo un’ulteriore sperimentazione, che prevedeva una modifica del punto di ingresso delle gabbiette, allargandolo, permettendo così al sottotaglia e al by-catch di uscire autonomamente e far rimanere all’interno solo le canocchie adulte.

Quale scegliere

Nel caso della S. mantis, un consumo consapevole sarebbe quello che predilige il pescato con le gabbiette della piccola pesca artigianale, visto il suo forte carattere di sostenibilità.

Inoltre, è bene stare attenti alla taglia minima, che si attesta sui 15cm.

Warnings

La canocchia una volta pescata si deteriora molto velocemente, quindi il crostaceo dovrebbe essere acquistato freschissimo, e mantenuto in frigorifero ben sigillato in un sacchetto per non più di un giorno.

Highlights

Come gli altri crostacei, quali i gamberi, i granchi o l’aragosta, le pannocchie hanno una quantità di colesterolo più alta di altri tipi di pesce marino. Però i crostacei sono adatti a molti regimi dietetici, perché, dal punto di vista calorico, hanno un apporto piuttosto basso. Hanno anche una discreta dose di proteine e una buona quantità di acidi polinsaturi, oltre ad avere molte vitamine di tipo B. Avendo in genere una elevata quantità di iodio, non sono assolutamente da inserire nelle diete che prevedono un basso apporto di iodio. In compenso sono digeribili con facilità.

Nomi comuni: granchio reale, granchio azzurro, granchio blu

Biologia

Il Callinectes sapidus (Rathbun, 1896), comunemente conosciuto come granchio blu o granchio reale blu, è una specie aliena per il Mar Mediterraneo. Originario delle coste Atlantiche dell’America, oggi è massivamente presente tra le coste del Mediterraneo, in particolare in Adriatico non lontano dalle lagune ed estuari. Le prime segnalazioni in Mediterraneo risalgono al 1949 ma è da circa una decina di anni che il granchio blu ha cominciato a svilupparsi e diffondersi nelle nostre coste ed è oggi inclusa tra le 100 specie marine esotiche invasive del Mediterraneo.

Si tratta di una specie che vive in acque costiere, lagune ed estuari, su fondali sabbiosi o fangosi, fino a 35 m di profondità e presenta una fortissima tolleranza a variazioni molto ampie di salinità e temperatura.

Il carapace del granchio blu è largo circa il doppio della sua lunghezza, con due dentelli frontali triangolari e nove dentelli laterali, questi ultimi molto lunghi e appuntiti. Le sue dimensioni sono notevoli, fino a superare una larghezza di 23 cm nei maschi e 20 cm nelle femmine. Il colore generale è grigio, marrone o blu-verde, con le chele blu nei maschi e rosse nelle femmine. Il colore blu è dovuto a una caroteno-proteina, che in cottura si denatura, conferendo al granchio un colore rosso. Il C. sapidus è un predatore che si nutre di gasteropodi, bivalvi, crostacei e piccoli pesci.

La maturità sessuale viene raggiunta tra i 12 ei 18 mesi e si riproduce, ponendo le uova in mare, tra i mesi di aprile e settembre. Il numero di uova è compreso tra 700.000 e 2.100.000 a seconda delle dimensioni delle femmine e la schiusa avviene in acque con salinità maggiore di 20 ‰.

I predatori del granchio blu sono le tartarughe marine e probabilmente anche uccelli, cefalopodi e pesci. 

Il granchio blu viene pescato e consumato in grandi quantità, principalmente negli Stati Uniti e in Messico, dove il suo valore commerciale è molto alto, grazie al pregio culinario delle sue carni. 


Come viene pescato

Questo granchio è pescato oltreoceano a livello industriale, con pescherecci dedicati proprio alla cattura di queto crostaceo. Lungo le coste italiane, fino a pochi anni fa, il C. sapidus non veniva pescato a livello professionale, se non con qualche cattura accidentale in reti a strascico, da posta e nei cogolli per la pesca alla seppia. Il grosso delle catture avveniva per lo più per mano dei piccoli pescatori amatoriali, con l’uso di nasse di svariata forma (con pezzi di sarda o altro pesce come esca) o di semplici retini e torce, usate come lampara per vederli di notte in acque basse e catturarli direttamente. 

Negli ultimi tempi, però, vista la sua aumentata abbondanza, questo crostaceo inizia a destare un certo interesse commerciale e in alcune zone d’Italia sta diventando target di pesca, grazie all’utilizzo di nasse rigide, costituite da reticolati di filo metallico posti attorno ad uno scheletro di legno o di metallo, a formare una gabbia di forma cubica con due entrate. Si tratta ancora però di una piccola pesca artigianale limitata ad alcune piccole realtà locali.


Quale scegliere

Dal punto di vista ecologico l’arrivo e l’acclimazione del granchio blu nelle nostre acque potrebbe rappresentare un danno e una minaccia, la cui entità sarà misurabile solo nel prossimo futuro. Tuttavia, trattandosi di un granchio dai tipici tratti delle specie invasive, che già si riproduce in loco, non potrà essere estirpato. È quindi opportuno adottare ogni mezzo per contenerne l’eccessiva diffusione e uno di questi è proprio la pesca per il consumo, trasformando una minaccia in un’opportunità.

Fino ad ora la limitata disponibilità di questa risorsa non ha giustificato lo sviluppo e la crescita di una pesca dedicata, come nelle realtà geografiche di cui è endemica, ma rimane una specie accessoria di altri tipi di pesca (by-catch). Non si esclude, tuttavia, che un ulteriore incremento delle popolazioni di C. sapidus potrebbe portare all’espansione di un nuovo tipo di pesca, mirata alla cattura del granchio blu, che potrebbe contribuire a mitigare la sempre più evidente crisi della pesca, con evidente ritorno economico, visto anche il valore medio-alto riscontrato in sede di commercializzazione.

Nomi comuni: granchio comune, granchio carcino, granchio verde, granchio da moleca

Biologia

Il Carcinus aestuarii (Nardo, 1847), anche conosciuto come granchio verde, granchio comune o granchio da moleca è il tipico granchio che vive in prossimità dei litorali, nativo del Mar Mediterraneo e facilmente reperibile in tutta Italia. Il carapace del granchio verde mediterraneo è piuttosto arrotondato, di un colore prevalentemente grigiastro-verde, con il bordo dentellato; è più largo che lungo e quasi trapezoidale, misura un massimo di 6,5 cm di lunghezza e 8 cm di larghezza, con i maschi che sono più grandi delle femmine.

Il granchio verde mediterraneo vive principalmente nelle lagune costiere, ama le sabbie fangose ​​e riesce a sopravvivere a grandi sbalzi di salinità. Si allontana raramente dalla costa, tranne che nel periodo invernale e raramente lo si trova al sotto dei 20m.

Caratteristica di questa specie è la migrazione delle femmine dalle lagune verso il mare per la schiusa delle uova, che si verifica di norma da maggio a novembre. Gli esemplari femminili con le uova vengono catturati e commercializzati con il nome dialettale veneto di mazenete, ingrediente tipico di ricette locali rinomate.

Come si pesca

Questo crostaceo arriva sui banchi del mercato dalle reti a strascico o dalla piccola pesca artigianale, che li cattura tramite nasse o con le reti da posta.

Nelle lagune di Caorle e Venezia è inoltre sopravvissuta una tradizione unica al mondo, la molechicoltura, che rappresenta una sorta di commistione fra l’allevamento lo sfruttamento delle risorse selvatiche. La moleca o moeca è lo stadio del granchio durante la muta quando, riassorbita la chitina dell’esoscheletro, diventa molle, diventando dunque edibile e acquistando un elevato valore commerciale. I moecanti hanno imparato a riconoscere i segnali che precedono la fase di muta e accrescimento di questo crostaceo. Calano così sui fondali bassi la “trezza”, una rete alle cui estremità si attaccato le nasse, delle trappole cilindriche composte da reti metalliche che intrappolano e bloccano i granchi. Questa attività si concentra in due periodi: fine gennaio-maggio (quando mutano sia i maschi che le femmine) e fine settembre-novembre (quando mutano solo i maschi, in quanto le femmine portano le uova). Una volta ritirate le reti e raccolti i granchi viene fatta un’accurata cernita che solo i moecanti esperti sono in grado di effettuare: una volta catturati i granchi, infatti, i pescatori li dividono in “boni” (che entro tre settimane muteranno diventando moeche), “spiàntani” (che muteranno entro pochi giorni), “matti” (che non muteranno) e “mazanette” (femmine con uova, anch’esse di interesse commerciale). (Fortibuoni et al., 2009; Pellizzato, 2011). Il mestiere del moecante resta esclusivo appannaggio di parte dei pescatori seragianti (pesca tradizionale con reti fisse tipica delle lagune nord adriatiche) e tramandato unicamente alle nuove leve del settore.


Quale scegliere

Come per tutti i prodotti del pescato, sarebbe meglio scegliere quelli derivanti da tipologie di pesca più possibile selettive e sostenibili, evitando quindi, ad esempio, il prodotto dello strascico. Nel caso del granchio verde, che non essendo un prodotto particolarmente conosciuto dal consumatore non ha molto mercato e gli stock risultano in buono stato, si può ad esempio acquistare quello proveniente dalle nasse e reti da posta della piccola pesca artigianale, o apprezzare le moeche, derivanti da una tradizione secolare locale.

Nomi comuni: Capozzo (Marche); Mugella, baldigara (Marche); Carida, musson (Liguria); ciefl, garzalongo (Puglia); muggine (Toscana); mulettu (Sicilia); zievolo, cavolo, botolo, siègul, siegolo (Veneto e Friuli-Venezia-Giulia); cieul, vulpine (Friuli-Venezia-Giulia); Pisch'e ponti, Pisc'e iscatta, Lissa, Mugheddu (Sardegna).

Biologia

Il Mugil cephalus (cefalo comune o muggine) e la Liza aurata (lotregano o cefalo dorato) sono due specie di cefalo appartenenti alla famiglia dei Mugilidae, con un ampio areale di distrubuzione, comprendendo tutta la fascia circumtropicale e sicuramente molto diffuso in Mediterraneo e sono le due specie di cefalo più comuni e più pescate in alto Adriatico.

Il M. cephalus è una specie eurialina, in grado di sopportare ampie variazioni di salinità, tanto che si ritrova regolarmente in acque marine, dolci o salmastre. È in grado di vivere anche in ambienti inquinati e si trova frequentemente all'interno dei porti. Vive in banchi, abitudine propria soprattutto degli esemplari più giovani e apprezza sia fondi duri che mobili.

Si presenta con un corpo quasi cilindrico con grandi squame; il colore è grigio-azzurro superiormente, biancastro sul ventre con striature nere. Si riconosce facilmente dagli altri Mugilidae a causa della testa larga e massiccia. Le sue dimensioni massime sono di 100 cm di lunghezza per circa 4,5 kg di peso. 

Si nutre di ogni tipo di invertebrato bentonico ed anche di materiale organico in decomposizione. 

La maturità sessuale viene raggiunta nelle acque interne al secondo anno di età dai maschi (30 cm) ed al terzo dalle femmine (35 cm), seguita dal ritorno al mare. Il periodo riproduttivo, in Adriatico, va da luglio a settembre. L’accoppiamento avviene in gruppi composti solitamente da 1 femmina e 3-5 maschi; le uova fecondate, direttamente nella colonna d’acqua, vengono poi trasportate dalle correnti in quanto provviste di una goccia oleosa che ne facilita il galleggiamento.

La L. aurata è molto simile al M. cephalus, sia per biologia che per morfologia, ma ha una testa più piccola e stretta, il labbro superiore sottile e una larga macchia dorata molto evidente sull'opercolo. Si nutre sul fondo aspirando sedimenti e alghe incrostanti dal fondo e dagli scogli, nonché detrito e piccoli invertebrati bentonici. È una specie catadroma come il M. cephalus, cioè scende verso il mare per riprodursi, tra settembre e dicembre.

Come viene pescato

Entrambe le specie di cefali sono soggette alla pesca sportiva, con ami o fucili subacquei in apnea. Nelle lagune Venete vengono ancora oggi pescate con la trata, una grande rete lunga anche 40 metri, che si immerge nei canali delle valli e viene poi tirata verso terra per raccogliere i pesci. 

Per quanto riguarda il mare invece e di fatto i cefali che si trovano sul mercato, vengono pescati principalmente dalle reti da posta e più raramente dalla pesca a volante.

Quale scegliere

Trattandosi di una specie molto comune e con gli stock in buono stato, il consumo può essere effettuato senza grosse limitazioni. Anzi, andrebbe valorizzato, trattandosi di un cosiddetto “pesce povero”, dal costo contenuto ma buona qualità della carne. È comunque sempre buona norma prediligere il prodotto locale.

Warnings

È buona norma prestare particolare attenzione alla taglia minima commercializzabile, che si attesta intorno ai 30/35 cm per maschi e femmine.

Highlights

Il cefalo è un buon pesce che si adatta a svariate preparazioni. Le sue carni sono gustose, sode e digeribili e contiene una buona quantità di Omega 3, ma anche di sali minerali come fosforo, magnesio, calcio e vitamina B6; ha pochi grassi e molte proteine. Gli esemplari migliori e più saporiti sono quelli più piccoli (sui 30/35 cm), poiché con l’aumentare delle dimensioni la carne si fa più grassa e tende ad assumere, nei pesci catturati in acque salmastre, un sapore "di laguna" che può risultare sgradevole. Vista la sua abbondanza nelle acque costiere italiane il cefalo è venduto a prezzi bassi, ma questo non è assolutamente un sintomo di scarsa qualità. È uno dei pesci che più di frequente vengono pescati ed allevati nelle lagune costiere e nelle valli di pesca. Con le sue uova si prepara la bottarga di muggine. Tra le due specie, la L. aurata ha carni più pregiate, poiché tende a stazionare in acque meno inquinate rispetto al M. cephalus.

La Rapana venosa è un mollusco della famiglia dei Muricidae. È comunemente nota come rapana ed è una specie originaria del Mar del Giappone, dove viene ampiamente sfruttata ed apprezzata come risorsa alimentare per la qualità delle sue carni.

Il primo rinvenimento in Mar Mediterraneo è nell’alto Adriatico (Ravennate) nel 1973 (Ghisotti, 1974). Si ritiene poco probabile la penetrazione spontanea di R. venosa in Mediterraneo, mentre è ipotizzabile il legame con i traffici marittimi attraverso il Canale di Suez, almeno fino al Ravennate.

Presenta una conchiglia robusta e di grosse dimensioni formata da 5 giri, l’ultimo dei quali comprende circa i ¾ dell’altezza totale, dotato di ampia apertura, con peristoma di colore arancio intenso e un grande opercolo corneo di colore scuro. Numerose strie spirali su tutta la superficie della conchiglia, generalmente di colore grigio o marrone più o meno chiaro. Dimensioni medie: altezza 115 mm, larghezza 90 mm (può arrivare a 180 mm nei luoghi di origine).

In Adriatico si trova a profondità comprese tra 10 e 20 m. Possiede elevato tasso riproduttivo, rapido accrescimento e grande capacità di adattamento (in particolare a variazioni di temperatura e salinità), caratteristiche tipiche di una specie ad ampia valenza ecologica. È un vorace predatore di bivalvi, di cui non perfora le valve, ma le allarga abbastanza da inserire dentro la proboscide per nutrirsene. La preoccupazione principale è sempre stata per gli allevamenti di mitili e ostriche, che in realtà non sono in pericolo poiché sospesi dal fondale dalle retine.

Come viene pescato

Attualmente in Turchia, in Bulgaria e più recentemente in Romania, la rapana è diventata una risorsa che viene raccolta, trasformata ed esportata prevalentemente verso la Corea del Sud e il Giappone. La produzione di rapana in Europa ammontava a 13.000 tonnellate nel 2017. La pesca è gestita con sistemi di quote, al fine di limitare l’espansione della specie e mantenere le attività commerciali a essa connesse. La rapana è ormai diffusa pericolosamente anche in Italia, ma qui non viene sfruttata a livello commerciale, anche se inizia ad apparire in alcuni mercati romagnoli. Attualmente questo mollusco non è target di pesca e viene prelevato solo come by-catch da reti a strascico e, più raramente, dalle nasse. 

Quale scegliere

Vista l’origine esotica della rapana e i suoi tipici tratti di invasività, il consumo di questo mollusco può rappresentare un efficace metodo di contenimento della specie. Prediligendo il consumo di prodotto locale, inoltre, si possono valorizzare le realtà marinare locali. 

Highlights

Oltre ad avere carni molto pregiate e gustose, la scarsa conoscenza gastronomica di questo mollusco da parte del consumatore, lo fanno risultare un prodotto dal costo molto contenuto.

Nomi comuni: pesce serra, pesce limone

Biologia

Il Pomatomus saltatrix (Linnaeus, 1766), comunemente conosciuto come pesce serra, è un pesce osseo della famiglia Pomatomidae. Presenta un corpo slanciato, due pinne dorsali, la prima corta e di piccole dimensioni, la seconda più alta e la pinna caudale è forcuta. Il colore della livrea è grigio argenteo sul dorso mentre è più chiaro su fianchi e ventre ed è presente una macchia nera alla base della pinna pettorale. Un individuo adulto può raggiunge più di un metro di lunghezza per oltre 10 kg di peso. È a tutti gli effetti un predatore, si nutre esclusivamente di pesci e cefalopodi e le sue prede preferenziali sono i cefali. Si riproduce tra maggio e settembre con uova pelagiche (Villegas-Hernàndez et al., 2015) e vive comunemente nella colonna d’acqua tra la superficie e i 200 m di profondità. È una specie cosmopolita di acque tropicali e subtropicali ed è distribuita in tutto il Mediterraneo. Negli ultimi anni è aumentata la sua abbondanza anche nel Mar Adriatico probabilmente a causa del riscaldamento delle acque (Sebatés et al., 2012).

Come viene pescato

Il P. saltatrix è una specie amata dai pescatori sportivi a causa della resistenza che oppone alla cattura e viene pescato con tecniche a traina o a spinning. Un altro metodo comune di pesca è con la tecnica della teleferica con le esche vive, innescando piccoli pesci esca, come aguglie, mormore o cefali, con un terminale con gli ultimi centimetri di cavo d'acciaio e terminante con un amo di grandezza variabile secondo la grandezza degli individui che si vogliono pescare.

Per quanto riguarda la pesca professionale, è raro trovarli nelle reti dei pescherecci. Nel Mare Adriatico, con la pesca a strascico non ne vengono catturati più di due o tre individui per barca mentre per le reti da posta o a volante è un po' più comune, arrivando a fare qualche cassetta per pescata. Si tratta comunque di numeri molto esigui e non è comunque di solito specie target di pesca.

Quale scegliere

Gli individui presenti sul mercato arrivano indifferentemente sia da strascico che da reti da posta. Nonostante in termini generali queste due tipologie di pesca non hanno un elevato potenziale di sostenibilità, il consumatore può tranquillamente considerare il pesce serra un prodotto sostenibile, in quanto la sua pesca, sia professionale che non, non impatta sensibilmente sugli stock. 

Warnings

Questa specie si trova tutto l’anno sul mercato, ma per un consumo ancora più sostenibile, andrebbe acquistato tra ottobre e febbraio, al di fuori del suo periodo riproduttivo.

Highlights

In Italia si impiega relativamente poco in cucina, a differenza della Turchia e della Grecia dove è apprezzatissimo. Le sue carni, infatti, sono particolarmente buone se fresche. Viene comunemente consumato anche crudo, come tartare, previo abbattimento. È ad alto contenuto di proteine e contiene anche retinolo, vitamina A e B12 e omega 3.

Biologia

La Lichia amia (Linnaeus, 1766), o leccia, è un pesce osseo carangiforme che vive in acque tropicali e subtropicali. Molto spesso si avventura nelle acque salmastre per cacciare i cefali, spingendosi fin dentro le foci dei fiumi e delle acque portuali. La leccia presenta un corpo compresso lateralmente con la testa più piccola rispetto al resto della figura. Le pinne pettorali sono abbastanza piccole, mentre la dorsale e l’anale sono opposte e uguali l’una all’altra. La livrea è grigio-argentea sul dorso e bianca sui fianchi, le pinne sono invece più scure. Può raggiungere grandi dimensioni, fino ai 2 metri. La riproduzione avviene nel periodo di primavera-estate in acque costiere e le uova sono pelagiche. La leccia è tipica di tutto il Mar Mediterraneo e negli ultimi anni viene ritrovata anche nelle acque adriatiche.

Come viene pescato

La leccia è una specie amata dai pescatori sportivi, viene pescata con la tecnica della traina con le esche vive e con lo spinning. Non è una cattura facile perché difficilmente si lascia confondere dalle esche artificiali. Viene inoltre catturata dai pescatori amatoriali in apnea, con fucili subacquei. 

La leccia non costituisce una specie target della pesca professionale. Generalmente la sua cattura sporadica è un by-catch delle reti da posta o pesca a volante.


Quale scegliere

Nel mercato ittico si possono trovare individui proveniente da reti da posta o da volante. Nonostante in termini generali queste due tipologie di pesca non hanno un elevato potenziale di sostenibilità, il consumatore può tranquillamente considerare la leccia un prodotto sostenibile, in quanto la sua pesca, sia professionale che non, non impatta sensibilmente sugli stock.

Highlights

La sua carne è molto saporita e dal costo tendenzialmente ridotto. Il suo sapore delicato è molto simile a quello della più pregiata ricciola.

🟢 "Pesce povero"

Come già nominati in precedenza, una menzione speciale va fatta ai cosiddetti “pesci poveri”.

Il pesce povero si è meritato questo appellativo non perché non sia ricco di proprietà (anzi). L’origine di questo termine è dovuta al fatto che i pescatori andavano in giro a rivendere le rimanenze di pesce nei rioni delle città di mare, per sbarazzarsi di quei pesci che non erano riusciti a vendere durante il mercato. Casse intere di pesce che non voleva nessuno, per un semplice motivo di convenienza. Ci sono, infatti, pesci magri, strutturati, con carni stabili, che vengono considerati pesce principe. Una volta acquistati, si mantengono bene in frigo anche due, tre giorni senza rovinarsi. Non sono necessariamente più buoni, ma sicuramente più facili da gestire. Il pesce povero invece è più delicato da gestire e sicuramente si conserva molto meno rispetto al pesce principe, ma dal punto di vista nutrizionale è pregiatissimo. È estremamente ricco di omega 3, i cosiddetti “grassi buoni”, che sono proprio i primi ad ossidarsi e quindi deteriorarsi e di Vitamina D, una vitamina che si concentra e viene resa più biodisponibile dall’olio di pesce.

Un altro pregio del pesce povero è quello di essere sostenibile e a basso impatto ambientale, proprio perché scegliere pesci meno conosciuti ma altrettanto saporiti rispetto ai classici tonno, salmone o pesce spada, allevia la pressione di pesca su queste specie più ricercate e garantisce il mantenimento della biodiversità di tutte le specie ittiche dei nostri mari, permettendo alle specie troppo sfruttate dalla pesca di riprodursi più facilmente. Inoltre, fruendo di un pescato stagionale locale, che oltre a valorizzare le piccole realtà marinare locali elimina i costi di importazione ed essendo ritenuti di minore valore commerciale, i pesci poveri risultano essere meno costosi. 

Tra le varie specie, alcune di seguito, molto comuni in alto Adriatico.


🟢 TRACHURUS TRACHURUS – SURO o SUGHERELLO 🟢

Nomi comuni: Suello (Liguria); Sauro, Savarello, Savaro (Campania); Sauru, Sauru jancu, Sauru lisciu(Sicilia); Surello (Sardegna).

Il Suro o Sugherello è un pesce osseo della famiglia dei carangidi. È un vorace predatore ed è molto comune nelle acque costiere, dove si aggrega in colonie di grandi dimensioni. Gli esemplari giovani si trovano spesso sotto il cappello di grandi meduse, come la Rhizostoma pulmo o la Cotylorhiza tubercolata, dove trovano protezione.

Nel sud Italia il suro viene frequentemente pescato con piccoli palangari o con la rete a circuizione. In alto Adriatico, invece, arriva sul mercato prevalentemente dalle volanti o dalle reti da posta per quel che riguarda la piccola pesca artigianale. 

In entrambi i casi, la sua si può considerare una pesca sostenibile, ma come sempre, è bene preferire il prodotto locale.


🟢 SPRATTUS SPRATTUS - SARAGHINA o PAPALINA 🟢

Nomi comuni: alaccia, papalina, renga, spratto, saraghina

La saraghina, conosciuta anche come papalina perché in tempi antichi era pescata solo di fronte ai possedimenti pontifici dell’alto Adriatico, è un pesce sconosciuto ai più, ma molto noto in Romagna. Per molto tempo poco venduta e difficilmente reperibile in commercio, poiché le veniva preferita la Sardina, simile e più conosciuta, oggi è uno dei simboli della gastronomia della costa romagnola, dove è spesso presente anche nelle sagre di paese.

È un pesce molto frequente in molti mari della fascia temperata, tra cui l’Adriatico, si riunisce in grandi branchi e se ne sta quasi sempre al largo ma può avvicinarsi occasionalmente a riva e penetrare nelle lagune salmastre. In Mediterraneo si riproduce in inverno e le sue carni risultano essere più pregiate durante i mesi primaverili-estivi.

Così come la sardina, la saraghina arriva sul mercato prevalentemente dalla pesca a volante e può essere considerata una specie sostenibile, che anzi andrebbe valorizzata, rappresentando una tradizione locale molto importante. 


🟢 DIPLODUS SPP. - SARAGO 🟢

I saraghi sono pesci ossei appartenenti alla famiglia degli Sparidi. In Adriatico sono presenti 4 specie di sarago: Maggiore (Diplodus sargus), Pizzuto (Diplodus puntazzo), Fasciato (Diplodus vulgaris), Sparaglione (Diplodus annularis). Le differenze fra queste specie sono molto evidenti, e a parte riguardare gli habitat e l’alimentazione, riguardano le livree e le dimensioni. Per il consumatore, il sarago più pregiato è il sarago maggiore, oggi quasi scomparso; poco apprezzati sono il pizzuto e lo sparaglione, il primo per il gusto il secondo per la taglia (piccola). Un sarago fresco ha il corpo lucido di colore argento vivo, è molto rigido a volte curvo, branchie rosso porpora, occhi turgidi e trasparenti, scaglie (squame) ben pettinate e saldamente attaccate alla pelle.

Le carni del sarago contengono il 5-6% di grassi pertanto vengono considerate semigrasse. È ricco di sali minerali che lo rendono un alimento adatto nelle diete ricostituenti per adolescenti, sportivi, convalescenti e anziani.

Tutte e quattro le specie vengono catturate dai pescatori sportivi, con ami e lenze, che dalla pesca artigianale con le reti da posta, ma di questi saraghi, gli unici due che hanno carni ottime da mangiare sono il sarago fasciato e il sarago maggiore.

Quando si acquistano, dunque, oltre a privilegiare come sempre il prodotto locale, è bene stare attenti a cosa si acquista, dato che spesso, ad esempio, il sarago pizzuto viene spacciato per le due specie più pregiate, ma in realtà le sue carni sono scarsamente saporite.


🟢 LITHOGNATHUS MORMYRUS – MORMORA 🟢

Nomi comuni: Gaiulu, Ajula, Gasciulo (Calabria); marmolo, mirmora (Campania); barbacane (Romagna); mormoro, rigattino (Marche); Marmarozza, Marmora (Lazio); Pagai, Mormua, Murmua (Liguria); Cascioli, Vosciele, Guscio (Puglia); Mumungioni (Sardegna); Gaiulu, Ajula (Sicilia)

La mormora è un pesce osseo di acqua salata appartenente alla famiglia degli Sparidi. Ha una diffusione molto ampia: infatti, potendo sopravvivere a varie profondità, popola sia i mari che gli oceani e predilige i fondali fangosi e sabbiosi, dove scova i piccoli molluschi e anellidi di cui si nutre. 

La mormora è molto conosciuta dai pescatori sportivi, che la catturano con la tecnica del surfcasting, innescando l’amo con i molluschi di cui si nutre, ma arriva poi prevalentemente sul mercato dalle reti da posta dei pescatori locali. 

Le carni della Mormora non sono soltanto gustose: forniscono anche un elevato apporto proteico e contengono un’importante percentuale di ferro, calcio, potassio e fosforo. Per il suo basso contenuto di carboidrati e grassi, la Mormora è particolarmente indicata nelle diete ipocaloriche.


🟢🟡 MULLUS BARBATUS e MULLUS SURMULETUS - TRIGLIA 🟢🟡

Nomi comuni: 

La triglia è un pesce osseo marino appartenente alla famiglia delle Mullidae caratterizzata con un caratteristico colore rossastro. In alto Adriatico sono presenti due specie.

Il Mullus surmuletus, o triglia di scoglio, popola fondali rocciosi e anche sabbiosi o coperti da vegetali, ma nelle vicinanze comunque di substrati duri, sempre a basse profondità, i giovanili vivono in mare aperto. Gli adulti sono gregari e si muovono in branchetti, cercando continuamente il cibo sul fondo per mezzo dei barbigli. 

Il Mullus barbatus, o triglia di fango, invece, frequenta fondi sabbiosi e fangosi a profondità comprese tra pochi centimetri e alcune centinaia di metri. 

Entrambe le specie sono molto apprezzate per le loro carni magre, nutrienti e altamente digeribili, con elevati quantitativi di zinco, selenio, ferro e fosforo, nonché buona fonte di vitamina A e vitamine del gruppo B.

La triglia è sempre molto presente sul mercato e vi arriva principalmente dalle reti da posta (soprattutto la triglia di scoglio) e dallo strascico.

Probabilmente la triglia non può essere strettamente considerata un pesce povero, ma il suo consumo è ormai ben radicato nella cultura e nelle tradizioni dell’alto Adriatico. Sicuramente è sempre bene privilegiare il consumo di prodotto locale ed eventualmente privilegiare la triglia proveniente dalle reti da posta della piccola pesca artigianale, in quanto, oltre a esaltare le piccole realtà marinare, presentano maggiori caratteri di selettività rispetto alla pesca a strascico.


🟢 CRANGON CRANGON - SCHILLA 🟢

La schilla è un gambero della famiglia Crangonidae, presenta tipica colorazione grigio-bruna, con fitta e sottile maculatura a puntini neri. Può raggiungere la lunghezza di 9 cm anche se la taglia media si aggira sui 3-5 cm.

È una specie marina costiera tipica dei fondali sabbiosi che penetra in tutto il bacino lagunare, sia sui fondali aperti che sulle praterie di fanerogame, spingendosi fino alle acque salmastre delle valli, dove assume spesso colorazioni più scure. 

La pesca di questo crostaceo, come di tutta la fauna ittica lagunare, affonda le sue radici ai tempi remoti risalenti all’epoca della fondazione dei primi insediamenti in laguna. Attualmente la pesca viene effettuata in vari modi, tutti derivante da antiche tradizioni. In area costiera si effettua con un’apposita rete a strascico chiamata schiler. In laguna questi crostacei vengono catturati invece con reti da posta chiamate traturi. Infine, in laguna la pesca sportiva di questa specie viene praticata anche con un particolare retino a mano, dalla forma triangolare, dotata di un ampio sacchetto a maglia stretta, che viene spinto camminando sul basso fondale, chiamato paravanti. Il prodotto viene commercializzato ancora vivo e vitale dentro apposite cassette di polistirolo o materiale plastico, refrigerato con scaglie di ghiaccio ed è reperibile direttamente presso i pescatori o presso i rivenditori al dettaglio in tutti i mercati ittici della provincia di Venezia, ed in quantità maggiori da ottobre a marzo.

La sua pesca rappresenta un’antica tradizione locale, che oltre a dover essere mantenuta per mantenere viva la storia della laguna veneta e dei suoi pescatori, non intacca da sola lo stock della specie. Il suo consumo si può quindi considerare sostenibile e anzi andrebbe valorizzato come prodotto locale.


🟡 Specie "Semaforo Giallo"🟡

Nomi comuni: Lumachina di mare, maruzzalla, bombetto, bomboletto, lumachino, nassa, tombolino

Biologia

La Tritia mutabilis (Linnaeus, 1758), o “lumachino bombolino”, è un mollusco gasteropode, sottoclasse Prosobranchi. Presenta una conchiglia allungata, liscia e di piccole dimensioni, che può raggiungere l’altezza di 38 mm e il diametro di 23 mm, tuttavia in Adriatico, da cui proviene la maggior parte della produzione nazionale, le taglie di maggiore frequenza sono comprese tra 17 e 25 mm. Il colore è giallo-brunastro, con dei disegni bruni somiglianti a fiammelle. Si tratta di una specie comune in tutto il mediterraneo, che predilige fondali sabbiosi-fangosi fino ai 20 metri di profondità.

La lumachina di mare ha sessi separati e si riproduce nel periodo compreso tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera. La fecondazione è interna e le uova sferoidali sono racchiuse all’interno di capsule ovigere sessili, che si attaccano a substrati solidi come rami sommersi, conchiglie, pietre, attrezzi da posta, unite l’una all’altra a formare agglomerati di consistenza spugnosa. 


Come viene pescato

Il bombolino è un prodotto della piccola pesca di estrema rilevanza commerciale nell’Adriatico Centro-settentrionale, soprattutto in Emilia – Romagna, Marche, Abruzzo e Molise. Inizialmente la pesca di questa specie veniva praticata tramite l’uso di reti da traino, in particolare la “sfogliara” e delle comuni nasse da seppia, ma, a partire dal 1960, è stata introdotta una nassa specifica per la pesca del lumachino di mare, detta nassino o cestino per lumachini. I nassini sono trappole di forma troncoconica, che poggiano stabilmente sul fondo con la base maggiore (diametro di circa 42 cm), mentre l’apertura d’ingresso per le prede, attirate da un’esca costituita da sarda morta, è rappresentata dalla base superiore più piccola (circa 21 cm); un tempo venivano realizzati in vimini, mentre ora sono costituiti da un’impalcatura in tondino di ferro o acciaio, sulla quale viene montata ben tesa una rete con maglie di apertura molto piccola (in genere 18 mm). La rete, in poliammide o poliestere, viene montata sulle pareti laterali oblique con la superficie liscia verso l’interno del nassino, per rendere difficoltosa la fuoriuscita degli esemplari e con la superficie ruvida verso l’esterno per facilitarne invece l’ingresso. Questo tipo di piccola pesca è una pesca stagionale, che ha luogo dall’inizio dell’autunno alla fine della primavera, con una certa discontinuità nel periodo che va dalla fine dell’inverno all’inizio della primavera, in coincidenza con la stagione riproduttiva. In questo periodo, le lumachine entrano all’interno dei nassini anche per riprodursi, come testimonia la presenza di un elevato numero di capsule ovigere sulle pareti laterali degli attrezzi e, secondo i pescatori, è proprio in questo periodo che il prodotto raggiunge il livello qualitativo più elevato.

La pesca di questa specie è regolamentata dalla normativa D.M. 30/11/1996, che impedisce la cattura di individui al di sotto dei 20 mm di taglia per preservare i giovanili e vieta la pesca con i rapidi o “sfogliare” (Fabi e Grati, 2004). Già a partire dal 1984 si assiste a una diminuzione del numero di esemplari di T. mutabilis e ad una riduzione del suo areale di distribuzione, in concomitanza ad una maggiore diffusione di altre specie che occupano la stessa nicchia ecologica, ma che sono molto meno pregiate dal punto di vista commerciale (in particolare la specie antagonista Tritia reticulata, nota anche come “falso lumachino”). Attualmente il numero dei pescatori che si dedicano a questo tipo di piccola pesca è aumentato notevolmente e, anche se non è possibile conoscerne esattamente il numero, in quanto non esiste una licenza specifica, da indagini svolte presso le organizzazioni cooperative se ne stimano molte centinaia. A questo proposito non è da escludere che il notevole calo della risorsa, riscontrato negli ultimi anni, possa essere dovuto ad un eccessivo prelievo e ad una scorretta gestione che hanno modificato gli equilibri tra specie nella comunità biologica (Balducci G.M. et al., 2005). Infatti, nonostante T. mutabilis sia l’unica specie target, le catture includono quantitativi sempre maggiori di T. reticulata e negli ultimi anni, l’incremento dello sforzo di pesca e la sistematica re-immissione in mare di T. reticulata, sembrano aver provocato un impoverimento dello stock di T. mutabilis e un aumento della specie antagonista (Fabi e Grati, 2004). Dal 1984 al 1997, gli indici di abbondanza tra T. mutabilis e T. reticulata si sono addirittura invertiti (Bongiovanni, 2011). 

Quale scegliere

Prodotto locale e di stagione per valorizzare la pesca 

Highlights

Le lumachine di mare possono essere commercializzate solo se vive e vitali e devono provenire da zone di mare classificate secondo quanto previsto dal Regolamento 854/2004/ CE, come per i Molluschi Bivalvi. Per verificare lo stato del prodotto al momento dell’acquisto è possibile ricorrere alla stimolazione diretta del mollusco: se la lumachina è viva il piede muscoloso dell’animale reagirà allo stimolo meccanico, ritraendosi. Le carni della lumachina di mare sono povere di grassi e carboidrati, ma hanno un alto tenore di proteine, sodio, calcio, potassio, fosforo e vitamina E.

Nomi comuni: vongola lupino, vongola comune, vongola gallina

Lupino (Campania); Liberazza, Bibarazza, Poverazza (Friuli-Venezia-Giulia); Cappola, Poveraccia, Porrazza, Concola (Marche); Noce de mar, Cocciola (Puglia); Cocciula lisa (Sardegna); Cuppe, Cocciula (Sicilia); Pietruzza, Cappa gallina (Toscana); Poverassa, Bevarassa, Biberassa, Peverazza (Veneto).

Biologia

La conchiglia è equivalve e ricoperta da evidenti costolature concentriche. Il colore è bruno biancastro o grigio, con macchie e strie bianche, brune o violette.

La stagione riproduttiva di Chamelea gallina è approssimativamente tra aprile e ottobre con 1-2 picchi (Froglia, 1975a-b; Casali, 1984; Valli et al, 1985; Keller et al, 2002). L’inizio della maturità sessuale si ha quando gli individui raggiungono i 13-15mm (Marano et al., 1982; Cordisco et al., 2005) e la maturità piena si ha intorno ai 22-25mm, che corrispondono a circa due anni di età e che rappresentano la taglia minima commerciabile (Froglia, 1975a).

Come viene pescato

La specie quantitativamente più importante tra i bivalvi che vivono nei fondali sabbiosi del versante occidentale dell’Adriatico è senz'altro la C. gallina (L.), nota con i nomi dialettali di Vongola Lupino, Peverassa, Biberasso, Caparozzolo etc., la cui pesca è principalmente praticata nell'Alto Adriatico. 

La grande abbondanza di questo mollusco ha fatto sì che la pesca della vongola subisse un vertiginoso aumento negli anni ’70, in conseguenza dell'introduzione delle “draghe idrauliche” o “turbosoffianti”, funzionanti sul principio delle surf-clam dredges degli Statunitensi (Parker, 1971). L’attrezzo è costituito da una gabbia metallica dotata di un’apertura orizzontale (bocca) che viene trascinata sul fondo e che, grazie a una lama nella parte anteriore, penetra nel sedimento catturando le specie bersaglio. Durante la pesca, l’attrezzo s’infossa nel substrato per diversi centimetri e la presenza di getti d’acqua a pressione ne facilitano il traino, favorendo il setacciamento del sedimento e convogliando i molluschi all’interno di una rete. Come spesso accade in questi casi, le elevate rese economiche garantite dalle nuove attrezzature hanno portato alla proliferazione incontrollata dei natanti che si dedicano a questa attività e contemporaneamente ad un continuo incremento dell'efficienza delle attrezzature usate. Tutto ciò è avvenuto al di fuori di qualsiasi sperimentazione scientifica, che potesse fornire indicazioni sulla potenzialità dei banchi da sfruttare, eventuali periodi di interdizione dell'attività di pesca e caratteristiche degli attrezzi capaci di garantire una cattura selettiva per dimensione (Froglia, 1975).

Ad esempio, infatti, la rimozione di grandi quantità di sedimento, durante la raccolta, danneggia i delicati stadi giovanili causandone elevata mortalità, poiché in grado di sotterrarli a profondità eccessiva o portarli in superficie, rendendoli così più vulnerabili alla predazione (Pérez-Iglesias & Navarro, 1995 citato da Bald et al., 2003). Infine, la coincidenza del periodo riproduttivo con il periodo primaverile-estivo, quello cioè della massima intensità di pesca, ne aggrava ulteriormente e naturalmente la situazione (Cannas et al., 2010).

L’insieme di questi fattori, uniti anche alle molteplici variazioni dei parametri ambientali, ha fatto sì che una volta le rese di questa pesca fossero particolarmente elevate, ma dagli anni 70’ ad oggi si è instaurato un trend negativo, che ha progressivamente causato la riduzione del pescato di più di 6 volte quello iniziale (Romanelli et al., 2009).

Per questo motivo, questa attività di pesca è attualmente fortemente regolamentata, da normative che prescrivono la taglia minima di commercializzazione del prodotto (25 mm), che impediscono lo svolgimento dell’attività in fondali inferiori a 3m, che fissano almeno due mesi all’anno di fermo pesca (tra aprile e ottobre) e che fissano il valore massimo consentito di pescato per barca (600 kg) (Romanelli et al, 2009)

Attualmente, anche per quanto riguarda le aree costiere romagnole, si registra un forte calo degli stock di C. gallina, tant’è che da anni si verifica l’abbandono delle attività da parte di numerosi operatori. 

Per quanto riguarda la laguna veneta, prima della diffusione del motore, negli anni ‘40 del secolo scorso, e dell’introduzione e diffusione della vongola verace filippina (Venerupis philippinarum) negli anni ‘80, la pesca in laguna era praticata con metodi e attrezzi artigianali, alcuni dei quali sopravvivono tuttora. Le diverse tecniche di pesca erano state sviluppate in funzione del comportamento delle specie e si trattava di una pesca multispecifica e multiattrezzo (si contavano più di 50 “mestieri e mestiereti”, che costituivano le “arti pescherecce” di Venezia). La situazione attuale è ben diversa, poiché la pesca della vongola ha praticamente soppiantato le storiche forme artigianali di pesca lagunare. La vongola filippina si è infatti diffusa rapidamente grazie a un elevato tasso di accrescimento e alla capacità di adattarsi a un ampio spettro di condizioni ambientali. In pochi anni è diventata il primo prodotto ittico lagunare, spingendo molti pescatori artigianali ad abbandonare la pesca tradizionale. Questa pesca, esercitata in un regime di libero accesso, ha però evidenziato problemi di sostenibilità e nel 1999 la Provincia di Venezia ha stabilito il passaggio all’acquacoltura in aree date in concessione.

Quale scegliere

Attualmente la C. gallina non può essere considerato un prodotto particolarmente sostenibile, a causa delle varie motivazioni citate. Tuttavia, esistono eccezioni. La cooperativa OP Bivalvia, che raccoglie i pescatori di vongole in Veneto, si occupa ormai da anni di applicare sistemi di mitigazione particolarmente efficaci. Tra questi ci sono azioni di semina di C. gallina in aree nursery, di controllo e gestione del prelievo, di rotazione delle aree sfruttate per permettere il ripopolamento e chiusura temporanea di aree specifiche di riproduzione e nursery. Dall’altro lato, si occupa anche di provare a coniugare la richiesta del mercato con la possibilità di fornire il prodotto, in modo da evitare sovrasfruttamento degli stock e spreco alimentare.

Nel corso del progetto Interreg ITA-CRO PRIZEFISH, questo caso studio è stato individuato come Best Practice.

Warnings

Oltre alla provenienza del prodotto, nel caso della vongola bisogna stare particolarmente attenti alla taglia minima, che si attesta sui 25 mm.

Nomi comuni: anguatula (Abruzzo, Marche); pettinissa (Calabria); Palaia (Campania); linguattola (Lazio); Lengua secca, Sola secca, Sena-sena (Liguria); Palaja di rina, Palaria, Paraiozza (Sardegna); Linguata (Sicilia); Palaia, Sfogliola (Toscana); Sfògio (Veneto); Sfoglia, Sfoia del poro (Friuli-Venezia-Giulia).

Biologia 

Solea solea (linneaus, 1758) o sogliola comune è un pesce appartenente all’ordine dei pleuronectiformes (pesci privi di simmetria bilaterale). Questa specie è diffusa in tutto il Mar Mediterraneo, vive su fondi sabbiosi o melmosi a profondità solitamente tra i 10 e 60 m, con picchi fino a 150 m. Tollera livelli abbastanza bassi di salinità per cui si trova anche nelle acque salmastre di lagune ed estuari; trascorre generalmente le ore diurne infossata nella sabbia, da cui esce per cacciare solo di notte. Dal punto di vista morfologico presenta un corpo ovale, piatto e asimmetrico, privo di pigmenti colorati sul lato cieco (il sinistro), mentre il lato destro è di color beige-grigiastro con minuti punti scuri, la bocca è arcuata ed inferiore, pinne dorsali ed anali prive di raggi spinosi e unite alla pinna caudale da una membrana ben sviluppata. La deposizione delle uova avviene in acque costiere poco profonde, principalmente durante i mesi di febbraio-maggio a temperature di 6 - 12°C ed inizia dopo i 3-5 anni di età, quando si raggiungono le dimensioni di 25-30 cm. 

Come viene pescata 

La sogliola pescata nei mari nazionali proviene soprattutto dalla zona dell’Adriatico e in tutte le acque che circondano la Sicilia; la pesca può essere effettuata senza restrizioni in tutti i periodi dell’anno anche se in inverno se ne pescano maggiori quantità.

È una specie di grande importanza per la pesca professionale e viene principalmente catturata con attrezzi da traino come sfogliare o ramponi. Viene catturata anche con reti a strascico e attrezzi fissi (tremagli). 

Quale scegliere 

La pesca di sogliole può essere effettuata senza restrizioni durante tutti i momenti dell’anno solare anche se in inverno se ne pescano quantitativi maggiori, in quanto più abbondante, essendo nel suo periodo riproduttivo. Per un consumo sostenibile, sarebbe opportuno evitare quindi di acquistarla nei mesi freddi e rispettare la taglia minima di pesca, che è 20 cm (Regolamento CE n. 1967/2006).

Highlights 

La carne della sogliola continue elevati quantitativi di vitamine A e B, offre una buona dose di proteine utili ed omega 3. 

Biologia

Sia il rombo liscio o soaso (Scophthalmus rhombus) che quello chiodato (Psetta maxima o Scophtalmus maximus) sono pesci appartenenti all’ordine dei pleuronectiformes, sono quindi privi di simmetria bilaterale, portano entrambi gli occhi su di un lato, nella fattispecie il sinistro, ed il lato privo di occhi (lato cieco) è roseo e depigmentato. Il rombo liscio presenta un corpo sottile e snello con forma meno quadrangolare rispetto all'altro e può raggiungere un massimo di 70 cm per 7 kg di peso; la pelle ha squame piccole e lisce; i primi raggi della pinna dorsale sono liberi e non connessi agli altri dalla membrana; la linea laterale presenta una brusca incurvatura a livello della pinna pettorale. Il colore è spesso verde oliva, con macchie scure e chiare; tuttavia, sono in grado di cambiare colore per mimetizzarsi con il fondo su cui poggiano. Il rombo chiodato invece ha un corpo molto allungato di forma quasi rombica, può raggiungere 1 m di lunghezza per 12 kg di peso; si diversifica dal precedente per i tubercoli ossei presenti sul corpo, e per i primi raggi della pinna dorsale che sono simili agli altri. La livrea è di solito marrone o grigiastra con macchiette e marezzature scure molto variabili. Entrambe le specie sono diffuse sulle coste dell'Oceano Atlantico tra l'Islanda e Norvegia ed il Marocco, nel mar Mediterraneo, nel mar Baltico e nel mar Nero. Gli adulti vivono su fondali sabbiosi, rocciosi o misti, a profondità che vanno dai 20 ai 70 m per il chiodato, e dai 5 ai 50 m per il rombo liscio. Sono piuttosto comuni anche nelle acque salmastre. Si nutrono principalmente di altri pesci di fondo (cicerelli, ghiozzi, ecc.), ed anche in misura minore di crostacei e bivalvi di maggiori dimensioni. La deposizione delle uova avviene solitamente tra i mesi di febbraio e aprile nel Mediterraneo e da maggio a luglio nell'Atlantico. 

Come viene pescato 

La pesca professionale lo cattura con reti a strascico, nonché occasionalmente con reti da posta, nelle marinerie che praticano pesca artigianale, attraverso apposite reti da posta. Per quanto riguarda quella sportiva, invece, il rombo abbocca voracemente agli ami, e viene insidiato con la tecnica del surf casting, innescando pesci morti o molluschi e con la tecnica dello spinning, innescando esche artificiali.

Quale scegliere 

Sicuramente per il rombo la pesca con reti a strascico è considerata la più redditizia in Adriatico. La regolamentazione della pesca prescrive l’obbligo di rispetto di misure minime per i pesci pescati. Al di sotto del limite fissato i pesci devono essere rilasciati mentre sopra lo stesso limite possono essere prelevati fino ad un quantitativo massimo anch’esso stabilito per legge. Nel caso del rombo chiodato questo limite è posto a 25 cm, mentre per il rombo liscio a 20 cm.

Highlights 

La carne del rombo è particolarmente leggera e nutriente, ricca di sali minerali come fosforo, iodio, potassio, calcio e magnesio e allo stesso tempo povera di grassi.

🔴 Specie "Semaforo rosso"🔴 

🔴 Tonno rosso (Thunnus thynnus)

Biologia

Il tonno o tonno rosso è un grande pesce pelagico appartenente alla famiglia Scombridae.

È diffuso nelle acque tropicali, subtropicali e temperate (temperature superiori ai 10°C) dell'Oceano Atlantico, del mar Mediterraneo (in cui è l’unica specie di tonno presente) e del mar Nero meridionale. Frequenta soprattutto le acque al largo e si avvicina alle coste solo in determinati periodi dell'anno (diversi da luogo a luogo) ed in determinati punti, di solito nei pressi di isole o promontori. 

Ha un corpo massiccio, fusiforme, di un colore blu acciaio scuro sul dorso, talvolta quasi nero. Il ventre ed i fianchi sono bianco-argentei, talvolta con macchie più chiare indistinte nella parte inferiore. 

Si tratta di uno dei più grandi pesci del Mediterraneo: supera i 3 m di lunghezza e si registra il record di un esemplare pesante 725 kg.

Si nutre prevalentemente di pesci, soprattutto sardine e alacce.

La deposizione delle uova avviene nel periodo estivo in acque leggermente più vicine alle coste rispetto a quelle frequentate negli altri periodi. L'accrescimento è rapidissimo: ad un anno il tonno misura circa 70 cm. L'animale raggiunge la maturità sessuale a 2-4 anni, quando è lungo circa 1 m.

Migrazioni

I tonni passano da una fase erratica, durante la quale si muovono in piccoli gruppi poco densi, composti di pesci della stessa taglia, per poi riunirsi, in gruppi più fitti, durante la fase gregaria, per migrare in banchi numerosi verso le aree di riproduzione all’inizio della stagione riproduttiva. 

Come viene pescato 

Viste l’elevata importanza commerciale e la forte domanda del mercato, il tonno è sempre stato soggetto ad una massiccia sovrapesca, tanto da portare le sue popolazioni ad un drastico declino. Nei primi anni 2000 è stato così introdotto un sistema di quotazione per regolamentarne il prelievo, oltre ad una continua implementazione della lotta alla pesca illegale e al mercato nero. 

Le tipologie di attrezzi da pesca utilizzati per il tonno sono:

Circuizione: A questo tipo di pesca (pesi e galleggianti creano una specie di sacca dove rimangono intrappolati i pesci) sono generalmente destinate circa i ¾ delle quote. Il tonno rosso, catturato principalmente da pescatori italiani (soprattutto campani) e francesi con la circuizione, non è però destinato al mercato locale, ma è trasferito a Malta, dove viene ingrassato negli allevamenti all’interno di gabbie galleggianti. “L’ingrasso” avviene principalmente alimentando il tonno con sgombri e aringhe, per aumentare il rapporto grasso/carne. Qui viene poi macellato e spedito, per la maggior parte in Giappone e in misura minore in altri Paesi, per il mercato del sushi e del sashimi.

Palangaro: questo tipo di attrezzo da pesca è costituito da una serie di lenze (braccioli) di cui una estremità termina con un amo e l’altra è collegata ad intervalli regolari ad un cavo (trave) lungo anche diversi chilometri. Per quanto riguarda la pesca al tonno rosso, questa attività è tipica della regione Siciliana ed ha carattere prettamente stagionale (maggio-giugno), in quanto legata al passaggio dei tonni nel Canale di Sicilia. Ciò comporta l’effettuazione di bordate di pesca assai lunghe e di durata variabile.

Tonnare: I tonni rossi vivono la maggioranza della vita nell'Atlantico settentrionale e in primavera migrano verso il Mediterraneo dove si riproducono (tonni di andata); in autunno tornano poi nell'oceano (tonni di ritorno). Queste migrazioni tendono a passare dagli stessi luoghi e negli stessi periodi, consentendo quindi l'installazione di impianti fissi da pesca, che prendono il nome di tonnare.

Durante questo viaggio i tonni non mangiano e perciò le carni dei tonni di entrata sono più grasse e gustose di quella dei tonni di uscita; per questo motivo la pesca avviene soprattutto in tarda primavera, quando cioè è possibile catturare esemplari la cui carne ha un maggiore valore commerciale. 

In Italia, al momento le tonnare che hanno una licenza di pesca sono solo tre, tutte in Sardegna: Isola Piana a Carloforte, Capo Altano e Porto Paglia a Portoscuso. Ci sono poi quelle di Favignana in Sicilia, Cala Vinagra a Carloforte in Sardegna, Camogli in Liguria, una volta attive, ma ormai senza né una licenza di pesca, né delle quote.

Bycatch: le catture accidentali di solito avvengono prevalentemente nella pesca a volante, essendo il tonno un ghiotto predatore delle specie target di quest’ultima. Si tratta comunque di catture sporadiche e irregolari in Alto Adriatico e avvengono soprattutto in primavera. In questo caso, il peso del tonno pescato deve essere inferiore al 5% del peso del pescato della specie target della giornata.

Pesca sportiva: una piccola quota è riservata anche alla pesca sportiva, che viene praticata prevalentemente in drifting, tecnica che cattura la maggior parte degli esemplari e dai pesi maggiori, ma anche con lo spinning o con la traina d’altura.

Per quanto riguarda questi ultimi due casi, by-catch e pesca sportiva, il pescatore deve denunciare la cattura alle autorità competenti.

Quale scegliere 

La prima puntualizzazione da fare, è che sul mercato italiano, in realtà, è difficilissimo trovare il tonno rosso. 

Infatti, pur essendo l’Italia il terzo produttore mondiale di tonno rosso, il pescato viene quasi totalmente esportato all’estero, in particolare in Giappone.

È possibile saltuariamente trovarlo in alcuni ristoranti di lusso, derivante di solito dal by-catch o dai pescatori sportivi. In qualche caso, altrimenti, è possibile ritrovarlo sul mercato del sud Italia, ma non si può sempre essere sicuri della sua provenienza: infatti, può spesso provenire dalla pesca di frodo con le reti derivanti, che oltre all’ovvio carattere di illegalità, comporta la lavorazione del pescato direttamente a bordo delle imbarcazioni in alto mare e quindi non è garantito il rispetto delle norme sanitarie.

Sul mercato italiano si trova quindi prevalentemente il Thunnus albacares o tonno pinne gialle, meno pregiato e decisamente più economico, pescato con lo stesso tipo di tecniche utilizzate per il tonno rosso e proveniente prevalentemente dall’Atlantico e dal Pacifico. 

Va altresì precisato che le tecniche di pesca utilizzate per il tonno, in particolare il palangaro, sono tecniche con un basso tenore di sostenibilità, poiché cattura molte altre specie non target, di cui alcune protette. Non sono inusuali, infatti, catture accidentali di squali e di tartarughe marine, dove oltre alle gravi ferite causate in esofago dai grossi ami, si incappa in gravi lesioni agli organi interni causati dalle lenze, se ingoiate, o alle pinne se la lenza vi si attorciglia intorno, creando necrosi e amputazioni. 

Tutte queste considerazioni messe insieme, la scarsa selettività degli attrezzi da pesca e alto tasso di catture accidentali di specie protette, la sovrapesca dovuta alla forte richiesta di mercato, la provenienza estera del tonno che si trova in prevalenza sul mercato locale, conferiscono a questo prodotto un bassissimo tenore di sostenibilità e sarebbe meglio preferirne invece il consumo di altre specie più sostenibili.

Highlights 

Visto il suo elevato costo, attraverso i canali ufficiali, il tonno è un ottimo prodotto da lavorare, tanto che tutte le sue parti vengono sfruttate: alcune di esse sono più pregiate, altre meno. Tra queste troviamo:

Bottarga: alimento costituito dall'ovario del pesce, le cui uova vengono salate ed essiccate con procedimenti tradizionali. Oltre che dal tonno viene ricavata anche dal muggine, ma la prima ha un sapore molto più deciso.

Buzzonaglia (o busonaglia): particolare conserva del tonno che fa uso del taglio meno pregiato del pesce, ovvero dalle parti di filetto a contatto con la lisca centrale, molto scure perché abbondantemente irrorate di sangue e dalle parti più piccole e meno pregiate. Di norma è confezionato sott'olio ed è un prodotto tipico di Sicilia, Sardegna e Liguria.

Ventresca: è la parte più pregiata del tonno e viene di norma consumata fresca o confezionata per la conservazione sott'olio di oliva. È ottenuta dalla parte più grassa dell'animale, quella che avvolge la cavità addominale: i fasci muscolari sono intessuti di grasso che rendono la carne più morbida e gustosa. È molto apprezzata sulle tavole della cucina trapanese, dove è chiamata surra. 

Mosciame (o tarantello): prodotto tipico delle zone rivierasche della Liguria, della Sicilia, nel Trapanese, e della Sardegna. È ricavato dalla parte superiore della ventresca e la carne viene desquamata, ripulita e lavata per poi essere messa sotto sale. Nelle fasi successive di preparazione, la carne viene essiccata: una volta il processo avveniva all'aria, ma oggi, per paura dell'inquinamento, si utilizzano forni, per 4-6 ore ad una temperatura di circa 25-30°C. La carne viene infine conservata sott'olio.

Lattume: Nella denominazione figatello è stato ufficialmente riconosciuto e inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Mipaaf. Esso si ottiene dalla lavorazione della sacca del liquido seminale degli esemplari maschili del tonno o della ricciola. Tipico della Sicilia è l'equivalente maschile della bottarga. La differenza è nel colore, rosa carneo nel lattume e arancione nella bottarga. Preparazione rara e di alta gastronomia, può essere impiegato per condire paste, insalate o consumato direttamente fritto. Nella cucina trapanese si usa anche sotto sale.

Polmonello e Cuore di tonno: entrambi lavorati in maniera simile alla bottarga

Scapece (o maccarone): tradizionalmente la parte meno pregiata del tonno rosso (dopo la buzzonaglia) che dopo bollitura, viene conservato sott'olio. Tipico della Sicilia.

È interessante notare come molti di questi nomi dialettali, tipici soprattutto della Sicilia, abbiano una derivazione araba.  

🔴 Pesce spada (Xiphias Gladius)

Biologia

È presente nelle zone tropicali, subtropicali e temperate di tutti gli oceani, nonché nel mar Mediterraneo, mar Nero, mare di Marmara e mar d'Azov. È un tipico pesce pelagico che in certe situazioni si può avvicinare alle coste, in prevalenza nelle acque superficiali ma può scendere fino a 800 metri; di solito non scende sotto il termoclino. Vive in acque tra 18 e 22°C (i giovanili anche in acque più calde) e nelle zone fredde, effettua migrazioni verso sud in autunno.

Ha corpo fusiforme, a sezione cilindrica, che si restringe nella parte posteriore. La sua caratteristica più nota ed evidente è il grande sviluppo della mascella superiore che forma la tipica "spada", appiattita e tagliente e lunga circa 1/3 del corpo. Le scaglie e i denti sono assenti negli adulti. Il corpo è di colore da grigio piombo a brunastro sul dorso, argenteo con riflessi metallici sui fianchi e tendente al bianco sul ventre.

Il pesce spada è uno dei più grandi pesci ossei, con una lunghezza massima di oltre 4,5 m e un peso che supera abbondantemente i 400 kg e una taglia media sui 3 metri.

Studi recenti hanno confermato che La spada del pesce spada viene usata come arma durante gli accoppiamenti.

Nuotatore velocissimo, effettua migrazioni anche su distanze oceaniche. Ha abitudini solitarie ma talvolta lo si ritrova in coppie. È presente un particolare meccanismo fisiologico che consente di riscaldare fino a 20°C sopra la temperatura ambientale l'encefalo e gli occhi per aumentare esponenzialmente la vista, il che lo rende un predatore molto versatile e temibile soprattutto per pesci e calamari, che vengono colpiti con la spada.

La riproduzione avviene nella stagione calda, con deposizione anche di 800.000 uova pelagiche e l’accrescimento è molto veloce, con la femmina che cresce più velocemente del maschio.

Come viene pescato 

Il pesce spada ha una grande importanza per la pesca commerciale, che viene effettuata in prevalenza con palangari derivanti e reti da circuizione, nonché come by-catch nella pesca al tonno. Così come già accennato per quello che riguarda il tonno rosso, queste tecniche di pesca non presentano un alto grado di sostenibilità, in quanto poco selettive e con un alto tasso di catture accessorie di specie sensibili e/o protette, come squali e tartarughe marine. A livello globale le catture avvengono prevalentemente nel Pacifico nord-occidentale, nel Pacifico centro orientale e nel Mediterraneo, mentre in Italia, che è tra le nazioni al mondo che cattura le maggiori quantità di pesce spada, è prevalentemente pescato nello Stretto di Messina e lungo le coste della Calabria.  

È anche catturato dai pescatori sportivi d'altura.

Anche per il pesce spada, così come per il tonno, esistono attività di pesca locale e tradizionale che ricalcano principi di maggiore selettività nelle catture di individui adulti. 

In diverse zone costiere della Sicilia, ad esempio, in particolare nella zona dello Stretto di Messina, il pesce spada viene pescato su imbarcazioni particolari, chiamate feluche, che presentano un ponte dal quale i pesci vengono arpionati e un grande albero maestro da cui vengono avvistati. Questa attività non è per nulla facile: questi pesci non trascorrono molto tempo in superficie, ma solo quello necessario per nutrirsi; quindi il tutto deve svolgersi con estrema velocità.

I pescatori si spartiscono i ruoli: c’è il mezziere che si occupa della rotta, lo ‘ntinnieri che avvista i pesci e il lanzatari che getta l’arpione. Alla fine, sulla preda viene apposta una "X": si tratta della cardatura, una specie di firma per i pescatori messinesi, per garantire la qualità del prodotto una volta in pescheria.

Quale scegliere 

Se a livello globale il pesce spada ha un trend che non lo inserisce ancora tra le specie ad alto rischio di estinzione, il suo sovrasfruttamento nel Mediterraneo ne sta riducendo drasticamente le popolazioni. 

Tale situazione sta portando gli stati membri a ragionare sul meccanismo delle “quote”, sulla falsa riga di quelle introdotte per il tonno rosso, per provare ad arrestare il declino della specie, anche se l’opposizione di alcuni paesi membri ne sta rallentando l’introduzione. 

Per i motivi di sovrasfruttamento il pesce spada andrebbe ridimensionato nei consumi, almeno per un periodo a medio termine, prediligendo invece specie differenti, sulle quali le attività di prelievo sono meno impattanti. 

Warning

La carne di pesce spada, come quella di altri grossi pesci, contiene alti livelli di metalli pesanti (biomagnificazione), tra cui il mercurio. Di conseguenza ne viene sconsigliato il consumo frequente e soprattutto devono evitarne il consumo i bambini e le donne incinte.

🔴 Salmone (Oncorhyncus SPP & Salmo Salar

Biologia

Il termine salmone è generalmente usato per indicare i pesci della famiglia Salmonidae. A questo gruppo appartengono tuttavia diverse specie di pesci ossei di acqua marina e di acqua dolce, tra cui le trote ed i salmoni veri e propri. Questi ultimi sono diffusi in tutto l’emisfero boreale e contano diverse specie.

I salmoni occupano tutt'ora la stessa zona geografica compresa tra l'Oceano Atlantico settentrionale (Genere Salmo) e l'Oceano Pacifico settentrionale (Genere Oncorhynchus); introdotti dall'uomo, vivono anche in altre zone del Nord America, in Patagonia e in Nuova Zelanda.

Il salmone più commercializzato e utilizzato è tuttavia quello atlantico, Salmo salar. Il suo ciclo biologico lo svolge trascorrendo parte della vita in mare, per poi risalire i corsi dei fiumi nel momento della riproduzione, all’età media di circa 3-4 anni, nel luogo dove sono nati. Dopo la riproduzione la maggioranza dei maschi muore, mentre fino al 40% delle femmine sopravvive, ma solo tra lo 0,3 e il 6% di esse affronta una nuova migrazione riproduttiva.

Il salmone che arriva dal mare, si presenta con una bella livrea argentea, con dorso bluastro, per poi divenire rosso scuro, comprese le pinne natatorie. Le femmine diventano quasi nere. Queste ultime, di solito le più anziane, sono sempre le prime a guidare le formazioni "a triangolo" che assumono durante la faticosa risalita. Quando raggiungono il luogo adatto alla riproduzione e depongono le loro uova, perdono la livrea nuziale. Stremati e consumato tutto il grasso di riserva per lo sviluppo delle gonadi, la carne perde di consistenza e diviene acquosa. La pelle del dorso si ispessisce e le scaglie sembrano quasi infilate. In questa fase gli anglosassoni chiamano il salmone maschio red fish, mentre la femmina, che diviene nera, è chiamata black fish. Il pesce esausto, al termine della frega è detto kelt.

Come viene prodotto

Oggi il salmone allevato costituisce il 4,5% di tutte le acquacolture del mondo e la sua produzione occupa fette di mercato importantissime all’interno delle produzioni ittiche. La sua produzione, però, non la si può definire totalmente sostenibile, poiché questa industria, di fatto, impatta ancora notevolmente sulla conservazione delle risorse. Nonostante i progressi in termini di benessere animale, utilizzo degli antibiotici e ricerca di mangimi alternativi, ad oggi gli allevamenti di salmone consumano da soli il 60% dell’olio di pesce totale presente sul mercato e il 23% delle farine di pesce. In pratica, per produrre un kg di salmone vengono utilizzati circa 2,5 kg di pesce pescato, di valore commerciale inferiore, ma comunque destinabile anche al consumo umano. Fino a che la ricerca nell’utilizzo di mangimi complementari che sostituiscano i prodotti derivanti dalla pesca non sarà efficientata, il consumo di salmone da allevamento non lo si potrà considerare eco-compatibile. 

Quale scegliere

Anche nei mercati Europei, ultimamente, si riesce a trovare con maggiore facilità il salmone selvaggio dell’Alaska. Questa denominazione raggruppa cinque specie appartenenti al genere Oncorhynchus, che nascono nei fiumi dell’Alaska per poi trascorrere la vita adulta nell’Oceano Pacifico del Nord. Ad oggi, nessuno degli stock di salmone dell’Alaska è minacciato o in pericolo, perché le limitazioni (tipo di pesce, periodo e località di pesca) sono dettate dai regolamenti dell’Alaska Department of Fish and Game, che gestisce la pesca al salmone fissando degli “obiettivi di fuga”, che consentono ad un numero sufficiente di salmoni adulti di fuggire alla cattura e di raggiungere le zone di riproduzione nelle acque dolci, mantenendo in questo modo la salute delle popolazioni di salmone a lungo termine.

Per mantenere tali risultati le quote della pesca fluttuano di anno in anno, poiché l’ADFG prende decisioni sulla gestione, durante la stagione, per più di 15.000 corsi d’acqua di riproduzione, che vengono gestiti dallo stato e stabilisce tempi, luoghi e tipi di pescato.

Warning

Se il salmone selvaggio rappresenta una buona pratica di sfruttamento sostenibile, una riflessione va posta comunque alla sostenibilità dell’importazione di questi prodotti, che arrivano ai mercati europei direttamente e letteralmente dall’altra parte del mondo. Un’alternativa decisamente eco – friendly ed utile allo sviluppo delle comunità locali, in particolare di quelle montane, potrebbe essere l’utilizzo di trote locali (pesci dello stesso genere dei salmoni) derivanti da piccoli allevamenti non intensivi. 

Conclusioni

Accanto alle best practices per quanto riguarda la pesca e, di conseguenza, i prodotti migliori da acquistare pe un consumo consapevole e sostenibile, è opportuno menzionare anche le worst practices, ed in particolare quei prodotti che, indipendentemente dalla tipologia di pesca tramite cui sono arrivati sul mercato, non andrebbero consumati. 

Il principale è la carne di squalo. Squali e razze si attestano in cima alla catena alimentare e la loro azione di predazione è necessaria a mantenere l’intero equilibrio della rete trofica. La loro vulnerabilità alla pesca è dovuta principalmente al loro ciclo vitale, più lungo rispetto alla maggior parte dei pesci ossei, iniziando a riprodursi a dimensioni elevate e dopo diversi anni dalla nascita (in alcuni casi anche 15-18 anni) e, di conseguenza, sono facilmente pescabili ben prima di quando possano contribuire, riproducendosi, al mantenimento delle popolazioni. La loro carne, tuttavia è molto richiesta sul mercato, tanto che l’Italia si attesta tra i primi tre paesi consumatori al mondo di squali. Questo alto consumo si spiega, per quanto riguarda alcune specie, come ad esempio il palombo (Mustelus spp), perché la carne priva di spine è molto utilizzata per i bambini, addirittura spesso ritrovata nelle mense scolastiche; in altri casi, invece, come ad esempio lo spinarolo (Squalus acanthias), lo smeriglio o vitello di mare (Lamna nasus), la verdesca (Prionace glauca), a causa di una scarsa consapevolezza del consumatore, che non sa di consumare carne di squalo.

In Alto Adriatico (quasi esclusivamente dai pescatori di Chioggia) almeno dalla seconda metà del diciassettesimo secolo e scomparsa negli anni ‘60 del secolo scorso, era praticata la pesca con i palangari (una cima di canapa lunga fino a un miglio e recante, a brevi distanze regolari, dei braccioli (o bràgole) in cordino di spessore più sottile, armati di amo, per un totale di circa 300-500 ami per ciascun palangaro). Le principali specie catturate erano i palombi, un tempo molto abbondanti e il gattuccio (Scyliorhinus canicula). Era catturata di frequente anche la canesca (Galeorhinus galeus), la verdesca (Prionace glauca) e lo squadro o pesce angelo (Squatina squatina), la cui pelle, essiccata già a bordo, serviva agli artigiani del legno come l’attuale carta vetrata. Al largo, nella stagione estiva e autunnale, venivano catturati altri squaliformi di grossa mole, tra i quali erano frequenti lo squalo grigio (Carcharhinus plumbeus) e lo squalo volpe (Alopias vulpinus) (Fortibuoni et al., 2009).

Oggi, la carne di squalo arriva sul mercato principalmente dalle reti a strascico, dalle volanti e dalle reti da posta.

Attualmente, le popolazioni di questi predatori si sono drasticamente ridotte, anche in alto Adriatico e ci sarebbe un urgente bisogno del varo di misure di gestione e mitigazione. In attesa di ciò, il consumatore stesso può iniziare a fare la differenza, perché, come in tutti i casi, il mercato non fornisce quello che il consumatore non chiede.

Consultate la nostra Photo Gallery

con tutte le specie sopra descritte!

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