#visto 

solo trame che stupiscono

"Confidenza"

Due goal di questo film? Diciamolo subito: Confidenza ha una trama che non concede distrazioni. Non perché devi ricordarti chissà cosa. Sei emotivamente coinvolto e ti prende dentro: sulla scena sono presentate quasi in contemporanea il pensiero interiore e la realtà esteriore. Secondo strike? Quando esci dalla sala, non puoi non parlarne con chi in quella sala ci è entrato con te. Il non-svelato intriga, come sempre. E noi esseri umani non possiamo fare a meno di "volere la confidenza" di quelli che in qualche modo entrano in contatto con la nostra esistenza. Sì: i segreti non fanno per noi. Anzi, succede che proprio i segreti siano la mossa finale di un'unione totale. Anche in questo sta la potenza di quel proverbio ancestrale, per cui "i panni sporchi si lavano in famiglia".

La forza del percorso del protagonista, il professor Pietro Vella, sta proprio in questa "manovra unitiva" che passa nel confidare alla sua ex-alunna Teresa (divenuta compagna di vita) qualcosa che potrebbe disintegrare la sua carriera, ma anche la sua  vita privata. Pietro è un docente che sta "sfondando" con il suo metodo della "pedagogia dell'affetto", con i suoi libri e con le attenzioni ricevute dal Ministero... ma nel privato, qualcosa lo turba e nessuno sa quel segreto motivo. Fino a che non si lascia andare nel confidarlo a Teresa: lei ho la sfidato nel condividere ognuno un segreto infimo dell'altro, come sugello e sigillo di un amore che dura ormai da due anni. Ma dinanzi a quanto ascoltato all'orecchio, lei fugge. Tutto va in frantumi. E soprattutto, comincia a regnare nel film la paura.

All'inizio il professor Vella dialoga con i suoi studenti di amore e paura: i primordi del film mettono in auge l'amore. Poi, tutto è paura. Paura per quel segreto confidato. Teresa lo ha in pugno: questo gira nella testa di Pietro. In qualsiasi momento, può annientarlo. E questo sembra imminente quando Teresa (ormai divenuta una grande scienziata oltreoceano) viene interpellata da Roma, dalla figlia di Pietro, per raccontare del suo ex-professore a coloro che, al Quirinale, stanno per conferirgli un'onorificenza di tutto rispetto.

Amore e paura. Chi "regge" l'altro? Il sentimento dell'amore può sussistere senza paura? E la cura dell'emozione-paura può essere l'amore? A voi l'ardua risposta. Il film dà elementi per pensare. E non risponde, in realtà. In questo sta - credo - la sua vera potenza. Poiché chi ha scritto questa trama sa "prendersi la confidenza" di scuotere il lettore/pubblico in sala, ma non si permette di "svelare il segreto" di una risposta preconfezionata. La risposta è tua: ecco perché resti "incastrato" in questa storia e non puoi fare a meno di pensarci.

Credo che, tuttavia, qualcosa sia importante affermarla, anche alla luce della pellicola: il rapporto d'amore più grande è di certo quello che accoglie l'altro esattamente com'è. Senza sconti (anche se con fatica). Ma resta certo che se l'altro conoscesse del partner proprio tutto tutto tutto (chiunque sia l'altro e chiunque sia il partner), non lo vorrebbe mai accanto a sé. Conoscere la totalità è un potere ed un possesso. L'amore non è potere e possesso. L'amore è incontro di libertà. Solo nella rinuncia alla volontà della totalità, quella totalità la si ottiene. E la confidenza, nella gradualità, può giungere al suo grado massimo.  Consapevoli, però, che ciascuno è un mistero a se stesso e che quindi anche io, davanti a me stesso, ho dei segreti che forse non conoscerò mai.


«Tu non stai nello stesso posto dove stanno i tuoi sentimenti».

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"Un mondo a parte"

Cosa succede se un maestro o un professore chiede ad uno studente di mettere via il cellulare? Può accadere che lo studente si rifiuti. E che minacci l'insegnante di "invocare" (o "evocare") suo padre, perché lo gonfi di botte.

Cose da film? 

Assolutamente no.

L'avventura del maestro Michele, presentata dalla pellicola di Riccardo Milani, parla in sostanza di "tre mondi". Il primo mondo, quello che emerge subito dalle scene, è quel ricamo di prepotenza e minacce in cui siamo tutti immersi. Un mondo volgare, dove tutto è concesso e nessuno può permettersi di dissentire o di mettere a fuoco quello che potrebbe essere detto o fatto diversamente. Un mondo dove la dittatura del "Sè" come misura di tutte le cose raggiunge e permea perfino il modo di esistere dei bambini, dei ragazzi, degli adolescenti.  

Poi c'è un secondo mondo, quello della Scuola. Che rischia di essere inteso proprio come "un mondo a parte", mentre nel film emerge soprattutto grazie al personaggio di Agnese come l'esperienza scolastica non può che essere il laboratorio del mondo presente, dove genitori e figli incontrano persone che hanno la professionalità della cura. Una professionalità che incrocia le competenze maturate nello studio e nella formazione con le necessarie attitudini personali. Ecco che un alunno di quinta primaria può insegnarmi ad accendere la stufa di casa. Ed anche quello diventa un momento di crescita. Di crescita reciproca. E ben oltre le mura della scuola-edificio.

L'ulteriore mondo appare agli occhi di molti un "terzo mondo" a tutti gli effetti, inteso come qualcosa di arretrato e da cui stare alla larga. La vicenda prende piede, infatti, nel cuore del Parco Nazionale d'Abruzzo, dove "scappa" il maestro con decenni di insegnamento, alla ricerca di un luogo diverso dalla blanda e inconsistente periferia romana. La pluriclasse è lo specchio preciso - in miniatura - delle vicissitudini della comunità montana, dove numericamente i lupi superano di gran lunga i cittadini. La scuola è in ostaggio di politiche che ne vogliono la chiusura: quale senso ha una scuola con pochissimi studenti, sperduta sui monti? Ma la gente sa bene che la fine della scuola coincide con la fine del paese. Una fotografia eccellente di quello che sperimentano i tanti "terzo mondo" delle nostre Zone interne, luoghi ricercati da giugno ad agosto e solo in quei mesi. Il rischio chiusura viene affrontato con un'iniziativa "particolare": accogliere rifugiati ucraini e una famiglia di immigrati, così da avere i numeri necessari. L'iniziativa si barcamena fra il solidale e l'utilitarismo.  Come se tutto ciò non bastasse, fluttuano attorno alla vicenda gli interessi politici e i campanilismi dei vicini di paese... 

Cosa ne sarà della scuola di Rupe? Lo si scopre vedendo il film, evidentemente. Mentre sorridi, pensi. E (ri)scopri che una scuola è molto più di ciò che tanti pretendono che sia: "solo" un luogo di nozioni travasate. Mentre invece è crocevia di emozioni, storie... crocevia di "futuri possibili" che in diversi casi possono essere migliori proprio grazie agli incontri e ai percorsi vissuti nelle ore di "lezione".

Il maestro Michele cambia: diventa "più maestro" e "più uomo". Questo anche perché (come si ripete spesso nel film) «la montagna lo fa». Forse è anche perché la Scuola lo fa.   


«"Ti sei acconciato". "Che significa?". "Che pure tu sei entrato in un mondo a parte, il nostro"».

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"Romeo è Giulietta"

Mettere in scena Romeo e Giulietta? Difficile farlo con originalità. Difficile anche per il famigerato Federico Landi Porrini, regista che attira spettatori sul suo ennesimo spettacolo inventando che fosse l'ultimo della sua carriera: certo, la sua fama lo precede; ma un certo declino aleggia sulla sua inventiva. 

Dall'altra parte "della scena", Vittoria e Rocco: due attori; lei, con una super-nonna ultanavigata nel mondo della teatralità (anche cinematografica) ma reduce di un errore che le è costato caro nel mondo dello spettacolo; lui, da sempre desideroso di lavorare col regista di cui sopra ed ora speranzoso (quasi certo) che Landi Porrini prenderà proprio lui per il ruolo del "suo" Romeo.

Metà film, in un mix sorprendente e divertente di serietà e ironia, passa come un flash e sembra che anche lo spettatore in platea possa assistere ai provini del Landi Porrini. I suoi commenti agli innumerevoli no? Fradici di durezza, ma ilari. Quelli che si presentano? Mettono in scena tutte le pretese del genere umano: come quella di chi si crede bravo solo per aver ottenuto un determinato titolo (magari comprandolo) o come quella di chi, con la sua avvenenenza, desidera ottenere il ruolo protagonista.

Anche Vittoria e Rocco salgono sul palco dei provini: la prima, messa fuori gioco dall'errore del passato; l'altro, ritenuto non idoneo. In sostanza? Sono gli unici dei rifiutati che rispondono alla saccenza e alla durezza di Landi Porrini. Eppure, entrambi effettivamente si riprendono la scena, seppur in modo del tutto imprevisto: Vittoria, per vendicarsi, si finge uomo e viene presa per il ruolo di Romeo. Rocco, invece, viene richiamato dai collaboratori di Landi Porrini per un altro ruolo (in sostituzione dell'attore precedentemente preso, ma poi rinunciante per un infortunio). 

Come avrebbe potuto mai Vittoria dire a Rocco di esser stata presa per il ruolo che il suo compagno desiderava da una vita?

E in effetti... non glielo dirà.

Si svelerà il mistero di Romeo? La truccatrice-complice metterà su un travestimento degnissimo. Ma Rocco riuscirà a non accorgersi che sotto quelle vesti c'è il suo amore? 

Sullo sfondo, tre big della narrazione: la nonna di Vittoria, che mostra la nobile caducità dell'attore che ama il suo lavoro; il produttore dell'opera, che media sull'atrocità delle pretese del regista; il compagno di Landi Porrini, avvinto da un amore che assomiglia più ad una sudditanza.

Il colpo di scena, rispetto alla personalità del nostro regista, si chiama in questa pellicola "compromesso": Giulietta viene assegnata ad una famosissima tiktoker. Bisogna fare incassi. Servono i numeri. Sono necessari i social...

Come evolverà il tutto? La storia messa in scena, poi? Sarà salvaguardata dall'inganno di Vittoria?

Landi Porrini cercava un modo originale per attirare spettatori. Di certo, chi assiste alla proiezione di questo film, non riesce a distrarsi un momento: la simpatia dei dettagli sveglia l'attenzione. Ma anche il pensiero.

Romeo è Giulietta ha il senso delle cose della vita. Primo, perchè quello che non immagini possibile o appetibile, può stupirti. E forse anche salvarti.  Secondo, perché non possiamo avere il controllo di tutto: le falle sono la via dell'originalità. Terzo, perché l'amore quando è reale (amore come relazione, amore come passione per la propria professione, amore come fiducia nei propri sogni...) sa trovare strategie che di certo sconvolgono, ma che non lasciano insoddisfatti.

Il tutto... sintetizzato in un "accento"... un misero segno di interpunzione che può cambiare tante cose! 


«Questo deve fare l'artista: spostare l'ottica e guardare il mondo con i propri occhi».

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"Enea"

Il tempo che scorre veloce, le palpebre che non si possono concedere pause: aperte, spalancate su vicende così realistiche nonostante l'assurdità. Una pellicola che trasuda angoscia, il sentimento dei nostri tempi (angoscia e noia, il cocktail imperfetto che tanto spesso trangugiamo). 

La trama non si costruisce attorno ad eventi. La trama è il racconto del modo di essere e di vivere di Enea: giovane ricco e aitante, gestore di un locale di ristorazione. Gli piace "la bella vita", ma non si rende conto  che spacciare droga è anche uccidere i suoi coetanei e non. Il fratello, adolescente che prova a difenderlo dalle infondate (apparentemente infondate) accuse di spaccio, è come se non riuscisse a crescere. L'amico pilota non riesce a "dichiararsi", nonostante mostri tutto il suo interesse per Enea, fino a tradursi in suo complice-aviatore della distribuzione "stupefacente". Il padre di Enea (il Castellitto senior, nella realtà) è psicologo: cura gli altri giovani e ragazzi, ma non si rende conto dei brutti affari in cui il figlio è incappato. La madre di Enea rimprovera il marito di essersi perso nei suoi libri, di non avere un contatto reale con il... reale: eppure il suo immergersi nella meditazione (con tanto di cuffiette alle orecchie e ad occhi chiusi) non le fa rendere conto di un albero di palma che gli cade dinanzi agli occhi, quasi uccidendola. E poi c'è Giordano: il boss dello spaccio, mentre semina droga, semina in Enea massime interessanti sul senso della vita. Fino a dire che solo l'amore permette all'essere umano di diventare vecchio (di raggiungere l'età della vecchiaia). Proprio da questo input, Enea si spinge a costruire la sua famiglia: ma l'unica sposa del protagonista sembra essere la menzogna.

Il buio sui baci, con cui quasi tutto inizia, è la fotografia riuscita di una ricerca di affetto che non raggiunge il suo obiettivo. Baci dati ma inesistenti, in attesa di un ultimo bacio che sembra illuminare tutto e tutti. Forse è affetto quello che Enea cerca: ma nessuno sa farglielo capire, nessuno sa farglielo sentire. Solo i suoi genitori, mentre si conclude il film, sanno recuperare questa verità. Se la riconsegnano a vicenda. E non si accorgono che, intanto sotto il loro naso, Enea è consegnato ad un finale tragico che lo ha rincorso di scena in scena.

"Enea" è potenza: ti lascia con un terremoto nello stomaco ed un tornado nella testa. Quasi sintomi di una rabbia irresistibile. Di una rabbia da cui poter (o dover) ricominciare...


«"E cosa fa diventare vecchi?". "L'amore fa diventare vecchi. Solo l'amore"».

«Lei cerca il potere, io ho la potenza».

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"C'è ancora domani"

La sala piena. Ecco, cominciamo di qua. 

Una sala piena. Come mai? E da quanto tempo non si vedeva una sala piena così? No, non è un film con i supereroi... forse quelli fanno un pienone simile. Non è nemmeno un film dove ci sono i Na'vi... o simili personaggi da ambientazione simil-pandoriana.

Nella sala di C'è ancora domani c'è la vita. Ci trovi la curiosità di sentirsi descritti, raccontati. Tutto in bianco e nero. Esattamente una trovata non vintage, non legata ad un perché "storico" (a motivo del tempo in cui è ambientata la storia), ma una scelta di campo. 

Una famiglia che mostra tante vicissitudini che accadono nel chiuso delle dimore, delle abitazioni, ma che in realtà sono conosciute e "difese" da tutti. L'ironia di vedere le scene più forti accadere a finestre e porte chiuse è appunto ironia: tutti sanno tutto.

Tutti conoscono cosa accade, se scegli di voler esserci. Di voler esserci come persona, esserci come donna in questo caso specifico. Esserci come riconosciuto nella dignità, nelle aspirazioni, nei desideri. E non è affatto una questione di genere.

Tutto ruota attorno al fatidico momento in cui si va finalmente a votare, in cui le donne possono andare a votare per la prima volta: è un atto d'amore. Che nel film sembra più "interessante" e più "di valore" dell'amore stesso. Chissà se dopo aver visionato questa pellicola, col suo altissimo perché socio-culturale, impareremo di nuovo quale potere è per noi votare...

Guardi il film. Resti crucciato per molte scene. Credi che la protagonista stia inscenando una fuga: un amore altro, per superare le fatiche di un amore violento. Una fuga che metta al sicuro e provochi anche la figlioletta ormai promessa sposa. Sembra tutto chiaro, tutto "sancito" da quella lettera "d'amore" ricevuta e nascosta. E poi... e poi ti crolla l'ovvio: la fuga è il voto. L'atto ti amore e di "salvezza" è andare a mettere tutto il maschilissimo potere a tacere. Perché si cambi. Perché tutto cambi. Ed accade, mentre serri le labbra e compi il gesto.

...perché il gesto cambia. E salva. E provoca.

La protagonista mette in chiara luce come fosse (o dovremmo dire "come ancora è in tanti casi") la condizione della donna. Ma se ci fosse una lettura ulteriore? In quella donna-protagonista del film ci puoi vedere l'Italia. Ci puoi vedere e sentire come l'Italia è trattata, maltrattata, ritenuta indegna e infima. Ci puoi vedere e sentire come l'Italia trovi la via per riscattarsi e per voltare pagina. 

L'Italia, donna come tutte le nazioni. Donna come tutte le madri che per i figli fanno. Anche se non appare.


«Stringete le schede come fossero biglietti d'amore».

«"Mamma, tu non fai mai niente". "Ho fatto, ho fatto"».

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"L'ultima volta che siamo stati bambini"

Ritrovarsi nel bel mezzo della guerra. Della Seconda grande guerra. E vedere tutto con gli occhi dei bambini.

Di bambini "addestrati" ad un mondo dove i social non esistono, ma dove la mentalità corre e si barrica nell'interiorità anche dei più piccoli. Soprattutto dei più piccoli. Il "ruolo" delle donne nella società, il "valore" del duce e soprattutto il "non-valore" degli ebrei sono solo alcuni degli echi di quell'era triste e riecheggiante nel film.

Fino a che l'amicizia e il ritrovarsi compagni di gioco (anche se "il gioco" è la guerra...) smaschera gradualmente tutte le convinzioni e fa ritrovare i quattro ragazzi attorno allo stesso desiderio: stare bene insieme. Non importa che sei femmina e pure orfana, non importa che sei "cacasotto" o col padre in galera. Non importa che sei ebreo (ed un po'... "ariano", come dicono i protagonisti). Tutto passa in sordina. Tutto scompare.

Soprattutto quando gli amici vanno difesi e perfino salvati. Quando uno dei quattro viene portato via per "la Germania" e per "i campi di lavoro", i tre sanno che devono avviare l'impresa: fuggire da casa e raggiungere il deportato. Sfidando perfino di essere il figlio di uno dei militari più vicini a Mussolini.

Parte l'avventura e i tre della compagnia rimasti sono decisi ad arrivare dal quarto deportato. Affrontano la fame, la sete, le resistenze fisiche e non; affrontano perfino i propri limiti. Tutto, pur di recuperare l'amico.

Ed intanto, sono sulle loro tracce il soldato e fratello maggiore del "cacasotto" assieme ad una delle suore dell'orfanotrofio (intimamente legata all'orfanella fuggitiva): i piccoli costringono i grandi a fare un percorso, a mettersi in discussione. A cambiare, perfino.

Le strade dei 3 e dei 2 si incroceranno e "la Germania" sarà più vicina del previsto. Riuscirà l'impresa?

I tre verbi "credere-obbedire-combattere" si imporranno quando la vicenda vedrà il suo culmine: negli occhi dei protagonisti, puoi imparare a cosa credere, a cosa obbedire e per cosa combattere se vuoi essere veramente vivo e adulto. Se vuoi ricordarti dell'ultima volta in cui sei stato bambino, scegliendo finalmente da che parte stare.


«La cosa più bella della vita è la libertà!».

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"The Creator"

Non c'è tempo per respirare: The Creator opera e i suoi robot umanoidi smarcano con facilità le restrizioni degli USA, feriti dall'atomica sganciata su Los Angeles dall'Intelligenza Artificiale (così... "dicono loro"). 

La piattaforma da guerra, da un trilione di dollari e paradossalmente supertecnologica, vola nei cieli della Nuova Asia del 2065 così da scovare Il Creatore dell'AI (=Intelligenza Artificiale) e sconfiggerlo definitivamente.

Il timore: l'arma sconosciuta e spiazzante la cui minaccia terrorizza gli USA. Bisogna scovarla, distruggerla, annientarla prima che non sia più arginabile il suo potenziale spaventoso.

La domanda che invece incombe lungo tutta la pellicola (molto più dell'arma ancora sconosciuta e terrorizzante) riguarda anche gli spettatori: l'AI può provare sentimenti ed emozioni? E se perfino l'AI possa aiutarci a sperimentare, ad accorgerci addirittura delle nostre emozioni, dei nostri sentimenti. 

Dicono che «è solo programmazione»: ma alla fine sarà proprio così?


«"Qual è lo scopo del vostro viaggio?". "Essere liberi". "Fate buon volo!"».

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"Elemental"

Una città particolarissima, dove gli elementi ARIA, ACQUA, TERRA e FUOCO provano a coesistere... ma gli elementi non si mischiano.

E poi: la storia di una "scintilla" nata fra acqua e fuoco. Ma come possono convivere insieme due opposti così... categorici?

La creatività e l'amore sono quasi sinonimi: anche dove l'impossibile vuole spadroneggiare, l'ultima parola spetta sempre alla fantasia del cuore. 

Perfino la storia famigliare, che coinvolge la protagonista e i desideri degli anziani genitori su di lei e sull'attività di famiglia, risulta avvolta e stravolta da un finale di impareggiabile originalità: c'è posto per i propri desideri, per il proprio futuro anche in mezzo alle contrarietà di chi ti vedrebbe completamente in altri panni, in altre vesti.

Elemental rischia davvero di mettere in subbuglio gli schemi più arroccati e stantii del nostro pensare: ma non abbiamo bisogno proprio di questo?

«Cercavo di essere come mio padre, senza mai chiedermi cosa volessi fare io davvero».

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"So tutto di te"

Un teatro... molto più che uno spazio. Un luogo. Di emozioni date e ricevute. Non un palcoscenico, ma vita che incontra la vita. Pensieri e sentimenti che non smettono di restituire gli uni agli altri la voglia di essere autentici. La voglia di fare della propria vita uno spettacolo. 

Il tutto, senza barare. Senza cercare scorciatoie. Senza barattare la genuinità con le informazioni manipolate del virtuale. 

In un mix di profondità e comicità, So tutto di te è la storia di chi si innamora dei propri sogni e di quelli delle persone che ama.

«Credo che quando fai qualcosa di sbagliato, in fondo è perché a tenere i fili della tua vita non sei più tu».

«Quando cominci a scegliere, la tua vita diventa uno spettacolo».

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