Il libro in breve...

Per rimanere tutti "dentro"... 

     Non credo potrò mai dimenticare il giorno “simpatico” in cui mi fu chiesto di insegnare per un anno scolastico la “materia alternativa”: personalmente, un evento... particolare. Davvero inaspettato, certamente. Ben presto, però, quella proposta – accettata quasi come una sfida – si è rivelata un’esperienza a dir poco illuminante.

     Poter insegnare ad alcuni bambini di ogni classe mi ha permesso di avere uno sguardo direi trasversale; mi ha concesso una veduta delle cose che mi ha portato poi qui, a scrivere queste pagine. Cosa ho visto? Il mondo. In quelle ore e su quei banchi (senza rotelle, per la cronaca… tranne qualcuno), respirava l’esperienza di piccoli uomini e piccole donne provenienti da diverse parti del globo. Beh, forse loro direttamente no, ma i loro familiari di certo sì. Evidentemente, anche famiglie a noi connazionali chiedono la “materia alternativa”. La peculiarità è stata poter vedere l’interazione fra le diverse culture, fra i diversi occhi con cui il mondo viene guardato. E di certo, è stato poter vedere il segno che gli eventi (parentali e non) lasciano sulla pelle dei nostri piccoli. La peculiarità è stata poter poi parlare con loro un unico linguaggio, uno stesso idioma: quello della nostra umanità, dell’essere umani che ci accomuna e sa poi mettere insieme le diversità.

        Un’esperienza del tutto particolare, non perché la prima in assoluto, chiaramente. Penso a quanti docenti, in un modo o in un altro, sono designati alla “materia alternativa”, a quante volte ci si è dovuti inventare qualcosa per riempirlo quel tempo. Penso soprattutto a quel movimento anti-inclusivo che almeno una volta a settimana alcuni dei nostri alunni compiono: uscire dalla propria aula per fare “materia alternativa”. La Scuola tenta in ogni modo di adoperarsi per l’inclusività. Ma poi ci sfuggono dettagli, che dettagli non sono affatto. Soprattutto quando si parla di bambini, ragazzi, giovani: a loro – stiamone certi – i dettagli non sfuggono. E non mi riferisco ai dettagli di una lezione, di una spiegazione, di una guerra o di una formula chimica… I dettagli di come li trattiamo: questo, a loro, non sfugge affatto. Inizialmente, anche per me portare i ragazzi della “materia alternativa” fuori dalla loro aula, fuori dalla loro classe per quel tempo sembrava un’operazione del tutto innocua. E, in sostanza, lo è effettivamente.

       Fino a quando una bimba, dall’occhio arguto, mi chiese come mai lei e i suoi “amici dell’alternativa” non potevano stare con gli altri. Mi chiedeva perché si doveva uscire dalla classe. Perché non potevano stare lì, insieme a tutti, e dover fare qualcos’altro e farlo fuori. Non è importante la risposta che le diedi. Resta però la domanda. Almeno, a me è rimasta in mente. Ed è quella domanda che mi ha spinto a redigere questo testo. Perché essere fuori, perché dover essere fuori? Che fine aveva fatto, in quel momento, la nostra agognatissima inclusività? E da domanda è diventata una risposta. Una risposta-proposta. Nelle pagine del mio testo voglio provare a delineare il volto di questo tempo che può diventare non più alternativo, ma effettivamente un tempo formativo che non escluda alcuno e che, invece, porti ad una dinamica condivisa di apprendimento. So bene che non è “la” risposta alla domanda di partenza, ma “una” risposta. Una risposta che vuole aprire (o riaprire) un dialogo; una risposta che a mio avviso appare non secondaria.

             Come mai?

       Oggi assistiamo a tante cose nelle nostre aule scolastiche. Se c’è un fenomeno che va di moda nel nostro tempo è quello di una Scuola-ostaggio dei protagonismi. C’è il protagonismo di noi docenti, che a tutti i costi desideriamo di far-vedere di essere i migliori, i più all’avanguardia, persi forse in mille progetti e incapaci di dedicare tempo ed energie all’effettiva crescita di ogni alunno affidatoci. C’è poi il protagonismo dei nostri istituti, ridotti ormai a delle aziende, persi tante volte in manovre di miglioria competitiva, al fine di avere più alunni possibile: e poi si perde la serietà di quei no e di quella determinazione che effettivamente fanno crescere. C’è il protagonismo dei genitori, sempre pronti a dettare legge a tutto e a tutti, con la pretesa di saperne sempre una in più del docente o dei docenti, mentre poi tante volte bisognerebbe chiedere loro se ricordano di avere dei figli… La Scuola non ha bisogno di alcun protagonismo: non è un teatro, non è un reality, non è una serie tv e non è un social dove fare followers. La Scuola è un ambiente vitale e tale deve essere: un ambiente di vita, dove la quotidianità prende forma e diventa tappa del quotidiano in cui sperimentare e sperimentarsi.

        Ebbene: se le diverse discipline necessariamente sono il tempo in cui accrescere il sapere e il saper fare, il tempo della “materia alternativa” può essere l’occasione per non perdere “coscientemente” la finalità formativa (in senso largo) della Scuola. Potrebbe essere in effetti il momento ricorrente di un dialogo con i bambini, i ragazzi e gli adolescenti per scoprirsi, scoprire l’altro e scoprire il mondo in cui viviamo. È dare loro l’occasione per riflettere e costruire una riflessione condivisa attorno a tutto ciò che concorre alla crescita di ogni uomo e ogni donna, andando a costruire un percorso che sappia effettivamente spaziare nei diversi ambiti dell’esistere, secondo la gradualità della crescita individuale.

      La “materia alternativa” può diventare, quindi, il terreno di gioco condiviso dove docente e alunno si incontrano con la realtà, secondo lo sguardo delle diverse età e in una prospettiva di crescita. Può essere il terreno di incontro-scontro con chi la pensa diversamente, imparando ad accettare la pluralità come risorsa e come bagaglio di verifica per il futuro. Può essere il terreno di semina di quelle istanze che rendono più vivibile la società, nel nome appunto di un’inclusività che non lascia fuori nessuno e che sa vedere in ogni cosa e persona una risorsa irrinunciabile.

    Perché bisogna uscire fuori? Non si può rimanere dentro con gli altri?

      La risposta a queste domande è nelle mani di chi vuole osare. Di chi sa che il tempo è ormai scaduto: il tempo di un trascinarsi in un passato che sa di un vintage poco attrattivo e di certo assolutamente incapace di rispondere al nostro presente. Noi adulti corrispondiamo alla responsabilità di mettere mano al futuro quando ci sforziamo con coraggio di intraprendere quelle svolte di cui, forse, abbiamo chiaramente coscienza ma di cui, forse, non abbiamo affatto voglia di incaricarci. I nostri bambini, i nostri ragazzi, i nostri adolescenti vengono da un periodo che ha portato loro delle difficoltà nuove di cui non siamo ancora del tutto coscienti: la pandemia ha aperto un vaso di Pandora di cui ancora non conosciamo nel dettaglio gli effetti conseguenti. Nel vaso di Pandora, però, c’era anche Speranza. La Scuola può mai essere quella forza che fa uscire Speranza dal vaso di Pandora di questa pandemia? E la Speranza è che ci possa essere un’esperienza che effettivamente si proponga come possibilità dove (ri)trovare se stessi, dove (ri)trovare gli altri, dove trovare uno sguardo che vada sotto la superficie e mostri il di-più che così spesso ci sfugge. Il tempo della “materia alternativa” può essere l’occasione dove esplicitamente si compie questo percorso e, d’altro canto, una possibilità-propulsore per l’intera vita scolastica dei nostri studenti.

        Le pagine di questo libro sono quasi un viaggio. Ma bisogna viaggiare assolutamente leggeri. Cercando di osservare e di mettere in valigia quanto osserviamo. Liberi dal “possesso delle dinamiche”, proprio di chi crede di sapere già come è il posto che andrà a vedere, come sono le persone che lo abitano e quali siano le esperienze possibili. Viaggiamo leggeri e liberi.

         Insomma: bisogna essere… alternativi!

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Il libro in lungo e in largo...

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