Inizia a lavorare come giornalista nel 1919, poco più che ventenne.
Iniziò a lavorare nel 1919 presso “Il Nuovo Giornale” di Firenze diretto allora da Athos Gastone Banti (1881-1957), poi distrutto dai fascisti nel 1924.
Banti fu definito “il giornalista spadaccino” per il carattere battagliero che lo portò a veri e propri duelli, ma sicuramente anche persona eroica in quanto medaglia d’argento al valor militare conferita nel 1918 da Diaz in persona. Gli articoli di Spagnol presenti in questa sezione (vedi sotto) sono soprattutto di critica letteraria, nella cornice di una rubrica del giornale denominata “In margine ai libri”.
La data dello scritto è plausibile sia per il fatto che si parla della raccolta di poesie di quell'anno “La mendica muta” di Nicola Moscardelli (1894-1943) sia in base alla lettera di assunzione inviata a Spagnol in quell’anno dallo stesso direttore Banti.
Il giudizio di Spagnol a tale opera è decisamente critico e negativo; redatto con un lessico non sempre di non facile lettura, si snoda poi utilizzando termini e aggettivi più semplici, chiari e lapidari.
Alcuni esempi:
“Questa è l’impressione di assieme che ci ha dato la lettura della sua “Mendica muta” la quale, per dirlo subito senza stordire e per poter discorrere meglio, vale poco assai. "
"Faccia pure il critico e scriva articoli per il giornale come meglio gli piace o più facilmente gli riesce, ma poi non faccia il poeta a quel modo, e non voglia farci passare quelle cose come poesia, come in questa “Mendica muta” ove egli ha raccolto alcuni dei suoi articoli assieme ad altri pezzetti di prosa allo stesso tono e qualche pochi versi.”
“Libro pessimo e di nessun conto nell’opera di Moscardelli.”
Probabilmente bozza di un articolo di cui non si ha notizia relativamente ad una successiva pubblicazione: ci sono infatti correzioni a mano autografe, sebbene si riferisca alla rubrica “In margine ai libri” del giornale dove stava lavorando.
Nel testo c’è un riferimento abbastanza puntuale al 1920 come data da prendere quindi in considerazione: “Io so quanto lui di vivere nel 1920, e so viverci.”
Possiamo solo ipotizzare che l’ultima opera del Da Verona indirettamente citata sia da riferirsi a “Sciogli la treccia, Maria Maddalena” pubblicata proprio quell’anno.
Le considerazioni analitiche di Spagnol del lavoro di Guido Da Verona prendono spunto dalla comparazione di altri autori (ad esempio E. Barfucci che peraltro sostenne la politica imperialista dalle colonne proprio de «Il Nuovo Giornale», dove fu correttore di bozze nel 1919-1920) con considerazioni più generali sulla cultura, la letteratura in generale rispetto a chi ne è fruitore (il “popolo”).
La chiosa ad ogni buon conto è che Guido Da Verona “mi pare non sia altro se non il capo – per forza e autorità riconosciuto – di questa banda or ora numerata di predatori del deserto letterario italiano.”
Tanti anni dopo (1954), come documento da scambi di corrispondenza intercorsa con suoi collaboratori della redazione de "L'Illustrazione del Medico", Spagnol chiese più volte di recuperare in biblioteche ed archivi scritti e illustrazioni proprio di Guido Da Verona.
Probabilmente l’articolo (30/11/1919) si intitola così perché si compone di 5 piccoli brani di argomenti diversi, con riflessioni e giudizi come appuntati qua e là.
Lo stile lessicale di Spagnol si mantiene anche qui in modo piuttosto formale e aderente ai tempi (ad esempio nel definire un suo amico “negro ”, pur con le sue sagaci battute e le ricorrenti punzecchiature).
Gli argomenti trattati sono: i cambiamenti di una città nel tempo (Vittorio Veneto?), la derivazione del termine “lapalassiliano”, l’uso smodato del colore nel maquillage delle donne, la relazione tra il costume e lo stile di un’epoca e le difficoltà del bolscevismo visto da un suo amico filosofo che lo riteneva di impossibile attuazione “perché mai le donne… si rassegneranno ad accettare un regime che fino a un certo punto le obbligherebbe di andar vestite press’a poco tutte uguali. “
Il riferimento temporale dei vari pensieri è aderente al momento storico e in sintonia con il clima della società alla fine del primo conflitto mondiale anche perché in due di loro accenna criticamente rispettivamente alla smania di vari autori di scrivere sul tema (“Tra non ultimi flagello che accompagnano e seguono la guerra ve n’è uno ……..Si tratta di tutti questi libri sulla guerra che non smettono più di uscire”) e rispetto a nuovi costumi dopo la conclusione della guerra ( “in questo periodo post bellico in Italia ... Bisognerebbe dire che noi siamo tutti imbarbariti e imbestialiti, e che dello spirito s’è perduta la semenza… “).
Non da ultimo critica Nitti (Francesco Saverio) che tra il 1919 ed il 1920 fu Presidente del Consiglio dei ministri ed anche Ministro dell’interno.
Curiosità: secondo Spagnol l’uso del termine lapalassiliano, molto in voga in quel periodo “quando scrivendo di qualcuno gli si vuol dare pulitamente dell’imbecille, è frutto di “un curioso lapsus calami” perché si è “equivocato tra i nomi di La Galisse e di La Palisse, consacrando quest’ultimo per l’eternità.”
Il pezzo inizia con la dicitura: "Praga, 27 dicembre".
Il contesto dell’articolo fa riferimento al 27 ottobre 1918, data della dichiarazione di indipendenza della Cecoslovacchia, momento storico a cui contribuì anche l’Italia con la vittoria della Grande Guerra; Spagnol evidenzia l’impatto emotivo sulla popolazione tanto da scrivere: “credo che nessuno altro paese abbia provato uno schianto di gioia come quello; neanche Trieste. “
Dell’articolo non si conosce la data esatta di pubblicazione, ma tramite alcune citazioni nel testo si evince che è una sorta di resoconto ad un anno, quindi presumibilmente di fine 1919 o primi giorni del 1920.
Spagnol con maestria descrive il progressivo cambiamento della provinciale Praga a nuova capitale dello Stato. Constata che ciò sia avvenuto a cura dei praghesi facendo riferimento alla loro importante storia passata e che tale cambiamento abbia portato radicali trasformazioni sociali e politiche che di fatto si sono rese possibili grazie anche all’impegno di Stati alleati.
Tuttavia, Spagnol è perplesso, deluso e si pone delle domande rispetto al fatto che non vi è un atteggiamento di riconoscenza verso l’Italia tanto da riportare che “Riesce una vera tristezza dover dire, dopo averlo constatato, come di noi a Praga si siano dimenticati”.
Curiosità: La descrizione della città, degli eventi e degli abitanti di Praga è precisa e dettagliata da cronista attento e minuzioso. In una lettera del 25/5/1963, in risposta ad un medico abbonato alla rivista "L'Illustrazione del Medico" che gli aveva segnalato un errore di immagine fotografica su un articolo su Varsavia (con luna veduta del Ponte Carlo di Praga...) Spagnol rispose: "Lo strano si è che io medesimo non abbia riconosciuto il Carlowe Moste di Praga. E' vero che vi sono trantitato e sostato nel 1919 in meditazione, ricordando Casanova e il mio concittadino Lorenzo Da Ponte, ma l'ho vivissimo nella memoria. Eppure mi è sfuggito...".
Il 1° aprile 1920 venne assunto presso il giornale "Tempo" di Roma.
Una dichiarazione del Direttore, Pio Vanzi, datata 25 aprile 1949, ci consente di verificare che Spagnol operò presso il giornale "Serenissimo" di Roma e dal 1923 presso il giornale "Sereno" fino al novembre del 1926.
Sempre nel 1920 iniziò la sua esperienza nel mondo del cinema.