Info visite guidate gratuite - 0144 322192
“FIGLIOL PRODIGO” (c/o Fondazione Casa di Riposo J. Ottolenghi)
Per ammirare il Figliol Prodigo occorre entrare dal grande portone ligneo fino a giungere all’interno del giardino della Casa di Riposo: lì, l’opera, vi apparirà in tutta la sua imponenza.
Dovete sapere che il gruppo scultoreo del Figliol Prodigo fu esposto al pubblico, per la prima volta, alla Permanente di Milano nel 1929 e poi alla Quadriennale di Roma nel 1931 dove fu acquistata da Arturo Ottolenghi e dalla moglie Herta Von Wedekind. Da allora trova la sua collocazione nel cortile dello stabile di proprietà della Fondazione, quasi a voler riassumere, in quell’abbraccio tra padre e figlio, lo spirito di solidarietà della casa di riposo, intitolato a Jona Ottolenghi, filantropo e membro di una delle più importanti famiglie ebraiche di Acqui Terme.
La scena ritratta da questo capolavoro si ispira alla parabola del Figliol Prodigo e raffigura la conclusione della vicenda, ovvero il perdono del padre nei confronti del figlio minore, pentito della propria condotta sperperante.
Se vi ponete davanti all’opera potrete ammirare la figura del giovane figlio che presenta una schiena nuda e smagrita e avanza verso il padre e lo abbraccia, invocando il suo perdono. Il Padre misericordioso, vestito con un ampio mantello drappeggiato sulle spalle, resta immobile, con i piedi saldamente appoggiati al suolo, ed accoglie il figlio con un abbraccio amorevole e protettivo.
L’intreccio delle braccia, guidate dalle mani, dei due protagonisti enfatizza l’aspetto emotivo del commovente e confortante incontro, comunicando l’idea di un mondo sospeso e senza tempo.
Vero è che questa scultura si inserisce nel periodo delle proposizioni iconografiche di parabole evangeliche dell’epoca, ma Martini plasma l’opera perché sente il bisogno intimo di trovare la riconciliazione con quel padre che non lo aveva mai apprezzato. Nel Figliol Prodigo emerge la plasticità e il valore della forma sino a percepire una sincerità profonda. Ecco la chiave di volta per comprendere la ragione per la quale possa essere intesa come l’opera più importante della vita di Arturo Martini.
Foto di Ivano A. Antonazzo