Orano nella letteratura




Non sanno d’essere morti

i morti come noi,

non hanno pace.

Ostinati ripetono la vita

si dicono parole di bontà

rileggono nel cielo i vecchi segni.

Corre un girone grigio in Algeria

nello schermo dei mesi

ma immoto è il perno a un caldo nome: ORAN.


da Diario d’Algeria


Vittorio Sereni


Vittorio Sereni è stato un poeta e scrittore italiano. Trascorse la giovinezza a Luino, sua città natale, per poi trasferirsi - all'età di dodici anni - a Brescia, dove il padre dovette stabilirsi a causa della sua professione come funzionario di dogana. Per quanto breve, il periodo infantile trascorso a Luino è quello che ha lasciato la traccia maggiore nella sensibilità del poeta, ed i luoghi limitrofi al Lago Maggiore sono fra quelli da cui Sereni trarrà la sua ispirazione poetica più alta.

Il suo Diario d'Algeria, pubblicato nel 1947, è traccia dell'esperienza di prigionia dell'autore, deportato nel 1943 dagli Alleati appunto in Algeria e Marocco. La raccolta conferma un allontanamento dai temi dell'ermetismo verso quelli di una maggiore e più alta quotidianità e verso una narrazione in forma quasi diaristica, dove la prigionia diventa la cifra esistenziale attraverso la quale il poeta guarda al destino dell'uomo.

In questa breve lirica, Sereni descrive l’esistenza dei prigionieri di guerra, più simile alla morte che a una vita vera, in cui non ci sono contatti con il mondo esterno e in cui tutti i giorni trascorrono uguali, grigi e soffocanti, e racconta la condizione incerta in cui si trovano i detenuti, costantemente a un passo dalla fine.

Questa descrizione vale anche per tutti gli altri carcerati del mondo, che si trovano in condizioni disumane all’interno delle prigioni e le cui speranze vengono soffocate calpestando l’esistenza stessa dell’uomo.