Confronto poesia Arano di Pascoli
la descrizione dei personaggi
prima apparizione dei protagonisti
il dialogo di Renzo e Don Abbondio
descrizione di luoghi: l'ufficio dell'avvocato
I nomi alterati sono sostantivi modificati di significato. Questo cambiamento semantico è possibile grazie a dei suffissi, per esprimere delle qualità senza aver bisogno dell’aggettivo qualificativo.
I nomi alterati sono di quattro tipi: diminutivi, accrescitivi, vezzeggiativi, dispregiativi.
Casa = casina (diminutivo); casone (accrescitivo); casetta (vezzeggiativo); casaccia (dispregiativo).
capitolo XIV
Renzo arringa la folla in tumulto con un discorso, attirando l'attenzione di un poliziotto travestito che poi lo conduce all'osteria della Luna Piena. Renzo si ubriaca e finisce per rivelare il proprio nome al poliziotto, che poi lo lascia solo. Renzo, completamente ubriaco, diventa lo zimbello degli avventori.
capitolo XV
Renzo, completamente ubriaco, viene messo a letto dall'oste della Luna Piena, che poi va a rendere testimonianza di fronte al notaio criminale, al palazzo di giustizia. Il mattino seguente il notaio va ad arrestare Renzo insieme a due birri. Mentre viene condotto via, Renzo viene liberato dall'intervento della folla e riesce a fuggire.
capitolo XVI
Renzo riesce a evitare l'arresto e a lasciare Milano. Si mette sulla strada per l'Adda, fermandosi in una prima osteria e poi in un'altra, a Gorgonzola. Qui ascolta un mercante di Milano che riferisce dei disordini in città e parla della sua fuga. Renzo esce dall'osteria e si rimette in marcia.
capitolo XVII
Renzo si allontana da Gorgonzola e si dirige verso l'Adda. Si addentra nella boscaglia, finché raggiunge il fiume. Pernotta in un capanno, poi al mattino passa il fiume con l'aiuto di un pescatore. Raggiunge il paese di Bortolo e incontra il cugino, che gli offre aiuto e lavoro.
Capitolo XIII
Il vicario di Provvisione è il funzionario di Milano incaricato di provvedere al vettovagliamento della città , è a casa sua, intento a digerire un magro pasto consumato senza pane fresco, quando alcuni cittadini giungono a informarlo che la folla si dirige alla sua abitazione per linciarlo. I servi lo avvertono che i rivoltosi sono in arrivo e la fuga è ormai impossibile, così sprangano porte e finestre mentre si sente l'urlo della sommossa che si avvicina minacciosamente. Il pover'uomo è in preda al terrore e si rifugia in soffitta, da dove si affaccia da un pertugio nella parete e scorge la folla che si avvicina, per poi rannicchiarsi in un angolo appartato e sperare vanamente che i disordini cessino.
Intanto i rivoltosi hanno raggiunto la porta della casa iniziando a sconficcarla in tutti i modi e Renzo si trova in mezzo al tumulto, questa volta cacciatosi in mezzo ai disordini per scelta deliberata: il giovane non ha disapprovato il saccheggio dei forni, tuttavia non condivide l'intento della folla di mettere a morte il vicario e
- Oibò! vergogna! - scappò fuori Renzo, inorridito a quelle parole, alla vista di tant’altri visi che davan segno d’approvarle, e incoraggito dal vederne degli altri, sui quali, benché muti, traspariva lo stesso orrore del quale era compreso lui. - Vergogna! Vogliam noi rubare il mestiere al boia? assassinare un cristiano? Come volete che Dio ci dia del pane, se facciamo di queste atrocità? Ci manderà de’ fulmini, e non del pane!
approfondimento utile per il paesaggio romantico: 5. LO SPAZIO da pag. 14 a pag. 16
vedi anche la pagina su Caspar David Friedrich
Di questi tempi il romanzo fiume va per la maggiore, se diamo ascolto alle tirature. Ma c’è romanzo e romanzo. Se prendevamo Il Castello di Trezzo del Bazzoni o la Margherita Pusterla del Cantù a quest’ora sapevamo cosa mettere nei tascabili. Sono libri che si leggono e si leggeranno anche tra duecento anni, perché toccano da vicino il cuore del lettore, sono scritti in un linguaggio piano e avvincente, non mascherano le loro origini regionali, e parlano di argomenti contemporanei, o che i contemporanei sentono come tali, quali le lotte comunali o le discordie feudali. Invece il Manzoni anzitutto ambienta il suo romanzo nel Seicento, secolo che notoriamente non vende. In secondo luogo tenta una operazione linguistica discutibilissima, elaborando una sorta di milanese-fiorentino che non è né carne né pesce e che non consiglierei certo ai giovani come modello di composizioni scolastiche. Ma queste sono ancora pecche minori. Il fatto è che il nostro autore imbastisce una storia apparentemente popolare, a livello stilisticamente e narrativamente “basso”, di due fiidanzati poveri che non riescono a sposarsi per le mene di non so qual signorotto locale; alla fine si sposano e tutti sono contenti. Un po’ poco per le seicento pagine che il lettore dovrebbe ingollarsi. In più, con l’aria di fare un discorso moralistico e untuoso sulla Provvidenza, il Manzoni ci somministra a ogni piè sospinto manate di pessimismo (giansenistico, siamo onesti) e in fin dei conti propone melanconiche riflessioni sulla debolezza umana e sui vizi nazionali a un pubblico che è invece avido di storie eroiche, di ardori mazziniani, magari di entusiasmi cavurriani, ma non certo di sofismi sul “popolo di schiavi”[...]. Il nostro pubblico vuole ben altro. Certo non vuole una narrazione che si interrompa a ogni istante per permettere all’autore di far della filosofia spicciola, o peggio per fare del velleitario collage materico, montando due gride secentesche tra un dialogo mezzo in latino e delle tirate pseudopopolaresche [...]. Fresco di lettura di quel libretto agile e saporito che è il Niccolò de’ Lapi, ho letto questo Promessi sposi con non poca fatica. Basti aprire la prima p. e vedere quanto l’autore ci mette a entrare nel vivo delle cose, con una descrizione paesaggistica dalla sintassi irta e labirintica, tale che non si riesce a capire di che parli mentre sarebbe stato tanto più spiccio dire, che so, «una mattina, dalle parti di Lecco ... ». Ma tant’è, non tutti hanno il dono di raccontare, e meno ancora hanno quello di scrivere in buon italiano. D’altra parte, non è che il libro sia privo di qualità. Ma si sappia che si farà fatica a esaurire la prima edizione.
pg. 72 (Umberto Eco, Diario minimo, A. Mondadori, Milano 1963)
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https://www.politesi.polimi.it/bitstream/10589/48122/1/2012_04_Simone.pdf
Lo spazio in letteratura può essere descritto solo diacronicamente, non nel suo insieme, come nella realtà o nelle arti visive. Il narratore ha quindi la necessità e la possibilità di compiere delle scelte. Potrà dirigere l’osservazione dal primo piano alla panoramica, dal particolare al generale, dall’interno all’esterno, o viceversa. La descrizione dello spazio, condotta in modi diversi, produrrà effetti diversi sul lettore e sull’andamento della narrazione.
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analisi narratologica