idea di bene comune a Caserta

Parlare a Caserta dell’idea di bene comune ma soprattutto del modo in cui si concretizza nel pratico, è oggi impresa assai ardua.

I motivi di ciò sono tanti e complessi; iniziamo prima di tutto analizzando velocemente le tappe principali della storia di questa città perché un dato importantissimo per comprendere il suo stato attuale è prendere in causa i suoi cittadini e studiare i vari avvenimenti di sofferenza o di gioia, di odio o di amore che li hanno formati, compresa anche la loro provenienza sociale e lavorativa.

Caserta, purtroppo già da ciò, in un’ottica formativa, ha un corso storico un po’ altalenante; la sua storia la vede svilupparsi sempre all’ombra della Reggia, come una specie di città comando; anche se nelle borgate ci si specializza in qualche settore manifatturiero ed artigianale, vedesi il tessile, il cuore vero e proprio ne rimane abbastanza immune non acquisendo una vera e propria personale tradizionalità.

Con l’unità d’Italia Caserta poi diventa una città militare con le tantissime caserme mentre solo con gli anni settanta ottanta arriva una certa industrializzazione nella zona della Saint Gobain.

Oggi, poi, con la chiusura di quasi tutte le fabbriche e le caserme, improvvisamente, Caserta viene a perdere quasi tutto il carburante su cui reggeva la sua economia; in tutto ciò il duplice rapporto di fiducia tra governanti e cittadini negli anni si è andato sempre più corrodendosi spezzandosi in modo irrimediabile.

Ed è proprio qui uno dei drammi: il concetto di rinventarsi che non riesce a decollare proprio perché abituata a vivere confidando sempre in qualcuno che la guidasse, quasi la ordinasse, forse nei primi decenni in modo anche giusto ed equo ma poi purtroppo sempre più in modo disinteressato al bene comune ed interessato al proprio tornaconto da parte dei suoi governanti.

Caserta perciò ora si presenta come un bambino viziato che una volta grande, quando se la dovrà cavare da solo si trova improvvisamente nello sconforto.

Inoltre i tanti problemi apportati della società consumistica uniti a questa mancanza di senso di autogestirsi, certo, comune di molti popoli, ma qui credo in misura troppo elevata, fa aggravare il tutto.

Nelle strade infatti il concetto di apparenza la fa da padrone, si fa più attenzione a dover essere alla moda che al futuro dei propri figli, la creatività e l’intuizione sono bloccate in poche sacche di semplici cittadini che bisogna elogiare per il loro non arrendersi e quindi per la loro parsimoniosità nel portare avanti le proprie teorie auspicando in un futuro ravvedimento eseguibile solo dando tempo al tempo.

Purtroppo di ben altro tempo gode l’avanzata rapida della privatizzazione, primo nemico del bene comune, favorita dal dissesto comunale (2011 ndr), fa incetta a prezzi stracciati di ciò che è di tutti creando i presupposti della soffocante opera di un futuro monopolio.

Perciò per ora Caserta fallisce, fallisce perché così facendo lascia ben 60000 mila cittadini e dico e ripeto 60000 mila persone al completo sbando, umiliate nella loro dignità nel ruolo di cittadini abbandonati, non gratificati e non adoperati nella loro ovvia forza lavoro e quindi bruciati nei loro innumerevoli talenti inascoltati. Essi non sono protagonisti di nulla, vengono tenuti all’oscuro di tutto, ci si ricorda di loro solo nelle occasioni di far cassa.

In situazioni come queste li obbliga verso il lavoro in nero e l’evasione, e verso l’autocostituzione di speciali gruppi di lavoro fai da te.

Il bene comune, che rappresenta le basi per ogni democrazia reale, insomma viene sempre più schiacciato da pochi speculatori impauriti dalla crisi dilagante, che però non si rendono conto che così facendo più spingono verso il loro tornaconto personale e più creano i presupposti inversi: infatti solo tramite situazioni di disagio forte la gran parte che compone la popolazione comune prenderà sempre più coscienza del problema, della propria grande forza interiore spesso sopita che ognuno di noi ha, del proprio peso che abbiamo nel nostro singolo diritto al voto, a partecipare attivamente alla gestione cittadina, in parole povere a far si che un bene comune sia e rimanga sempre un bene di tutti, nessuno escluso, ed in ciò la popolazione se si unisce ha man forte su tutto!

Solo con la partecipazione attiva di veramente tutti, e grazie ad una precedente fiducia e trasparenza acquisita con tempo e con dedizione, con lo scendere realmente in mezzo alla gente comune e quindi col porre ogni spazio ed ogni risorsa, nel limite del possibile, a piena disposizione cittadina aspettando fin l’ultimo cittadino inerme per camminare insieme almeno sullo stesso piano, solo così possiamo auspicare un generale miglioramento, altrimenti avremo sempre dei cavalli che correndo troppo veloci perdono spesso, e sempre più spesso, il carro per la via, e ricordo e sottolineo che il bene più prezioso è e rimane sempre nel carro.

Una città non si improvvisa, la si costruisce con anni ed anni di perseveranza.

Alessandro Santulli