EDITORIALE                          

Aldo Trecroci, Perché il 25 aprile è Festa Nazionale 

Il 25 aprile ricorre l’anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, la fine dell’occupazione nazista e la caduta del regime fascista. 

La liberazione fu successiva alla guerra di resistenza, iniziata dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, che vide contrapposti, in una guerra civile, i partigiani contro le forze armate nazifasciste comprendenti i tedeschi e i fascisti italiani. Il movimento partigiano era caratterizzato da diverse “anime”, politicamente anche contrapposte tra loro, unite, però, dall’obiettivo comune di liberare l’Italia dall’invasione nazista che seminò terrore e morte tra la popolazione.

Le guerre sono tutte strumenti di morte e distruzione, segnano profondamente le coscienze e le menti, provocano lutti, divisioni, rancori, odio, alimentano l’indifferenza nei confronti del male.

Le guerre civili ancor di più segnano la vita dei popoli, contrappongono in una tragica sfida mortale uomini e donne della stessa nazione, con cultura, tradizioni, costumi, storia, molto simili, a volte amiche fino a un recente passato, in alcuni casi legate da vincoli di parentela anche molto stretti. 

La condanna della guerra non deve però sconfinare nel falso storico e nell’aberrazione morale: la resistenza fu una guerra di liberazione, che vedeva contrapposti i partigiani alle forze oscurantiste nazifasciste, queste ultime caratterizzate da un’ideologia folle e suicida, sprezzanti dei più elementari diritti umani, colpevoli dell’eccidio di milioni di persone e dei crimini più atroci. 

Nelle guerre le efferatezze, la storia insegna, coinvolgono tutte le parti in causa sia come vittime che come carnefici, ma è necessario comprendere la differenza profonda tra la deriva della violenza della guerra, e le atrocità che invece hanno una matrice politica e la sistematicità della follia ideologica. 

Il nazifascismo determinò in Europa e nel mondo intero la notte delle coscienze e il diffondersi del male. Hanna Arendt, filosofa e politologa illustre della seconda metà del novecento, si occupò a più riprese del concetto di male, definendo il “male radicale” quale male assoluto, non suscettibile di perdono, inaccettabile, che colpisce le radici dell’essere umano privandolo del pensiero e dell’azione spontanea. Più tardi riformulò le proprie considerazioni dichiarando che il male non è mai radicale, nel senso che si diffonde in superficie, come un fungo, invadendo il mondo intero. Il male non ha radici e, pertanto, è nemico del pensiero, che invece ricerca la profondità e quindi la radice e l’essenza delle cose e dell’essere. Il male è banale e ha bisogno della banalità per diffondersi, perché invece la profondità appartiene al bene.

Le dittature più feroci, come il nazifascismo, chiedono cieca obbedienza. L’obbedienza e la fedeltà incondizionata, a un’ideologia, a un partito, a un regime, comportano la rinuncia alla propria indipendenza, l’impossibilità dell’azione individuale e spontanea, il mancato possesso del pensiero. Per questo motivo i regimi autoritari cercano innanzitutto di controllare l’informazione e, soprattutto, l’istruzione del popolo, e il dissenso viene soffocato per evitare che emerga la banalità del male che è alla base di ogni autoritarismo.

Di contro la Resistenza fu l’esempio di unione sinergica tra uomini con diverse e anche contrapposte matrici ideologiche, che decisero di ribellarsi all’omologazione e al male del regime nazifascista, affermando il proprio pensiero individuale, il proprio diritto all’autodeterminazione e alla libertà, in sostanza all’essere persone. 

Dalla Resistenza è nata la Costituzione Italiana, formalmente e nello spirito, antifascista, che, ancora oggi dopo oltre 75 anni dalla sua promulgazione, è il documento fondamentale della nostra democrazia ed è la sintesi magistrale delle diverse ideologie e matrici culturali che l’hanno partorita.

La Scuola deve celebrare quindi la festa della Liberazione. Questa è occasione per ricordare che dalla ribellione alla dittatura e alla negazione dell’individualità delle persone e del loro libero pensiero, dalla consapevolezza che i valori umani base della convivenza, nel popolo e tra i popoli, sono essenziali e sovraordinati a qualsiasi altra considerazione di ordine politico e morale, è nata la nostra democrazia che, se pur imperfetta, è preferibile alla migliore delle dittature.

Ricordare la Liberazione significa riaffermare che l’indifferenza, il conformismo acritico, l’ubbidienza incosciente e passiva, il non pensiero, porteranno alla diffusione del male in tutta la sua banalità. Di contro, il libero e critico pensiero, l’azione responsabile, il rispetto e il riconoscimento della diversità quale valore foriero di progresso e di evoluzione, ci ricordano le nostre radici valoriali e la nostra umanità. 

La Scuola deve essere il pilastro dell’educazione libera, deve garantire l’inclusione dei diversi pensieri, deve insegnare il pensiero critico e libero e deve difendere i valori della nostra Costituzione, partorita dal sacrificio e dalla responsabile ribellione dei nostri antenati partigiani.

Cogliamo quindi l’occasione della ricorrenza del 25 aprile per discutere con i nostri studenti dei principi fondamentali della nostra Costituzione, cogliendo e discutendo il loro profondo significato. La Costituzione Italiana è un chiaro esempio di profondità di pensiero, radicato e partorito dalla lotta partigiana che si oppose alla banalità del male nazifascista.


Il dirigente scolastico del Liceo Scientifico “G.B. Scorza" di Cosenza

Delegato all’Istruzione del Comune di Cosenza

Aldo Trecroci