Willow Project: corsa all’oro nero e minaccia ambientale senza precedenti

Il Willow Project, argomento di discussione degli ultimi mesi da parte degli ambientalisti, nasce in realtà diversi anni fa: venne annunciato nell’ormai lontano 2017 dall’amministrazione Trump; questo progetto ha come obiettivo, secondo i suoi promotori, avvicinarsi sempre di più ad una sorta di indipendenza energetica dai paesi del Golfo andando, per mezzo di un finanziamento da 8 miliardi di dollari, a scavare pozzi per l’estrazione di petrolio nel North Slope, una località nell’estremo nord dell’Alaska. In seguito a numerose vicissitudini politiche il 13 marzo 2023, il governo Biden ha annunciato  il via libera per le estrazioni. Ciò che ha creato scandalo per quanto riguarda il piano di estrazione non è solo l’enorme impatto ambientale, ma anche l’atteggiamento della politica, le promesse non mantenute e l’indifferenza del governo alle lamentele dell’opinione pubblica. 


Nascita del progetto e parti coinvolte 


Senza soffermarci sulle politiche “poco ambientaliste” dell’ex presidente Trump: in qualità di magnate dell’industria durante il suo mandato ha puntato ad una totale indipendenza degli USA dalle altre potenze mondiali, in particolare dai paesi arabi per quanto riguarda il petrolio.


E’ con poco coinvolgimento dei cittadini americani e in particolare dei nativi alaskani che si arriva alla conclusione di una urgente necessità di sfruttare appieno le risorse di uno dei giacimenti più grandi in America. 

La “ National Petroleum Reserve-Alaska” ricopre un territorio molto ampio sulla costa nord dell’Alaska, il cosiddetto North Slope; questa venne scoperta ed identificata dal presidente Hardin nel 1923 come possibile zona da sfruttare in caso di necessità di combustibili fossili. Nel corso degli ultimi anni del 900’ si comprese l’importanza naturale di quest’area, ricca di fauna rara e uno dei pochi luoghi completamente incontaminati del continente americano: si stabilì che ogni iniziativa volta allo sfruttamento dei beni che avesse da offrire quella terra dovesse essere portata avanti con grande perizia e attenzione nei confronti del paesaggio, così da preservare flora e fauna. 


Gennaio 2021: il governo Biden sale alla Casa Bianca. Fra le numerose promesse e giuramenti che nel corso della campagna elettorale sono stati fatti davanti al popolo statunitense vi era quello di una politica che andasse a coniugare due concetti a prima vista discordanti, come lo sviluppo economico e l’ambientalismo. Questa promessa venne mantenuta, almeno all’inizio:


“L'amministrazione del presidente Joe Biden martedì ha sospeso tutti i contratti di locazione per l'estrazione di petrolio e gas nell’Arctic National Wildlife Refuge, la più grande riserva naturale dell'Alaska, in attesa di nuovi dati sul loro possibile impatto ambientale. Lo ha reso noto il dipartimento degli Interni.”        - La Repubblica


Purtroppo lo stop alle trivellazioni dura soltanto fino a fine 2021 e non viene più rinnovato: in questo periodo di fermo sono numerose le proposte e le iniziative green del governo, che però o non vengono applicate o sono inglobate in un contesto così tanto più vasto da non far percepire nemmeno l’intento positivo. 



Marzo 2023: le trivellazioni nei due siti già esistenti in Alaska non sono più sufficienti! Il presidente Joe Biden annuncia l’approvazione del governo per gli scavi in quella zona che nemmeno Trump aveva contemplato nel suo piano ( che già andava ad intaccare l’ “Arctic National Wildlife Refuge”), ovvero la National Petroleum Reserve.

ConocoPhillips è la compagnia con la quale il Dipartimento dell’Energia statunitense ha preso accordi per quanto riguarda il progetto; l’azienda gestiva gli altri 2 impianti di minori dimensioni. Si pensa che uno dei fattori a causa dei quali si è arrivati all’OK per il Willow Project sia stato proprio la pressione sul governo da parte delle alte sfere della ConocoPhillips, che -com’è comprensibile- non si sarebbe mai lasciata “soffiare” da politica ecologista alcuna, un contratto multimiliardario.

Così in poco più di due anni di mandato tutti i buoni propositi sono messi in ombra  -per non dire, completamente annichiliti- da un’enorme nube di CO2. 


Opinioni contrastanti fra i nativi alaskani


Purtroppo o per fortuna non c’è una sola versione della storia da ascoltare, e tantomeno abbiamo il diritto di condannare qualcuno perchè pensa alle proprie necessità e bisogni. Non sono mancati i promotori e i sostenitori di questo progetto: è primo fra tutti il governo dello stato dell’Alaska, in un incontro avuto il 3 marzo con il presidente, ha insistito per l’immediata attuazione del piano di scavi; da menzionare anche l’incoraggiamento di diversi gruppi nativi del luogo riguardo al progetto: si tratterebbe di un'operazione economica di dimensioni colossali che andrebbe ad apportare un grande beneficio dal punto di vista economico e sociale a quelle cittadine sperdute in una terra ostile. 

Non si tratterebbe solo dei debiti statali che andrebbero ad estinguersi, ma di benefici per tutte le attività commerciali della zona, nuovi fondi da devolvere ad istruzione e salute pubblica. 


“Willow presents an opportunity to continue that investment in the communities,” Nagruk Harcharek, president of the advocacy group Voice of the Arctic Iñupiat, told CNN. “Without that money and revenue stream, we’re reliant on the state and the feds.”      

-Tratto dall’articolo di Ella Nielsen, climatic reporter per CNN


Non tutti i nativi del luogo, però, la pensano allo stesso modo riguardo a questa faccenda quantomeno delicata: da altri villaggi l’opinione pubblica riflette l’angoscia di cittadini che hanno paura dell’impatto del Willow Project sulle loro vite. Alcune di queste zone abitate sono nelle immediate vicinanze della zona di scavi e risentirebbero sicuramente di più dell’inquinamento aereo e dello sfruttamento del suolo, che andrà quasi sicuramente a modificare la morfologia del territorio. L’altra faccia della medaglia ci è mostrata da questo spezzone di un articolo della CNN riguardante proprio i cittadini della città di Nuiqsut.

“In una recente lettera personale al Segretario dell'Interno Deb Haaland, il sindaco di Nuiqsut Rosemary Ahtuangaruak e altri due funzionari della città di Nuiqsut e tribali hanno detto che il villaggio avrebbe sopportato il peso dell'impatto sanitario e ambientale di Willow. Altri villaggi ottengono alcuni benefici finanziari dall'attività di petrolio e gas, ma sperimentano impatti molto meno che Nuiqsut", si legge nella lettera. "Siamo al punto di partenza per l'industrializzazione dell'Artico ."


-Tratto da articolo di Ella Nielsen, climatic reporter CNN



Un disastro ambientale 

“Per disastro ambientale si intende un fenomeno con una vasta ricaduta sull'ambiente, avente origine naturale o antropica, che si configuri come catastrofico per: la numerosità degli organismi viventi coinvolti; la gravità degli effetti su tali organismi; la vastità del territorio interessato.

Il Willow Project ha costituito in poco tempo dall’annuncio un caso mediatico di dimensioni bibliche a causa di vari fattori politici, sociali, legali e in particolare ambientali.

Sicuramente il comportamento di un governo che ha usato la campagna green solo come motivo per ergersi al di sopra di altri partiti è stato notato, ma la parte più ovvia dell’intera faccenda, quella che è saltata all’occhio anche del più disinteressato lettore sui social è quanto pericoloso tutto questo possa essere a livello ecologico!


A prescindere da come venga usato, il petrolio greggio costituisce un inquinante: un esempio sono i possibili incidenti o azioni volontarie che portano al rilascio di petrolio puro nelle acque marine o nelle falde acquifere, permeando attraverso la roccia; la sua stessa lavorazione per ottenere combustibili nelle raffinerie è inquinante, per non parlare dell’emissione di anidridi durante la combustione; come ultimo caso possiamo analizzare la lavorazione di questo per ottenere la plastica, il cui smaltimento costituisce un problema per l’ecosistema.

Dopo aver pensato a ciò che è stato sopra detto, bisogna ricordare in cosa consiste questo progetto a livello di numeri.

Si tratta in realtà di un giacimento non molto grande, si stimano circa 600 milioni di barili; il problema nasce quando si parla del contesto in cui questa decisione viene attuata, considerando l’esistenza di tantissimi pozzi petroliferi dai quali si estraggono già enormi quantità di petrolio e che continueranno a fornirne per decenni. Scavare un ennesimo pozzo significa non contemplare neanche minimamente la possibilità di un futuro carbon free.


A prescindere dalla mole di inquinanti estratta e rilasciata, anche il minimo errore comporterebbe un danno ambientale incredibile, dato che non si tratta di una zona sperduta nel deserto del Sahara, ( ecosistema che, anche se meno ricco di flora e fauna va comunque rispettato) ma dell’ultima zona totalmente incontaminata sul continente americano, ricca di fauna selvatica a rischio, aria priva di impurità e acque ancora limpide. 

Per quanto il progetto possa essere condotto a norma di legge e rispettando le più serrate regole contro l’inquinamento, si andrebbe comunque ad intaccare la “sacralità” di questo angolo di paradiso, modificando in primis la geomorfologia del terreno e rischiando di intaccare le falde acquifere, un rischio sempre presente quando si perfora. 


I gruppi ambientalisti che hanno preso a cuore questa causa sono molti, fra cui Earthjustice che si è esposto in diversi casi durante interviste e manifestazioni, ma una notizia sorprendente è il numero di firme raccolte da una petizione su Change.org, arrivata a 2,8 milioni: un vero record!


Non si può dire che se si ottenesse l’annullamento di questo progetto vincerebbero i buoni o, al contrario, se venisse attuato saremmo rovinati; in fin dei conti si tratta di una scelta e, a prescindere dalla strada che verrà intrapresa ci saranno delle conseguenze.

Nel nostro piccolo possiamo solo sperare che coloro i quali sono da noi stati insigniti del potere decisionale vengano guidati dal buon senso, ma sarebbe moralmente sbagliato, nel momento in cui ne fossimo privati, non combattere per la nostra libertà di scelta e subire passivamente decisioni che andranno a minare il diritto di vivere in un ambiente sano per noi e per i nostri figli. 



A cura di Raffaele Pio Iacoe, 4A