Il Maglio com'è oggi 




Non si può non spendere due parole sul maglio dei Favero di Cartigliano, dove da fanciullo ho trascorso tante giornate ad osservare lo zio Luigi e i cugini intenti “all’opere di Vulcano” e a tegnère la stanga, manovrare cioè un palo che aumentava il flusso dell’acqua atto a far girare più velocemente la ruota a pale che determinava i battiti del maglio, soprattutto di quello più possente (150 chili). A un cenno del capo di Pietro o Giuseppe, che tenevano con le mani robuste i manici di lunghe tenaglie le cui ganasce serravano i masselli di ferro rovente che ad ogni colpo, tra faville (saìve), s’appiattivano, s’allungavano, si allargavano, per assumere i primi contorni di un badile o di una vanga, spingevo verso l’alto o verso il basso, ora appena, ora a fondo, la stanga. Lino appollaiato su un trespolo, affilava (usava) i badili alla mola di quasi un metro e mezzo di diametro o le scuri (manare) taglienti, protetto agli occhi da strani, enormi occhiali, simili a quelli degli aviatori. Eli, in corte, con il cannello ossiacetilenico, munito di occhiali con lenti affumicate, sezionava le bombe inesplose – non sempre private però di tutto l’esplosivo (per cui spesso si correvano dei pericoli) – ottenendone masselli da lavorare poi alla fucina e col maglio. Ora il maglio forse più importante del Vicentino, con quattro grandi fucine, due magli possenti e un’enorme mola (negli anni Cinquanta opificio ancora attivo, che dava lavoro ad una quindicina di persone ed era classificato come “fabbrica di attrezzi agricoli”), è l’ombra di se stesso perché in completa rovina. A nulla è valso l’accorato appello del 1978 da parte del dott. Gastone Favero, figlio di Pietro, lanciato dalle pagine de <<Il Giornale di Vicenza>> del 18 aprile 1978 con un articolo dal titolo emblematico: Ucciso dal progresso l’ultimo “maglio”. Serviva per la produzione di utensili adatti alla lavorazione della terra. La Sovrintendenza potrebbe salvarlo. Ora, dei quattro figli di Luigi Favero, il majàro de Cartiàn, sopravvive solo Lino, emigrato nel lontano Venezuela.

Evaristo Borsatto


Le canalette su cui defluiva con forza l’acqua del rostòn imbottato, erano costruite un tempo in legno di acacia o robinia (spinaro, càsia, rubìnia), con un sistema di palizzate (piantuni, travèrsi o lunguni) ancorate (piantàe) sul fondo e tra il muro dello stabile e quello parallelo della sponda opposta del canale, su quest’ultimo, poi, doveva poggiare anche uno dei due perni (aségi) dell’albero (el mélo) in “ cuscinetti “, un tempo di pietra dura, leggermente concavi e tenuti lubrificati con grasso, in seguito in veri cuscinetti a sfera. Le canalette in legno, con le sponde più o meno alte, convogliavano l’acqua all’apertura delle paratoie, facendola cadere sulle pale della ruota del mélo del maglio; le pale erano appena un poco (un pélo) più strette delle canalette stesse: e questo era determinante per fruttare tutta la forza dell’acqua che poi defluiva al di sotto. Per comprendere bene tutto ciò basta osservare attentamente la foto riprodotta, molto indicativa, scattata proprio il giorno della nascita dello scrivente (56 anni fa); in essa si può vedere un falegname provetto, Giuseppe Borsatto, zio paterno dello scrivente e primo cugino dei majàri, mentre , con i suoi giovani garzoni – divenuti in seguito a loro volta provetti falegnami – risistema tutto il complesso apparato di canalette, travature, fusi e pale delle ruote del “maglio” dei Favero di Cartigliano. E a valle di questa struttura, ove per necessità si formava una fossa in cui l’acqua risultava più profonda, alla chiusura annuale del canale per la normale manutenzione, veniva intrappolata una gran quantità di trote (trute), gamberi (gàmbari), ghiozzi (marsuni), sanguinerole (morète) e perfino anguille (bisati).

Evaristo Borsatto 

Riparazione della ruota del maglio.   Com'era negli anni '40 con la famiglia Favero al lavoro 

Il maglio della famiglia Favero di Cartigliano. La donna sta azionando il tirante del mantice.

Lavorazione alla mola del maglio Tamiello di Breganze (foto D. Sassi) 






Mantice dell'officina Matteazzi di Trissino