Nel libro XII dell’Odissea, Odisseo lascia l’isola di Circe per riprendere il suo viaggio attraverso il Mediterraneo. La “terribile dea dalla voce umana” lo avverte profeticamente degli ostacoli che dovrà affrontare sul cammino dandogli dei consigli. Il primo di questi consigli riguarda un terribile pericolo che l’eroe dovrà superare per salvare i suoi compagni e vincere la sua stessa brama di conoscere: dovrà infatti oltrepassare l’isola delle Sirene, mostri mitologici dei quali, nel canto omerico, è tralasciata la descrizione fisica, poiché dovevano essere già familiari al pubblico dell’epoca. Di questi mostri, che sappiamo da altre fonti essere parte donne parte uccelli, Omero descrive invece la voce e il canto e le conseguenze terribili che questo ha sugli uomini che lo ascoltano. Circe consiglia quindi a Odisseo di tappare le orecchie ai compagni con della cera per impedire loro di udire la voce delle Sirene; la dea però sa anche che egli desidererà conoscere il mistero del canto e gli raccomanda di farsi legare all’albero della nave dai compagni per non cadere nella tentazione di restarne rapito.

Tema centrale dell’incontro con le Sirene è quello dell’importanza della parola. La voce, il canto e il suono stesso assumono in questo contesto una rilevanza significativa: la distanza percorsa da Odisseo e dai suoi compagni per raggiungere l’isola delle creature mostruose è infatti indicata facendovi riferimento “vicino quanto è d’un uomo il grido”.

Le Sirene cominciano allora il loro “canto armonioso” (λιγυρὴν ἀοιδήν), al quale esse stesse fanno riferimento in seguito definendolo “μελίγηρυν”, usando quindi la stessa immagine adoperata da Odisseo nell’incontro con Nausicaa. Ed è proprio grazie a questo canto che le Sirene sono in grado di persuadere le proprie vittime a raggiungerle sull’isola. Il rilievo dato da Omero alla parola nel passo rispecchia peraltro l’importanza che questa ricopriva nella civiltà coeva. La società omerica faceva infatti affidamento su figure come gli aedi che trasmettevano la conoscenza popolare e la tradizione culturale oralmente. Lo stesso Odisseo utilizza però spesso, come abbiamo visto, la parola come strumento di persuasione e di applicazione della metis, Omero rappresenta nelle Sirene un esempio negativo dell’ uso della parola, che in questo caso, è usata per indurre i marinai di passaggio a consegnarsi nelle braccia della morte. In questo senso le Sirene possono essere viste quasi come un doppio distorto degli aedi.

Per Omero le Sirene sono creature che sanno tutto ciò che sulla terra è accaduto o che accadrà, come esse stesse affermano rivolgendosi ad Odisseo (ἴδμεν δ᾽, ὅσσα γένηται ἐπὶ χθονὶ πουλυβοτείρηι), il loro canto conduce alla conoscenza assoluta chi lo ascolta. Il mondo antico considera ciò come la finitezza dell’uomo, che lo fa assomigliare a una divinità. Quando Odisseo decide di ascoltare il canto delle Sirene facendosi legare all’albero della nave dimostra la brama di conoscere e di sapere che lo accompagna per tutto il poema, e che sarà il tema centrale nell’interpretazione medioevale del personaggio. Per difendersi dal canto ammaliatore e seducente delle Sirene, che gli promette la conoscenza assoluta, Odisseo deve difendersi quindi, più che dai mostri, dai suoi desideri e dalle sue passioni più forti. L’incontro con le Sirene diventa simbolo di una lotta interiore e del bisogno di combattere il proprio stesso modo di essere per superare un ostacolo.