quaderni


Dal 1998, anno della sua costituzione, Ilsreco pubblica studi, testi, documenti di storia della Resistenza e dell'età contemporanea inerenti il Lodigiano.

A oggi, i volumi della collana «Quaderni» sono 38.

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38. Laura Coci, Storia del soldato Giuseppe Antonietti, aprile 2023, pp. 152.

Il Quaderno Ilsreco 38 presenta la storia del soldato Giuseppe Antonietti – nato a Landriano, nel Pavese, nel 1925, vissuto poi a San Colombano al Lambro – forzato ad arruolarsi nelle file della Repubblica Sociale Italiana in seguito all’arresto della madre, nel dicembre 1943, trattenuta nella locale caserma dei Carabinieri e costretta a firmare una dichiarazione d’impegno affinché il figlio primogenito si consegni al distretto.

La monografia, redatta da Laura Coci, ripercorre le tappe del servizio prestato dal giovane Peppino (così è affettuosamente chiamato in famiglia): dall’addestramento in Germania, al rientro in Italia, dapprima di stanza in Liguria, quindi al fronte, nella guerra bianca sulle Alpi cuneesi, fino ai giorni convulsi di fine aprile 1945, con lo sfaldamento dell’esercito di Mussolini e il ritorno a casa. E ripercorre anche il cammino nell’acquisizione di consapevolezza che porta il soldato Antonietti a riconoscere quanto fossero false le ragioni di fedeltà alla patria e all’onore ostentate dagli ufficiali fascisti, ragioni che causarono altre morti e altri lutti al popolo italiano, già provato da lunghi anni di guerra.

Così scrive Ercole Ongaro nella Presentazione del volume.

Grazie alla intraprendente e ordinata custodia della memoria familiare di una madre, Santina, e poi di una moglie, Marianna, è giunta fino a noi la documentazione che attesta il travaglio vissuto da Giuseppe Antonietti, figlio di Santina e poi marito di Marianna, chiamato a diciannove anni, nel 1944, a una scelta ardua, una scelta di campo, una scelta che era sempre a caro prezzo, dato il burrascoso tempo in cui si viveva: nel mezzo di una guerra di liberazione dall’occupante nazista, che era anche guerra civile.

la cronaca della presentazione del Quaderno su «Il Cittadino» di venerdì 5 maggio 2023

37. Ercole Ongaro, Alice Vergnaghi, Casalpusterlengo 1919-1922. Un dopoguerra di lotte e sconfitte, novembre 2022, pp. 196.

Il volume racconta il fascismo che si vede “sorgere, progredire, affermarsi” nel comune di Casalpusterlengo, in una porzione del territorio lodigiano che assume però carattere esemplare in relazione a quanto avviene in Italia, nel quadriennio che va dal 1919 al 1922, quattro anni che sconvolsero la nazione e aprirono alla dittatura, sulla base di documenti puntualmente segnalati e attentamente indagati: fonti giornalistiche, relazioni e corrispondenze prefettizie, atti giudiziari, memorie private di testimoni, verbali di consigli comunali e altri ancora.

I documenti raccontano la storia e restituiscono, a cento anni di distanza, la storia di quegli anni terribili, che vedono il il passaggio dagli scioperi e dalle occupazioni delle fabbriche alle devastazioni delle camere del lavoro e alle aggressioni a colpi di manganello e rivoltella ai danni di oppositori politici, reali o presunti, nonché di lavoratori e lavoratrici.

Scrive Laura Coci nella Presentazione del volume, realizzato in collaborazione con ANPPIA - Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti - sezione di Casalpusterlengo.

Quanto a Casalpusterlengo, il 9 agosto 1922 cade la giunta Mirotti, che non regge alle continue intimidazioni e aggressioni di cui sono vittime i suoi componenti; dieci giorni dopo, il 19 agosto, è barbaramente assassinato da tre squadristi Giovanni Casali, guardia urbana e simpatizzante socialista.

La storia della famiglia Casali e della tragedia che si abbatte su di essa in seguito alla morte del padre è ricostruita con commozione e rispetto: la casa abitata da «dolore e disperazione», come racconta in un prezioso testo autobiografico − qui riproposto − la primogenita Maddalena (allora ragazzina di tredici anni); la madre terrorizzata all’idea «di incontrare gli assassini che giravano nella piazza e nei caffè liberi cittadini»; lei stessa, Neni, che «tutta vestita di nero», immobile e silenziosa, sfida con la sua presenza i responsabili dell’omicidio (come, anni più tardi, manifesteranno contro la guerra le Donne in Nero in Palestina, Bosnia, Russia…).

E nel volgere di un ventennio, Maddalena ‘Neni’ Casali Mirotti diventerà un simbolo della forza delle donne antifasciste e dell’opposizione casalese al regime: lei − figlia di Giovanni Casali e nuora di Prospero Mirotti (morto di “crepacuore” nell’aprile 1932, dopo essersi imbattuto nel secondogenito, detenuto per attività antifascista, tradotto da San Vittore a Regina Coeli) − elabora la tragedia che l’ha resa adulta nella partecipazione consapevole e attiva alla Resistenza, insieme con il marito Aldo, figlio di Prospero e fratello minore di Giovanni, quest’ultimo scomparso a Mauthausen nel marzo 1945.

36. Alice Vergnaghi, Atlante delle violenze politiche nel Lodigiano (1919-1922), ottobre 2022, pp. 340 con illustrazioni.

Nel centenario della presa del potere da parte del fascismo, l'Istituto lodigiano per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea presenta uno strumento per comprendere il portato della violenza politica che, negli anni del biennio rosso e dello squadrismo fascista, travolge il territorio e l'intera nazione, aprendo alla dittatura.

Attraverso l'analisi di fonti giornalistiche e bibliografiche lodigiane, nonché di documentazione d'archivio, l'autrice ricostruisce ben 191 episodi di violenza politica (in larga maggioranza di matrice fascista), in un crescendo che non si ferma neppure dopo la marcia su Roma, il 28 ottobre 1922.

Il volume è stato realizzato con il contributo di CGIL Lodi.

Ecco un passaggio dalla Presentazione di Ercole Ongaro.

Se poi si guarda agli uccisi dell’intero quadriennio i risultati sono sconcertanti: venti uccisi. Nel 1919 tre socialisti uccisi dai fascisti (al Teatro Gaffurio). Nel 1920 nessuna vittima. Nel 1921 tre socialisti uccisi dai fascisti, un popolare ucciso dai socialisti, un manifestante ucciso dai carabinieri. Nel 1922 tre morti fascisti; sei socialisti, un popolare e un comunista uccisi dai fascisti; un comunista ucciso dai carabinieri. Quindi complessivamente nel quadriennio: quattordici uccisi dai fascisti, due (Giuseppe Betti e Alfredo Ghezzi) uccisi dai carabinieri, uno (Erminio Moretti) ucciso da un socialista, tre fascisti uccisi (Giuseppe Peviani, a seguito di aggressione di Arditi del popolo compiuta nel 1921; Giovanni Marazzina e Attilio Ponti uccisi fuori dal Lodigiano e non da parte di lodigiani).


la presentazione del Quaderno su «Il Cittadino» di venerdì 21 ottobre 2022

35. Angelo Forvi, Vita da militare e da prigioniero in Russia, a cura di Ercole Ongaro, dicembre 2020, pp. 100+16 di inserto fotografico.

L’autore della narrazione è Angelo Forvi: arruolato neppure ventenne nell’esercito del duce e del re per combattere la guerra fascista, il giovane partecipa alla tragedia collettiva della campagna di Russia ed è fatto prigioniero dall’armata sovietica nel gennaio 1943, dopo che gli alpini sono stati traditi dagli alleati tedeschi e abbandonati lungo il Don. Sarà tra i pochi sopravvissuti a fare ritorno a casa, nel dicembre 1945; scriverà le sue memorie nel 1950.

La vicenda di Angelo Forvi è ripercorsa da Ercole Ongaro nel più ampio quadro della guerra di Mussolini e dei suoi effetti sulla comunità di Bertonico, il paese del Lodigiano di cui il giovane era originario. La pubblicazione è stata resa possibile da Gaetano ed Elisa Forvi, rispettivamente figlio e nipote di Angelo.

Ecco l’inizio del Diario.

Partito Il 3-2-1940

Partii quel giorno c’era per terra mezzo metro di neve, presi il pulman alle 8 per Lodi, allora distretto militare, mi accompagno mio fratello Pino, appena arrivati a Lodi, di nuovo incominciò a nevicare, alle 11 si doveva presentarsi ma nel frattempo, ci siamo trovati con i miei paesani, anche loro in partenza per il militare, questi erano Borghi Luciano, Leoni Antonio, Salamina Francesco

allora d’accordo con loro, prima di entrare siamo andati a fare un spuntino all’osteria detta 3 Scalini. finito, verso le 11, ci siamo presentati al distretto, funzionava come caserma…


la presentazione del Quaderno su «Il Cittadino» di martedì 9 febbraio 2021

34. Ercole Ongaro, Caselle Landi 1940-1945. L’eccidio di cascina Punte Alte, marzo 2020, pp. 120+16 di inserto fotografico.

Il volume presenta la storia di Caselle Landi, paese del Basso Lodigiano, negli anni della guerra fascista, dell’occupazione nazi-fascista e della Resistenza. Particolare attenzione è dedicata alla strage di Pasqua (1° aprile 1945), alle vittime civili, alle vicende giudiziarie che seguirono, alle vite dei sopravvissuti. Quella domenica di festa, infatti, il giovanissimo partigiano Silvano Campagnoli (avrebbe compiuto diciotto anni otto giorni dopo) fu ucciso da militi della Brigata Nera, con il padre Pietro, la madre Teresa Berselli (gravida di otto mesi), il fratello Lino (non ancora sedicenne) e con Gino Losi, il fittabile della cascina. Restituire alla comunità la memoria di questo episodio doloroso, e a lungo divisivo, significa rendere alle vittime la giustizia loro negata e operare per la sua riconciliazione.

Così Ercole Ongaro, nell’epilogo del saggio.

L’eccidio di Caselle Landi non è commisurabile alle grandi stragi che vennero compiute soprattutto lungo la Linea Gotica (dalla Toscana all’Emilia Romagna); tuttavia ha in sé la stessa matrice e la stessa logica di ferocia cieca, di violenza totale su persone, case e animali. Lo sbigottimento di fronte a quanto è stato compiuto è nel constatare, negli autori, l’assenza di ogni consapevolezza dell’enormità del crimine compiuto, la dimensione di normalità delle loro biografie, la giovane età di alcuni di loro, educati fin da bambini a diventare soldati del duce, pronti ad obbedire a ogni comando. Essi erano i prodotti genuini del volto tenebroso del regime fascista orientato alla violenza, a concepire la guerra come potente strumento della politica; anche se il fascismo non è riducibile a sola violenza, sopraffazione e guerra. Sicuramente però la guerra non era per il fascismo un tabù. E la guerra, invece di rivelarsi la chiave di accesso al sogno di egemonia al di là dei propri confini, si dimostrò un vortice che trascinò nell’abisso il regime stesso. Ma purtroppo nell’abisso finirono anche le vite di persone che non avevano coltivato nessun sogno di dominio, che chiedevano soltanto di vivere la vita di ogni giorno, pur se segnata da grande fatica e illuminata da rare gioie.

33. La scuola lodigiana di fronte alle leggi antiebraiche, a cura di Laura Coci e Ivano Mariconti, maggio 2019, pp. 160+16 di inserto fotografico.

Il Quaderno ricostruisce e presenta elementi di contesto funzionali a comprendere il clima culturale e politico in cui la legislazione antiebraica italiana del 1938 si è collocata: a partire dalle vicende della comunità ebraica lodigiana, attraverso la guerra d’Etiopia e la proclamazione dell’impero, per giungere alla fascistizzazione delle istituzioni scolastiche e, quindi, al cuore della ricerca compiuta dai curatori coadiuvati dai propri studenti, ai documenti degli archivi scolastici lodigiani e agli articoli della stampa locale («Il Cittadino» e «Il Popolo di Lodi»), dei quali è proposta una scelta significativa.

In particolare, dall’archivio del Liceo classico Pietro Verri sono restituite all’indagine le circolari del Regio Provveditore agli Studi di Milano alle scuole della provincia in materia di difesa della razza e propaganda del regime fascista; dall’archivio del Liceo Maffeo Vegio le copie del Bollettino Ufficiale del Ministero dell’Educazione Nazionale e il fascicolo personale del preside Ferruccio Pardo, che nel 1938 fu rimosso dall’incarico in quanto appartenente alla cosiddetta ‘razza ebraica’ e che successivamente, dal 1957 al 1960, fu a capo dell’allora Istituto Magistrale lodigiano.

Un estratto dalla Presentazione di Ercole Ongaro.

Ciò che è emerso da questa esplorazione in alcuni faldoni dell’Archivio del “Verri” e del “Vegio”, sulle pagine del settimanale diocesano «Il Cittadino» e soprattutto su quelle de «Il Popolo di Lodi», organo del partito fascista, ha permesso di cogliere l’importanza che il fascismo attribuiva al progetto di plasmare una nuova mentalità dei cittadini, di forgiare un nuovo tipo di cittadino, fascistizzato, militarizzato e orgoglioso di «proclamarsi francamente razzista», come invitava a fare il “Manifesto dei [sedicenti] scienziati razzisti”. Informare e formare: questo era stato un costante indirizzo del fascismo, che mirava al monopolio dell’informazione in generale e dell’educazione giovanile. Possiamo cogliere le diverse manifestazioni di questa strategia informativo-educativa nei documenti presi in esame e commentati dagli studenti e dai docenti Coci e Mariconti.

32. Luigi Vighi, La mia vita passata sotto le armi. 1917-1920, a cura di Ercole Ongaro, ottobre 2018, pp. 96+16 di inserto fotografico.

Luigi Vighi, classe 1898, apparteneva a una famiglia contadina di Casalmaiocco, nel Lodigiano: quando rispose alla chiamata alle armi, nel 1917, aveva soltanto diciannove anni; bambino, aveva frequentato la scuola elementare fino alla terza classe. Eppure, colpiscono la sua capacità di descrivere la propria esperienza e quella dei commilitoni e la sua volontà di comprendere le situazioni in cui si trova nei tre anni e mezzo di servizio militare, di cui i primi venti mesi coincidenti con gli ultimi venti mesi della Grande Guerra.

Già in quegli anni, il giovane aveva annotato episodi, località, spostamenti e date in cui questi avvennero; ma il quaderno scolastico a righe, composto da ottanta facciate in cui sono scritte le sue Memorie di guerra - dal 17 marzo 1917 al 22 settembre 1920 - fu redatto interamente, o integrato e trascritto, a conclusione della sua esperienza militare.

Il Quaderno si avvale di un ampio saggio di Ercole Ongaro, che inquadra la vicenda personale di Luigi Vighi nel contesto di Casalmaiocco nei primi anni del Novecento, nonché di una intervista a Giuseppe Vighi, figlio di Luigi.

Un estratto dall’Introduzione di Laura Coci.

Ed è la Grande Guerra che sottrae all’anonimato e alla dimenticanza il nome di Luigi Vighi: come le vite degli “uomini infami” narrate da Michel Foucault ci sono note perché questi uomini ebbero a che fare con la giustizia, così la vita di Luigi Vighi (o meglio quella “tranche de vie” che corrisponde agli anni passati sotto le armi) si distingue suo malgrado dall’esistenza delle generazioni contadine senza nome che lo hanno preceduto, in ragione dell’eccezionalità della guerra. Perché Luigi Vighi si fa testimone esemplare, dando voce a quei tanti, troppi uomini – braccianti e salariati che sanno leggere o scrivere poco – che lasciano la casa nativa (e la terra) per la leva e il fronte, in piena gioventù.

Non è scontato. Luigi Vighi non è un intellettuale, non è Giuseppe Ungaretti né Emilio Lussu e non sa, non ha studiato “le parole per dirlo”: ma fortissima in lui è l’urgenza di raccontare, di dipanare il filo dei ricordi, restituendo a questi ordine e senso, di trasmettere quanto meno in ambito familiare la propria storia, o meglio, quella parte della propria storia inserita in una congiuntura percepita come fuori dall’ordinario.


l'intervista a Ercole Ongaro su «Il Cittadino» di sabato 3 novembre 2018

31. Simona Distante, Anna Paolina Passaglia. Una vita resistente, aprile 2018, pp. 216+16 di inserto fotografico

Anna Paolina Passaglia diviene cittadina di San Colombano al Lambro, luogo di adozione, nel 1921: non ancora diciannovenne (è nata nel 1902), sposa Giovanni Lanzani e si trasferisce nel paese, nel quale, con un intermezzo milanese nel dopoguerra, vive tutta la sua vita fino alla morte, avvenuta nel 1998. In questo denso volume, Simona Distante ne ricostruisce il percorso biografico con accuratezza ed empatia.

Quando inizia la Resistenza, Anna non è più giovane: ha quarantuno anni, è vedova da dieci, con quattro figli (Maria, Giovanna, Mario, Severino). Pure, non esita nella scelta della «parte della storia»: una scelta dettata da senso della giustizia e antifascismo, condivisa dal figlio Mario, partigiano di Giustizia e Libertà nelle valli del Tidone, del Trebbia, del Nure, dell’Arda. Nei mesi di settembre e ottobre ’43, Anna porta viveri a otto ex prigionieri alleati, nascosti sulle colline intorno al paese, in località Gallo; fino all'11 novembre 1944, mantiene i collegamenti con i partigiani di montagna, si fa mezzo di trasporto di informazioni, viveri, indumenti, ovvero fino all’arresto, alla detenzione, alla fuga, quando si unisce alla Divisione Piacenza, contribuendo alla liberazione della XIII Zona.

Ad Anna è dedicata un pannello nel Viale delle Giuste, nel Parco della Libera Università di Alcatraz, presso Gubbio.

Ecco l’incipit della Presentazione di Ercole Ongaro.

In un pomeriggio di fine primavera del 1994 l’amica Simona Distante di San Colombano al Lambro mi portò a intervistare Anna Passaglia. Ci accolse una signora ultranovantenne, sorridente, dai modi gentilissimi. Ci sedemmo al tavolo, mi fissò con i suoi vivaci occhi castani e, precedendo ogni mia domanda, esordì decisa: «Senta, se io cominciassi la mia storia... mio marito è stato investito da un fascista ed è morto». Il grande trauma della sua esistenza espresso con parole concise, lapidarie. Infatti in una sera dell’ottobre 1932 la vita di Anna era stata sconvolta: la morte di suo marito - investito da un’auto, guidata da un industriale - la lasciò vedova con quattro figli piccoli. Non era stata risarcita per quella perdita tragica, né la giustizia dei tribunali aveva riconosciuto le responsabilità del ricco investitore.

30. Ercole Ongaro, I Mirotti di Casalpusterlengo. Vite senza tregua nelle bufere del Novecento, aprile 2017, pp. 220+16 di inserto fotografico

Le vicende della famiglia Mirotti - protagonista della storia del Novecento nel territorio lodigiano, e non solo – sono esemplarmente ricostruite dallo storico Ercole Ongaro in questo volume, ampio e documentato.

Prospero Mirotti (nato nel 1871) è tra i promotori del partito socialista e del movimento cooperativo a Casalpusterlengo, di cui è eletto sindaco dopo la Grande Guerra; vittima di violenze da parte dei fascisti, è destituito nel 1922; muore il 27 aprile 1932, otto giorni dopo aver assistito, per caso, alla traduzione da Milano a Roma del figlio minore Aldo, che sarà processato dal Tribunale Speciale.

Giovanni, il figlio maggiore (nato nel 1901), è giovanissimo Ardito del Popolo; successivamente, negli anni Trenta, con il fratello Aldo e con Francesco Scotti dà vita nel Casalese e nel Lodigiano a un'organizzazione antifascista clandestina; arrestato una prima volta nell’agosto 1942, è fermato il 10 novembre 1943 e tradotto a San Vittore, per aver organizzato una manifestazione operaia antifascista. Deportato a Mauthausen il 18 febbraio 1944, muore il 21 marzo 1945.

Aldo (nato nel 1902) affianca Giovanni nell’attività clandestina: dopo l’arresto del 25 ottobre 1931 e la detenzione prima nel carcere di San Vittore a Milano, poi in quello di Regina Coeli a Roma, il 25 marzo 1933 è condannato a quattro anni e due mesi di detenzione (di cui tre condonati), quindi scarcerato. Con la moglie Maddalena ‘Neni’ Casali, partecipa alla Resistenza: è ufficiale di collegamento del Corpo Volontari della Libertà nelle valli Brembana, Seriana e Cavallina. Catturato e condannato a morte, riesce a evadere; vive in clandestinità fino alla Liberazione, quando fa ritorno a Casalpusterlengo ed è eletto sindaco dal CLN, riconfermato poi nella carica per volontà popolare dal 1946 al 1951. Muore il 3 aprile 1961, con l’amarezza di una condanna ingiusta per un reato non commesso, nel clima di demonizzazione della Resistenza di quegli anni.

Un significativo ritratto di Aldo Mirotti dalla sentenza di condanna del Tribunale Speciale.

Mirotti Aldo di anni 29, oste: Era di idee comuniste sin da prima dell'avvento fascista, però fino all’arresto non aveva dato luogo a lagnanza da parte dell’Autorità locale. Coordinò efficacemente lo Scotti nel riorganizzare il partito rivoluzionario sovversivo ed altresì esplicare attività propagandistica. Nella sua osteria si riunivano i vari compagni di fede e veniva depositata la stampa clandestina da passare al Bramini e alla Casali, per la diffusione. Tirò col poligrafo le copie del Risveglio, dei manifestini Le Filandiere e tutti i manifestini divulgati in Casalpusterlengo. Ricevuti da un sovversivo quattro dischi di gomma, asportati dalla ditta Pirelli, con un bisturi avuto dallo Scotti vi incise gli emblemi di falce e martello e passò due di detti dischi assieme ad alcuni manifestini al Lana Giovanni per svolgere la propaganda a Brembio. Affidò a certo Peviani Battista una rivoltella per avvalersene in caso di bisogno a scopo politico. Non v’è dubbio quindi che l’organizzazione comunista rivoluzionaria di Casalpusterlengo funzionava alla perfezione ed efficienza massima, secondo gli ordini che il partito centrale aveva impartiti allo Scotti.


La presentazione del Quaderno su «Il Cittadino» di martedì 8 agosto 2017

29. Giuseppe Coci, Gli areoplani sono uno splendido sogno. Storia della mia vita, a cura di Laura Coci, settembre 2015, pp. 140 [16 di inserto fotografico]

La vita di Giuseppe Coci, ripercorsa in questa autobiografia dettata alla figlia Laura negli anni precedenti la morte, ha attraversato il Novecento.

Giuseppe Coci era nato a Napoli nel 1915, quando suo padre era al fronte nella Grande Guerra. Bambino, ha vissuto la nascita del fascismo napoletano, la marcia su Roma, la dissidenza degli intransigenti fedeli ad Aurelio Padovani; giovanissimo dottore in agraria, ha raggiunto la famiglia in Etiopia, dove ha impiantato una azienda agricola; già in possesso del brevetto di volo, è stato richiamato in Italia per svolgere il servizio militare e partecipare, poi, alla guerra. La guerra ha disperso la sua famiglia in tre continenti: dopo la caduta dell’Africa Orientale Italiana, suo padre si trovava in campo di prigionia in India; sua madre in campo di concentramento in Etiopia; lui rischiava la vita con il suo Savoia Marchetti 79 in azioni di contrasto alla flotta angloamericana nel Mediterraneo, che gli sono valse sei decorazioni. Ma con gli angloamericani, dopo l’armistizio, ha scelto di collaborare nello Stormo Trasporti: e per suo contributo alla causa della libertà gli è stato conferito il Brevetto Alexander. Soltanto nel 1946 si è riunito ai genitori: avevano perso tutto e sono emigrati a Vigevano, dove ha ricominciato dal nulla ed è vissuto fino alla morte, nel 2009.

Il volume, il cui titolo evoca un capolavoro di Hayao Miyazaki, si avvale di un ricco apparato di note storiche e culturali, che costituiscono quasi un “libro nel libro”.

Ecco come Giuseppe Coci racconta l’abbattimento del celebre pilota Carlo Emanuele Buscaglia, il 12 novembre 1942, nella baia di Bougie (Algeria).

Il 12 novembre partimmo in sei S.79, in due pattuglie: il comandante di gruppo Carlo Emanuele Buscaglia con i gregari Marino Marini e Martino Aichner, della 281a; il comandante Francesco (Cecco) Bargagna con Carlo Pfister gregario destro e con me gregario sinistro, della 278a (le due squadriglie insieme costituivano il 132° gruppo).

Ricordo quel volo avventuroso tra le montagne a pieno carico, i vuoti d’aria, la preoccupazione di non farcela a superare le montagne che si paravano davanti, le nuvole che ogni tanto ci inghiottivano e poi quel tuffo da duemila metri nel golfo di Bougie, pieno di sole che non avevamo ancora alle spalle: noi venivamo da oriente, mentre in fondo, lontano (il golfo era molto grande) a occidente, sotto la montagna, si vedeva il porto con qualche pallone sopra (per la difesa dagli attacchi aerei, perché andavamo bassi, a pelo d’acqua), pieno di navi. La formazione non era compatta, ma sgranata, in quanto il Comandante nello sbucare sul golfo aveva dato tutta manetta e si era buttato giù a capofitto, tanto che noi della seconda pattuglia eravamo rimasti distaccati di oltre un migliaio di metri, però ci eravamo rimessi in formazione. Dunque avanti Buscaglia, dietro Aichner e Marini, quindi noi tre della 278a. A circa tre chilometri dalle navi, distinguemmo dei punti che volteggiavano e pensai che sarebbe stata grigia; mi predisposi alla rotta di attacco, mentre cominciavano ad arrivare i primi colpi dell’antiaerea: la nostra pattuglia intanto si era allargata per non costituire un bersaglio più facile. Non ebbi agio di osservare cosa succedeva davanti a me alla pattuglia della 281a, perché un pilota in fase di attacco si concentra solo sulle navi, anche per scegliere meglio l’obiettivo, e le manovre di attacco sono rivolte a cambiare continuamente l’assetto al velivolo, onde non costituire un facile obbiettivo. Vidi però a distanza il velivolo del Comandante (e il mio motorista, Luigi Busetto, me lo confermò) che si lasciava dietro una scia di fumo nero, per cui presunsi che fosse stato colpito, ma non distinsi se era stata la caccia ad abbatterlo. Il motorista, infatti, mi disse: «Il Comandante si è infilato in mare in fiamme».