MAKSYMILIAN KOLBE

Martire francescano, prima vittima dei nazisti proclamata santo dalla Chiesa cattolica

Massimiliano Kolbe nasce con il nome di Raimondo Kolbe, in una famiglia dalle condizioni economiche modeste in una zona polacca sotto il controllo della Russia.

Il padre Julius Kolbe, tedesco, è tessitore, la madre polacca Maria Dąbrowska fa la levatrice ed ha quattro fratelli.

A tredici anni comincia a frequentare la scuola media dei francescani a Leopoli. La sua vita cambia radicalmente nel 1906, quando si ricorda della visione della Vergine Maria avuta nell'infanzia.

Il 4 settembre 1910 veste come novizio l'abito dell'Ordine dei Frati Minori Conventuali, assumendo il nome di Massimiliano. L'anno successivo, il 5 settembre 1911 emette la professione semplice e viene inviato a Cracovia e successivamente a Roma per continuare gli studi in filosofia e teologia. Il 28 aprile 1918 viene ordinato sacerdote nella basilica di Sant'Andrea della Valle, a Roma.

Torna in Polonia, inizia ad insegnare nel seminario di Cracovia, ma presto deve abbandonare e recarsi a Zakopane e poi a Nieszawa per curare la tubercolosi.

La Polonia viene occupata dai nazisti e Kolbe viene arrestato dalle truppe tedesche il 19 settembre 1939 insieme ad altri 37 confratelli. Dopo quasi tre mesi di prigionia, Kolbe viene liberato l'8 dicembre ad Ostrzeszów. La sua libertà però dura poco. Il 17 febbraio 1941 Kolbe viene nuovamente e definitivamente arrestato dalla Gestapo.

Il 28 maggio 1941 Kolbe giunge nel campo di concentramento di Auschwitz, dove viene immatricolato con il numero 16670 e addetto a lavori umilianti come il trasporto dei cadaveri.

Viene più volte bastonato, ma non rinuncia a dimostrarsi solidale nei confronti dei compagni di prigionia. Nonostante sia vietato, Kolbe in segreto celebra due volte una messa e continua il suo impegno come presbitero.

Alla fine del mese di luglio dello stesso anno viene trasferito al Blocco 14 e impiegato nei lavori di mietitura. La fuga di uno dei prigionieri causa una rappresaglia da parte dei nazisti, che selezionano dieci persone della stessa baracca per farle morire nel cosiddetto bunker della fame.

Quando uno dei dieci condannati, Franciszek Gajowniczek, scoppia in lacrime dicendo di avere una famiglia a casa che lo aspetta, Kolbe esce dalle file dei prigionieri e si offre di morire al suo posto. In modo del tutto inaspettato, lo scambio viene concesso: i campi di concentramento sono infatti concepiti per spezzare ogni legame affettivo e i gesti di solidarietà non sono accolti con favore.

Dopo due settimane di agonia senza acqua né cibo la maggioranza dei condannati muore di stenti, ma quattro di loro, tra cui Kolbe, sono ancora vivi e continuano a pregare e cantare inni a Maria. La calma professata dal sacerdote impressiona le SS addette alla guardia, per le quali assistere a questa agonia si rivela scioccante.

Secondo la testimonianza di Franciszek Gajowniczek, Padre Kolbe dice ad Hans Bock, il delinquente comune nominato capoblocco dell'infermeria dei detenuti, incaricato di effettuare l'iniezione mortale nel braccio: “Lei non ha capito nulla della vita…” e mentre lo guarda con fare interrogativo, aggiunge: “...l'odio non serve a niente... Solo l'amore crea!”. Le sue ultime parole, porgendo il braccio, sono: “Ave Maria”

Kolbe e i suoi compagni vengono quindi uccisi il 14 agosto 1941, vigilia della Festa dell'Assunzione di Maria, con una iniezione di acido fenico. I loro corpi vengono cremati il giorno seguente, e le ceneri disperse.