Origini della musicoterapia (cenni)

Origini della musicoterapia (cenni)


Sicuramente il termine musicoterapia evoca nella nostra mente la dimensione terapeutica della musica già nota sin dall’antichità.

Chiamata “«iatromusica», musica guaritrice e che oggi chiameremo «musicoterapia»”1 (Rouget 1986), la dimensione curativa della musica era già nota nel 1600, ossia all’epoca in cui visse Athanasius Kirker.

In Musurgia universalis, sive ars magna consoni et dissoni, il Kirker sistematizza le conoscenze teoriche della musica fino allora conosciute e, tra queste, anche quelle relative alla iatromusica.

Ecco un significativo esempio di iatromusica descritto da Atanasius Kirker nella celebre “Musurgia universalis” e riportato da Marius Schneider2 in “La danza delle spade e la tarantella”:

«E inoltre ciò che soprattutto suscita ammirazione, è il fatto che questo veleno produce nell’uomo, per una certa somiglianza con la natura, lo stesso effetto che pro­voca nella tarantola per una sua particolare caratteristica: come infatti il veleno, sti­molato dalla musica, spinge l’uomo a saltare per una continua sollecitazione dei mu­scoli, così avviene nelle stesse tarantole:  la qual cosa mai avrei creduto se non l’avessi verificato grazie alla testimonianza, degnissima di fede, dei Padri sopracitati. Scrivo­no, infatti, che è stato effettuato un esperimento di tale fenomeno nelle città di An­dria, in una sala del palazzo ducale, alla presenza di uno dei nostri Padri. La duchessa del luogo, infatti, per mostrare questo meraviglioso prodigio della natura, fatta prendere una tarantola e poggiatala su una conchiglia piena d’acqua, pose su di essa una piccola festuca, comandò poi di chiamare il citaredo: la tarantola, inizialmente non accennò alcun segno di movimento al suono della chitarra, presto, però, la bestiola iniziò a sussultare, seguendo il ritmo, con le zampe e con tutto il corpo e non saltava soltanto, ma all’insorgere di una musica proporzionata al suo umore addirittura danzava sul serio rispettando il tempo: e se il suonatore cessava di suonare anche la  bestiola so­spendeva il ballo. I presenti vennero a sapere che ciò che in Andria ammirarono co­me fatto straordinario, a Taranto era cosa consueta. I suonatori di Taranto, che cura­vano con la musica questo morbo anche in qualità di funzionari pubblici retribuiti con stipendi regolari per aiutare i più poveri e per sollevarli dalle spese, per accelera­re e rendere più facile la cura dei pazienti solevano chiedere ai colpiti il luogo e il campo dove la tarantola li aveva morsicati, e il suo colore. Perciò, individuato subito il luogo dove diverse e numerose tarantole si adoperavano a tessere le loro tele, i me­dici citaredi si avvicinavano e tentavano vari tipi di armonie e, mirabile a dirsi, ora queste, ora quelle saltavano…

Quando vedevano saltare una tarantola di quel colore indicata dal paziente, affermavano con certezza di aver trovato il modulo esattamente proporzionato all’umore velenoso del tarantato e adattissimo alla cura, con il quale ottenere sicuro effetto terapeutico».

Athanasius Kirkers 1650

Musurgia Universalis

Roma 1650

vol II

p. 129

 

Traduzione dal latino a cura di Pierpaolo De Giorgi

Ora in: Marius Schneider, La danza delle spade e la tarantella

(a cura di Pierpaolo De Giorgi)

Lecce, Argo, 1997, p. 41

 

La vicenda descritta dal Kirker è un chiaro esempio di ciò che oggi definiamo col nome di tarantismo.

Parlando di tarantismo ci rendiamo conto che la dimensione curativa della musica è storicamente legata a quella esoterica, sciamanica per cui non è facile per noi, persone educate all’uso del logos, accogliere anche questa dimensione legata a misteriosi saperi intrisi di riti magici e irrazionali tuttora coltivati e tramandati come patrimoni storici in culture diverse dalla nostra che li ha, pian piano, occultati.

Al fine di addentrarci in questo territorio sconosciuto e a noi culturalmente lontano ci avvaliamo, ancora una volta, dell’opera di Gilbert Rouget che in “Musica e trance” fornisce un chiaro inequivocabile esempio di musicoterapia, quando, tra i vari studi raccolti nel pregevole volume citato, afferma: “Come è noto, si è a lungo considerato il tarantismo un caso particolarmente caratteristico e spettacolare di musicoterapia3”.

Il tarantismo è stata una pratica “musicoterapica” diffusa nel meridione d’Italia, dal medioevo sino agli anni 60 del secolo scorso per cui lo possiamo considerare, a tutti gli effetti, come una forma culturale che, come italiani, direttamente o indirettamente ci appartiene e che sicuramente appartiene alla cultura occidentale di cui facciamo parte.

Se ci addentriamo altresì negli studi specialistici del tarantismo, prendendo le mosse dai fondamentali testi: “La danza delle spade e la tarantella” di Marius Schneider e “La terra del rimorso” di Ernesto De Martino, scopriamo che la dimensione terapeutica della musica affonda le radici nella cultura greca antica, quella magno-greca italica e nello sciamanesimo orientale, come ci ricorda Angelo Tonelli4, e come peraltro dimostrano i corposi e numerosi scritti5 di Pierpaolo De Giorgi6 e la seconda parte del libro di Gilbet Rouget, “Musica e trance7” che analizza, tra l’altro, la dimensione curativa della musica presso l’antica Grecia e nel rinascimento.

Del ‘potere’ curativo ed esoterico della musica ne abbiamo quindi una cospicua traccia storico-teoretica ma cosa e come si realizzava un’antica prassi musicoterapica non lo sappiamo con precisione.

I testi menzionati danno informazioni teoriche ma la dimensione pratica rimane sfuggente forse perché gran parte di queste iatromusiche erano affidate e trasmesse a persone iniziate e non erano divulgate a chicchessia per cui queste antiche attività musicali rimangono tuttora avvolte nel mistero e, ovviamente, il mistero avvolge altresì gran parte della dimensione curativa della musica del passato.

Com’è possibile penetrare nel mistero di una cura musicale?

La risposta è semplice, ossia è quella di poter assistere a una antica forma di iatromusica.

Fortunatamente possiamo penetrare nel mistero di una iatromusica grazie alla  visione de “La taranta”, il celeberrimo filmato di Gianfranco Mingozzi, lo storico documentarista cinematografico che ha collaborato con Ernesto De Martino.

La visione de “La taranta” ci permette di entrare, assistere e scoprire la forma del rito domiciliare coreutico musicale che veniva svolto nel Salento degli anni cinquanta del secolo scorso.

Il filmato, in rigoroso bianco e nero, ci introduce nel vivo dell’antica partica musicoterapica domiciliare.

Il filmato evidenzia le fasi dell’attività, lo scenario, gli interpreti, il ruolo della musica e dei musicisti, la ‘danza’ della persona in cura e il ruolo degli ‘spettatori’.

Il documentario non si sofferma sugli aspetti teorici del trattamento ma solleva il velo sulla dimensione misterica di uno “glorioso” e antichissimo fare musicoterapico.

Poter assistere al fare musicoterapico ci permette di comprendere anche la dimensione teoretica che la ispira.

Una dimensione teoretica che, grazie agli studi antropologici, etnomusicologici, estestico-filosofici, clinici menzionati, completa e rende comprensibile l’efficacia terapeutica di questa antica prassi di guarigione musicale.

Il brevissimo excursus storico8 appena concluso evidenzia il fatto che la dimensione terapeutica della musica era legata ad un fare, spesso occultato e trasmesso a pochi iniziati; un fare che era estremamente determinato e influenzato dalla cultura dell’epoca.

Sia nel passato remoto, in quello prossimo e nell’odierna realtà in cui siamo immersi, in musicoterapia, fare (prassi) e riflettere su ciò che si fa (teoria) sono due dimensioni complementari che si influenzano vicendevolmente.

Pertanto, qualsiasi tipo di musicoterapia che prendiamo in esame oggidì è, essenzialmente, una prassi metodica che utilizza la musica per scopi curativi.

La musicoterapia non è quindi una disciplina che ha un assetto teorico specifico ma è una prassi che si avvale di una dimensione teorica che l’ispira.                                          

     Giangiuseppe Bonardi


1G. Rouget (1980), Musica e trance, Torino, Einaudi, 1986, p. 224.

2M. Schneider (1948), La danza delle spade e la tarantella, (a cura di Pierpaolo De Giorgi), Lecce, Argo, 1997, p. 41.

3G. Rouget, 1986, Op. cit., p. 119.

4A. Tonelli, Negli abissi luminosi. Sciamanesimo, trance ed estasi nella Grecia antica, Milano, Feltrinelli, 2021.

5https://sites.google.com/view/mia-musicoterapie-in-ascolto/recensioni/lestetica-delle-tarantella 

6 https://sites.google.com/view/mia-musicoterapie-in-ascolto/recensioni/musica-e-trance 

7Per approfondimenti sugli aspetti storici della musicoterapia, oltre ai testi menzionati nell’articolo, si consiglia la lettura: 1.1 La musicoterapia – una prospettiva storica, in: Wigram T., Pedersen Nygaard I., Bonde L. O., Guida generale alla musicoterapia, ISMEZ, Roma 2003, p. 1-12.


©Dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi,  10 novembre 2022