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Un’antica preghiera liturgica recita “Concedi o Padre alla tua Chiesa di andare verso gli uomini nella carità e di destare ovunque la gioia per la presenza in lei di Cristo Gesù”. Nonostante l’universalità del messaggio è stato immediato il suo leggerlo in un contesto missionario perché questo è quello cha fa una Chiesa in uscita, e quale “uscita” è più radicale e coraggiosa di quella missionaria?
La tecnologia, che ha abbreviato i tempi e accorciato le distanze, ci consente di avere rapporti epistolari molto più frequenti di un tempo con i nostri amici lontani e questo ci permette di condividere notizie, eventi, esperienze in tempo quasi reale… Che bello leggere dei tanti volontari che anche quest’anno hanno raggiunto varie missioni del Bangladesh per portare il loro entusiasmo e la loro professionalità; ci strappa un sorriso Padre Luigi quando ci racconta del ginecologo valtellinese in pensione, alla sua quarta esperienza da volontario (ma la prima nel periodo di giugno!) che, sconvolto dal caldo in cui si è imbattuto, giura che tornerà solo nel periodo invernale, mentre ci stringe il cuore, per l’impossibilità di portare il onforto che vorremmo, la descrizione di Padre Alfonso che gira con la sua mole imponente, ma il passo sempre più stanco, per gli slum delle città nel tentativo di strappare quanti più derelitti può alla droga, alla prostituzione e, spesso, ad una morte certa.
Dopo il caldo torrido “che fa strisciare le ciabatte a terra”, con un’immagine molto realistica, sono arrivate le piogge monsoniche e le consuete alluvioni (per fortuna quest’anno in forma tollerabile senza causare particolari disastri), e anche nei temporali improvvisi e violenti che fanno cercare riparo c’è qualche missionario che riesce a vederci un aspetto positivo… “le persone cercano protezione sotto le nostre tettoie e così noi abbiamo sempre compagnia”. Parole che prendono forma di immagini concrete perché le leggiamo con lo sguardo del cuore.
E i sorrisi dei bimbi, dei disabili, di quei volti segnati dalle privazioni e dalla fatica ci accompagnano e ci danno la spinta a non fermarci nella lotta impari alle ingiustizie e ai soprusi.
In una società sempre più proiettata al benessere, inteso come possesso e individualismo, lottiamo per un’economia inversa che tenga conto non del profitto, ma dell’uomo… Tiziano Terzani diceva che c’è una parola che rende bene questo concetto ed è “CONTENTO”… Accontentarsi… uno che si accontenta è un uomo felice perché questo sistema fondato sulla crescita dei desideri evidenzierà sempre un desiderio per te irraggiungibile togliendoti la felicità.
Concludendo mi piace ricordare quanto a volte l’amore per la missione sia più semplice e naturale di quello che immaginiamo. Quando mamma Caterina raggiunse in missione, nel suo ultimo viaggio il figlio Padre Pietro, aveva 82 anni. Trascorse tutto il tempo senza muoversi dal villaggio con spostamenti limitati da una capanna all’altra e passando molte ore su una sedia davanti alla residenza missionaria accompagnando con lo sguardo le attività quotidiane. Non fece nulla di “produttivo”, ma quando partì tutti gli abitanti del villaggio la salutarono dicendole “Grazie per quello che hai fatto per noi”.
Un atteggiamento che non può che portarci sempre più a considerare ciò che valica il nostro “fare” e lo riempie del significato più vero e profondo. Non quello che materialmente possiamo “dare” ci fa fratelli con chi si trova nell’indigenza, ma la voglia di condividere un sorriso, un abbraccio, un saluto, un silenzio, una preghiera… Tra la povertà delle capanne palpitano quella gioia e quell’amore che hanno “stregato” tanti missionari che per nulla al mondo farebbero ritorno ad una quotidianità stracolma di tutto, ma spesso vuota di umanità, di fiducia e di speranza.
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Domenica 7 ottobre, fra le varie iniziative messe in campo per la Festa Parrocchiale, si è svolta anche la GRANDE PESCA DI BENEFICENZA a supporto delle missioni e delle scuole di villaggio che da tanti anni sosteniamo in Bangladesh.
La bella e generosa partecipazione della comunità ha premiato le fatiche degli organizzatori che, tramite il Comitato, hanno potuto devolvere un incasso pari a 1.030,00 € agli amici missionari a sostegno dei loro progetti.
Serata di musica al Pattinodromo di Forlì con lo spettacolo, nella sua undicesima edizione, curato e gestito dall’Associazione OGM. L’affiatatissimo gruppo di giovani che lo compongono ha regalato ai presenti anche quest’anno un paio di ore di piacevole intrattenimento esibendosi in una carrellata di brani tratti da due grandi opere di Victor Hugo (I Miserabili e Notre Dame de Paris).
La generosa risposta del pubblico ha consentito di raggiungere un incasso di € 1.500,00 che, come illustrato all’inizio della manifestazione, andrà a sostenere le spese scolastiche e di mantenimento per un anno di cinque ragazzi ospiti presso l’ostello di Chunkuri, impianto ristrutturato e reso di nuovo funzionante in questi ultimi tre anni per il quale erano stati donati arredi e suppellettili acquistati attraverso l’analoga manifestazione del 2017 e consegnati di persona da Fiorenzo e Alberto durante il loro ultimo viaggio in Bangladesh.
La missionaria del Pime gestisce il Damien Hospital di Khulna. Dal 2012 i casi di contagio del morbo di Hansen sono raddoppiati. Nel 2017, trattati 35 nuovi casi di lebbra e 400 di tubercolosi. La destinazione missionaria del Bangladesh “un dono dello Spirito Santo”.
Una vita missionaria spesa al servizio dei lebbrosi del Bangladesh. È la storia di sr. Roberta Pignone,
medico italiano e missionaria dell’Immacolata, che illustra la sua esperienza di direttrice del Damien Hospital a Khulna, nel sud del Paese. Il centro è stato aperto nel 1986 dalle consorelle con l’obiettivo di curare e prevenire casi di lebbra, dal 2001 quelli di tubercolosi e dal 2012 quelli di Aids. Da piccola, racconta, “non avrei mai immaginato di diventare suora. Sentivo di voler fare qualcosa per gli altri, e per questo ho scelto di studiare Medicina. Ma diventare suora proprio non ci pensavo. Tanto meno di vivere in
Bangladesh. Eppure questo è diventato il Paese che Dio ha scelto per me per compiere la Sua missione”.
Sr. Roberta, classe 1971, è nata a Monza. “Sono nata lo stesso anno in cui il Bangladesh è diventato indipendente – scherza –. Ciò che più porto nel cuore è che dopo la prima esperienza giovanile in Bangladesh, ho abbandonato tutto per essere una missionaria. E il Signore ha mantenuto la promessa di farmi ritornare nel luogo in cui mi ero innamorata di Lui. La terra in cui per me tutto è iniziato, è la terra in cui sono stata chiamata a dare la mia vita per questa gente. Speriamo che duri ancora a lungo”.
Dal 2011 vive a Khulna, terza città per importanza del Paese. La sua area metropolitana conta circa un milione e mezzo di abitanti, occupati soprattutto nell’agricoltura e nell’industria tessile. In molti sopravvivono come lavoratori occasionali e abitano in slum (baraccopoli) sovraffollati. In questo modo, spiega sr. Roberta, “il rischio di contagio della malattia di Hansen aumenta in maniera esponenziale”.
Nel 1998, riporta, “l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha dichiarato che la lebbra era stata debellata. Ma così non è per il Bangladesh. In quel momento è cessato l’interesse mondiale per la lebbra e nessuno si è più occupato di ricerca, cura e diagnosi della malattia. La nostra è stata l’unica struttura che ha continuato il servizio per i malati in tutto il Paese”.
“Oggi – continua – subiamo gli effetti negativi di quel calo di interesse. Ogni anno rinveniamo nuovi casi di contagio avvenuto in passato e disabilità gravi causate dal morbo. Il motivo è che per anni non è stato più effettuato un lavoro di ricerca dei pazienti”. La missionaria riferisce che da quando ha assunto l’incarico dell’ospedale nel novembre 2012, “i casi sono raddoppiati. Se prima avevamo circa 15 pazienti l’anno, da quella data ce ne sono stati 35-36 ogni anno”. Il dato si riferisce solo alla città di Khulna e dintorni. Le
cure, sostiene sr. Roberta, “sono aperte a tutti in maniera indistinta – cristiani, musulmani e indù – senza discriminazione. Non chiediamo neanche a quale religione appartengono”. Anche lo staff “è interreligioso e composto da 35 dipendenti – 10 persone che lavorano in ospedale e altri che girano nei centri in cui curiamo anche la Tbc – più tre suore. Il nostro lavoro si svolge principalmente sul territorio e i pazienti vengono curati in ambulatori locali in cui assumono i farmaci. Solo i casi più gravi vengono ricoverati.
Per esempio, il peso medio di un affetto da tubercolosi è di 30 kg, perciò ricoveriamo i malati per consentire loro di riposare e mangiare bene. Ma il ricovero per gli affetti da tubercolosi non è facile: se un padre manca da casa, non può andare a lavorare e portare il cibo in famiglia. Per questo spesso offriamo assistenza a domicilio, portando anche del cibo o coperte per l’inverno.
Al contrario, nei casi di lebbra, il ricovero è necessario per le medicazioni quotidiane delle ulcere e per le reazioni del sistema immunitario ai farmaci”. In tutto nel 2017 “abbiamo assistito 35 nuovi casi di lebbra, oltre a tutti i malati cronici che vengono trattati a domicilio, più circa 400 malati di Tbc”.
Per quanto riguarda “la multidrug therapy, cioè la terapia combinata di antibiotici il cui dosaggio è fissato dall’Oms, le medicine sono fornite dal governo. Noi invece offriamo a titolo gratuito tutti i farmaci di sostegno come vitamine, antidolorifici per gli effetti collaterali, cure per le ulcere”. I fondi di questa complessa macchina di assistenza “provengono da benefattori italiani”.
Tra i servizi offerti ai malati di lebbra, aggiunge, “ogni martedì, giovedì e venerdì pomeriggio c’è la fisioterapia, sia a domicilio che in ospedale. Essa serve a ridurre la disabilità. Ma soprattutto, dal momento che la lebbra è legata ad una perdita di sensibilità agli arti produciamo anche delle scarpe con suole soffici che evitano la formazione delle ulcere a livello plantare”.
“È il Signore che mi vuole qui – afferma in conclusione la suora – e mi dà la forza di portare avanti questo compito che è molto più grande di me e delle mie capacità. Sono in Bangladesh, agli estremi confini della terra, al confine con la foresta del Bengala, a curare gli ultimi della terra, perché dei malati di lebbra non si cura nessuno. Questa consapevolezza mi rafforza ogni giorno”. Di fronte allo stupore “della popolazione bengalese, per cui è difficile comprendere come mai una donna non sposata abbia abbandonato la propria terra, è gratificante sapere che qualche malato considera questo ospedale come una seconda casa. Nel nostro essere qui non c’è alcun tentativo di conversione. Portiamo la speranza, uno stile di vita diverso e aiuto agli ultimi”.
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Il progetto della costruzione del centro per la fisioterapia nel villaggio di Botyogata in Bangladesh, era in cantiere da tempo, tanto che avevamo acquistato il terreno circa tre anni fa grazie una generosa donazione, fatta da una famiglia, nel ricordo di un caro amico scomparso. La conoscenza della condizione sanitaria in Bangladesh mi ha spinto a proporre ai tanti amici italiani la realizzazione di un “grande sogno” che regalasse dignità e speranza a chi convive con situazioni di estrema precarietà quotidiana. Si calcola che in questo paese i disabili siano circa il 31,9% della popolazione e i bambini con disabilità circa 3,4 milioni.
Povertà e disabilità sono spesso connesse: tra i fattori che si riconoscono come causa di disabilità vi sono le dure condizioni di vita, l’accesso limitato alle strutture sanitarie (la sanità è tutta a pagamento), la scarsa igiene.
Inoltre la disabilità in questo paese è qualcosa di cui temere, vergognarsi o ridere. E’ credenza comune che sia causata da forze soprannaturali o da spiriti maligni e che la maggior parte di coloro che ne sono affetti non sia curabile. Le madri che vorrebbero prendersi cura dei propri figli con disabilità, spesso sono costrette ad abbondare i mariti o i familiari.
Sovente i disabili trascorrono le loro giornate sui pavimenti di povere baracche di fango, in condizioni igienico-sanitarie molto precarie: per la cultura locale sono “Maledetti da Dio”.
L’incontro, qualche anno fa, con Ruma una ragazza che in seguito ad un incidente aveva riportato gravissimi handicap fisici, ma non voleva arrendersi ad un futuro di isolamento e disperazione, la sua determinazione e il suo coraggio, mi hanno indotto a sognare un “luogo di riscatto” in cui far nascere il sorriso sui tanti volti provati dalla disabilità e dalla sofferenza. Dopo avere contattato un fisioterapista locale a Ruma era stata costruita una piccola casa di due stanze.
La giovane, pur rimanendo sulla sedia a rotelle, ha notevolmente migliorato le proprie condizioni di vita così, per dare risposta ad una esigenza di molti altri, ha messo da subito a disposizione la sua casetta per far sì che due volte la settimana il fisioterapista potesse andare a fare le visite a hiunque ne avesse bisogno. Il luogo è però talmente angusto che il letto tocca quasi le pareti e il fisioterapista è costretto a salirvi sopra per esercitare le sue manovre.
Inoltre essendosi sparsa la voce che veniva il “dottore” le persone che si presentavano per le cure erano raddoppiate. La casa è così, ben presto, diventata troppo piccola e non più funzionale per il servizio di riabilitazione offerto… Dall’ agosto di quest’anno il centro di riabilitazione a Botyogata è una realtà bellissima e concreta dove si respira un’aria nuova… non possiamo illuderci che questo basti a cambiare le sorti di un popolo, ma certo è una piccola stella polare a cui volgersi per trovare la direzione giusta su cui continuare a camminare. Grazie a tutti gli amici italiani che continuano ad esserci accanto.
(Rudy Bernabini)
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