Taccuini 50 Uscito il 04/2018 96 pagine Isbn: 9788875273842Aree: Varia
INTRODUZIONE Scena 1. Primo giorno di scuola, classe prima. Venti paia di occhi che fissano le maestre, arrivate dall'Italia da tre giorni, venti paia di gambette abbastanza composte e sedute, quaranta manine che devono fare qualcosa e che vogliono sempre disegnare. “Dibujamos?”, “Posso fare un dibujo libre?” è il mantra dei primi giorni.
Disegnano, disegnano e parlano. Parlano tra loro in spagnolo, sempre. Alle insegnanti si rivolgono in una lingua mai sentita, dove le radici spagnole assumono le terminazioni morfologiche italiane. “Possiamo merendare?”ad esempio. Io cerco di parlare lentamente, scandisco, ripeto. Ad un certo punto però, vedo una bambinetta che singhiozza davanti al cestino della spazzatura. Ha in mano una matita, indica in basso e inghiotte lacrime e parole. "Sacapuntas! " singhiozza " El sacapuntas en el cubo!" Piange disperata e non riesce a spiegarsi in italiano. Mi scorrono davanti le pagine del manuale di spagnolo, i libri di letteratura... no, non mi sembra di aver incontrato mai questo termine né in Cervantes né negli autori del Siglo de Oro… gli anni di Lingua e Letteratura Spagnola all'Università in quel momento mi sembrano assolutamente inutili. Comincio a pensare che abbia visto un insettone… quante zampe avrà il Sacapuntas? E poi di che cubo parla?? Poi finalmente lo vedo. Un bel sacapuntas blu, senza zampe, finito in mezzo alle bucce di banana e ai resti delle merende nel cestino della spazzatura. "Niña non piangere… te lo prende la maestra Paola il tuo temperamatite."
Il sacapuntas è iniziato così ad essere, tra noi docenti, il simbolo della necessità di attrezzarsi, presto e bene, per rispondere alle esigenze educative di questi fantastici ragazzini bilingue, che parlano e mescolano le due lingue “fratelle”, come dicono loro.
L’assegnazione all’insegnamento presso le scuole all’estero segue una trafila piuttosto lunga e complessa. Nella maggior parte dei casi, il Ministero degli Affari Esteri comunica con scarso anticipo la nomina a cui fa seguito un trasferimento altrettanto improvviso. Si deve essere pronti a partire in meno di una settimana. Di fatto ci si trova letteralmente catapultati in una realtà sconosciuta anche dal punto di vista didattico.
Nei pochi giorni che precedono la partenza ci sono incombenze burocratiche da seguire, questioni personali da sistemare e gestire, e pensieri da mettere in ordine. E’ un misto di preoccupazioni e aspettative. Tanti dubbi, ma un gran certezza: la scuola è italiana. E’ il nostro mondo, il nostro contesto, la nostra scuola: la ‘nostra’ lingua!
Scena 2. E’ il 26 febbraio del 2016. Saluto con una festa i miei alunni di Roma. Dal primo marzo sarò in servizio a Madrid. Li lascio a metà della quinta elementare. Uno di loro, Numayer, è partito a gennaio per il Bangladesh e ritornerà a fine marzo. Ancora non sapevo della partenza e non l’ho potuto salutare. Lo farò nel Natale successivo, quando, di passaggio a Roma vado a cercarlo in prima media. Un lungo abbraccio chiude un capitolo rimasto in sospeso.
Ma torniamo al 26 febbraio. Dopo aver condiviso ricordi, pensieri, emozioni, lacrime, sguardi e abbracci non ci rimane che festeggiare: siamo ormai pronti (i bambini più di me) a ricominciare.
Esco da scuola, arrivo a casa e già i pensieri corrono veloci verso Madrid. Ho avuto pochi contatti, e tutti molto tecnici, con la collega che devo sostituire. Sarò in una seconda elementare. “Sanno già leggere e scrivere”, mi dico. “Dovrò utilizzare i primi giorni per verificare il livello e soprattutto dovrò dedicare molto tempo ad impostare la mia relazione educativa con il gruppo classe”. Mi tranquillizzo. Non metto assolutamente in dubbio che tutti sappiano parlare bene l’italiano.
La mia rassicurante rappresentazione si smonta non appena entro in classe. I bambini mi si rivolgono in perfetto itañolo. “Maestra, oggi mi raccoglie mio nonno”. Oppure: “E’ ora di salire per la mensa”,“Ho incontrato il lapis per terra”, ecc. ecc…
Partendo, ci si aspetta che in una scuola italiana statale all’estero gli iscritti siano figli di italiani e che non ci siano problemi nell’uso della lingua italiana nell’insegnamento. Poi si arriva, si varca il cancello della scuola e la realtà si rivela molto più complessa.
Prime osservazioni
Ci si accorge fin da subito che i bambini a scuola parlano l’italiano solo nei momenti di ‘lezione’ in classe. La lingua con la quale comunicano, si confidano, giocano, discutono, litigano è lo spagnolo: lingua che utilizzano anche nei lavori di gruppo previsti per le attività in italiano, lingua che utilizzano ovunque anche fuori dal contesto scolastico. Nel parco, al cinema, quando fanno sport o musica o qualsiasi altra attività, quando sono con i loro parenti o il loro gruppo di amici, i bambini parlano e ascoltano lo spagnolo.
I più fortunati, quelli che hanno un genitore italiano, esercitano la lingua a casa: con una certa frequenza se il genitore è la madre, mentre se il genitore è il padre, si riduce notevolmente lo spazio di ascolto e produzione dell’italiano. Con i fratelli la lingua utilizzata è sempre lo spagnolo, anche se sono figli di una coppia italiana.
Sembra quasi che l’italiano sia una parentesi rispetto al loro lingua: una ‘bolla di sapone’ che si infrange non appena si varca la soglia del cancello della scuola.
Il progetto
Passate le prime settimane, nelle classi e nei gruppi di alunni le relazioni si rafforzano e le interazioni aumentano. Noi continuiamo a osservare i bambini, ci confrontiamo e cominciamo a immaginare un’attività progettuale che, partendo dai bisogni specifici di questo contesto, porti gli alunni a costruire un percorso di apprendimento positivo e integrato. Iniziamo a pianificare tenendo presenti diversi aspetti.
In primo luogo il coinvolgimento attivo degli alunni, affinché si pongano come protagonisti “esperti” di pratiche bilingue. Ci sembra infatti necessario lavorare non solo sulle complessità, ma anche e soprattutto sulle enormi potenzialità insite in una scuola bilingue, che ci offre la possibilità di accompagnare e sostenere lo sviluppo della consapevolezza metalinguistica fin dai primi anni della scuola primaria. Condividiamo anche la necessità di organizzare attività didattiche creative, che facendo leva sull’analisi dell’errore aiutino i bambini a usare in modo sempre più corretto la lingua italiana. Infine, un ulteriore elemento progettuale sul quale lavorare è senz’altro il potenziamento dell’uso della lingua italiana per comunicare gli aspetti emotivi dei propri vissuti. E’ questo un obiettivo tutt’altro che trascurabile che se da un lato si lega all’esigenza espressiva e comunicativa, dall’altra è connesso al bisogno di moltiplicare le occasioni di uso della lingua italiana.
Nel pianificare il progetto, però, non ci fermiamo ai soli aspetti didattici: cerchiamo, quindi, di prevedere anche la possibilità di lavorare per riunire in uno sforzo comune i vari attori del processo educativo, come i docenti di spagnolo e i genitori.