«L'istante e l'eternità»

Alle Terme di Diocleziano 

tra intrecci temporali e tesori dimenticati

#MOSTRE


«L’istante e l’eternità»: alle Terme di Diocleziano tra intrecci temporali e tesori dimenticati

di Francesca Salvatori


Die Zeit ist immer mit dir. Egal, wohin du gehst. Du trägst sie in dir, und sie trägt dich. Sie sieht und hört alles, was du tust oder sprichst.

Il tempo ti è accanto. Ovunque tu vada. Lo porti dentro di te e lui fa lo stesso. Lui vede e sente tutto ciò che fai e ciò che dici.

Dark (serie televisiva, Germania 2017-2020)



Nel suo saggio Il presente non basta (Mondadori 2016), il latinista Ivano Dionigi riflette sulla centralità del tempo all’interno del mondo romano, che ha connotazioni diverse rispetto al mondo greco, affermando che «A Roma tutto è “nel segno del tempo” (sub specie temporis), tutto è “qui e ora” (hic et nunc), in opposizione alla Grecia, dove tutto è “nel segno dell’eterno” (sub specie aeternitatis), è “ovunque e sempre” (ubique et semper)». Osserva, poi, che la temporalità si rifletteva nella lingua, nel rapporto dei romani con la tradizione e, infine, nella loro stessa riflessione sulla vita e sulla morte, come accade nel caso di Seneca, per il quale, nel dialogo La brevità della vita (De brevitate vitae), «ciò che conta è diu vivere e non diu esse, “vivere a lungo” e non “stare al mondo a lungo” (7, 10)». E in questa dimensione temporale, appunto, rientra anche il rapporto con la tradizione, vale a dire con il proprio passato culturale; a proposito di quella che definisce «continuità e trasmissione della fiaccola della cultura di generazione in generazione (“lampadoforia”)» Dionigi ricorda le parole di Carlo Rovelli su Il Sole 24 ore (19 luglio 2015) a proposito del primo raduno mondiale dei laureati dell’Alma Mater Studiorum: «idealmente c’eravamo tutti, da Copernico, dai tanti altri nomi illustri del passato, ai giovani freschi di laurea dell’ultimo anno accademico. Tutti passati per questa istituzione millenaria, per riceverne qualcosa di importante. Cosa? Le stesse due perle che ha raccolto Copernico: il sapere del passato, e l’idea che cambiare questo sapere sia possibile».

Alla discussione del rapporto tra la nostra epoca e l’antichità classica attraverso la cultura materiale che le varie epoche hanno prodotto è dedicata la mostra «L’istante e l’eternità. Tra noi e gli antichi», promossa dall’iniziativa comune del Ministero della Cultura italiano e dal Ministero della Cultura e dello Sport della Grecia, e visitabile fino al 30 luglio 2023 nel Museo Nazionale Romano – Terme di Diocleziano. La mostra ospita circa trecento opere di varia provenienza geografica e cronologica: dall’antichità della Grecia, di Roma e delle località italiche ed etrusche a esempi di arte medievale, moderna e contemporanea.

Soprattutto, oltre a presentare per la prima volta opere di recente scoperta o acquisizione, la mostra, legata al progetto “Depositi (Ri)scoperti” del Museo Nazionale Romano, ospita anche pezzi normalmente conservati nei depositi dei musei. Se visitando una delle mostre permanenti offerte dai nostri musei qualcuno pensasse di godere di tutto quanto quel luogo abbia da offrire, o di tutto quanto valga la pena vedere, sbaglierebbe, e non di poco: ad aspettare, nei depositi, ci sono opere che basterebbero a riempire molte altre mostre. Quanto, insomma, spesso non trova posto nelle sale di una galleria museale aspetta solo l’occasione giusta – e meritata – di farsi conoscere.

Il tema unificante del percorso della mostra è il tempo: dall’eternità degli eroi all’istante dell’occasione, che la Grecia antica chiamava kairós (καιρός) e che costituisce il tempo effimero e sfuggente degli esseri umani. Di questa temporalità mutevole dà conto la letteratura e l’esperienza artistica umana, capace di produrre il racconto di gesta epiche nei poemi cosiddetti omerici, ma anche la narrazione della vita quotidiana e dei suoi momenti allo stesso tempo comuni e fondamentali, come nel caso delle opere di Esiodo. Infine, è ancora il tempo a dare forma agli spazi: della città e della casa, del rito, del mondo ultraterreno e, in buona sostanza, dello stesso corpo degli esseri umani.

Se, infatti, la mostra si apre con i calchi di due vittime dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., che restituiscono la sostanza di un’assenza – quella delle vittime di quei disastri, la cui entità distruttiva abbiamo conosciuto più di una volta anche in epoca contemporanea, non permette neppure il conforto della permanenza dei corpi e degli esseri viventi, e sembra quasi negare, distruggendone la presenza fisica, persino l’esistenza passata –, il ruolo molteplice del corpo tanto come autorappresentazione quanto come strumento di comunicazione con l’altro da sé è una costante nell’intero percorso della mostra. Non solo rappresentazioni di quelli che immaginiamo essere i volti dei filosofi, dei poeti, e dei loro eroi più noti, come quello di Ulisse: i busti di donne e uomini, bambini e anziani dall’identità sconosciuta, le epigrafi funerarie, i doni votivi dalle forme anatomiche, ma anche le rappresentazioni religiose, le sculture di personaggi dell’epoca moderna realizzati su ispirazione dell’iconografia antica – come quella di Cosimo de’ Medici –, i manifesti delle rappresentazioni teatrali dalla Grecia antica ai primi del ’900, testimoniano delle vite quotidiane e comuni quasi parallele alla nostra. Allo stesso tempo, il corpo, con le sue metamorfosi, dà forma all’arte e alla sua rappresentazione del racconto mitico e di quello storico: così, la vicenda di Leda e di Zeus trasformato in cigno è restituita da un gruppo scultoreo del II secolo d.C., ma anche da un dipinto di autore anonimo del XVI secolo, da cartone di Leonardo da Vinci, in prestito dalla Galleria Borghese; il mito, tuttavia, unisce periodi lontanissimi e torna alla nascita di Elena dall’uovo attraverso una piccolissima scultura del V secolo a.C. proveniente da Metaponto (Basilicata).

Troppo semplice, tuttavia, sarebbe costringere gli antichi a farsi portatori inconsapevoli di saggezza e valori assoluti. Nel seguire il cammino che dalle antiche civiltà cicladiche è arrivato alla Grecia classica, a Roma e poi alle epoche moderna e contemporanea, e che già prosegue oltre noi, attraverso opere e reperti che spesso hanno qui la prima occasione di essere mostrati al pubblico, non è la selezione del passato, ma la sua conoscenza critica che permette di continuare a riflettere, come ancora siamo spinti a fare con modalità e tecniche espressive sempre nuove, sul senso del tempo e sul significato di quello che consideriamo presente.

Dal sito web del Museo Nazionale Romano – Terme di Diocleziano

«La mostra, visitabile dal 4 maggio al 30 luglio 2023, è promossa dal Ministero della cultura italiano e dal Ministero della cultura e dello sport della Grecia (Eforato per le Antichità delle Cicladi) e testimonia la centralità e l’importanza della collaborazione tra i due Stati. L’evento espositivo, organizzato dalla Direzione generale Musei e dal Museo Nazionale Romano in collaborazione con Electa, è ideato e curato da Massimo Osanna, Stéphane Verger, Maria Luisa Catoni e Demetrios Athanasoulis, con il sostegno del Parco Archeologico di Pompei e la partecipazione della Scuola IMT Alti Studi Lucca e della Scuola Superiore Meridionale».

 


6 luglio 2023

Francesca Salvatori

Dopo la laurea triennale in Lettere classiche e quella magistrale in Filologia, letterature e storia del mondo antico, entrambe conseguite all’Università di Roma “La Sapienza”, sono ora una dottoranda in Classics alla Durham University nel Regno Unito. A partire dal 2022 sono inoltre membro del Consiglio Direttivo della AICC Delegazione di Roma. Sono molto interessata al rapporto tra la letteratura – e in particolare la poesia – e la politica, e al ruolo del linguaggio e dei suoi aspetti pragmatici in questo contesto: sto attualmente approfondendo entrambi questi aspetti in relazione all’Ibis di Ovidio e all’elegia romana.